Le ragioni dell’Iran

Israel Shamir

Titolo originale: Un'aragosta per l'Iran. Tradotto dall'inglese in italiano da Mauro Manno.


Israel Shamir, scrittore israeliano di origine russa, denuncia da anni l’orrore del regime di apartheid instaurato dallo stato coloniale di Israele su tutta la Palestina e la impraticabilità della soluzione dei “due stati per due popoli”. Molti dei suoi scritti sono reperibili anche in italiano dal sito www.israelshamir.com/Italian/index.htm. Una raccolta di saggi sulla seconda Intifada è stata pubblicata in Italia nel 2002 col titolo “Carri armati e ulivi nella Palestina: il fragore del silenzio”, Editrice CRT.

“L’Iran è la più grande minaccia dal tempo dei nazisti,” ha dichiarato il Ministro della Difesa israeliano Shaul Mofaz, secondo il Guardian; “il mondo non deve aspettare! Dai tempi di Hitler noi ebrei non abbiamo mai subito una simile minaccia” come quella rappresentata da Mahamoud Ahmadinejad, il quale “ha ulteriormente scatenato lo sdegno internazionale chiedendo che gli ebrei di Israele fossero riportati in Europa” (...così il  Guardian).

Questa gente è difficile da accontentare! Negli anni ’30 Hitler chiese che gli ebrei fossero costretti a stabilirsi fuori dall’Europa, ed essi gli dichiararono guerra. Ora Ahmadinejad chiede che gli ebrei siano riportati in Europa, e gli ebrei ancora una volta levano gridi di guerra. Così stanno le cose, a meno che il Guardian non abbia preso fischi per fiaschi, col suo articolo, e lo sdegno provenga dagli europei i quali hanno preferito che i palestinesi fossero costretti con riluttanza ad accogliere questi ospiti difficili.   

Tuttavia mi permetto di non essere d’accordo: il presidente Ahmadinejad è la più grande minaccia da quando Gerard de Nerval, uno sgargiante poeta francese, portò a passeggio un’aragosta con un guinzaglio costituito da un nastrino blu, proprio come uno addestra un cane, per i giardini del Palais Royal al fine di épater le bourgeois. Un’anima veramente poetica, un enfant terrible semmai c’è ne stato uno, Ahmadinejad parla al fine di risvegliarci dal nostro troppo lungo pisolino pomeridiano. Che ci può fare l’iraniano se «ebreo» è l’unica parola magica che ci sveglia da questo torpore? Allusioni sessuali non scuoterebbero nemmeno un ragazzino che ha appena seguito la sua brava lezione di consapevolezza dei rischi dell’AIDS. Un attacco alla cristianità muoverebbe i calorosi applausi degli innegabili maestri delle menti europee, i Signori Sauer Kraut e Finkelrot. In questa epoca post-moderna, quando i Monologhi della Vagina sono entrati nel nostro repertorio del Matinée, non è più tanto facile épater una borghesia sempre più blasé. Se Ahmadinejad avesse chiesto che siano portati fuori dall’Europa i sei milioni di musulmani europei, nessuno avrebbe sollevato un sopracciglio , con l’eccezione forse di Oriana Fallaci e del signor Le Pen, i quali potrebbero accusarlo di plagio. Se egli avesse chiesto la cancellazione della Francia dalla mappa geografica, i francesi non si sarebbero levati sulle loro sedie e non avrebbero mostrato attenzione: pensano che c’è già una direttiva di Bruxelles che ha questo effetto!

Io ammiro Ahmadinejad. Non come politico: lasciamo che gli iraniani lo giudichino da questo punto di vista. Non come teologo: lascio questo compito ai musulmani. Ma come vero poeta. che ha messo a nudo la nostra ipocrisia e ha macellato l’ultima vacca sacra. Questa è l’unica possibile spiegazione del suo agire e del suo parlare: gli iraniani non hanno assolutamente alcuna ragione di curarsi dell’Olocausto ebraico, in un modo o nell’altro. Nessuno li accusa, neppure il signor Yehuda Bauer dell’istituto per la commemorazione dell’Olocausto di Gerusalemme, il quale è incline ad accusare il mondo intero e anche la sua nipotina di non aver salvato gli ebrei. I persiani, da Ciro a Cosroe, a Mohammad Reza Shah, sono sempre stati buoni con gli ebrei, ed anche in questi giorni folli, c’è una numerosa e fiorente comunità ebraica in Iran. Ahmadinejad ha parlato dell’Olocausto come Hillary ha conquistato l’Everest – perché rappresentava una sfida! 

