Le infamie del colonialismo italiano in Libia sono state quasi sempre rimosse in Italia. Anzi, ai responsabili si erigono monumenti. Ecco qualche testo per non dimenticare

BOMBARDAMENTI E GAS

Il presente scritto costituisce il terzo capitolo del libro "Genocidio in Libia: le atrocità nascoste dell'avventura coloniale (1911-1931)" di Eric Salerno, SugarCo Edizioni, Milano 1979

Si potrebbe definire un «falso per omissione» il volume firmato da Vincenzo Lioy e curato dal «Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia in Africa» , dedicato alle operazioni dell'Aeronautica in Eritrea e in Libia. Il libro fu pubblicato nel 1964 e ad un primo esame sommario poteva apparire come un tentativo di fornire, con un minimo di obiettività, una traccia di quanto era stato compiuto dalle forze aeree italiane in due momenti della conquista coloniale. Il tono spesso enfatico e trionfalistico, l'apologia dello strumento militare, infastidivano ma non sembravano intaccare una certa «onestà» storica dell'autore. Le operazioni di ricerca dei dor (i gruppi armati di ribelli) in Libia, gli avvistamenti compiuti dagli aerostati prima e dagli aeroplani poi, i bombardamenti che crescevano d'intensità con l'intensificarsi della guerra ma soprattutto con la crescita dell'arma aeronautica, sono puntualmente registrati. Meno spazio, viceversa, è stato concesso dall'autore a spiegare contro chi, in Libia, l'Arma aeronautica stava realmente combattendo: la parola ribelli finisce per essere un termine anonimo ed insignificante quando non viene collocato nel contesto che l'ha generato. Altri autori certamente non sospetti, come lo stesso Graziani riconoscevano come il ribelle libico era, in certe fasi della storia della Resistenza, l'intera popolazione del paese. Uomini, donne e bambini aiutavano chi combatteva con le armi e lo sostenevano non solo nascondendolo dai rastrellamenti ma anche attraverso un appoggio logistico e morale. Era una lotta di popolo quella che per anni ha paralizzato l'esercito italiano in Libia. E riconoscere questo particolare fondamentale, mettere l'accento su di esso, doveva apparire a Vincenzo Lioy come un'arma a doppio taglio: significava riconoscere che in molti casi, forse nella maggioranza dei casi, gli aviatori italiani gettarono le loro bombe su concentramenti di civili e non, invece, su gruppi di soli armati. Il problema - quello delle gravi omissioni - non è, però, questo. La verità, che poteva trasparire da una lettura accorta di certi libretti apologetici di regime e balzare agli occhi dai racconti freddi e quasi distaccati, ma resi fumosi dal passare degli anni, dei superstiti libici, è invece emersa da una ricerca negli archivi del Ministero degli esteri. Ed altri dati sono probabilmente nascosti negli archivi militari.

Quasi più grave della stessa azione coloniale e fascista in Libia è la constatazione che la penna censoria dello storico «democratico» , incaricato di fornire un quadro il più fedele possibile di quanto di negativo e di positivo c'era nel passato coloniale dell'Italia, ha volutamente nascosto all'Italia repubblicana una realtà spesso feroce. Una realtà che sarebbe stata giudicata ugualmente feroce allora, come viene giudicata tale oggi. La Libia fu per l'Arma aeronautica italiana ciò che Guernica fu in Spagna per la Luftwaffe di Hitler: un campo vivo su cui sperimentare le ultime tecniche della guerra. Per preparare altre guerre ed altre conquiste. Le prove di ciò esistono negli archivi italiani ma furono totalmente - e volutamente - ignorate dal Comitato per la documentazione dell'Opera dell'Italia in Africa.

L'Italia con la sua aeronautica riuscì a stabilire in Libia alcuni record. Per la prima volta nel mondo aeroplani e dirigibili furono impiegati a scopo bellico. Per la prima volta un apparecchio volò di notte per una missione di guerra. Sotto i titoli a piena pagina dei giornali che fornivano un primo elenco delle vittime italiane della battaglia di SciaraSciat, il 25 ottobre 1911, c'era un collage fotografico che raffigurava i volti di cinque aviatori militari che avevano appena raggiunto Tripoli. «Il Messaggero» raccontava che:

«Il campo di lancio per gli aeroplani è stato improvvisato in un campo di sofsa (il trifoglio per foraggio che vien coltivato nell'oasi dei dintorni di Tripoli, vicino al mare) a ridosso del cimitero degli ebrei a Bab Isdid» .

