Vi hanno mentito sui pirati somali

Johann Hari

Fonte: The Independent
Titolo originale: "You Are Being Lied to About Pirates"
12 aprile 2009
Traduzione italiana di Rachele Materassi
Ripreso da Comedonchisciotte


il 70% della popolazione "sostiene fermamente la pirateria come una forma di difesa nazionale delle acque territoriali del paese".

Ci aspettavamo forse che i somali affamati restassero passivi sulle loro spiagge, a fare il bagno nelle nostre scorie nucleari guardandoci mentre rubiamo loro il pesce che verrà mangiato nei ristoranti di Londra, Parigi e Roma? Non abbiamo fatto nulla per fermare quei crimini - ma quando qualche pescatore reagisce interrompendo il corridoio di transito del 20 percento della fornitura mondiale di petrolio, allora noi iniziamo a gridare al "male". Se veramente vogliamo occuparci della pirateria, dobbiamo arrestarne la causa originaria – i nostri crimini – prima di spedire navi armate a scovare i criminali somali.

Da Repubblica.it (20/04): "Il Puntland contro il Buccaneer 'Doveva sversare rifiuti tossici'". Le accuse mosse dalle autorità della regione semi-autonoma della Somalia al rimorchiatore italiano sequestrato dai pirati. La società Micoperi: "Era vuoto".

Chi avrebbe immaginato che, nel 2009, i governi mondiali avrebbero dichiarato una nuova Guerra ai Pirati? Mentre state leggendo quest’articolo, la British Royal Navy – con il sostegno dalle navi di più di due dozzine di stati, dall’America alla Cina- sta navigando verso le acque somale per affrontare uomini che noi ci figuriamo ancora come furfanti da sceneggiata con tanto di pappagallo sulla spalla. Presto inizieranno a combattere le navi somale e a cacciare i pirati sulla terraferma, in una delle regioni più piegate della terra. Ma dietro alla stravaganza del tipo ‘avanti-miei-prodi’ che questa storia racchiude, si nasconde uno scandalo non confessato. Le persone che i nostri governi stanno etichettando come “una delle più grandi minacce del nostro tempo” hanno delle storie incredibili da raccontare – e un po’ di giustizia dalla loro parte.

I pirati non sono mai stati quello che noi in realtà crediamo. Nell’“età d’oro della pirateria” – dal 1659 al 1730 – venne creata dal governo britannico, sull’onda di uno spirito propagandistico, l’idea odierna del pirata come un ladro selvaggio e senza scrupoli. Molte persone comuni la ritenevano però non veritiera: i pirati venivano spesso tratti in salvo dalle navi da folle di sostenitori. Perché? Che cosa coglievano loro che a noi non è concesso intendere? Nel suo libro Furfanti di tutti i Paesi [“Villains of All nations”], lo storico Marcus Rediker scava tra le prove per scoprirlo. All’epoca, diventare mercante o marinaio – raccolto dai porti dell’East End londinese, giovane e affamato – significava finire a navigare in un Inferno di legno. Significava lavorare a tutte le ore su una nave sovraccarica e senza cibo, e a concedersi una breve pausa si finiva frustati con il Gatto a Nove Code dal plenipotenziario capitano. I perditempo abituali correvano il rischio di essere gettati in mare. E dopo mesi o anni di tutto questo, spesso si finiva con l’essere imbrogliati sulla paga.

I pirati sono stati i primi a ribellarsi a questo sistema. Sono andati contro i loro capitani-tiranni e hanno inventato un modo diverso di lavorare sui mari. Non appena riuscivano ad avere una barca, i pirati eleggevano i loro capitano e prendevano tutte le decisioni assieme. Dividevano il bottino nel modo che Rediker definisce “uno dei più egualitari piani di distribuzione delle risorse esistenti nel diciottesimo secolo”. Addirittura, essi prendevano con loro schiavi africani fuggitivi e ci vivevano assieme, trattandoli da eguali. I pirati hanno dimostrato “piuttosto chiaramente – e in modo sovversivo- che le navi non dovevano necessariamente essere condotte con i modi brutali e oppressivi utilizzati dal servizio mercantile e dalla flotta britannica”. Ecco perché erano popolari, nonostante fossero dei ladri poco produttivi.

Le parole di un pirata di quell’epoca perduta – un giovane inglese di nome William Scott – dovrebbero risuonare in questa nuova epoca di pirati. Prima di essere impiccato a Charleston, Carolina del Sud, egli disse: “Quello che ho fatto è stato salvarmi dalla morte. Sono stato costretto a fare il pirata per vivere”. Nel 1991 il governo della Somalia – nel Corno d’Africa – è collassato. I suoi nove milioni di abitanti da sempre vivono sull’orlo della fame – e molte delle peggiori forze del mondo occidentale hanno visto questa cosa come una grossa opportunità per rubare le riserve di cibo del paese e per versare scorie nucleari nei loro mari.

