Il Tribunale ONU sulla Jugoslavia: la vergogna internazionale di un organismo che dovrebbe essere imparziale e che invece è un docile strumento in mano alla NATO per colpire i nemici dell'alleanza

Louise Arbor, una criminale di guerra che nessuno ha ancora portato sul banco degli imputati

L'articolo che riproduciamo, pubblicato in italiano anche dal Manifesto del 27 e 28 maggio 2000, è stato scritto nei primi giorni di febbraio da Christopher Black, uno degli avvocati canadesi che hanno chiesto al Tribunale ONU per la Jugoslavia di accusare i dirigenti della NATO di crimini di guerra, e da Edward Herman, canadese, autore di saggi sui mezzi di comunicazione di massa.

Tra i molti paradossi della guerra della Nato contro la Jugoslavia c'è il ruolo del Tribunale Penale Internazionale e della sua ex procuratrice generale, Louise Arbour, elevata dal primo ministro canadese Jean Chretien all'Alta Corte del Canada nel 1999. Come avremo modo di dimostrare, quel premio si giustifica interamente per i servizi politici resi alle potenze della Nato, ma è una monumentale presa in giro se si considera la questione della corretta amministrazione della giustizia. In realtà, poiché la Arbour e il suo Tribunale hanno giocato un ruolo chiave nel favorire crimini di guerra, ci sono eccellenti motivi per sostenere che in un mondo giusto la Arbour si dovrebbe trovare sul banco degli imputati piuttosto che nella veste di giudice.

La Arbour corre in aiuto della NATO

Il momento della verità per la Arbour e il Tribunale è venuto nel bel mezzo della campagna di bombardamenti della Nato contro la Jugoslavia durata 78 giorni, quando la Arbour è apparsa una prima volta in una conferenza stampa del 20 aprile 1999 insieme al ministro degli esteri britannico Robin Cook per ricevere da lui la documentazione sui crimini di guerra serbi. Successivamente, il 27 maggio, la Arbour annunciava l'incriminazione del presidente serbo Slobodan Milosevic e di quattro suoi collaboratori per crimini di guerra. L'inappropriatezza di questo comportamento da parte di un organo presumibilmente giudicante nel bel mezzo della guerra in Kosovo, e mentre la Germania, la Russia ed altre potenze stavano cercando di trovare una soluzione diplomatica al conflitto, è sconcertante.

Presentandosi pubblicamente il 20 aprile 1999 con Cook, la Arbour dichiarò che "sarebbe inconcepibile... che noi di fatto accettassimo di essere guidati dalla volontà politica di gente che può avere propri scopi da perseguire". Ma la sua apparizione con Cook e le incriminazioni che l'hanno seguita corrispondevano perfettamente ai bisogni politici dei dirigenti della Nato. Le critiche ai bombardamenti Nato, sempre più intensi e mirati a colpire le infrastrutture civili, stavano crescendo, e nei media britannici Blair e Cook fustigavano i loro critici per il loro insufficiente entusiasmo per la guerra. L'intervento della Arbour e del Tribunale, che dichiarava la dirigenza serba colpevole di crimini di guerra, era una mossa di relazioni pubbliche per giustificare la politica della Nato e facilitare la continuazione e l'escalation dei bombardamenti. I dirigenti e i propagandisti della Nato l'hanno sottolineato spesso: Madeleine Albright rilevava subito che l'incriminazione "chiarisce al mondo intero e all'opinione pubblica dei nostri paesi che questa [politica della Nato] è giustificata dai crimini commessi, e penso anche che ci consentirà di continuare a portare avanti tutti questi processi [cioè i bombardamenti]" (Cnn, 27 maggio). Il portavoce del Dipartimento di Stato James Rubin dichiarava da parte sua che "questo passo senza precedenti... giustifica nel modo più chiaro possibile quanto abbiamo fatto negli ultimi mesi" (Cnn Morning News, 27 maggio).

