Dal Governo Karzai calunnie e minacce a Emergency

Comunicato di Emergency
10 aprile 2007

«Emergency non è in realtà una vera organizzazione umanitaria, bensì un fiancheggiatore dei terroristi e persino degli uomini di Al Qaeda in Afghanistan.. Un talebano si denuncia alla polizia, non si cura per permettergli poi di riprendere le armi contro di noi, contro i nostri alleati, contro la Nato, contro gli italiani».

Sono parole di Amrullah Saleh, capo dei servizi di sicurezza afgani. Costituiscono una conferma inquietante della nostra preoccupazione che fosse in atto, attraverso l'illegale sequestro di Rahmatullah Hanefi ad opera dei "servizi" afgani, una operazione contro Emergency. Una ritorsione su destinatari impropri per l'esito del sequestro Mastrogiacomo, che ha comportato la liberazione di cinque detenuti, concordata tra Hamid Karzai e Romano Prodi.

Saleh, nel decidere che cosa sia o no un'organizzazione umanitaria, stabilisce che i suoi nemici non si debbano curare, che si debbano lasciar morire. È questa la cultura di un uomo influente e potente del «governo democratico» di Karzai che l'Italia è impegnata a sostenere. È questa l'idea di legalità di un sistema giudiziario che l'Italia è onerosamente impegnata a costruire in Afganistan.

Per parte nostra, ribadiamo che non sarebbe pensabile un impegno di Emergency che non sia, come è stato dal 1999 a oggi, rivolto a offrire assistenza sanitaria a tutti coloro che ne hanno bisogno, solo in nome di questo bisogno, civili o combattenti, in totale indifferenza verso appartenenze o divise.

Per Emergency - per chiunque, pensiamo, umanitario o no, ad eccezione di Amrullah Saleh; un'assistenza sanitaria discriminata è semplicemente assurda.

Questa sortita di un uomo importante del governo Karzai diventa un elemento di valutazione circa la presenza di Emergency in Afganistan e circa la sicurezza del nostro personale internazionale.

Il Governo italiano si sente estraneo a questo insieme di calunnie, minacce e accuse mosse dall'interno di un «governo amico» a una ONG italiana riconosciuta dal Ministero degli affari esteri?

Non ci sono proteste da muovere e chiarimenti da richiedere all'ambasciatore afgano in Italia?

Non si vede in questa aggressione la «verità disvelata» della detenzione in atto di un cittadino afgano, collaboratore di Emergency, responsabile solo di aver dato seguito a indicazioni ricevute dal governo italiano?

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Gino Strada: ''Basta con i Ponzio Pilato''

Intervista di Giulietto Chiesa a Gino Strada
La Stampa, 10 aprile 2007

"Ho appena sentito Prodi che dice che hanno fatto tutto il possibile. Chiedo: cos'è il possibile? Abbiamo richiamato l'ambasciatore italiano a Kabul? Abbiamo convocato l'ambasciatore afgano a Roma? Abbiamo fatto richiesta formale, scritta, per la immediata liberazione di Hanefi? A me pare di aver sentito Ponzio Pilato rivisitato» Gino Strada è furibondo.

«L'accordo formale per la liberazione di Mastrogiacomo era che lo scambio avvenisse attraverso Emergency». Perché Emergency?, interrompo. «Semplicemente perché noi abbiamo gli ospedali e di noi si fidano tutti, che altro? Ed è la prima volta che viene arrestato, da una delle parti, il mediatore che era stato concordato in anticipo. Capisci? Se in passato fosse stato così avremmo in galera tutta la Croce Rossa Internazionale e parecchie decine di funzionari di altre organizzazioni non governative. Qualcuno vuole raccontarci la storia che non ci si può fare niente?» E la preoccupazione cresce di ora in ora. Hanefi è in una prigione di sicurezza in cui Emergency ha una clinica interna. E, per regolamento ogni prigioniero deve essere visitato quando entra. «Ebbene, guarda il paradosso: Hanefi non abbiamo neanche potuto visitarlo». Una brutta storia, anche prima della morte di Adjmal. Ma può uscire qualcosa di bello da una matrioshka piena di fango com'è la guerra afgana? Perché l'Afghanistan, come l'Iraq, è ormai un immondezzaio d'intrighi, e perfino chi ci lavora da anni, contro la guerra, in tutti i sensi, rischia di essere inzaccherato dagli schizzi di una politica – quella italiana nel caso specifico – che vive d'intrallazzi anche quando è in gioco la vita di persone innocenti.

