Stalin e la non violenza

Sarebbe da proporsi a Rifondazione Comunista che si serva, come introduzione al libro sulla "non violenza", dei passi pertinenti dell’intervista del 27 ottobre 1934 di H. G. Wells a Giuseppe Stalin per The New Stateman and Nation britannico. Come è oggi naturale, questo testo è stato del tutto ignorato, ma esso colloca la questione in tutti i suoi aspetti "con i piedi per terra", evitando funambolismi e fumisterie, astrattezze e moralismi di un dibattito che già solo per il fatto di aver ignorato il pensiero dei grandi protagonisti sul tema si presenta piuttosto sterile, fondato com’è su presupposti non corretti. Perché il problema dei violenza non è stato mai posto da parte dei comunisti come ci si vuol far ritenere nei dibattiti odierni.

A leggere bene Stalin, si vede che l’ipotesi della "non violenza" è ricompresa anche nel suo pensiero, ma la sua concreta attuabilità viene posta in rapporto con i contesti reali, con le necessità e il punto di vista del proletariato e di una effettiva trasformazione del mondo a partire dagli interessi proletari, nella loro urgenza di risultati e ove non possibile di lotte reali (quindi non nella speranza messianica di trasformazioni lentissime per mutamenti di coscienza generale): quindi, in rapporto con le azioni e reazioni concrete delle altre classi e del sistema di potere. Non viene fatta dipendere da belle idee, pii desideri, buonismi che, sempre a legger bene, finiscono per fare apparire irresponsabili i dirigenti che, a fronte della violenza del sistema dominante, disarmano anche solo ideologicamente il proletariato. Ecco qualche passo dell’intervista.

A. B.

Wells osserva che negli Stati Uniti si sta cercando all’epoca di limitare i danni del capitalismo senza cambiare la struttura economica.

Stalin: "… L’economia pianificata cerca di abolire la disoccupazione… ma sicuramente nessun capitalista accetterebbe mai la completa scomparsa della disoccupazione, la scomparsa dell’esercito di riserva dei disoccupati… L’economia pianificata presuppone un incremento della produzione nei settori industriali che fabbricano beni di cui le masse popolari hanno particolarmente bisogno… Il capitale si indirizza verso settori economici che assicurano profitti maggiori. Non potrà mai costringere un capitalista a rischiare una perdita o ad accettare un più basso tasso di profitto per soddisfare i bisogni del popolo; senza liberarsi dei capitalisti, senza abolire il principio della proprietà privata dei mezzi di produzione è impossibile creare un’economia pianificata".

Wells ritiene che il sistema basato sul profitto privato si stia sgretolando e che quindi appare superfluo sottolineare l’antagonismo fra capitalismo e socialismo, meglio unificare invece tutte le forze costruttive.

Stalin: "… Possiamo perdere di vista il fatto che per trasformare il mondo è necessario avere il potere politico? Mi sembra, Mr. Wells, che lei sottovaluti notevolmente la questione del potere politico… Cosa possono fare (intellettuali e tecnici) anche con le migliori intenzioni del mondo se sono incapaci di porre la questione della conquista del potere e non hanno potere? Al massimo possono aiutare la classe che conquista il potere, ma non possono cambiare il mondo da soli… La trasformazione del mondo è un processo enorme, complesso, doloroso…"

Wells afferma che le rivoluzioni sono fatte da minoranze.

Stalin: "Per fare una rivoluzione occorre una minoranza rivoluzionaria che faccia da guida; ma la minoranza più abile, energica e appassionata sarebbe impotente se non potesse contare sull’appoggio almeno passivo di milioni di persone".

Wells pensa non dovrebbe più parlarsi di rovesciamento violento del capitalismo, dato che trattandosi di un sistema che sta comunque crollando sarebbe necessario porre l’accento su efficienza, competenza, produttività.

