Bush: "Lo spazio è americano"

Vittorio Zucconi

Repubblica, 19 ottobre 2006


Alle 17 del venerdì 6 ottobre, vigilia del lungo week end di Cristoforo Colombo, dunque nel momento di stanca della tensione politica e dell'attenzione del pubblico distratto dai progetti di vacanza, George W. Bush ha firmato, con il minimo possibile di pubblicità e di fanfara in una Washington già svuotata dal fine settimana, la nuova "Magna Cartha" della conquista e del controllo militare americano dello spazio.

La cosiddetta «Ultima Frontiera» aperta all'umanità deve diventare, secondo questo sensazionale documento passato quasi inosservato, la «riserva di caccia» della tecnologia militare e civile americana, off limits, vietata a tutti coloro che l'America consideri e sospetti ostili ai propri interessi. Lo spazio è nostro, come il mare dell'Impero era «mare nostrum».

Ventitré anni dopo il discorso del 1983 nel quale Ronald Reagan lanciò quella sua fantasiosa e romanzesca iniziativa subito ribattezzata «Guerre Stellari», questa nuova «National Space Policy» varata da Bush vola ben più alto del sogno di uno scudo spaziale che il grande visionano ungherese Edward Teller, il padre dell'arsenale termonucleare americano, era riuscito a vendere a Reagan.

«La nostra libertà di azione nello spazio è essenziale quanto lo è per noi il controllo dell'aria e dei mari e lo spazio extraterrestre è una componente della sicurezza nazionale, economica e territoriale degli Stati Uniti».

Dunque, gli Stati Uniti si riservano il diritto, senza consultazioni, senza accordi internazionali e soprattutto senza trattati che leghino le loro mani «di impedire, dissuadere o negare l'uso dello spazio» a chi abbia intendimenti ostili verso di loro.

Si dice che questo balzo in avanti sia rispetto alle fantasie reaganiane che tanto terrore seminarono al Cremlino accelerando addirittura, secondo il folklore storico, il disfacimento dell'Urss, sia rispetto alla «National Space Policy» firmata da Clinton, sia scattato quando, due anni or sono, un raggio laser partito dal territorio della Cina abbia «illuminato», senza danneggiarlo, un.satellite spia della US Air Force. Quel fascio di luce, pure innocuo, rivelò tutta la possibile, prossima vulnerabilità del sistema di satelliti americani, dai quali ormai dipende tanta parte di ogni azione militare, dalla navigazione in mare a quella aerea, dal puntamento delle artiglierie alle comunicazione fra unità. Senza la ragnatela di satelliti militari e civili, il colosso aereo-navale-terrestre americano sarebbe ridotto a un Polifemo orbo che brancola nel buio.

La scoperta della vulnerabilità americana all'acciecamento dei suoi satelliti, usati per orientarsi e per comunicare anche dalle pattuglie dei soldati che si aggirano per i vicoli mortali di Bagdad o di Kandahar come dai missili Cruise o dai serventi degli obici, non è una scoperta di oggi. La novità sta in questa annessione strategica dello spazio agli interessi nazionali degli Stati Uniti, come se esso fosse divenuto un'estensione dei confini e delle acque territoriali. La «Nsp» è dunque la logica proiezione oltre la superficie terrestre di quella dottrina della «supremazia americana nel XXI secolo» teorizzata dal «Progetto per un Nuovo Secolo Americano», quel documento che forma la base della dottrina e della visione del mondo cosiddetta Neo Conservatrice, ma di fatto americocentrica.

Il merito della svolta di Bush è la sua chiarezza, è l'abbandono di quegli scrupoli e di quelle premure «multilaterali» che avevano limitato la «Politica Spaziale di Clinton». Nel testo clintoniano del 1996, si diceva che «gli Stati Uniti si sarebbero opposti a ogni tentativo di limitare il proprio accesso al diritto di passaggio nello spazio» ma lo subordinava a trattati esistenti o da negoziare. Non Bush. Il privilegio di muoversi nello spazio, di lanciare sistemi d'arma, difensivi od offensivi essendo di fatto tutti a «doppia capacità», di annientare chi si opponga è riservato alle scelte politiche e strategiche dei governi americani e di chi a essi decida di accodarsi, secondo la stessa formula già adottata con la «coalizione di chi ci sta», la «Coalition of the Wìlling». Se lo spazio diviene una componente cruciale della sicurezza nazionale americana, dipenderà da Washington decidere che cosa sia, e che cosa non sia, una minaccia alla propria sicurezza in questo nuovo «cortile di casa» extraterrestre.

Con quali strumenti militari pratici sarà esercitato questo diritto proprietario sullo spazio, il documento non precisa, perché scatta il provvidenziale meccanismo del «classified», del segreto di stato sui progetti. «Non abbiamo nessuna intenzione di lanciare un programma di armamento dello spazio, punto e basta», dice al Washington Post un' «alta fonte anonima» dell'amministrazione, ma la fetta di bilancio della difesa riservata per le ricerche spaziali è generica e coperta dal segreto. A parte i 48 miliardi di dollari (più dell'intero bilancio italiano della Difesa) riservati nei prossimi cinque anni ai missili anti missile che continuano a essere sperimentati con modestissimo successo e che ora la «bomba coreana» farà accelerare, come e dove saranno spesi i milioni di dollari disseminati e dissimulati in mille progetti «neri», non ufficiali, l'Air Porce, che li gestisce, non vuoi dire. Ma le voci, rimbalzate dalle pubblicazioni specializzate, dalle aziende, dai laboratori, sono molte e molto attendibili.

La stessa aviazione militare lavora da tempo a un aereo ipersonico, il progetto Falcon, capace di staccarsi dall'attrazione terrestre, di orbitare e di piombare sull'obiettivo, in un'ora di volo da qualsiasi punto della terra. Le industrie aereospaziali hanno contratti per il progetto «Guardia del Corpo», nugoli di minisatelliti «Asat», cioè anti satellite, da lanciare per proteggere i fratelli più grandi per le telecomunicazioni e lo spionaggio. Armati di laser o di proiettili esplosivi convenzionale farebbero la funzione che i sottomarini «hunter killers», cacciatori, svolgono a proteziohe della grande unità navali. Boeing 747 jumbo specialmente modificati sperimentano da tempo armi laser per accecare i satelliti nemici da alta quota. E nello spazio ci sarebbe posto per gli UAV, veicoli spaziali senza uomini a bordo, destinati a orbitare a lungo sopra obiettivi e zone di operazione, per colpire con varie armi o addirittura per rifornire di munizioni e di vettovaglie piccole unità disperse in luoghi irraggiungibili da aerei o elicotteri, una versione fantascientifica dei lanci di rifornimenti con il paracadute dagli aerei.

Il sogno dello «scudo spaziale» cullato da Reagan come protezione per fermare i missili intercontinentali nemici diviene così, nella reinterpretazione aggressiva del successore Bush autentica «guerra spaziale», secondo una progressione che la tecnologia rende ogni giorno più realistica e che soltanto la politica aveva frenato e può frenare. Con il suo nuovo ordine, firmato nel pomeriggio languido e distratto di un lungo week-end, George Bush ha avuto almeno il merito di bruciare ogni ipocrisia e di affermare chiaro e tondo che l'America del XXI secolo intende considerare lo spazio come l'impero Romano considerava il mare, semplicemente perché aveva i mezzi per farlo. Non si fa invece cenno, nella nuova dottrina, di quali strumenti potranno essere adottati per impedire a 19 fanatici di fare strage di innocenti armati soltanto di un tagliacarte.

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