La Russia dopo le elezioni: dal centrismo al centrosinistra?

Spartaco Puttini

Pubblicato anche su marx21.it
10 marzo 2012


Come era prevedibile Vladimir Putin è stato rieletto a grande maggioranza alla Presidenza della Federazione russa. Benché le voci sui presunti brogli, iniziati in occasione della contestazione dei risultati delle elezioni legislative del dicembre scorso, abbiano preparato il terreno ad un diffuso scetticismo presso l’opinione pubblica (principalmente presso l’opinione pubblica occidentale) è opportuno guardare in faccia la realtà: il consenso di cui Putin gode è molto ampio. Se poi teniamo conto del fatto che persino riguardo le ultime e contestate elezioni legislative i brogli evidenziati si sono dimostrati ampiamente marginali, cioè non tali da stravolgere il risultato uscito dalle urne, allora si può onestamente dire che il sostegno a Putin è ampiamente maggioritario.

A queste presidenziali Putin ha ottenuto circa il 63% dei voti, vale a dire molto di più di quanto aveva incassato il suo partito, Russia Unita, alle legislative (49% circa). Siccome tutti i principali partiti russi hanno presentato candidati di bandiera per la Presidenza, mentre la risicata e squalificata opposizione della destra liberale (dal leader di Yabloko, Yavlisnkij, noto frequentatore della Trilateral, ai vecchi compagni di merende di Eltsin, come Nemzov) ha osteggiato il voto preparandosi a contestarlo comunque, oppure ha appoggiato il miliardario Prokhorov (come ha fatto l’ex ministro delle finanze Kudrin), è possibile fare un parallelo e tentare di formulare dei giudizi sulla politica russa e sulle sue prospettive dopo l’ampia tornata elettorale di questi mesi.

Il dato che spicca è proprio l’exploit di Putin rispetto al suo partito. I russi hanno fiducia in Putin e molto meno nel suo partito, cioè negli uomini da cui è circondato, ad ogni livello. La fiducia a Putin si spiega con gli indubbi risultati da lui portati da quando entrò nelle stanze del potere al crepuscolo dell’era Eltsin. E’ opportuno ricordare che Putin è riuscito a salvare la Russia dalla disintegrazione cui sembrava avviata a causa della guerra cecena e delle pericolose autonomie che Eltsin aveva concesso alle numerose entità (stati e regioni) di cui si compone la Federazione al solo fine di restare al potere. Solo a livello giuridico i russi avevano a che fare con una vera e propria selva di codici e leggi che in molti casi erano in palese contraddizione con la stessa legge federale. Inoltre i russi gli devono l’aver arginato e in alcuni casi punito le oligarchie mafiose che avevano prosperato all’ombra di Eltsin. In quegli anni si è compiuto il grande sacco delle ricchezze russe, fenomeno già avviato dalla catastrofica perestrojka gorbacioviana, non a caso ribattezzata da alcuni “katastrojka”. Secondo quanto stimato negli anni ’90 dalle privatizzazioni di 145000 imprese lo Stato incassò solo 9,7 miliardi di dollari, vale a dire una cifra paragonabile alle spese sostenute dai turisti russi all’estero nel solo 2003! Negli stessi anni il tenore di vita dei cittadini russi, come è ampiamente noto, era crollato a causa dell’imposizione delle fallimentari ricette economiche neoliberiste. La mortalità infantile si era impennata, l’aspettativa di vita si era drasticamente ridotta in pochissimo tempo. L’economia era al collasso.

Con Putin è iniziata un’inversione di tendenza che ha portato lo Stato ad intervenire per razionalizzare e salvare il sistema produttivo del paese, almeno nei settori strategici e di punta ad alto contenuto tecnologico, ed il tenore di vita delle masse russe è comunque aumentato. L’economia ha iniziato a crescere, anche se in buona misura ciò è dovuto all’export delle materie prime e ad una congiuntura favorevole. Anche in fatto di democrazia andrebbe poi ricordato che all’epoca dei liberali (che in buona misura oggi protestano nelle strade) era stato bombardato il parlamento perché non completamente prono a Eltsin e al suo clan tra il plauso generale di tutti i grandi sponsor della democrazia a corrente alterna, dagli Usa del democratico Clinton, ai riformisti nostrani e che 3 anni dopo erano state frodate clamorosamente le elezioni presidenziali ribaltandone il risultato, sottraendo la vittoria ai comunisti e consegnando a Eltsin il suo ultimo mandato, come ha recentemente esternato Medvedev al Cremlino, dove a porte chiuse, alcuni giorni fa, aveva incontrato proprio gli esponenti della destra politica esclusa dalla corsa alla presidenza. Un po’ come dire: “ma proprio voi vi lamentate?!”

