14 parlamentari inglesi - in testa il sindaco di Londra
pubblicano una lettera di appoggio al popolo palestinese

Dal Centro di Informazioni palestinese di Londra Londra, 13/07/2006
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Il giornale londinese Guardian, nelnumero di ieri, 12 luglio, ha pubblicato una lettera firmata da numerose personalità - in testa il sindaco di Londra -, in cui si chiede al governo britannico di non essere parte del complotto americano- europeo-sionista contro il popolo palestinese e il suo governo eletto.

Tra le altre richieste contenute nella lettera, la ripresa dell'invio degli aiuti europei all'autorità palestinese, la fine dell'embargo sionista imposto al popolo palestinese e al suo governodemocraticamente eletto, e la restituzione delle imposte dovute ai palestinesi.

All'entità sionista è stato chiesto di fermare tutte le operazioni militari nei territori occupati,di liberare idirigenti palestinesi eletti e iniziare un programma di liberazione di tutti i detenuti palestinesiimprigionati da Israele in violazione delle leggi internazionali.

Inoltre, nella lettera si chiede di far pressioni sull'entità sionista attraverso le Nazione Unite per applicare le risoluzioni del1967, e fermare il commercio di armitra la Gran Bretagna e Israele finché quest'ultimo non rispetti le leggi intenazionali.

Una aggressione a partire da falsi pretesti

Ismail Haniyeh, Primo Ministro della Autorità Nazionale Palestinese
Washington Post, martedì 11 luglio 2006
http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2006/07/10/AR2006071001108.html?sub=AR Traduzione e editing a cura di Ism-Italia [1]
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GAZA, Palestina – Mentre gli Americani commemoravano come ogni anno il giorno dell’indipendenza dall’occupazione coloniale, celebrando le loro istituzioni democratiche, noi Palestinesi eravamo di nuovo sotto assedio da parte dei nostri occupanti, che distruggono le nostre strade e i nostri edifici, le nostre centrali elettriche e i nostri acquedotti, e che attaccano i nostri poveri strumenti di amministrazione civile. Case ed edifici pubblici sono presi a cannonate, i nostri parlamentari sono presi prigionieri e minacciati di processo.

L’attuale invasione di Gaza è solo l’ultimo dei tentativi di cancellare il risultato di elezioni libere e regolari che si sono tenute all’inizio dell’anno. E’ la conclusione esplosiva di una campagna che dura da cinque mesi, di una guerra economica e diplomatica diretta dagli Stati Uniti e da Israele. L’intenzione dichiarata di questa strategia era di forzare i Palestinesi a "riconsiderare" il loro voto a fronte di una sofferenza più pesante; il suo fallimento era prevedibile, e la nuova aperta aggressione militare e la punizione collettiva ne sono la logica conseguenza. Il caporale israeliano “rapito”, Gilad Shalit, è solo un pretesto per una operazione programmata mesi fa.

Oltre a rimuovere il nostro governo democraticamente eletto, Israele cerca di seminare il dissenso tra i Palestinesi sostenendo che c’è una rivalità tra i nostri leader. Io sono costretto a smentire decisamente questa affermazione. La leadership Palestinese è fermamente legata al concetto islamico di shura, o consultazione reciproca; noi possiamo avere opinioni diverse, ma siamo uniti nel rispetto reciproco e concentrati nell’obiettivo di servire il nostro popolo. L’invasione di Gaza e il rapimento dei nostri leader e dei nostri ministri hanno anche l’obiettivo di minare i recenti accordi raggiunti tra il partito di governo e i nostri fratelli e le nostre sorelle di Fatah e di altri gruppi, per raggiungere il consenso necessario alla soluzione del conflitto.

Ancora una volta la punizione collettiva israeliana rafforza solamente la nostra risoluzione collettiva a lavorare insieme.

Quando ispeziono le rovine delle nostre infrastrutture – la generosità degli stati donatori e degli sforzi internazionali ancora una volta è stata ridotta in polvere dagli F-16 e dai missili costruiti in America – il mio pensiero va di nuovo agli Americani.

Che cosa pensano di tutto ciò?