E poi questo brano così «romantico» :

«Uno dopo l'altro, con delle grandi tende verdi, sono innalzati gli hangars, i quali sembrano dei grandi padiglioni eretti per accogliervi un'elegante colonia di bagnanti...» .

Gli aerei erano piccoli, imparavano a stare in volo, potevano caricare ancora solo modeste quantità di bombe. E gli attacchi contro le linee degli arabi o dei turchi sembravano efficaci a livello psicologico più che materiale. I primi anni della guerra, dunque, furono per l'Arma aeronautica una specie di rodaggio. Un rodaggio che valeva sia per le macchine che per gli uomini. E che avrebbe lasciato spazio e tempo allo sviluppo di armi sempre più micidiali e a tecniche di bombardamento più precise.

Le alterne vicende della guerra libica fecero sì che cinque o sei anni dopo il suo inizio erano entrati in servizio aerei nuovi, più grandi e tecnicamente più capaci di svolgere il ruolo bellico al quale erano stati predisposti. Le azioni militari assunsero contorni diversi. Tra il maggio e l'agosto del 1917, ad esempio, furono eseguite in Tripolitania un centinaio di azioni offensive con il lancio di bombe incendiarie «sui campi di orzo dei ribelli, con mitragliamenti nelle oasi di Zanzur, Sidi ben Adem, Fonduc ben Gascir, Fonduc Scrif, Gedida, Agelat, Sormen, Punta Tagiura, Zavia, Azizia» . I campi dei ribelli intorno a Zanzur e a Zavia erano stati bombardati anche nel mese di aprile con 1270 chilogrammi di liquido incendiario oltre a 3600 chili di alto esplosivo. La politica italiana nei confronti dei ribelli era già da allora quella della «terra bruciata» . Distruggendo i campi d'orzo si costringevano i «ribelli» , armati e non, ad abbandonare la lotta e a disperdersi verso zone dove sarebbe stato più facile sottometterli.

Con l'aggravarsi della situazione politicomilitare le autorità italiane furono costrette ad ammettere la crescente difficoltà per le formazioni italiane di imporsi alla popolazione libica. Le azioni militari e quelle dell'Aeronautica in particolare, assumevano toni sempre più «incisivi» . Dal 1924 al 1926 gli aerei avevano l'ordine di alzarsi in volo per bombardare tutto ciò che si muoveva nelle oasi non controllate dalle truppe italiane. Non si trattava di azioni militari contro altre forze armate, regolari o ribelli che fossero, bensì di bombardamenti indiscriminati della popolazione civile per fiaccarla e tentare di dividerla dagli uomini in armi.

Nel notiziario politico inviato al governo della Tripolitania il 26 febbraio 1924 dal generale Mombelli ctè solo un breve accenno ad una di queste operazioni:

«Caproni esplorò regione Uadi elFaregh fino Bir Yaggadia, avvistò e bombardò a Giocch el Meter grosso attendamento circa centocinquanta tende coniche e rettangolari. Bombardò regione Saunno con esito visibilmente efficace settantina tende coniche e numeroso bestiame al pascolo. Bombardò ripetutamente accampamento due chilometri est Bir Garbagniha di cui notiziario precedente nonché, nuclei armati scorti regione elGren Zauiet ed Gtafia etTumbia intenti lavori semina» .