Gli innocenti storici revisionisti erano così emozionati quando egli giocava con un’idea, quella di “scoprire finalmente la verità”. Hanno preparato i loro sudici libri e i loro diagrammi sul consumo di gas e calore corporeo. Ma Ahmadinejad è interessato ai duri fatti della seconda guerra mondiale non più di quanto Nerval fosse interessato ad addestrare la sua aragosta. L’accettazione del dogma dell’Olocausto è un segno di sottomissione all’Asse Tel Aviv-New York, un segno del nuovo colonialismo. Ahmadinejad lo ha rifiutato proprio come San Paolo si rifiutò di accettare le leggi dei tempi di Noé: certo non perché desiderava prendere parte ai sacrifici pagani, ma perché non voleva prendere i suoi ordini dagli ebrei.

I dirigenti europei, docili sostenitori di criminali di guerra manifesti, come George W. Bush, l’assassino di tanti iracheni, di tanti afgani e di vari altri arabi, come Shaul Mofaz, l’assassino di una ragazzina di otto anni (tra centinaia di altri) che egli ha ucciso la settimana scorsa in Gaza assediata, si sono seduti intorno ad un tavolo ed hanno espresso il loro sdegno. Non hanno fatto obiezioni quando i politici israeliani hanno mitragliato a bassa quota e hanno bombardato i cittadini indifesi di Gaza. Quando i politici israeliani hanno minacciato di trasformare l’Iran in un “deserto radioattivo”, non hanno descritto queste parole come “una invocazione al genocidio”. Con la sua sfida, il presidente Ahmadinejad ha salvato l’onore della razza umana, come soltanto un poeta sa fare.

Ammiro l’Iran, per il rosso intenso dei suoi giardini di rose e per l’azzurro delle sue antiche moschee, per l’incantevole bellezza delle sue donne, le cui nere ciglia mettono ancora più in rilievo il biancore della loro pelle che brilla attraverso i loro chador neri. Ammiro l’Iran per la sua meravigliosa pittura che riuscì a vincere le devastazioni iconoclastiche. Ammiro l’Iran per la raffinatezza spirituale dei suoi poeti, che fusero il loro amore per le donne con l’adorazione di Dio in un canto indiviso proprio come aveva fatto il Cantico dei Cantici. I suoi Rumi e Jami, Sa’adi e Ferdusi, Hafiz e Kayyam sono stati tra i poeti più coraggiosi e sinceri tra quanti hanno portato grazia al nostro pianeta. Ahmadinejad è l’erede della loro tradizione, un coraggioso sbeffeggiatore della nostra ipocrisia, un ragazzo che ebbe il coraggio di denunciare la nudità dell’imperatore. Anche se il maldestro yankee dovesse schiacciare questo temerario, e bruciare i giardini di rose di Shiraz, proprio come un tempo ha ridotto in cenere i boccioli di Nagasaki, noi possiamo essere fieri di Ahmadinejad, il nostro contemporaneo che ha osato calpestare la coda della tigre.

 

II

 

La reazione degli europei e degli americani al programma nucleare dell’Iran è stata la stessa del proprietario di schiavi di Zio Tom, Simon Legree, quando apprese della fuga di uno schiavo. Ma come si permette questo nero di toccare i giocattoli del suo padrone bianco? Il loro parlare a vanvera della “minaccia iraniana” è fatto per gli ignoranti: l’Iran non ha mai, proprio mai, attaccato una nazione europea dal 5° secolo avanti Cristo quando ci furono le guerre per conquistare l’Anatolia; sono stati invece gli imperialisti europei che hanno ripetutamente occupato e controllato l’Iran, e ancora non molto tempo fa nel 1942, o per interposta persona nel 1953, quando fecero deporre il governo democraticamente eletto di Mosaddeq e tornarono a dominare questa antica nazione.