«Lasciali dire, quelli che attaccano Emergency e che gettano fango. Mi piacerebbe che, prima di sputare le loro immonde stupidaggini, rinunciassero pubblicamente alla loro immunità parlamentare. Invece parlano dietro quella protezione. A me, a noi di Emergency, interessa solo che si arrivi a una soluzione ragionevole. Non pretendiamo di essere ringraziati, ma che ci lascino fuori dai loro scontri politici. Io Prodi non l'ho nemmeno votato, figurati. Ho agito perché era giusto agire. E degli altri sciacalli non mi curo». E qual è la soluzione ragionevole? «La liberazione di Rahmatullah e che si possa continuare a lavorare con la necessaria sicurezza. Noi abbiamo attivato tutti i nostri contatti e ci muoviamo anche per altre vie, ma certo è che è difficile lavorare in un paese il cui governo ti è apertamente ostile». Questo è un momento molto delicato. Dopo l'arresto di Hanefi, 13 collaboratori afgani di Emergency si sono licenziati, di cui undici «perché hanno troppa paura». Strada ha convocato a Kabul l'intero staff di Lashkar Gah per discutere sulle prospettive della sicurezza. Si vedrà. Dunque l'ipotesi di abbandonare l'Afghanistan è aperta? Strada non la conferma ma nemmeno la smentisce. «Vedremo», dice dopo una lunga pausa. Ricorda l'episodio del 17 maggio 2001, quando i taliban invasero l'ospedale di Emergency a Kabul. «Noi chiudemmo perché per noi è fondamentale che i governi con cui lavoriamo rispettino i patti. E i talebani non li rispettarono. E ci vollero mesi di trattative – e tu eri con noi, e le hai seguite passo passo – e riaprimmo solo quando ci furono assicurate le condizioni».

Ma ora, con la polemica aperta contro Karzai i margini sono logorati oltre il limite. Difficile dare torto a Gino Strada quando protesta. E' almeno la seconda volta che un italiano rapito in Afghanistan si salva grazie all'intervento di Emergency. Torsello è vivo perché fu proprio Hanefi a portare i 2 milioni di euro allo scambio. E, come ringraziamento arrivano frecce avvelenate. Cossiga dice che Strada è amico dei taliban e di Al Qaeda. Io, che nel 2000 attraversai con Strada le linee dei taliban, da Kabul alla valle del Panshir , so con quale difficoltà e rischio Gino Strada ha saputo tenere dritta la barra del timone: per poter continuare a salvare esseri umani, da una parte e dall'altra. Perché per questo chirurgo italiano la linea del fuoco è tra la vita e la morte, non stare da una delle parti che infligge la morte all'altra. Il fatto è che non si sa chi guida la danza di morte. Hanefi è formalmente prigioniero di Karzai, ma la questione è quali sono i gradi di libertà di Karzai. Esterni e interni. Di quelli esterni, a stelle e strisce, c'è poco da aggiungere perché basta guardare la sua scorta. E di quelli interni dice qualcosa il nuovo partito di Rabbani, il vecchio capo mujahed, il Fronte Unito nazionale, che sta raccogliendo tutte le opposizioni: tagiche (Qanuni), uzbeke (Dostum), hazarà (Ismail Khan), perfino pashtun (l'ex governatore di Kandahar ed ex comunista, Noor-ul-Haq Ulumi. E, siccome questi non agiscono nel vuoto, si deve immaginare che Ahmid Karzai potrebbe avere qualche problema a restare al potere. C'è chi dice, con sarcasmo, che è sindaco di Kabul, e neanche di tutta. Per cui chi vivrà vedrà. Purtroppo la vita di Rahmatullah è appesa a fili sottili. A meno che, davvero, l'Italia decida di far sentire il suo peso. «Non c'è solo la diplomazia con le sue cortesie formali – aggiunge secco Gino Strada – spendiamo 50 milioni di euro per cambiare la fisionomia del sistema giuridico afghano. E permettiamo che ci straccino sul naso gli accordi stipulati?» Ma, come è difficile capire perché si sta facendo questa guerra, altrettanto lo è sapere da chi dipendono i servizi afghani: «Io non avrei molti dubbi – replica Strada - . Il ministro della sanità di Karzai, Fatimie, ci ha detto, senza troppi giri di parole, che dietro questa vicenda ci sono mani invisibili. Vediamo un po'. Forse c'è la mano del Principato di Monaco o del Liechtestein? Vogliamo dare un'occhiata alle parti interessate? C'è Roma e Kabul, ma ci sono anche inglesi e americani. E quanti di questi sono stati contenti di come erano andate le cose?» Ugo Intini ha detto che «Gino Strada è un uomo esasperato», un po' meno volgare di Berlusconi che parlò di un «chirurgo confuso».

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Il potere intollerabile del pacifista Gino Strada

di Gennaro Carotenuto
Fonte: www.gennarocarotenuto.it

"Lo abbiamo scritto a più riprese: è Gino Strada il grumo torbido che fa bassa demagogia, inquina la lotta al terrorismo e degrada l'immagine italiana nel mondo. Ma ora c'è qualcosa di ben più grave: è l'evidente legame intessuto di connivenze e ricatti sotterranei tra il sedicente operatore umanitario e il governo della Repubblica".

Così apre il quotidiano Il Giornale, nell'editoriale firmato dal fondamentalista neoconservatore Massimo Teodori. E' furioso Teodori, non si controlla e scaglia parole come pietre: "Gino Strada il grumo torbido...", "le connivenze e ricatti sotterranei tra il sedicente...". Il governo della Repubblica connivente con un pacifista... Qualunque cosa significhi sarebbe una notizia. E bella.