Non c'è bisogno di commentare questa breve nota. Lo stesso Mombelli, il 17 maggio 1926, inviava al Ministero delle colonie una lunga relazione in cui spiega come le forze armate a sua disposizione fossero impegnate a conseguire una serie di obiettivi come «impedire raccolta orzo da parte ribelli e distruggere vasti seminati esistenti nel Gebel meridionale» . Le descrizioni non mancano:

«...aviazione assolse assai bene compito collegamento segnalando obiettivi alle colonne operanti e compiendo bombardamenti. Così mattino giorno sette Caproni di Apollonia bombardava greggi lungo uadi el Greihat e lanciava bombe incendiarie sulle messi di uadi Mekeughina. Pomeriggio giorno otto apparecchi di Merg spezzonavano e mitragliavano efficacemente accampamenti in fuga nello uadi Scebeicha, affluente del basso Sammalus. Ribelli risposero al fuoco colpendo ripetutamente apparecchi. Mattino seguente aviazione Merg bombardò accampamenti presso Gadir Bu Ascher e anche in questa occasione velivolo fu colpito da pallottola. Caproni di Apollonia mattino nove bombardava accampamenti e bestiame a sud Gasr Remtaiat. Durante volo osservatori hanno rilevato vasti incendi delle messi provocati dalle nostre colonne e hanno raccolto indicazioni di seminati ancora intatti che costituiranno obiettivo ulteriori operazioni...» .

La politica della «terra bruciata» , del terrore, aveva spinto migliaia di uomini, donne e bambini a lasciare la Libia, chi verso la Tunisia e l'Algeria, chi in direzione del Ciad o dell'Egitto. I morti e i feriti non si potevano contare. E i bombardamenti diventarono più violenti, più scientifici e, come si è detto, anche «sperimentali» . Così come Guernica fu sperimentale per l'aviazione nazista, l'Arma aerea italiana si servì della guerra di Libia per prepararsi alla successiva conquista dell'Etiopia.

Gife è un punto sulla carta geografica della Libia. Una piccola oasi situata tra la costa mediterranea, a sud di Nufilia, e la catena dei monti Harugi. Un'ampia conca di alcuni chilometri di diametro nella quale, quando è stagione delle piogge, si formano alcuni stagni che in caso di piogge abbondanti assumono l'aspetto di veri e propri [aghetti. Nel 1928 erano in corso le cosiddette «operazioni del 29° parallelo» , una vasta azione bellica che aveva tre scopi principali dichiarati: unificare la Tripolitania e la Cirenaica divise dalla ribellione delle popolazioni della Sirtica, occupare militarmente una catena di oasi - Socna, Zella, Marada, Augila, Gialo - sul 29° parallelo e tentare di consolidare l'effettivo dominio politico militare italiano sui territori a nord. Senza la riuscita di questo sforzo militare sarebbe stato impossibile tentare la rioccupazione del Fezzan e poi la riconquista della Cirenaica (mai in pratica sottomessa al dominio italiano) e lo schiacciamento della lotta di liberazione. Il 6 gennaio 1928 De Bono inviava al Ministero delle colonie questa breve relazione:

«263 Op. U.G./Segreto/Novità giorno/Marce colonne proseguono regolarmente. Stamane, come stabilito, quattro Ca 73 e tre Ro hanno bombardato Gife con evidente distruzione. I quattro Ca 73 sonosi spinti circa settanta chilometri sud Nufilia bombardando anche a gas circa quattrocento tende. Apparecchi fatti segno tiro di fucileria tutti rientrati base Sirte prima ore undici. Collegamento fra le tre colonne effettuato» .

Nel volume sull'opera dell'Aeronautica questo episodio è raccontato in poche righe, ma dell'uso dei gas non si fa menzione. Eppure l'estensore del libro si è servito degli stessi documenti che abbiamo potuto consultare negli archivi del Ministero degli esteri e dai quali risulta, nonostante omissioni e lacune, l'uso sistematico di gas — proibiti dalla Convenzione di Ginevra — contro la popolazione civile della Libia. Esiste anche un altro racconto dei fatti di Gife. Non è ufficiale. Fa parte di Ali sul deserto, di Vincenzo Biani, un volume di ricordi di guerra presentato in termini elogiativi dal maresciallo Balbo:

«Una spedizione di otto apparecchi fu inviata su Gifa, località imprecisata dalle carte a nostra disposizione, che erano dei semplici schizzi ricavati da informazioni degli indigeni; importante però per una vasta conca, ricoperta di pascolo e provvista di acqua in abbondanza. Ma senza oasi e senza case: un punto nel deserto.
«Fu rintracciata perché gli equipaggi, navigando a pochi metri da terra, poterono seguire le piste dei fuggiaschi e trovarono finalmente sotto di se un formicolio di genti in fermento; uomini, donne, cammelli, greggi; con quella promiscuità tumultuante che si riscontra solo nelle masse sotto l'incubo di un cataclisma; una moltitudine che non aveva forma, come lo spavento e la disperazione di cui era preda; e su di essa piovve, con gettate di acciaio rovente, la punizione che meritava.
«Quando le bombe furono esaurite, gli aeroplani scesero più bassi per provare le mitragliatrici. Funzionavano benissimo. «Nessuno voleva essere il primo ad andarsene, perché ognuno aveva preso gusto a quel gioco nuovo e divertentissimo. E quando finalmente rientrammo a Sirte, il battesimo del fuoco fu festeggiato con parecchie bottiglie di spumante, mentre si preparavano gli apparecchi per un'altra spedizione.
«Ci si dava il cambio nelle diverse missioni. Alcuni andavano in ricognizione portandosi sempre un po' di bombe con le quali davano un primo regalo ai ribelli scoperti, e poi il resto arrivava poche ore dopo. In tutto il vasto territorio compreso tra El Machina, Nufilia e Gifa i più fortunati furono gli sciacalli che trovarono pasti abbondanti alla loro fame» .

Ogni pagina di questo libro è intrisa del clima di razzismo che sembrava, allora, aver coinvolto tutti. Non è un semplice racconto di esperienze militari truci come ogni avventura bellica, bensì un'apologia della violenza fascista - spesso negata dallo Sesso regime - nei confronti di un popolo che il Biani, come altri militari e politici, riteneva inferiore. In un certo senso Ali sul deserto è un'opera ingenua che tradisce con la loro esaltazione certi segreti come quello dell'uso dei gas.

«Al di sotto era un brulicar di gente che fuggiva in tutte le direzioni, invano cercando un rifugio; ché la terra s'era tramutata, d'un attimo, in un campo di mine fatte saltare da una misteriosa potenza, folle e distruttrice. «Si vedevano le bombe staccarsi dalle fusoliere, in frotte quelle piccole da due chili, isolate le altre più grandi da dodici chili; rotolar giù disordinatamente fino a che non avevano trovato l'equilibrio della traiettoria, e poi precipitare come saette sui cumuli della gente e sugli ammassi di tende; con una tale precisione che sembrava seguissero l'attrazione magnetica del bersaglio. «Gli occhi degli aviatori, raccolta la visione dello spettacolo, riprendevano la fissità scrutatrice della indagine fredda, quando si trattava di guidare di nuovo la propria macchina sul folto della massa nemica. «Una fila di tende fu spazzata via da una folata di morte e i loro cenci si confusero a brandelli di carne sulla terra chiazzata di rosso. «Un branco di cammelli, colpiti in pieno, si abbatterono al suolo sull'orlo di un burrone, precipitando dentro, l'uno sull'altro. Da quella massa informe ancora agitata dai contorcimenti della rapida agonia, un rivolo di sangue allagò il fondo della valle, come allo zampillare d'una improvvisa sorgente. «Arrivava su fino in alto l'odore acre delI'esplosivo bruciato, e l'aria stessa era tutta in sommovimento. Gli scoppi si ripercuotevano sulle ali con sussulti e sobbalzi che mettevano a dura prova i muscoli dei piloti... «Una carovana di un centinaio di cammelli, terrorizzati dalle prime esplosioni, si erano allontanati in gran fretta, dondolando sulle groppe i loro carichi malfermi, ma due Romeo, che li avevano visti, volsero da quella parte. «Il primo passò sputando addosso alle bestie una spruzzata di pallottole che nella maggior parte andarono a vuoto, poi l'arma s'incantò e non volle più saperne di sparare. «Il pilota si arrampicò per aria lasciando libero il campo al compagno che sopraggiungeva, rasente a terra, dalla coda verso la testa della carovana, mettendo a segno un intero caricatore sui fianchi dei cammelli. «Molti stramazzarono a terra scoprendo i ventri obesi e annaspando nell'aria con le zampe lunghissime, unico mezzo a loro disposizione per dire che erano dispiacenti di morire. Ma nessuno li compianse. «Il Primo Romeo, anzi, riparato il guasto della mitragliatrice, ricalò giù e fece poco più lontano un altro mucchio di cadaveri» .