Esatto: scorie nucleari. Non appena il governo somalo è caduto, misteriose navi europee hanno iniziato a comparire al largo delle coste della Somalia, svuotando grossi barili nell’oceano. Gli abitanti della costa hanno cominciato ad ammalarsi. All’inizio soffrivano di strane irritazioni e di nausea, oltre al fatto che mettevano al mondo bambini malformati. Poi, dopo lo tsunami del 2005, centinaia di barili scaricati e perforati sono stati dispersi sulla spiaggia. La gente ha iniziato a soffrire di sintomi da radiazioni e più di 300 persone sono morte. Ahmedou Ould-Abdallah, inviato delle Nazioni Unite in Somalia, mi dice: “Qualcuno sta svuotando materiale nucleare qui. C’è anche del piombo e metalli pesanti come il cadmio e il mercurio”. La maggior parte di queste scorie proviene da ospedali e aziende europee, che sembrano affidarle alla mafia italiana affinché se ne “liberi” in modo economico. Quando ho chiesto a Ould-Abdallah che cosa stavano facendo i governi dell’Europa per questo, mi ha risposto sospirando: “Nulla. Non c’è stata nessuna attività di ripulitura, nessun risarcimento e nessuna attività preventiva”.

Nello stesso periodo, altre navi europee hanno iniziato a saccheggiare i mari della Somalia privandoli della loro più importante risorsa: il pesce. Noi abbiamo distrutto le nostre riserve ittiche a causa dello sfruttamento eccessivo, e adesso stiamo attaccando le loro. Più di 300 milioni di dollari di tonno, gamberetti, aragoste e altri pesci vengono rubati ogni anno da enormi pescherecci che navigano illegalmente nelle acque somale non protette. I pescatori locali hanno improvvisamente perso la loro fonte di sostentamento e stanno morendo di fame. Mohammed Hussein, un pescatore nella città di Marka,100 km a sud di Mogadiscio, ha detto all’agenzia Reuters: “Se non si fa niente, presto non ci sarà più pesce nelle nostre acque costiere”.

E’ questo il contesto da cui emergono gli uomini che noi ora chiamiamo “pirati”: tutti sono concordi nell’affermare che essi erano dei normali pescatori somali, i quali inizialmente si sono armati di motoscafi nel tentativo di frenare la pesca a strascico e le scarico di scorie chimiche, o almeno di imporre una “tassa” su tali attività. In una surreale intervista telefonica, uno dei capi dei pirati, Sugule Ali, disse che il loro scopo era di “fermare la pesca illegale e lo scarico nelle nostre acque…Noi non ci consideriamo banditi del mare. Noi consideriamo banditi del mare quelli che pescano illegalmente e che rovesciano nelle nostre acque scorie nucleari e portano armi nel nostro mare”. William Scott avrebbe capito queste parole.

No, tutto questo non giustifica la cattura di prigionieri e sì, alcuni sono evidentemente solo dei gangster – specialmente quelli che si sono impossessati delle scorte inviate dal World Food Programme. Ma i “pirati” godono del massiccio sostegno della popolazione locale per una ragione. Il sito somalo d’informazione indipendente WardherNews ha condotto l’indagine più approfondita che abbiamo a disposizione riguardo a ciò che la gente somala pensa e ha scoperto che il 70% della popolazione “sostiene fermamente la pirateria come una forma di difesa nazionale delle acque territoriali del paese”. Durante la guerra rivoluzionaria in America, George Washington e i padri fondatori americani pagarono i pirati affinché proteggessero le acque territoriali americane perché non avevano una loro marina o una guardia costiera. La maggior parte degli americani li sosteneva. E’ tanto diverso?

Ci aspettavamo forse che i somali affamati restassero passivi sulle loro spiagge, a fare il bagno nelle nostre scorie nucleari guardandoci mentre rubiamo loro il pesce che verrà mangiato nei ristoranti di Londra, Parigi e Roma? Non abbiamo fatto nulla per fermare quei crimini - ma quando qualche pescatore reagisce interrompendo il corridoio di transito del 20 percento della fornitura mondiale di petrolio, allora noi iniziamo a gridare al “male”. Se veramente vogliamo occuparci della pirateria, dobbiamo arrestarne la causa originaria – i nostri crimini – prima di spedire navi armate a scovare i criminali somali.

La storia della guerra ai pirati del 2009 è stata riassunta nel modo migliore da un altro pirata, che è vissuto e morto nel IV secolo avanti cristo. Egli era stato catturato e portato davanti ad Alessandro Magno, il quale voleva sapere “a cosa mirasse prendendo possesso del mare”. Il pirata sorrise e rispose: “A ciò a cui miri tu impadronendoti di tutta la terra; ma io, che lo faccio con una barca insignificante, vengo chiamato ladro mentre tu, che lo fai con una grande flotta, vieni chiamato imperatore” (1). E di nuovo, le nostre grandi navi imperiali oggi navigano per i mari - ma chi è il ladro?

Note

(1) Agostino d'Ippona, De Civitate Dei 4,4 (nota redazionale)

POST SCRIPTUM: Alcuni commentatori guardano con perplessità al fatto che sia lo scarico delle scorie tossiche sia il furto di pesce avvengano nello stesso posto – il pesce non viene contaminato? Di fatto, la costa somala è vasta, estendendosi per 3.300 km. Per rendere l’idea, pensate a quanto sarebbe facile – se non ci fossero la guardia costiera o l’esercito- rubare pesce dalla Florida o gettare scorie nucleari in California. Questi sono eventi che accadono in posti diversi ma con gli stessi terribili effetti: morte della popolazione locale e incoraggiamento della pirateria. Non c’è nessuna contraddizione.

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