Benchè il Tribunale fosse insediato sin dal maggio 1993, e le atrocità più gravi nelle guerre jugoslave fossero state commesse nel quadro della disgregazione della vecchia Federazione, tra il giugno 1991 e i colloqui di pace di Dayton alla fine del 1995, non c'era stata nessuna accusa contro Milosevic per nessuna di quelle atrocità. L'incriminazione del 27 maggio si riferisce esclusivamente a 241 morti di cui si avrebbe avuta notizia nei primi mesi del 1999. L'incriminazione appare preparata frettolosamente in risposta a qualche bisogno urgente. Il 20 aprile la Arbour aveva persino dichiarato di avere "fatto visita alla Nato" per "dialogare con potenziali fornitori di informazioni per creare un sostegno senza precedenti, di cui il Tribunale ha bisogno se vuole ottemperare al suo mandato in una cornice temporale che lo renda rilevante per la risoluzione di un conflitto... delle dimensioni di quello attualmente in attoa nel Kosovo". Ma la sua azione ha impedito una soluzione negoziata, anche se ha contribuito ad accelerare una soluzione attraverso l'intensificazione dei bombardamenti.

La Arbour stessa si diceva "preoccupata dell'impatto che questa incriminazione può avere sul processo di pace", e dichiarava che, benchè le persone incriminate abbiano "diritto alla presunzione di innocenza fino alla condanna, le prove su cui l'incriminazione si fonda sollevano seri dubbi sulla loro adeguatezza ad essere garanti di qualunque intesa, per non parlare di un accordo di pace". (Cnn Live Event, Special, 27 maggio). In questo modo la Arbour non solo ammetteva di essere assolutamente consapevole del significato politico della incriminazione, ma insinuava anche che l'interferenza con eventuali sforzi diplomatici era giustificata perché le persone incriminate, sebbene non ancora dichiarate colpevoli, non sarebbero state adeguate a negoziare. Questo giudizio politico largamente extragiudiziale, insieme al momento scelto per le incriminazioni, indica il ruolo altamente politico della Arbour e del Tribunale.

Cosa c'è dietro la politicizzazione del Tribunale

Il servizio reso dalla Arbour alla Nato con l'incriminazione di Milosevic è stato il risultato logico del controllo di fatto sul Tribunale e sulle sue finalità. Il Tribunale fu istituito dal Consiglio di Sicurezza all'inizio degli anni '90 per servire agli scopi della politica balcanica dei suoi membri dominanti, specialmente degli Usa (Cina e Russia li hanno seguiti come partner silenziosi e impotenti, forse in cambio di concessioni economiche). Il finanziamento e la relazione di interdipendenza funzionale con le principali potenze Nato ne hanno fatto uno strumento della Nato.

Sebbene, secondo l'art. 32 dello Statuto, le spese del Tribunale debbano essere previste nel bilancio generale dell'Onu, questa clausola viene regolarmente violata. Negli anni 1994-1995 il governo Usa ha elargito al Tribunale 700.000 dollari in contanti e 2,3 milioni di dollari in attrezzature (e ciò mentre si rifiutava di far fronte al suo debito con l'ONU che avrebbe così potuto assicurarne il finanziamento). Il 12 maggio 1999 la giudice Gabrielle Kirk McDonald, presidente del Tribunale, dichiarava che "il governo degli Stati Uniti ha accettato molto generosamente di dare 500.000 dollari [per un progetto "Outreach"] e di incoraggiare altri stati a contribuire". Molti altri enti governativi e non governativi con sede negli Usa hanno fornito risorse al Tribunale.

L'articolo 16 dello Statuto del Tribunale stabilisce che il procuratore deve agire in modo indipendente e non deve chiedere o ricevere istruzioni da alcun governo. Anche questa disposizione è stata sistematicamente violata. Le fonti Nato hanno regolarmente avanzato la pretesa di avere autorità sul Tribunale: "Decideremo se le azioni della Jugoslavia contro le persone di etnia albanese costituiscano un genocidio" dichiara un foglio informativo dell'Usia (United States Information Agency), e nella conferenza stampa tenuta insieme alla Arbour il 20 aprile Cook dichiara: "Concentreremo la nostra attenzione sui crimini di guerra che vengono commessi in Kosovo e siamo determinati a consegnare i responsabili alla giustizia", come se lui e la Arbour fossero un organismo che decide collettivamente, e in collaborazione, chi debba essere accusato dei crimini di guerra, ed ovviamente escludendo se stesso dai potenziali accusati. In precedenza, il 31 marzo, due giorni dopo che Cook le aveva promesso informazioni utili a sostenere le accuse, la Arbour aveva annunciato l'incriminazione di Arkan.