Stalin: "… Lei sbaglia a credere che (il capitalismo) stia crollando da solo. No, la sostituzione di un sistema sociale con un altro è un processo rivoluzionario lungo e complesso. Non è soltanto un processo spontaneo, ma una lotta; è un processo collegato allo scontro di classe. … La rivoluzione, la sostituzione di un sistema sociale con un altro è sempre stato una lotta, una lotta dolorosa e crudele, una lotta per la vita e per la morte. E ogni volta che la gente del nuovo mondo è giunta al potere ha dovuto difendersi dai tentativi del vecchio mondo di restaurare il vecchio ordine con la forza; questa gente del nuovo mondo doveva essere sempre in allerta, … sempre pronta a respingere gli attacchi del vecchio mondo contro il nuovo sistema… I comunisti non idealizzano affatto il metodo della violenza. Ma non vogliono essere presi di sorpresa, non possono sperare che il vecchio mondo esca volontariamente di scena, vedono che il vecchio sistema si sta difendendo con la violenza ed è per questo che dicono alla classe operaia: rispondete alla violenza con la violenza, fate tutto il possibile per impedire che il vecchio ordine morente vi schiacci, non consentite che vi incateni le mani, quelle mani con cui rovescerete il vecchio sistema… I comunisti non possono ignorare i fatti".

Wells osserva che nel mondo capitalista vi è uno scoppio di violenza reazionaria per cui occorrerebbe anche da parte dei socialisti appellarsi alla legge e sostenere la polizia nella lotta contro la reazione.

Stalin: "L’esperienza storica… insegna che le classi obsolete non abbandonano volontariamente il palcoscenico della storia". Fa gli esempi storici delle rivoluzioni di Cromwell e francese, e poi della Rivoluzione d’Ottobre: "Non era evidente che il capitalismo russo era in rovina? Ma lei sa bene come è stata forte la resistenza, quanto sangue si è dovuto versare per difendere la Rivoluzione d’Ottobre da tutti i suoi nemici, interni ed esterni… Perché le classi che debbono abbandonare il palcoscenico della storia sono le ultime a convincersi che il loro ruolo è finito… pensano che le crepe dell’edificio in rovina possano essere stuccate, che il traballante edificio del vecchio ordine possa essere riparato e salvato. Ecco perché le classi morenti prendono le armi e ricorrono ad ogni mezzo per salvare la loro esistenza come classe dominante. … La ricca esperienza della storia ci insegna che fino ad oggi una classe non ha mai lasciato volontariamente il posto ad un’altra classe… I comunisti sarebbero ben lieti di assistere ad una volontaria uscita di scena della borghesia. Ma è un’ipotesi improbabile… ecco perché i comunisti vogliono essere preparati al peggio ed invitano la classe operaia ad essere vigile, ad essere pronta alla lotta. Chi vuole un capitano che allenta la vigilanza del suo esercito, un capitano incapace di rendersi conto che il nemico non si arrende, che dev’essere sconfitto? Essere un tale capitano significa ingannare, tradire la classe operaia".

Wells insiste che va salvato l’ordine esistente contro i reazionari, mentre il sistema si dissolve da solo.

Stalin ribadisce che bastione della rivoluzione è la classe operaia, che l’intellighenzia può essere forte solo unendosi alla classe operaia e quindi che "occorre il potere politico come strumento di cambiamento. Il nuovo potere politico crea le nuove leggi, il nuovo ordine che è un ordine rivoluzionario. Io non mi schiero a favore di un ordine qualsiasi. Io mi schiero a favore dell’ordine che risponda agli interessi della classe operaia… Se alcune leggi del vecchio ordine possono essere utilizzate nella lotta per il nuovo ordine, allora le vecchie leggi dovrebbero essere utilizzate. Io non mi oppongo al suo postulato secondo cui il sistema attuale dovrebbe essere attaccato nella misura in cui non assicura l’ordine necessario per il popolo… Sbaglia se crede che i comunisti siano innamorati della violenza. Sarebbero molto lieti di rinunciare ai metodi violenti se la classe dirigente accettasse di lasciare il posto alla classe operaia, ma l’esperienza della storia smentisce questa possibilità".

A.B.


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