Avevamo previsto ieri che le parole - indubbiamente gravi - di Gino Strada, avrebbero creato uno show mediatico anti-Emergency e soprattutto anti-pacifista. Soprattutto anti-pacifista perché nessun merito, nessuno spazio, deve essere concesso alla cultura antimilitarista, soprattutto quando questa diventa parte attiva della soluzione delle catastrofi create dalla guerra. Nessun merito, nessuno spazio va riconosciuto a chi tesse reti, a chi dialoga e mostra che il re del militarismo, quello che finora "infiniti lutti addusse" in quell'enorme Vietnam nel quale è stato trasformato il Medio Oriente fin quasi all'India, è nudo ed ha infilato la coalizione occidentale e il mondo in un vicolo cieco.

Ma nelle parole di Teodori c'è di più. C'è l'odio quasi irrazionale per chiunque si metta tra i piedi degli interessi statunitensi, alla difesa dei quali ha dedicato la vita e la sua carriera di parlamentare della Repubblica (italiana), ma c'è perfino un evidente messaggio trasversale, apertamente mafioso. L'editoriale sul Giornale è anche un pizzino recapitato dal "partito americano" a Silvio Berlusconi, reo di aver abbassato i toni. L'immagine italiana, ribatte Teodori a quello che (formalmente) è il suo capo partito, si salva alzando e non abbassando il livello dello scontro, non legittimando mai il "nemico", un nemico indifferenziato, Prodi, Strada, Bin Laden sono la stessa cosa. Ma se Teodori può farlo, Berlusconi, che da capo del governo trattò come e meglio di Prodi, non può farlo.

Ed ecco la furia di Teodori. Di fronte ai prioritari interessi atlantisti, messi a rischio non dai rovesci bellici, riconosciuti da tutti gli stati maggiori, ma dai "ricatti del sedicente operatore umanitario" come si permette un Berlusconi qualsiasi di non attaccare a testa bassa?

Era già successo la notte dell'omicidio di stato di Nicola Calipari. Silvio Berlusconi, allora capo del governo, si era sentito tradito dall'Alleato che gli rimandava cadavere il più alto in grado dei suoi uomini a Bagdad. In quella notte tumultuosa Berlusconi arrivò a chiedere spiegazioni all'Alleato, prima di essere zittito, scavalcato e riportato alla "ragion atlantica" - così diversa dall'interesse nazionale italiano - innanzitutto dal suo ministro degli esteri, Gianfranco Fini.

"Gino Strada il grumo torbido", scrive Teodori. Potrebbe attaccarlo in quel pacifismo integrale che si fa ideologico, quando Strada stesso sceglie in maniera stridente di non condannare i talebani che hanno sgozzato l'agnello Adjmal Naqshbandi, servito nel giorno di Pasqua al nemico crociato in un barbaro rituale indiscutibilmente, oggettivamente "terrorista". Verso il coltello che taglia a sangue freddo la gola di un ragazzo inerme, è fragile, insufficiente, inaccettabile la risposta di Strada: "e' colpa della guerra". E' colpa, criminale, del talebano Dadullah. Anche la penna di Igor Man, sulla Stampa di Torino di oggi, addita le preponderanti responsabilità del greve Quisling di Kabul, Hamid Karzai. Ma non possiamo accusare Karzai e glissare sul tagliagole Dadullah. E' un fianco scoperto che Strada presta ai suoi detrattori quando il pacifismo integrale si fa ideologico.

Ma, paradossalmente, non è lì che attacca Teodori. Non gli interessa cosa pensa Strada, neanche quando sarebbe facile colpirlo. Gli interessa di più quello che fa Strada, quello che può fare Strada. Quello che teme, e Teodori vuole colpire, è il potere di Gino Strada. Un potere che anche con la tragica conclusione del caso Mastrogiacomo, si è palesato come enorme.

Solo Strada ha il potere di trattare, solo Strada beneficia della rendita di posizione della neutralità. Mentre le truppe anglosassoni lanciano l'ennesima scellerata e infruttuosa offensiva e francesi e italiani continuano riottosi a prendersi la libertà di negarsi all'escalation vietnamita, Teodori percepisce quel potere di trattare come inarrivabile e preziosissimo. E perciò da demonizzare.

E' il potere della trattativa e della pace che ha Strada, tanto più rilevante di fronte all'impotenza sempre più manifesta delle cannoniere. Gli stessi generali del Pentagono affermano di aver perso e solo Teodori, Bush e il suo cane Barney, rifiutano di guardare in faccia alla realtà e alle loro responsabilità.

Il potere della pace è intollerabile per Teodori. Il pacifismo imbelle degli striscioni e delle bandierine, che manifesta ma non ferma la guerra, è innocuo. Al contrario il pacifismo che si fa attore, si fa parte in causa e magari si sporca le mani, il pacifismo dei Gino Strada, o delle due Simone, lapidate come i talebani lapidano le adultere, il pacifismo dei giornalisti non embedded, Torsello, Sgrena o il povero Baldoni, è un'arma potentissima. E' quel pacifismo che per i Teodori è il vero nemico.

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