I funzionari del Tribunale si sono persino vantati del "forte sostegno da parte dei governi interessati e di singoli individui come la segretaria di stato Albright", citata poi come "madre del Tribunale" (da Gabrielle Kirk McDonald). In una conferenza stampa del settembre 1999 la procuratrice generale succeduta alla Arbour, Carla Del Ponte, ringraziava l'americana Fbi per aver aiutato il Tribunale, ed esprimeva riconoscenza per "l'importante sostegno fornito al Tribunale dal governo degli Stati Uniti". La stessa Arbour aveva informato personalmente Clinton dell'imminente incriminazione di Milosevic due giorni prima del resto del mondo, e nel 1996 la procuratrice si era incontrata con il segretario generale della Nato e il suo comandante supremo per "stabilire contatti e cominciare a discutere le modalità di collaborazione e assistenza". Gli incontri tra il procuratore del tribunale e la Nato, a cui è stata affidata la funzione di polizia, sono stati numerosi. Anche nella raccolta dei dati, il procuratore è stato fortemente dipendente dalla Nato e dai governi Nato, il che ancora una volta rimanda alla relazione simbiotica fra il Tribunale e la Nato.

Nel mirino ci sono praticamente solo i serbi

Le potenze della Nato hanno concentrato la loro attenzione quasi esclusivamente sulla condotta dei serbi nel quadro della disintegrazione della Jugoslavia, e il Tribunale ha proseguito sulla scia della Nato. La gran parte delle incriminazioni del Tribunale si riferisce a serbi, e quelle, pochissime, dirette contro croati e musulmani hanno dato l'impressione di arrivare al momento giusto per controbattere le accuse di pregiudizio anti-serbo (ad esempio, la prima incriminazione non serba [Ivica Rajic], annunciata durante i colloqui di pace a Ginevra e il bombardamento della Nato nel settembre 1995).

La stessa Arbour affermava (20 aprile) che "il vero pericolo è quello di cadervi [di perseguire gli scopi politici di qualcuno] inconsapevolmente, dipendendo interamente da fornitori di informazioni che potrebbero avere loro scopi che noi potremmo non essere in grado di riconoscere". Ma anche un imbecille si sarebbe potuto accorgere che la Nato aveva i propri scopi e che il solo fatto di accettare la marea di documenti offerti da Cook e Albright significava proprio subordinarsi a quegli scopi. Arbour ha persino riconosciuto la sua volontaria e quasi esclusiva "dipendenza... dalla buona volontà degli stati" per fornire informazioni che "guideranno la nostra analisi del contesto criminale". E il suo riferimento del 20 aprile alla "moralità dell'impresa [della Nato]" e le sue osservazioni sulla possibile mancanza di carattere di Milosevic, che lo renderebbe inidoneo a un negoziato, così come la sua prontezza ad aiutare la Nato con un'incriminazione, rimandano a un servigio politico del tutto consapevole.

