I misteriosi sosia dell'11 settembre

Nel documentato saggio «La fabbrica del terrore», uscito per Arianna,
Webster Tarpley evidenzia lo strano comportamento di alcuni attentatori delle Torri gemelle

Marina Montesano

Il Manifesto, 4 settembre 2007


Siamo ormai giunti al sesto anniversario dagli attacchi dell'11 settembre 2001. In questi anni quasi tutti abbiamo maturato l'impressione che la storia sia giunta a una repentina svolta o, come si sente spesso ripetere, che da allora il mondo non sia stato più lo stesso. Un'analisi accurata potrebbe certamente dimostrare come questo sia solo in parte vero, e molte delle situazioni attuali trovino invece ragioni e radici nel ventennio precedente. Tuttavia, comunque la si pensi al proposito, è indubbio che a partire dall'11 settembre 2001 i governi e larga parte dei media occidentali hanno concorso a comunicare all'opinione pubblica l'idea che il mondo occidentale sia ormai sottoposto a una minaccia costante: quella del terrorismo internazionale e degli «stati canaglia» che lo sosterrebbero.

Eppure, al di là dei proclami sull'onnipresenza di Al-Qaeda e dei suoi affiliati, la stessa dinamica e i retroscena dell'11 settembre appaiono oggi tutt'altro che chiariti. In Europa e negli Stati Uniti numerosi saggi (per non parlare dei siti internet) hanno messo in dubbio la versione ufficiale dei fatti. La fabbrica del terrore. 9/11 made in Usa (Arianna editrice 2007, pp. 858), poderosa opera di Webster Griffin Tarpley, non è l'ultimo della serie, in quanto era stato pubblicato già da tempo negli Usa, dove è arrivato alla quarta edizione. Viene ora tradotto in italiano con alcuni adattamenti, dovuti alla necessità di aggiornare costantemente una vicenda che si arricchisce ogni giorno di nuovi particolari.

Tarpley è un esperto del ruolo dei servizi segreti nelle trame politiche; in questa chiave si è occupato in passato anche del terrorismo italiano e in particolare della vicenda Moro. Per quanto riguarda gli States, si ricorda invece una sua monografia sulla famiglia Bush. Come è noto, le pubblicazioni che hanno proposto scenari alternativi a quelli ufficiali sull'11 settembre si sono soffermate sui numerosi aspetti della vicenda che non tornano: l'aereo «invisibile» che avrebbe colpito il Pentagono; la mancata intercettazione degli aerei dirottati; il crollo repentino delle Torri gemelle e dell'edificio 7 del World Trade Center; le personalità e le azioni dei presunti dirottatori nei mesi (se non negli anni) precedenti gli attentati, e così via. Griffin Tarpley prende in considerazione con accuratezza l'insieme del dibattito, affrontando tutti i capitoli oscuri.

La parte più interessante è quella che riguarda i terroristi: alcuni fra loro (in particolare l'egiziano Mohammed Atta e il libanese Ziad Jarrah) sembrano aver avuto dei «doppi», ossia figure che con la medesima identità e aspetto simile vengono segnalati insistentemente in località diverse; per esempio sono negli Stati Uniti mentre i servizi segreti tedeschi li segnalano ad Amburgo. Le loro capacità di piloti sono scarse, a detta di tutti gli istruttori. Numerosi attentatori, invece di comportarsi come membri di una cellula dormiente, si mettono in evidenza in molti modi: litigi pubblici, ubriachezza molesta, minacce; al punto che, a volte, ci si chiede se stiano davvero preparando un attentato oppure facciano in modo che, dopo, ci si ricordi di loro. Alcuni si segnalano anche per le frequentazioni di prostitute, locali equivoci, sale da gioco di Las Vegas: comportamenti a dir poco insoliti per fanatici islamisti pronti al suicidio. Il lettore non esperto della questione scoprirà in queste pagine ragioni per sorprendersi; e quello già avvertito del dibattito vi troverà una rassegna puntuale di tutti gli elementi (e sono tanti) che non tornano e non sono stati spiegati.

L'autore non propone soltanto fatti, ma tende a mostrare quali potrebbero essere modalità e ragioni di un attentato che egli dichiara esplicitamente essere made in Usa. Da esperto delle trame imbastite dai servizi, cerca di rintracciarne il possibile ruolo nella vicenda: e non si ferma solo all'11 settembre, ma estende la sua analisi agli atti di terrorismo che hanno colpito fra 2004 e 2005 anche Madrid e Londra. In entrambi gli episodi ci sono elementi che meriterebbero un chiarimento: per esempio, risulta da un'indagine del quotidiano spagnolo «El Mundo» che alcuni degli attentatori madrileni (molti fra i quali si suicidarono nei giorni successivi) non erano musulmani fondamentalisti e tanto meno una cellula dormiente affiliata ad Al-Qaeda, bensì noti pregiudicati, alcuni per reati di spaccio, almeno un paio dei quali informatori della polizia.

In sintesi Tarpley afferma che l'11 settembre ha rappresentato la presa di potere del gruppo neoconservatore, latore di interessi economici e strategici ben precisi (evidentemente quelli che hanno condotto alle guerre successive), che si configura come una sorta di golpe ai danni dello stesso governo americano. Non è detto che, alla fine della lettura, ci si trovi d'accordo con ogni sua ipotesi: ma le sue affermazioni e, soprattutto, la mole di dati raccolti meritano la massima attenzione; a maggior ragione perché non si tratta della ricostruzione di vicende che si sono esaurite nella tragedia di sei anni or sono, ma di scenari che continuano ad avere un impatto devastante sul nostro presente e - ci sono fondate ragioni per temerlo - sul nostro futuro.

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