Ali sul deserto ci ha fornito una traccia, labile e precisa sull'uso dei gas proibiti dalla convenzione di Ginevra e da tutti gli altri accordi internazionali:

«Una volta furono adoperate alcune bombe ad yprite, abbandonate dal tempo di guerra in un vecchio magazzino ed esse produssero un effetto così sorprendente che i bersagliati si precipitarono a depositare le armi» .

In effetti l'uso del gas non costituì un episodio isolato: esso faceva parte di un piano preciso e sistematico. I risultati delle incursioni aeree furono attentamente studiati per conoscere non solo il numero delle vittime che esse provocavano e gli effetti immediati prodotti dalla morte chimica, ma anche per conoscere gli eventuali effetti ritardati su coloro che venivano sfiorati dai gas. E' un particolare, questo, sconosciuto della guerra di repressione - o non sarebbe il caso ora, di definirlo «di sterminio» ? - attuata da Graziani per conto del governo fascista di Roma contro la popolazione della Tripolitania, del Fezzan e della Cirenaica. Sono eloquenti questi brani tratti da una lunga relazione firmata dal generale Cicconetti ed indirizzata a De Bono alla fine del gennaio 1928. L'alto ufficiale afferma che «la maggior parte degli aggregati Ghedafa-Orfellini e Fergiani sono a noi sottomessi» e che i «Mogarba Reedat, colti alla sprovvista dalla nostra impetuosa avanzata sono fuggiti disordinatamente dopo aver subito ingenti perdite di uomini e di materiali» . Gli Orfella, come i Mogarba, non si erano mai realmente sottomessi ai conquistatori italiani. I primi, di origine berbera, nomadi della Sirtica di Socna e del Fezzan, avevano accettato un compromesso con le autorità italiane allo scopo - ciò si è dimostrato evidente in seguito - di impedire che il governo arrivasse a presidiare il territorio orfellino. Abd en Neby Belker, uno dei capi degli Orfella, nel 1923 si schierò decisamente contro i tentativi italiani di occupare il paese di Beni Ulid. Secondo Graziani gli elementi dissidenti erano divisi in due nuclei l'uno di un centinaio di armati a seguito dei fratelli Sef en Nasser di Brach; l'altro, di circa duecento fucili, seguiva Abd en Neby Belker. I Mogarba, anche essi nomadi della Sirtica, si dividono in due rami: Mogarbet es Reedat e Mogarbet esSciamach. In una relazione dello Stato maggiore della Tripolitania (1930) si afferma che:

«...i Mogarba, anche nel passato, non solo non si sottomisero al nostro Governo, ma ci opposero valida resistenza nel marzo 1914, sostenendo contro le nostre truppe il combattimento di Nufilia; mantennero poi sotto assedio lo stesso presidio fino a che, per intervenute trattative, quest'ultimo non si ritirò a Sirte (novembre 1914)» .

Nel 1926 la popolazione Mogarba era dislocata lungo il uadi Faregh (i Sciamach) e nella Choscia (i Reedat). «Ribelli» erano gli armati e l'intera popolazione «civile» , donne e bambini. Si trattava di un popolo che resisteva all'esercito italiano e non un nucleo di guerriglieri isolato e privo del supporto popolare. Le operazioni militari italiane, e soprattutto, quelle eseguite dall'Aeronautica assumevano proprio per questo fattore i contorni di un genocidio programmato. L'uso sistematico dei gas è dimostrato dai documenti in cui viene inoltre sottolineata l'efficacia dei bombardamenti. Il generale Cicconetti, nella sua relazione, spiega infatti:

«a) che le perdite in uomini sono certamente di gran lunga superiori a quelle segnalate le quali si riferiscono solo ai caduti contati sul terreno e non tengono conto dei feriti che non possono essere mancati né di quelli caduti in seguito agli effetti micidiali dei bombardamenti aerei e agli effetti non considerati né accertabili subito dei gas. «A prova della terribile efficacia dei bombardamenti sta il fatto che basta ormai l'apparizione dei nostri aerei perché grossi aggregati spariscano allontanandosi sempre più. «b) che anche per il bestiame, a quello catturato e distrutto dalle mitragliatrici va aggiunto quello colpito dai gas e dalle bombe degli aerei e che è finora incalcolabile. Le plaghe bombardate non hanno ancora potuto essere visitate e solo quando lo saranno potremo dire l'ultima parola» .