Un drammatico esempio della non imparzialità della Arbour e del Tribunale, viene da un rapporto del Tribunale stesso intitolato "The Indictment Operation Storm: A Prima Facie Case", che descrive i crimini di guerra commessi dalle forze armate croate con l'espulsione di più di 200.000 serbi dalla Krajina nell'agosto 1995, durante la quale "almeno 150 serbi hanno subìto esecuzioni sommarie, e molte centinaia di loro sono scomparsi". Il rapporto, fatto trapelare al New York Times (con costernazione dei funzionari del Tribunale), affermava che gli omicidi e gli altri atti disumani commessi dai croati erano "diffusi e sistematici", e che era disponibile "materiale sufficiente" per chiamare a risponderne in base al diritto internazionale tre generali croati di cui veniva fatto il nome. (Raymond Bonner, "War Crimes Panel Finds Croat Troops 'Cleansed' the Serbs", New York Times, 21 marzo 1999). Ma l'articolo del Times riferisce anche che gli Stati Uniti, che sostenevano la pulizia etnica condotta dai croati contro i serbi in Krajina, non solo hanno difeso i croati presso il Tribunale, ma si sono rifiutati di fornire le foto satellitari delle aree della Krajina attaccate dai croati e altre informazioni che erano state loro richieste. Il risultato è stato che generali croati nominati nel rapporto su "Operation Storm" non sono mai stati incriminati dal Tribunale dell'Aja nel momento in cui le rivelazioni avvenivano, e sebbene il numero dei serbi uccisi e scomparsi in soli quattro giorni in quella pulizia etnica sia stato almeno pari alle 241 vittime dei serbi menzionate nell'incriminazione di Milosevic, nessuna incriminazione parallela del leader croato Tudjman è stata mai emessa dal Tribunale. Ma non si è trattato di una mancata raccolta di elementi di accusa: il fatto è che gli Stati Uniti si sono opposti all'incriminazione dei loro alleati, per questo il Tribunale non li ha accusati.

I processi farsa del Tribunale

La Arbour ha dichiarato che il Tribunale è "soggetto a regole estremamente severe per le prove rispetto all'ammissibilità e alla credibilità del lavoro che presenteremo alla corte" per cui sarebbe stata cauta rispetto a "accuse non confermate, non verificabili, non provate" (20 aprile). Parole che non rendono affatto la realtà di quella che John Laughland su The Times (Londra) ha descritto come una "corte disonesta con regole truccate" (17 giugno 1999). Il Tribunale vìola virtualmente ogni standard di giusto processo: esso non mantiene separata l'accusa dal giudizio; non accorda il diritto alla libertà provvisoria o a un processo celere; non ha una definizione chiara dell'onere della prova richiesto per una condanna; non ha un organismo indipendente presso cui ricorrere in appello; vìola il principio secondo cui un imputato non può essere processato due volte per lo stesso reato (l'art. 25 dà diritto al procuratore di presentare appello contro l'assoluzione); le persone sospette possono essere trattenute 90 giorni senza processo; secondo la norma 92 le confessioni sono considerate libere e volontarie a meno che il prigioniero non dimostri il contrario; i testimoni possono testimoniare anonimamente e, come ha osservato John Laughland, "le norme contro il 'sentito dire', profondamente radicate nella giurisprudenza, non vengono osservate e l'ufficio del procuratore ha persino proposto di non chiamare i testimoni per produrre le prove, ma soltanto gli investigatori del Tribunale stesso".

Come abbiamo già osservato, la Arbour presuppone la colpevolezza prima del processo; il concetto di "innocenza fino alla condanna" viene respinto, e la Arbour può dichiarare che le persone collegate ad Arkan "saranno macchiate dalla loro associazione con un personaggio imputato di crimini di guerra" (31 marzo). Chiaramente la Arbour non crede nelle regole fondamentali della giurisprudenza occidentale, e Laughland cita le sue parole: "La legge, per me, dovrebbe essere creativa e usata per far funzionare le cose". E nel giro di un mese dalla sua elezione alla Suprema Corte canadese, la Arbour faceva parte della maggioranza di giudici che introduceva nella legge canadese la pratica iniqua e pericolosa di consentire nei processi un uso più liberale delle prove per sentito dire. La corruzione del sistema della giustizia canadese, sia per la sua nomina che per il suo operato, rispecchia quella del sistema politico, i cui rappresentanti hanno appoggiato senza problemi la guerra della Nato.