Si, certo, il vecchio colonialismo è morto. L’Inghilterra non può più regnare sull’Iraq, né i francesi sull’Algeria, ma il nuovo imperialismo collettivo, quello del nocciolo imperialista delle nazioni occidentali altamente industrializzate, sul resto del mondo non è certo meglio. I vecchi padroni hanno deciso di unire insieme le loro risorse e il loro potere per regnare insieme sui loro antichi schiavi. Sono passati dal modello ateniese, in cui un cittadino aveva il suo schiavo, al modello spartano, in cui gli schiavi appartenevano a tutti gli spartani. In questo nuovo universo imperialistico collettivo, gli Stati Uniti sono il braccio, coloro che applicano questo nuovo imperialismo, mentre la mente, l’ideologia è fornita da una vasta catena di mezzi di comunicazione di massa che unisce e coordina la maggioranza dei giornali e reti televisive sia di destra che di sinistra, da Madrid a Mosca e dal Texas a Timbuctu, e ciò malgrado le loro pretese di competizione e rivalità.

Questo cartello dei media è la vera base del potere di quello che due professori universitari americani, John Mearsheimer di Chicago e Stephen Walt of Harvard (in breve M&W) hanno chiamato per educazione la ‘Lobby israeliana negli USA’, sebbene questo cartello abbia altri compiti da svolgere, anche più importanti di quelli riguardanti gli interessi dello stato di Israele. Noi approviamo totalmente l’impresa di M&W, ma ci sentiamo in dovere di aggiungere: essi hanno minimizzato e non esagerato il problema, perché si tratta di un fenomeno globale anziché locale (Stati Uniti). La spaventosa AIPAC è solo la punta visibile dell’iceberg sotto la quale vi sono chilometri e chilometri di solido ghiaccio: I signori dei media, i capi redazione, i loro sapientoni, in breve i Signori del Discorso. Come con una bacchetta magica, la crisi iraniana lo ha reso evidente all’occhio nudo: tutti si sono messi a gridare con una voce potente come la legione di demoni nella sinagoga di Cafarnao in risposta alle parole di Gesù.

Nel suo discorso che stimola il pensiero Ahmadinejad ha affermato: “La vasta rete sionista di comunicazione è stata al servizio degli imperialisti per decenni.” Questa affermazione può essere discussa; bisogna capire bene se la rete di comunicazione sionista è al servizio dell’imperialismo o gli imperialisti al servizio di questa rete. Si tratta di un esempio di rivoluzione manageriale: gli ebrei sono stati i managers degli imperialisti, finché non hanno preso in mano le briglie, direbbero alcuni. Oh no, sono rimasti i docili strumenti dei loro padroni imperialisti, sostengono altri. Qualsiasi sia la posizione che uno prende, è certo che i sionisti e gli imperialisti sono integrati e accoppiati, e se si accetta l’idea che c’è una minaccia iraniana ad Israele e non l’inverso, allora ci si affilia a questa rete demoniaca.

Le nazioni che rifiutano i Signori del Discorso vengono soggiogate con la forza. Un’arma nucleare funge da grande equilibratore, come avvenne con la pistola Colt nel selvaggio West, quando si usava dire che “La Dichiarazione di Indipendenza affermò che tutti gli uomini sono stati creati uguali, ma fu il Colonnello Colt che li rese veramente tali”. Per impedire che ci fosse troppo equilibrio, i pionieri americani stettero ben attenti a tenere le pistole lontano dalle mani dei nativi. La stessa politica ora spinge l’Occidente nei suoi tentativi di tenere le armi nucleari fuori dalla portata degli iraniani.