Essi pensano, senza dubbio, al soldato in ostaggio, catturato in battaglia -- ma migliaia di Palestinesi, inclusi centinaia di donne e di bambini, rimangono nelle prigioni israeliane per la loro resistenza alla occupazione illegale in corso, che è condannata dal diritto internazionale. Essi pensano al coraggio e alla "inflessibilità" di Israele, "che affronta" i "terroristi." Ma Israele, che è una potenza nucleare, possiede la 13a forza militare del pianeta, mentre i suoi avversari non hanno nemmeno un esercito convenzionale.

Chi è il più debole, che si suppone sia il favorito dell’America, in questo caso?

Se gli Americani ricevessero le informazioni necessarie per valutare cause e realtà storiche, penso che si domanderebbero perchè uno Stato che si suppone "legittimo", come Israele, ha dovuto fare decenni di guerra contro una popolazione di profughi senza mai raggiungere i suoi obiettivi.

Le mosse unilaterali di Israele dello scorso anno non porteranno alla pace.

Questi atti – il ritiro temporaneo dell’esercito da Gaza, la chiusura con un muro della West Bank – non sono passi verso una soluzione, ma solo atti vuoti e simbolici che falliscono nell’affrontare il conflitto sottostante.

Il controllo quasi completo di Israele sulla vita dei Palestinesi non è mai messo in discussione, come confermato dalla sofferenza umana e economica dei Palestinesi dalle elezioni di gennaio.

La politica di Israele di espansione, di controllo militare e di assassinio si fa beffe di ogni nozione di sovranità o bilateralismo. La loro "barriera di separazione" che attraversa la nostra terra, difficilmente può costituire un gesto di buona volontà a favore di una coesistenza futura.

Ma vi è un rimedio, e anche se non è facile esso è coerente con i nostri radicati convincimenti.

Le priorità palestinesi includono il riconoscimento della questione centrale sul territorio della Palestina storica e i diritti di tutto il suo popolo; soluzione del problema dei rifugiati dal 1948; restituzione di tutti i territori occupati nel 1967; e la fine degli attacchi israeliani, degli assassini e dell’espansione militare.

Contrariamente alla immagine corrente della crisi nei media americani, la disputa non riguarda solo Gaza e la West Bank ; vi è un più ampio conflitto nazionale che può essere risolto solo affrontando le dimensioni complessive dei diritti nazionali palestinesi in una maniera integrata.

Questo significa uno Stato per West Bank e Gaza; una capitale, Gerusalemme Est araba, e una onesta soluzione del problema dei rifugiati palestinesi del 1948 sulla base del diritto internazionale. Significativi negoziati con Israele non espansionista e rispettosa delle leggi possono procedere solo dopo che questo enorme lavoro è iniziato.

Certamente il popolo americano è stanco di questa follia, dopo 50 anni e 160 miliardi di dollari di tasse a sostegno della capacità di Israele di fare la guerra - la sua “difesa”. Alcuni americani, credo, si staranno chiedendo se tutto questo sangue e queste risorse non avrebbero potuto portare a risultati più tangibili per la Palestina se solo le politiche degli S.U. fossero state fondate fin dall’inizio sulla base della verità storica, della equità e della giustizia.

Ma noi non vogliamo vivere sugli aiuti internazionali e sulle elemosine americane.
Noi vogliamo ciò di cui godono gli americani, diritti democratici, sovranità economica e giustizia.
Noi pensavamo che il nostro orgoglio per aver condotto le elezioni più regolari del mondo arabo sarebbe stato apprezzato dagli Stati Uniti e da i suoi cittadini.
Invece il nostro nuovo governo si è dovuto fin dall’inizio confrontare con atti di esplicito e dichiarato sabotaggio da parte della Casa Bianca.
Ora questa aggressione continua nei confronti di 3,9 milioni di civili che vivono nel più grande campo di concentramento del mondo.
La compiacenza americana di fronte a questi crimini di guerra si è, come al solito, inscritta nella nota retorica della luce verde: “Israele ha il diritto di difendersi”.

Stava Israele difendendosi quando ha assassinato otto membri di una famiglia sulla spiaggia di Gaza un mese fa o tre membri della famiglia Hajjaj sabato scorso fra cui Rawan di 6 anni?

Mi rifiuto di credere che tanta disumanità vada bene per il pubblico americano.

