Elezioni in Iraq

Per la terza volta in un anno gli iracheni sono stati chiamati alle urne.

Leggi il commento di Stefano Chiarini su "Il Manifesto" del 15 dicembre

Con questo voto, che segue quello per l’elezione dell’assemblea costituente e quello sulla costituzione del 15 ottobre scorso, gli americani puntano al consolidamento di un minimo di struttura istituzionale dello stato iracheno.

Per gli occupanti dell’Iraq questo consolidamento è la premessa necessaria per raggiungere i propri obiettivi strategici, e cioè il controllo del paese con la stabilizzazione di un governo amico che ne assecondi le pretese egemoniche nell’area, inclusa la presenza definitiva delle basi militari a  stelle e strisce.

La domanda fondamentale alla quale rispondere è dunque questa: l’esito delle elezioni del 15 dicembre ha avvicinato oppure no il raggiungimento di questo obiettivo americano?

La prudenza delle stesse dichiarazioni USA lascia intendere una grossa incertezza sulle prospettive future. Naturalmente è ancora presto per capire quali scenari si delineeranno nelle prossime settimane, ma alcune considerazioni vanno comunque fatte.

Se in passato la scelta americana era chiara (governo basato sull’alleanza tra le maggiori formazioni sciite e curde), assai meno lo è oggi visto che gli USA dicono di auspicare un governo di unità nazionale.

Se in passato nelle aree di maggior resistenza popolare all’occupazione la partecipazione al voto era bassissima, non è andata così questa volta, segno di una scelta tattica diversa, del tentativo di almeno una parte della Resistenza di inceppare dall’interno un’architettura istituzionale fragile, essendo figlia tra l’altro di una costituzione approvata soltanto grazie ai brogli del referendum di ottobre.

Questa scelta deriva senz’altro dalle difficoltà politiche e militari incontrate dalla Resistenza, da una situazione di stallo che ha sì impantanato gli americani, ma senza produrre la necessaria saldatura tra la guerriglia e l’insurrezione urbana, quella saldatura che terrorizzò gli americani durante la prima battaglia di Falluja (aprile 2004) e quella di Najaf dell’agosto successivo, ma che in seguito non si è consolidata.

I prossimi mesi ci diranno se la scelta elettorale sostenuta dagli ulema sunniti è stata giusta oppure no. Di certo non si tratta – come vorrebbero i nostrani pennivendoli – di una legittimazione dell’occupazione. Al contrario, si tratta del tentativo di scombinare i giochi politici degli occupanti. E’ una scelta che sicuramente comporta dei rischi, ed almeno in un primo momento essa potrà essere utilizzata per alimentare la macchina propagandistica degli americani. Ma il valore di scelte politiche di questo tipo va misurato nel tempo e, soprattutto, su un altro piano. In questo caso il metro di giudizio dovrà essere quello dell’inceppamento o meno del percorso istituzionale teso a normalizzare l’Iraq sotto il controllo degli imperialisti USA.

In questi anni la forza della Resistenza ha stupito gli occupanti, i loro servi, i loro scribacchini. E ha stupito anche i nostri critici che, scandalizzati e benpensanti, inorridivano col loro “politically correct” verso chi, come noi, si batteva per l’aperto sostegno alla Resistenza.

In quasi tre anni di lotta la Resistenza non si è piegata. Ha subito i colpi della più potente macchina da guerra mai vista nella storia, ha pagato le difficoltà politiche di una situazione di isolamento in cui nessun paese offre il benché minimo sostegno a chi si oppone al disegno di dominio americano, ma ha saputo andare avanti forte di un consenso popolare che la propaganda degli occupanti non ha certo incrinato.

Vedremo cosa accadrà nei prossimi mesi.

Noi, proprio in considerazione di questa forza, siamo ottimisti.

VIVA LA RESISTENZA!
FUORI TUTTE LE TRUPPE DI OCCUPAZIONE!
LIBERTA’ ED AUTODETERMINAZIONE PER IL POPOLO IRACHENO! 


Comitati Iraq Libero


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