Nella maggior parte delle relazioni e dei telegrammi inviati dalla colonia al ministero si tende ad utilizzare la parola generica di «ribelli» per indicare le vittime delle azioni militari. In alcuni casi però la distinzione fra armati e popolazione civile sembra passare inosservata attraverso le maglie di ciò che costituiva, evidentemente, una forma di censura. Il governatore della Cirenaica Teruzzi, in una delle sue note quasi quotidiane al Ministero delle colonie parla dell'uccisione di due uomini e di quattro donne nel corso di un bombardamento sul Gebel, la zona montagnosa dove si trovavano allora la maggioranza degli accampamenti dei nomadi, e di risultati molto efficaci ottenuti durante altre azioni dello stesso genere nella zona.

Non viene specificato il tipo di ordigno lanciato dagli aerei, cosa, invece, che fu fatta il 4 febbraio 1928 dal governatore della Tripolitania De Bono, nelI'informare i suoi superiori che nella stessa giornata «come già preannunciato» tutti i Caproni disponibili si erano portati in volo a sud di Gifa (Gife). I ribelli avevano già levato il loro accampamento e «con cammelli carichi erano già in movimento verso sud-est. «Sono stati bombardati con circa tre tonnellate di esplosivo e bombe iprite con evidenti risultati...» . Un'altra operazione dello stesso tenore fu comunicata da Teruzzi il 12 febbraio:

«Gebel. Ieri undici aviazione Mechili bombardato efficacemente noto accampamento con bestiame pascolante due chilometri ovest uadi Tamanlu. Risulta da fonte attendibile che recenti bombardamenti eseguiti da aviazione abbiano causato ai ribelli quarantina persone uccise altrettanti feriti e sessantina cammelli abbattuti...» .

Sette giorni più tardi - come informava ancora Teruzzi - una pattuglia di Caproni 73 dell'aviazione di Bengasi sganciava otto quintali di gas iprite su un accampamento di un centinaio di tende e «numeroso bestiame» nella regione che si trova quindici chilometri a sudest del uadi Engar. «Sembra» , aggiunge Teruzzi, «che nello Zeefran Heleighima ribelli abbiano abbandonato quaranta tende, di cui venti coniche, in seguito ripetuti bombardamenti gas» .

Nel 1930 troviamo la firma di Badoglio sotto un telegramma inviato da Roma a Siciliani a Bengasi e per conoscenza a De Bono, ministro delle colonie. Riferendosi alla situazione in Cirenaica Badoglio ammonisce: «si ricordi che per Omar el Muchtar occorrono due cose: primo, ottimo servizio informazioni, secondo, una buona sorpresa con aviazione e bombe iprite. Spero che dette bombe Le saranno mandate al più presto» .

Le bombe arrivarono. E furono usate in modo sempre più massiccio ed indiscriminato. C'è in Cirenaica pacificata, uno dei volumi con i quali il generale Graziani volle giustificare la sua azione repressiva e rispondere alle accuse di genocidio della popolazione libica che già all'epoca gli venivano rivolte, un breve capitolo sul bombardamento di Taizerbo avvenuto il 31 luglio 1930, sei mesi dopo l'esortazione di Badoglio all'uso dell'iprite. Nella lingua dei tebù, una delle numerose tribù camitiche africane, Taizerbo sta per «sede principale» . Oggi i tebù abitano più a sud, nelle montagne del Tibesti parte in Libia, parte in Ciad, ma una volta essi avevano a Taizerbo la sede del loro sultanato. Situata duecentocinquanta chilometri a nordovest di Cufra, l'oasi è lunga venticinquetrenta chilometri, larga dieci ed è solcata nel mezzo da un avvallamento che contiene stagni salmastri e saline. All'epoca dell'intervento italiano vi si trovavano gruppi di palme, tamerici, acacie, giunchi e vi sorgevano una decina di nuclei abitati. Per la conquista di Cufra sede della Senussia, centro spirituale della resistenza antiitaliana Taizerbo era considerata un'oasi di grande importanza strategica. Scriveva Graziani:

«Per rappresaglia, ed in considerazione che Taizerbo era diventata la vera base di partenza dei nuclei razziatori il comando di aviazione fu incaricato di riconoscere l'oasi e - se del caso - bombardarla. «Dopo un tentativo effettuato il giorno 30 - non riuscito, per quanto gli aeroplani fossero già in vista di Taizerbo, a causa di irregolare funzionamento del motore di un apparecchio - la ricognizione venne eseguita il giorno successivo e brillantemente portata a termine. «Quattro apparecchi Ro, al comando del ten. col. Lordi, partirono da Giacolo alle ore 4.30 rientrando alla base alle ore 10 dopo aver raggiunto l'obiettivo e constatato la presenza di molte persone nonché un agglomerato di tende. «Fu effettuato il bombardamento con circa una tonnellata di esplosivo e vennero eseguite fotografie della zona. «Un indigeno, facente parte di un nucleo di razziatori, catturato pochi giorni dopo il bombardamento, asserì che le perdite subite dalla popolazione erano state sensibili, e più grande ancora il panico» .

Vincenzo Lioy, l'autore del volume sul ruolo dell'aviazione in Libia, riprese senza modificarla di una virgola la versione riferita da Graziani nel suo libro. Ma Graziani aveva tralasciato l'importante particolare dell'uso di grandi quantità di iprite ed aveva omesso di riportare una relazione agghiacciante che gli era pervenuta qualche mese dopo sugli effetti del bombardamento. Questa relazione, regolarmente archiviata, era ugualmente a disposizione dello storico Lioy quando fece la sua ricerca. Da un rapporto firmato dal tenente colonnello dell'Aeronautica, Roberto Lordi, comandante dell'aviazione della Cirenaica (rapporto che Graziani inviò al Ministero delle colonie il 17 agosto) si apprende che i quattro Ro erano armati con 24 bombe da 21 chili ad iprite, da 12 bombe da 12 chili e da 320 bombe da 2 chili. Stralciamo dalla relazione la parte che si riferisce all'avvicinamento e al bombardamento di Taizerbo.

«...in una specie di vasta conca s'incontra il gruppo delle oasi di Taizerbo. Le palme, che non sono molto numerose, sono sparpagliate su una vasta zona cespugliosa. Dove le palme sono più fitte si trovano poche casette. In prossimità di queste, piccoli giardini verdi, che in tutta la zona sono abbastanza numerosi; il che fa supporre che le oasi siano abitate da numerosa gente. Fra i vari piccoli agglomerati di case vengono avvistate una decina di tende molto più grandi delle normali e in prossimità di queste numerose persone. Poco bestiame in tutta la conca. II bombardamento venne eseguito in fila indiana passando sull'oasi di Giululat e di el Uadi e poscia sulle tende, con risultato visibilmente efficace» .

II primo dicembre dello stesso anno il colonnello Lordi inviò a Roma copia delle notizie sugli effetti del bombardamento a gas effettuato quel 31 luglio sulle oasi di Taizerbo «ottenute da interrogatorio di un indigeno ribelle proveniente da Cufra e catturato giorni or sono» . E' una testimonianza raccapricciante raccolta materialmente dal comandante della Tenenza dei carabinieri reali di el Agheila.