I crimini della NATO

Bombardando la Jugoslavia dal 24 marzo al giugno 1999, la Nato si è resa colpevole del grave crimine di violazione della disposizione della Carta delle Nazioni Unite che vieta l'uso della forza senza l'approvazione del Consiglio di Sicurezza. La Nato si è anche resa colpevole di un'aggressione criminale attaccando uno stato sovrano che non stava travalicando i propri confini. A propria difesa, la Nato ha sostenuto che preoccupazioni "umanitarie" richiedevano tali azioni e giustificavano violazioni così gravi del diritto. A prescindere dal fatto che questo argomento sancisce la possibilità di violare la legge sulla base di un proprio giudizio, contraddicendo la preminenza del diritto, essa è contraddetta anche dai fatti sul suo stesso terreno. In primo luogo, i bombardamenti Nato hanno "trasformato un problema umanitario interno in un disastro", secondo le parole del canadese Rollie Keith, di ritorno dalla missione Osce per la tutela dei diritti umani in Kosovo. In secondo luogo, è ormai provato, che la Nato si è rifiutata di negoziare un accordo sul Kosovo ed ha insistito per la soluzione violenta e che, per usare le parole di un funzionario del Dipartimento di Stato, la Nato ha deliberatamente "fatto muro" e impedito una soluzione di compromesso perché la Serbia "aveva bisogno di una buona dose di bombardamenti". Questi fatti suggeriscono che la supposta base umanitaria delle violazioni di legge ha fatto da copertura a obiettivi meramente politici e geopolitici.

La Nato si è anche resa colpevole di crimini di guerra più tradizionali, inclusi alcuni che il Tribunale aveva ritenuto tali quando commessi dai serbi. Così l'8 marzo 1996, il leader serbo Milan Martic è stato incriminato per aver lanciato nel maggio 1995 un razzo con bombe a grappolo su obiettivi militari a Zagabria, con la motivazione che il missile "non era finalizzato a colpire obiettivi militari ma a terrorizzare i civili di Zagabria". Il rapporto del Tribunale sulla "Operation Storm" croata in Krajina ha fornito anche prove concrete che nell'attacco croato di 48 ore contro la città di Knin "furono lanciate granate soprattutto contro obiettivi civili" (meno di 250 granate su 3.000 hanno colpito obiettivi militari), ma a questa risultanza - come del resto per tutti gli altri arttacchi - non ha fatto seguito nessuna incriminazione.

Lo stesso caso si è verificato in molti bombardamenti della Nato, in cui sono stati colpiti obiettivi civili, come nel bombardamento di Nis il 7 maggio 1999 in cui un mercato e un ospedale distanti da qualunque obiettivo militare sono stati colpiti separatamente - ma la Nato non ha subìto alcuna incriminazione.

Ma la Nato si è resa colpevole del bombardamento di obiettivi non militari anche come politica sistematica. Il 26 marzo 1999, il generale Wesley Clark dichiarava: "Lavoreremo con molta sistematicità e in modo progressivo sulle sue [di Milosevic] forze militari... [per vedere] quanti danni è disposto a subire". Ma questa focalizzazione sulle "forze militari" non ha avuto effetto e così la Nato si è rapidamente dedicata a "demolire... l'apparato economico che sostiene" le forze militari serbe (parole di Clinton), e gli obiettivi della Nato si sono gradualmente estesi a fabbriche di tutti i tipi, centrali elettriche, infrastrutture idriche e fognarie, tutti i trasporti, edifici pubblici, e molte scuole e ospedali. Di fatto, la strategia della Nato è stata di mettere in ginocchio la Serbia con una escalation graduale di attacchi contro la società civile.

Questa politica ha palesemente violato il diritto internazionale, di cui un elemento fondamentale è che gli obiettivi civili siano "off limits". Il diritto internazionale proibisce la "distruzione arbitraria di città o villaggi o la devastazione non giustificate da necessità militari" (Sesto principio di Norimberga, formulato nel 1950 da una commissione sul diritto internazionale sotto l'egida delle Nazioni Unite). La "necessità militare" non consente, evidentemente, la distruzione di una società civile al fine di rendere più difficile, per un paese, appoggiare le sue forze armate, non più di quanto non consenta l'uccisione diretta dei civili perché essi pagano le tasse con cui si sostiene la macchina bellica, o perché un giorno potrebbero diventare soldati. Tenere in ostaggio un'intera popolazione è una flagrante violazione del diritto internazionale, e le azioni che mirano a questo obiettivo sono crimini di guerra.

