Editoriale

Sul congresso di Venezia del PRC

Era inevitabile, ma anche prevedibile, che al congresso di Rifondazione tenuto a Venezia venissero alla luce tutti i contrasti addensatisi negli ultimi anni. Quella di Bertinotti e della maggioranza che lo sostiene è stata una vittoria di Pirro, una vittoria che ha lasciato sul campo lacerazioni che difficilmente potranno ricomporsi. Finora in questo partito si era sempre sostenuto che le diversità di idee, culture e “appartenenze” costituissero una risorsa, e che questa risorsa fosse uno dei tratti distintivi di una moderna, rifondata, compagine comunista.

Ecco, sembrava che dicessero con orgoglioso autocompiacimento, guardate di che cosa siamo capaci noi, comunisti della libertà, che abbiamo l'audacia di consentire l'espressione delle idee, altro che i vecchi partiti comunisti ingessati in un autoritario, soffocante centralismo.

Ma dopo il congresso, sarà sempre più arduo (e sempre meno credibile per l'uditorio sconcertato dei militanti) affidarsi a ipocrite frasi di circostanza sulla presunta ricchezza delle “diversità”. Nelle sue conclusioni, dopo aver attaccato con violenza verbale inusitata le minoranze, Bertinotti ha detto, con voce commossa, che “occorre uno sforzo di tenerezza”, proprio lui che ha accantonato tenerezza e nonviolenza (politicamente parlando) ed ha imposto a colpi di maggioranza e senza alcuna possibilità di mediazioni, quei terribili emendamenti allo statuto che hanno messo in condizione di non nuocere le “anime”, le “provenienze”, le “diversità” le quali ultime sono state praticamente spazzate via senza troppi complimenti o ipocrita cortesia. Bertinotti è un predicatore messianico che espungerebbe volentieri dal suo lessico la parola comunismo, ma siccome, per ovvi motivi di sopravvivenza politica non può farlo, se ne inventa uno tutto suo di comunismo, fuori dal tempo, fuori dalla storia, fuori dalla realtà di guerre, distruzioni, genocidi imposti al mondo dall'imperialismo americano.

Abbandonare il terreno del marxismo rivoluzionario e predicare una via pacifica al socialismo è un'operazione vecchia, è un deja vu. Già la linea politica del Pci degli anni '50 (la via italiana al socialismo) prospettava la possibilità, attraverso le “riforme di struttura” di inserire progressivamente all'interno della società borghese elementi di socialismo. E il Pci di allora era un grande partito (il più grande dell'Occidente), conservava stretti legami con l'Unione Sovietica (seconda superpotenza mondiale e antagonista dell'America); e la Cgil, diretta da comunisti del calibro di Di Vittorio, era vista come un vero e proprio sindacato di classe. Per non dire dell'egemonia che il Pci dispiegava in vasti settori della cultura, dell'editoria, della stampa, negli ambienti intellettuali, artistici eccetera. Inoltre il Pci si impegnava in grandi battaglie, politiche e di strada, sanguinosamente represse, queste ultime, dalla Celere scelbina, per la salvaguardia della democrazia (contro la legge truffa, contro il governo Tambroni). Tutto ciò dava un enorme prestigio a quel partito e rendeva dunque più che credibile la prospettiva di una strada d'accesso al socialismo per vie legali, parlamentari. Ma una semplice analogia tra la via togliattiana e quella bertinottiana (se è lecito paragonare le piccole alle grandi cose) indurrebbe a ritenere la seconda una caricatura farsesca della prima. Però ciò non spiegherebbe, al di là dei punti di contatto fra le due strategie, le abissali differenze fra l'una e l'altra.

Ciò che di nuovo c'è nel bertinottismo è la furia iconoclasta con cui vengono abbattute le icone del comunismo storico, per cui le “audaci” e “innovative” invenzioni teoriche di questo leader messianico-carismatico sono il prodotto del totale rovesciamento dei capisaldi teorici sulla pace, la guerra, la conquista del potere ecc., capisaldi acquisiti dal comunismo al prezzo di secolari lotte, guerre e rivoluzioni. Se, per dare spessore alla teoria della via pacifica al socialismo i riferimenti del Pci continuavano ad essere il marxismo ed il leninismo (del resto, nelle centinaia di volumi in cui sono stati raccolti gli scritti dei teorici del comunismo era possibile trovare citazioni adatte ad ogni uso), il predicatore del millenaristico altro mondo possibile fa sempre più spesso riferimento a personaggi del mondo cattolico. E questo si spiega con il fatto che, avendo abiurato una cultura forte (il marxismo) cerca di andare a razzolare in altri cortili.

I compagni dell'Ernesto, che forse credevano davvero allo spirito nonviolento del Segretario sono stati, per così dire, violentemente messi alla porta da quest'ultimo. Sperano in una rivincita? Loro che hanno opportunisticamente taciuto i più gravi attacchi del Segretario al comunismo (vi ricordate quella tesi atroce denominata “comunismo contro stalinismo”, quando i compagni dell'Ernesto fecero i pesci in barile)? Allora sì, che poteva essere tempo per una rivincita, cioè per una battaglia politica, teorica e ideologica. Invece i compagni lasciarono colpevolmente passare quelle posizioni politiche, teoriche e ideologiche di segno anticomunista. E i nodi vengono al pettine. Ora, forse, pensano che sarà possibile rovesciare con la “democrazia” gli attuali rapporti di forza. Non è troppo tardi? Non è fuori tempo massimo? Bertinotti non scherza, essendo un predicatore invasato e intollerante (nonché falso e sleale da cima a fondo) non ha la sensibilità di tenere unito un partito (già ha fatto una scissione): gli interessa solo che prevalga a tutti i costi la sua linea e tratta l'opposizione alle sue idee alla stregua di un delitto di lesa maestà. Egli, nelle conclusioni, ha detto ipocritamente che il dibattito “lo ha sentito come una sconfitta”, lui che aveva già predisposto la 'sua' vittoria contro metà del partito senza darsi pena di uno sforzo di mediazione. Quando si ha contro mezzo partito occorrerebbe fermarsi, riflettere. Invece il predicatore è andato avanti a carro armato.

C'è una compagna, Rina Gagliardi che, credendo ancora, evidentemente, nella genialità creativa del predicatore, ha scritto che questo congresso rappresenta un fatto straordinario per l'Italia e “forse” anche per l'Europa (come trionfalismo non c'è male). Dice che il Prc, per le sue mirabili capacità di sapersi tenere unito “pur nelle sue divisioni anche molto aspre” somiglia ad un animale raro, al mitico Liocorno. Ed è chiaro che se l'Ernesto, dopo aver preso calci nel sedere, continua a coprire a sinistra la linea della creatività bertinottiana, immettendovi magari un po' di comunismo, continuerà ad alimentare la fiaba del Liocorno.

Amedeo Curatoli


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