Ma ora Gaza è una prigione

Ali Rashid

Un grande senso di liberazione e di preoccupazione ha attraversato il milione e 200.000 palestinesi che vivono a Gaza nel vedere la partenza dei coloni israeliani dal loro territorio.

Liberazione perché questa partenza avviene dopo 37 anni di presenza asfissiante ed aggressiva, che ha destabilizzato il territorio e la società. Una minoranza fanatica di 8.000 persone occupavano il 30% della piccola striscia di terra (di appena 360 Km) quadrati, mentre un altro 15% di quella terra veniva utilizzato per i loro spostamenti e la loro sicurezza, e in questo modo si paralizzava tutto il resto. Utilizzavano l'82% delle risorse di acuqa, causando enormi danni alla salute, all'ambiente, a tradizioni e costumi millenari: il tutto in nome di Dio e della volontà divina e con i finanziamenti dei governi israeliani di destra e di sinistra.

Con loro, la vita quotidiana dei palestinesi era una impresa impossibile, una sorta di zig zag permanente in attesa che calasse la sera: e la sera spesso non permetteva sonni tranquilli. Senza lasciare rimpianti, né voglia di vendetta, e senza lasciare un buon ricordo, se ne sono finalmente andati.

Però c'è preoccupazione. E non riguarda la sfera dei sentimenti e le sensazioni: riguarda le cose sostanziali che hanno a che vedere con la vita materiale e con i simboli.

Innanzitutto, il ritiro da Gaza è frutto di una iniziativa di Sharon, non concordata con l'Autorità nazionale palestinese, e non è collocabile, per metodo e per contenuto, dentro un piano di soluzione politica e di pace tra i due popoli. Lo sgombero dei coloni è terminato, ma il ritiro dei soldati è previsto per metà ottobre, e Israele ha già dichiarato la sua volontà di mantenere il controllo sulle coste, sul cielo e sui punti di passaggio dei confini con L'Egitto e con la stessa Israele. Impedisce la riparazione dell'aeroporto e del porto che aveva distrutto e non concede il passaggio sicuro tra la striscia di Gaza e la Cis-Giordania.

In questo modo Gaza si trasforma in una grande prigione ed Israele potrà dire che non ha nessuna responsabilità verso di essa visto che non l'occupa più, ma mantiene una specie di controllo esterno che rientra nelle operazioni ormai di rutine per combattere il terrorismo, e lascia al ANP la responsabilità di gestire l'inferno che essa ha creato.

Il disimpegno da Gaza è stato accompagnato da una serie di dichiarazioni di Sharon rispetto ad una accelerazione della colonizzazione della Cis-Giordania. Sono già in atto i primi atti concreti in tale senso: il ministero del bilancio ha stanziato 21 milioni di dollari per l'anno in corso e 23 milioni per l'anno prossimo come incentivi a favore di famiglie ebraiche per la colonizzazione dei territori palestinesi occupati nella valle del Giordano. Il piano prevede la colonizzazione di 1.200 Km quadrati in questa zona da parte di Israele, el'insediamento di circa 6.000 coloni al posto di 54.000 palestinesi. Gli ultimatum per le primi 300 famiglie palestinesi sono stati già consegnati: dovranno abbandonare le loro case e le loro case saranno distrutte.

Altri progetti sono già in corso a Gerusalemme e nel resto dei territori palestinesi, mentre gli edifici delle colonie evacuate nei giorni scorsi nel nord della Cis-Giordania, non saranno trasferiti ai palestinesi, ma saranno trasformati in caserme per l'esercito israeliano.

Onestamente non è possibile non capire quali sono i limiti della iniziativa di Sharon: è una grande operazione mediatica, alternativa alla road maap che il quartetto aveva elaborato a misura di Sharon ed in violazione del ultimo accordo di Sharm El Shiekh, firmato con con la partecipazione del presedente americano.

Che si tratta di inganni e d'operazione mediatica gigantesca, lo denunciano anche importanti esponenti politici, accademici e del mondo della cultura israeliani, preoccupati dalla involuzione democratica e morale di Israele a causa della occupazione dei terriotri di un altro popolo ed a causa dei suoi leadr di destra e di sinistra.

Malgrado tutto, a noi palestinesi non sfugge il significato dello sgombero dei coloni ebrei, nel progetto messianico, arcaico e fuori luogo dove le stesse colonie nelle terre palestinesi non rappresentavano un incedente di percorso, ma un elemento fondativo dello stato nazionale ebraico.

Quel progetto espansionista ha urtato contro i propri limiti. Molti israeliani manifestano insofferenza per quello che è diventato per loro lo stato di Israele, e non si sono commossi di fronte allo spettacolo messo in scena, anzi hanno sentito disagio e vergona. Il percorso democratico e contrario alla violenza che, con difficoltà, procede in Palestina, darà una mano forte a loro. A nessuno di loro e di noi sono stati d'aiuto le dichiarazione di stima smisurata, rilasciate da ambienti di sinistra per l'iniziativa parziale, unilaterale di Sharon.

Da Liberazione, 25 agosto 2005


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