Il 29 settembre 1999, in risposta alla domanda se il Tribunale avrebbe investigato sui crimini commessi in Kosovo dopo il 10 giugno, o su quelli commessi dalla Nato in Jugoslavia, la procuratrice Carla Del Ponte dichiarava che "l'ufficio del procuratore deve dedicarsi prioritariamente a indagare e perseguire i cinque leader della Repubblica Federale di Jugoslavia e della Serbia che sono già stati incriminati". Per quale motivo questa "debba" essere la priorità, tanto più considerando la mole delle prove già raccolte nella fase di preparazione delle incriminazioni, non è stato spiegato. Alla fine di dicembre, è stato infine riferito che la Del Ponte, su pressione della Russia e di molte altre "parti interessate", stava prendendo in esame la condotta della Nato ("U.N. Court Examines Nato's Yugoslavia War", New York Times, 29 dicembre 1999). Ma l'articolo stesso indica che l'attenzione è concentrata sulla condotta dei piloti Nato e dei loro comandanti, non sui capi della Nato che hanno operato la scelta decisiva di colpire le infrastrutture civili. L'articolo lascia capire inoltre la natura pubblicitaria delle dichiarazioni destinate a "smentire la convinzione... che il tribunale sia uno strumento usato dai leader occidentali per sfuggire alle proprie responsabilità". L'articolo infine sottolinea la delicata questione che il tribunale "dipende dall'alleanza militare per arrestare e consegnare i sospetti". In esso si citano anche le seguenti parole della Del Ponte: "Non è la mia priorità, perché devo occuparmi di indagini riguardanti un genocidio, e corpi in fosse comuni". Possiamo essere sicuri che da questa indagine non scaturirà nessuna incriminazione.

Un tribunale imparziale si sarebbe sforzato di bilanciare la marea di documenti della Nato con ricerche sul posto e accogliendo la documentazione rivale. Ma pur avendo ricevuto denunce sui crimini della Nato, sia dalla Jugoslavia sia da una quantità di gruppi di giuristi occidentali, il Tribunale non se ne è mai occupato fino a questa presa in considerazione tardiva e sicuramente nominale che "non è la mia priorità", poiché il Tribunale "deve" perseguire i cattivi serbi, per ragioni che sono fin troppo chiare.

Al di là di Orwell

I leader della Nato, frustrati nell'attaccare la macchina militare serba, si sono applicati piuttosto scopertamente a distruggere la società civile della Serbia, un mezzo per ottenere la rapida vittoria auspicata prima dei festeggiamenti per il cinquantesimo anniversario della Nato. Sebbene questo abbia comportato che gli abitanti della Serbia fossero trasformati in ostaggi e attaccati insieme ai loro mezzi di sussistenza - in palese violazione del diritto di guerra - la Arbour e il suo Tribunale non solo non hanno protestato con i leader della Nato e non li hanno perseguiti per crimini di guerra ma, incriminando Milosevic il 27 maggio, hanno fornito alla Nato una copertura morale permettendo crescenti attacchi alla popolazione ostaggio.

La Arbour e il Tribunale ci presentano così lo sbalorditivo spettacolo di una istituzione presumibilmente organizzata per limitare, prevenire e perseguire i crimini di guerra, che di fatto li facilita consapevolmente. Come se non bastasse, precise denunce sottoposte al Tribunale durante la permanenza della Arbour avevano chiesto che il Tribunale perseguisse i leader della Nato, compreso il primo ministro canadese Jean Chretien, per crimini di guerra. Se fosse stata procuratrice in Canada, Gran Bretagna o Stati Uniti, la Arbour sarebbe stata soggetta alla radiazione dall'albo professionale per aver preso in considerazione e poi accettato un lavoro da una persona che le era stato chiesto di perseguire. Ma la Arbour è stata eletta alla Suprema Corte del Canada da Chretien senza che questo conflitto di interessi e questa immoralità venissero neanche menzionati. In questo Nuovo Ordine Mondiale post-orwelliano ci viene detto che viviamo in un contesto di diritto ma, come ebbemodo di dire Sant'Agostino, "ci sono leggi giuste e leggi ingiuste, e una legge ingiusta non è affatto una legge".

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