Alcuni giorni fa, sono stato invitato a un dibattito in diretta sul canale televisivo russo Channel One, nel corso della quale il capo redattore della BBC di Mosca chiese retoricamente perché mai un Iran pacifico avrebbe bisogno di missili balistici, e fece la lista dell’arsenale missilistico iraniano. Non fu però in grado di rispondere alla domanda perché una Gran Bretagna pacifica avrebbe bisogno di missili balistici e armi nucleari! In realtà, perché dovrebbe averne bisogno chicchessia? Ma se l'Inghilterra, con la sua lunga e sanguinosa storia nel corso della quale ha sottomesso il Terzo Mondo, dall’Irlanda al Giappone, può avere questi giocattoli, allora è ugualmente doveroso procurarsene per un paese importante il quale desideri proteggere la sua gente dai capricci dei padroni occidentali.

Si, l’Iran è ancora impegnato in un programma di utilizzazione pacifica dell’energia nucleare, ma se e quando quel paese deciderà di costruire la bomba, noi possiamo sostenere quella decisione, dal momento che essa sarà favorevole alla pace e non alla guerra. In realtà, poche persone hanno fatto di più per la causa della pace mondiale di quanto abbiano fatto Julius e Ethel Rosenberg e i loro compagni Harry Gold e Klaus Fuchs. Queste persone meravigliose passarono alla Russia i segreti delle armi nucleari costruite dagli americani e così salvarono Mosca e San Pietroburgo dal subire il fato di Hiroshima. Senza la loro eroica azione, i signori colonialisti avrebbero trasformato la Russia in un deserto radioattivo. Giuseppe Stalin passò le necessarie conoscenze all’emergente Cina, e questo fu un fatto molto positivo – altrimenti gli Americani non avrebbero esitato di colpire con l’atomica il Vietnam, come avevano fatto con il Giappone.

Lo scudo nucleare russo è l’unica cosa che Gorbaciov e Yeltsin non hanno smantellato nell’opera di distruzione dell’Unione Sovietica, probabilmente perché non si aspettavano che le forze patriottiche ritornassero al potere a Mosca. Questo scudo permette ai Russi di passare sopra alla petulanza di Frau Merkel, e dà loro la libertà di scelta: di vendere il loro petrolio e il loro gas all’Europa o di orientare il flusso verso la Cina. Permette al popolo di Bielorussia di tenersi il presidente che hanno eletto con ampia maggioranza: Senza ciò, Lukascenco seguirebbe il fato di Noriega e Milosevic per il suo deciso rifiuto di vendere le ricchezze del paese a George Soros. Che gli iraniani, anch’essi, conservino questa libertà di scelta, e riportino l’equilibrio nella regione.

La triste storia dell’Iraq è la prova migliore che il disarmo e l’acquiescenza non sono un’opzione. Saddam Hussein permise agli avvoltoi dell’AIEA di svuotargli le tasche, ed è finito in prigione, col suo paese distrutto per decenni. Ahmadinegiad se l’é cavata meglio: ha risposto all’ordine di disarmare rivoltogli da America e Israele proprio come fece il capitano della guardia francese sul campo di Waterloo. “Buttate le armi, coraggiosi soldati” disse il generale inglese. E Cambronne gli rispose. “Merda!”

A tutti coloro che desiderano il bene di noi israeliani, io voglio dire: l’Iran non è un pericolo. Nessuno ci vuole uccidere. La verità è un’altra, gli ebrei potrebbero vivere estremamente bene in Palestina. Facendo la pace con gli abitanti nativi nel 1948, avremmo fatto della nostra casa comune, la Palestina, il fulcro del Medio Oriente con il petrolio Iracheno che scorreva fino alle raffinerie di Haifa e i treni da Bagdad per il Cairo che passavano veloci da Lydda a Jaffa, con i pellegrini musulmani che giungevano ad al Quds (Gerusalemme, ndt)  sulla via della Mecca, con i cristiani che camminavano sulle orme di Cristo da Betlemme a Nazaret e gli ebrei che facevano la loro aliya (questa parola indicava il pellegrinaggio annuale a Gerusalemme come l’Haji dei musulmani alla Mecca, piuttosto che l’immigrazione permanente in Palestina secondo l’uso sionista). Tutti noi prospereremmo al di là dei nostri desideri più folli, proprio come ce lo promisero i profeti, se solo cacciassimo a pedate l’oscena vecchia abitudine di esclusivismo e dominio.