Noi formuliamo questo chiaro messaggio: se Israele non vuole permettere ai palestinesi di vivere in pace, dignità e integrità nazionale, la stessa Israele non potrà godere di questi stessi diritti.

Nel frattempo, il nostro diritto a difenderci dai soldati occupanti e dall’aggressione è un diritto riconosciuto nella Quarta Convenzione di Ginevra.

Se Israele è pronta a negoziare seriamente e lealmente e a risolvere il problema centrale del 1948, piuttosto che quello secondario del 1967, una pace leale e permanente è possibile.

Basata su una hudna (una cessazione completa delle ostilità per un tempo concordato), la Terra Santa ha ancora una opportunità di essere una casa comune, pacifica e economicamente sicura, per tutto il popolo semitico della regione.

Se solo gli americani conoscessero la verità, la possibilità potrebbe diventare realtà.

Nota

ISM-Italia
info@ism-italia.it
www.ism-italia.it in costruzione
ISM-Italia è il gruppo di supporto italiano dell'ISM.

L'International Solidarity Movement (ISM www.palsolidarity.org) è un movimento palestinese impegnato a resistere all'occupazione israeliana usando i metodi e i principi dell'azione-diretta non violenta. Fondato da un piccolo gruppo di attivisti nel 2001, ISM ha l'obiettivo di sostenere e rafforzare la resistenza popolare assicurando al popolo palestinese la protezione internazionale e una voce con la quale resistere in modo nonviolento alla schiacciante forza militare israeliana di occupazione. [ritorna al testo]

Per i palestinesi vale un concetto
di democrazia e del diritto differente?

Dr. Ibrahim K. Lada'a [2]
13 luglio 2006
Da http://al-awda.org
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"Il diritto all'autodeterminazione dei popoli deve essere riconosciuto anche ai palestinesi. Questo popolo, che da decenni ormai continua a vivere sotto occupazione israeliana, aveva eletto i suoi rappresentanti esecutivi e legislativi con una procedura democratica. Aveva scelto quei rappresentanti che – così sperava - l'avrebbero liberato dall'occupazione ponendo contemporaneamente fine alla corruzione del precedente governo. Lo sviluppo politico degli ultimi giorni mette in evidenza che è stato un errore credere nella possibilità di tenere elezioni libere sotto l'occupazione (vedi il mio articolo: Matrimonio palestinese – presa di posizione sulle elezioni palestinesi). Al governo scelto dai palestinesi tramite le elezioni del gennaio 2006, non è stata nemmeno concessa la possibilità di entrare in funzione poiché è stato messo subito al bando dall'intero mondo occidentale. Perfino l'Unione Europea ha strumentalizzato i suoi aiuti finanziari per mettere il governo palestinese sotto pressione. Una delle conseguenze di questo comportamento è stato che i salari per 150 mila pubblici impiegati, poliziotti e insegnanti, non potevano più essere pagati. La maggior parte di questi funzionari pubblici erano stati assunti nell'era di Yasser Arafat, cioè, essi non facevano parte di Hamas, bensì del movimento Fatah.

I palestinesi nei Territori Occupati si chiedono cosa voglia l'Occidente da loro? Cosa intende per terrore? Che tipo di democrazia abbia in mente per uso e consumo dei palestinesi e degli altri popoli del Medio Oriente. Ma è mai possibile che il termine "occupazione" sia proprio scomparso dal vocabolario delle classi dirigenti dell'Occidente? E' incredibile e vergognoso che dalle stanze di comando in Europa a tutt'oggi non si sia udita alcuna voce di protesta dopo che Israele, con un'azione di notte e nebbia, aveva sequestrato 7 ministri e 20 deputati contemporaneamente da Ramallah, Hebron e Qalqilyia. Questo atto di sequestro di persona multiplo non è stato ritenuto degno di alcuna presa di posizione da parte di nemmeno una delle democrazie occidentali.