Anche se non sono ancora sanate tutte le ferite inferte al paese dalla katastrojka in poi, ed anche se la politica sociale è, come giustamente sostengono i comunisti, assolutamente insoddisfacente, dopo due mandati presidenziali di Putin i russi avevano ritrovato dopo molto tempo la possibilità di guardare al futuro con un certo ottimismo. I risultati ottenuti da Putin sono stati giudicati “impressionanti” dall’ex capo del governo Primakov nelle sue memorie. Soprattutto la Russia è tornata ad avere un ruolo chiave sulla scena internazionale, promuovendo l’emergere di un ordine multipolare e svolgendo, in sintonia con la Cina, una fondamentale funzione equilibratrice nei confronti delle pulsioni aggressive degli Stati Uniti. La Russia rappresenta oggi l’elemento centrale dell’equilibrio di potenza e il principale argine per tenere a freno le forze distruttive dell’imperialismo. Cosa di cui i russi sono giustamente orgogliosi.

Stando lo scarto tra il risultato ottenuto da Putin alle presidenziali e quello di Russia Unita alle legislative non è corretta la tesi propalata dai media secondo i quali le ultime legislative avevano segnato una sconfitta per Putin. E’ opportuno notare che a dicembre la lista di Russia Unita è stata capitanata da Medvedev e che alcune sue uscite non sono proprio piaciute alla maggioranza dei russi. Tra queste una certa, frequente, inclinazione a prospettare la privatizzazione di alcuni settori ripresi sotto la mano dello Stato. I russi sanno che privatizzazione è sinonimo di ladrocinio delle ricchezze nazionali, sono consci dell’alta corruzione nelle alte sfere e nel sottobosco del potere, e questa uscita di Medvedev insieme ad altre (acquiescenza verso l’aggressione alla Libia, tono troppo conciliante con l’aggressiva politica americana, percepita come direttamente minacciosa per la Russia, le scelte fatte in materia di riforma nella Forze Armate) hanno alimentato lo spettro del ritorno delle orde liberali.

Russia Unita è del resto il risultato della confluenza attorno a Putin di una parte della galassia liberale “eltsiniana” che lo aveva cooptato al potere (sopravvivendo, a differenza di alcuni compagni di merende) e delle forze di centrosinistra che l’ex premier Primakov aveva radunato nella formazione Patria-Tutta la Russia. Il programma di Putin è parso più vicino a quello di Primakov in tutti i sensi, specie in politica estera, e non è un caso che proprio il prestigioso ex Capo del Governo ed ex ministro degli Esteri abbia sostenuto pubblicamente la terza candidatura di Putin. Ma gli anni dell’intermezzo Medvedev hanno risvegliato vecchi fantasmi e probabilmente molti russi si aspettano da questo ritorno al Cremlino di Vladimir Putin la fine dell’ambiguità.

E’ forse questa la chiave di lettura per comprendere, almeno in parte, i dati delle due tornate elettorali russe, quella di dicembre e quella di marzo. Al voto di lista i russi hanno preferito premiare soprattutto la sinistra comunista (PCFR) o nazionalista (Russia Giusta) che complessivamente ha ottenuto un terzo dei voti. Così facendo hanno sottolineato la loro preferenza per una politica che schematizzando potremmo definire: fermezza nei confronti dell’imperialismo occidentale, difesa patriottica, intervento dello Stato in economia, giustizia sociale, lotta alla corruzione. Al momento della scelta del presidente però la fiducia in Putin è parsa ancora solida e tutti i principali sfidanti hanno incassato meno voti di quelli presi dal loro partito 3 mesi fa: Žjuganov il 17% circa anziché il 20% circa ottenuto dai comunisti, il leader di Russia Giusta, Mironov, addirittura un terzo del suo elettorato, risultato forse scontato se si pensa che la sua formazione è nata per pungolare Putin da sinistra. Anche il candidato della destra nazionalista, Žirinovskij non è sfuggito a questo trend, ottenendo meno dei voti che aveva strappato il suo partito a dicembre.

Ciò che ci si attende ora è sapere quali lezioni Putin trarrà da questa situazione. L’impressione è che la campanella sia suonata e l’intervallo finito. Pur tenendo toni infuocati durante la campagna elettorale il Partito comunista ha proposto al potere un governo di coalizione di centrosinistra. Putin ha per ora parlato di “intesa con chi ci sta”, mentre calcava la mano contro i gruppi etero-diretti dall’estero, con chiaro riferimento ai protestatari benestanti delle manifestazioni bianche che sognano il golpe colorato. Alcuni abboccamenti sembrano dunque in corso per far maturare la situazione politica verso quell’apertura a sinistra guidata da Putin che potrebbe venire incontro alle indicazioni fornite dai russi nelle urne. In questo caso il sistema politico russo dovrà affrontare le doglie del parto, perché è improbabile che Russia Unita, così come è oggi, possa resistere all’apertura a sinistra.

In ogni caso tutto il mondo terrà gli occhi fissi sul Cremlino. Perché la Russia è fondamentale elemento per la costruzione di un mondo multipolare e per la sconfitta dei piani dell’imperialismo statunitense.

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