Ma non è troppo tardi nemmeno ora, sessant’anni dopo e molte morti. A questo scopo, dovremmo accettare il consiglio di Ahmadinejad: Che lo stato esclusivista di Israele sia cancellato dalla carta geografica e al suo posto sorga uno stato di tutti i cittadini di questa terra, ebrei o non ebrei. “Il diritto di governo appartiene a tutta la gente della Palestina, sia essa musulmana, cristiana o ebrea” ha affermato Ahmadinejad, e per Giove, solo un ebreo egemonista può contraddire le sue parole.

Quando dissi queste cose al dibattito televisivo di Mosca, fui attaccato dal Presidente del Congresso Ebraico Russo, nonché direttore di un istituto sionista per il Medio Oriente, un prepotente grasso e foruncoloso con una pancia trasbordante, un vero personaggio del cartone animato Der Sturmer, con il più il cognome azzeccato di Satanovsky. “Stai attento – mi disse Satanovsky dopo il dibattito – evidentemente tu non sei mai stato picchiato per bene. Qui a Mosca non abbiamo limitazioni della democrazia, i mie giovanotti ebrei ti staccheranno i coglioni come hanno già fatto a diversi tipi come te. Israele deve restare uno stato ebraico per sempre”. Simili mafiosi ebraici sono i veri dirigenti della lobby ebraica e i principali sostenitori dello stato ebraico all’estero. Questa sorta di gente guida le organizzazioni ebraiche in Russia, in America e ovunque. Hanno bisogno di uno stato ebraico per  fuggire dal loro paese nell’ora della collera, ma noi, cittadini comuni di Israele, non ne abbiamo bisogno.

Tuttavia, la mafia non può dominare per sempre. Trovo incoraggiamento nelle parole di Ahmadinejad: “l’alberello giovane della resistenza in Palestina sta fiorendo e boccioli di fede e desiderio di libertà stanno sbocciando. Il regime sionista è un albero vecchio e cadente, che crollerà al primo temporale. (Ricordate la parabola dell’albero spoglio? – ISH). La Palestina è il luogo dove giusto e sbagliato si incontrano. Il destino della regione sarà deciso nella terra di al Quds e sarà un grande onore prendere parte alla vittoria della Palestina”. La vittoria della Palestina sarà la nostra vittoria e noi saremo felici di partecipare ad essa.

“Ora, ci sarà una guerra?” uno si sente spesso chiedere. Io non ho molta fiducia in George Bush, e inoltre egli non mi rende partecipe dei suoi piani. Ma mentre i guardiani della sinistra dicono che il petrolio è la ragione della guerra, a mio modo di vedere, il petrolio può essere la ragione della pace. Mentre il prezzo del petrolio ha ormai superato i 70 dollari, il presidente Bush deve decidere se sopravviverà all’impennata del prezzo oltre i 120 dollari – deve decidere se i votanti degli stati rossi (repubblicani, ndr) accetteranno contenti il consiglio di un sapientone ebreo americano nonché direttore dell’Ufficio Israele/Medio Oriente, un tale Eran Lerman (che prima lavorava nei servizi segreti israeliani) di riporre in garage le automobili un giorno su due. Bush ha il potere di portare la politica americana lontano da questa direzione pericolosa, e di dire al Congresso ebraico di smetterla.

Ed ora ai miei compatrioti israeliani: a voi ricorderò della vostra lunghissima tradizione di amicizia con l’Iran. 2 000 anni fa, un’immagine della capitale iraniana, Susa, fu portata ed esposta alla porta orientale del tempio di Gerusalemme. Mishna (Berakot 9) chiese che si fosse particolarmente cauti nei confronti di essa: “non mostrate mai disprezzo verso la porta orientale!” Secondo Rambam, questo fu fatto perché avessero timore del re di Persia. Vale la pena di ricordare e conservare attentamente questa tradizione.

Ritorna alla prima pagina