«Come da incarico avuto dal signor comandante l'aviazione della Cirenaica, ieri ho interrogato il ribelle Mohammed bu Alì, Zueia di Cufra, circa gli effetti prodotti dal bombardamento a gas effettuato a Taizerbo. «II predetto, proveniente da Cufra, arrivò a Taizerbo parecchi giorni dopo il bombardamento, e seppe che quali conseguenze immediate vi sono quattro morti. «Moltissimi infermi invece vide colpiti dai gas. «Egli ne vide diversi che presentavano il loro corpo ricoperto di piaghe come provocate da forti bruciature. «Riesce a specificare, che in un primo tempo il corpo dei colpiti veniva ricoperto da vasti gonfiori, che dopo qualche giorno si rompevano con fuoruscita di liquido incolore. Rimaneva così la carne viva priva di pelle, piagata. «Riferisce ancora che un indigeno subì la stessa sorte per aver toccato, parecchi giorni dopo il bombardamento, una bomba inesplosa, e rimasero così piagate non solo le sue mani, ma tutte le altre parti del corpo ove le mani infette si posavano. «Oltre a quelle sopradette non ha saputo fornire alcuna altra notizia» .

Secondo l'Enciclopedia Americana l'iprite puo provocare malattie ereditarie ed i suoi effetti si potrebbero riscontrare, perciò, non solo nelle persone direttamente colpite dai bombardamenti ma anche nei loro discendenti. La Treccani afferma che l'iprite (prese il nome dalla città francese di Ypres nelle cui vicinanze fu lanciata per la prima volta dai tedeschi nel 1917) attacca tutte le cellule con le quali viene in contatto, distruggendole completamente. Non solo agisce sulle mucose, ma anche sulla pelle producendo infiammazioni vesciche e piaghe assai difficili a guarire. Più violentemente (è sempre la Treccani che lo specifica) agisce sulle mucose degli occhi e, quando venga respirato il suo vapore, sulle vie polmonari. Se con la respirazione i vapori d'iprite entrano nel circolo sanguigno, distruggono i globuli rossi, producendo rapidamente la morte. Non c'è dubbio che l'effetto dei gas sulla popolazione libica, priva peraltro di qualsivoglia possibilità di ricorrere a moderne cure mediche, doveva essere micidiale.

L'uso dell'iprite, che doveva diventare un preciso sistema di massacro della popolazione civile in Etiopia qualche anno più tardi, fu certamente uria scelta sia militare che politica come i bombardamenti della popolazione civile in Libia doveva corrispondere a scelte di colonizzazione ben precise. L'Italia fascista era pronta ad inviare in Libia migliaia di coloni che avrebbero potuto coesistere con la popolazione locale soltanto se questa avesse non solo accettato di sottomettersi all'autorità di Roma, ma soprattutto di modificare radicalmente la propria esistenza nomade ed «anarchica» . L'Italia, comunque, aveva scelto per la Libia una forma di colonizzazione basata sulla gestione delle ricchezze della terra attuata direttamente da coloni italiani con lo sfruttamento, ove fosse possibile, di manodopera locale. Per Graziani, che aveva carta bianca sul terreno, e per i dirigenti politici e militari che da Roma lo spronavano a concludere al più presto una «conquista» cominciata quindici anni prima, la decisione di servirsi di gas tossici non poteva prescindere dalla consapevolezza che essi, colpendo in modo particolare la popolazione civile, avrebbero finito per distruggere, almeno in parte, quella forzalavoro locale che un giorno, altrimenti, si sarebbe potuta mettere a disposizione dei coloni italiani. Probabilmente, nascosti negli archivi, giacciono ancora i documenti che potranno dimostrare - come già sembrano fare quelli finora reperiti - la non casualità della scelta italiana di utilizzare i gas tossici in Libia.

Molto tempo era passato da quel lontano 1911 quando i primi aviatori italiani atterrarono in Libia, avanguardia di un'arma che con il passare degli anni si sarebbe affinata e ingrandita. Dal novembre 1929 alle ultime azioni del maggio 1930 l'aviazione della Cirenaica eseguì secondo fonti ufficiali ben 1605 ore di volo bellico lanciando 43.500 tonnellate di bombe e sparando diecimila colpi di mitragliatrice. Le fonti, però, non precisano quante tonnellate di bombe erano cariche di iprite.

Per ulteriori testimonianze sui crimini del colonialismo italiano in Libia e in particolare per le deportazioni di massa, si veda il libro di Angelo Del Boca

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