Israele sa che in seguito alla vittoria elettorale di Hamas, l'Occidente si è schierato sempre più strettamente al suo fianco. A causa della storia del popolo ebraico, che è connessa a quella dell'Europa, il governo israeliano si sente moralmente superiore e dalla parte giusta rispetto al popolo palestinese. Perciò sperava che la sua politica di assedio e di affamamento riuscisse a spingere i palestinesi a uscire in piazza per rovesciare il governo di Hamas, democraticamente eletto. Ma questo non è affatto successo. Quindi, Israele ha cercato di innescare una guerra civile tra le fazioni palestinesi, finanziando e armando, con l'aiuto dell'Unione Europea e degli USA, le forze comandate dal Presidente Mahmud Abbas cui ha fatto pervenire mille fucili addestrandone giovani seguaci perché mettessero a segno azioni di disturbo ed eseguissero omicidi. L'obiettivo era di fare scoppiare una guerra civile tra i palestinesi, simile a quanto sta succedendo oggi in Iraq o, trent'anni fa, nel Libano. Per la somma delusione di Israele e dell'Occidente, i palestinesi hanno saputo serrare i ranghi ed unirsi attorno ad una dichiarazione congiunta.

Stiamo parlando del documento messo a punto da prigionieri palestinesi, che contiene alcuni punti sui quali si è potuto creare un consenso. La dichiarazione in questione era stata accettata da tutte le correnti politiche, inclusi Hamas e Fatah. La dichiarazione afferma la soluzione del problema palestinese sulla base di due stati, sanzionata dalle Risoluzioni 242 e 338 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, sicché la sua accettazione da parte di Hamas significa un implicito riconoscimento di Israele e questo dopo nemmeno tre mesi al governo. Io ritengo che con questo comportamento si sia fatto un passo gigante in direzione della pace. Nel momento però, in cui si è compiuto questo gesto di pace da parte dei palestinesi, il capo del governo israeliano, Ehud Olmert, ha dato ordine alle sue forze armate di invadere la Striscia di Gaza perché la pace, che ormai sembrava essersi avvicinata un po' di più, stava mettendo in imbarazzo i politici israeliani. Perciò Olmert ha mandato le sue truppe – non per liberare il soldato catturato, bensì per rovesciare il governo di Hamas eletto.

La Striscia di Gaza è una della aree più densamente popolate del mondo. La maggioranza dei suoi abitanti vive ormai dal 1948 in campi profughi, dove l'accumulo di povertà e disoccupazione determina il volto della Striscia. I profughi erano fuggiti dalle squadre terroristiche sioniste, precursori dell'attuale esercito israeliano, i cui comandanti in capo sarebbero diventati capi di governo, presidenti di stato e perfino, titolari di premi Nobel alla Pace.

Per Israele, la Striscia di Gaza era e continua a essere, una fastidiosa macchia e, nelle migliori delle ipotesi, un bacino di riserva per manodopera a basso costo. Con il passare dei decenni, Israele non è mai riuscita a convincere gli abitanti della Striscia di Gaza della presunta bontà delle sue intenzioni, non avendo mai capito che le armi contro la libertà del pensiero non si sono ancora inventate. Israele intanto, controlla l'acqua, vietando agli arabi di scavare pozzi nella stessa profondità concessa agli israeliani. Contemporaneamente, Israele scavava pozzi ai piedi delle colline palestinesi in Cisgiordania, dove si trovano le maggiori riserve d'acqua, impedendo così l'afflusso della acque di falda verso la Striscia di Gaza. Questo a sua volta, ha causato una progressiva infiltrazione di acque marine salate nelle falde della Striscia di Gaza, rendendo l'acqua imbevibile.

Israele impedisce lo sviluppo della rete di erogazione elettrica in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, nonostante questa infrastruttura sia in mano a privati. Di conseguenza, la distribuzione di elettricità rimane in mani israeliane. L'unica centrale elettrica costruita nella Striscia di Gaza recentemente, da investitori americani e palestinesi, in questi giorni è stata bombardata dalle forze armate israeliane.

Israele controlla tutti gli accessi alla Striscia di Gaza, sia per terra che per mare. Perfino l'unico collegamento per via aerea, l'aeroporto di Gaza, costruito con l'aiuto finanziario dell'Unione Europea, è stato ripetutamente distrutto da Israele. Per le sue attuali operazioni militari, Israele si serve di questo aeroporto come base militare. In retrospettiva, il ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza si presenta come una grossolana bugia. Distruggere l'infrastruttura di un popolo e sottoporlo a punizione collettiva con l'affermazione di condurre una guerra contro terroristi, costituisce di per sé terrorismo.

Infatti, ciò che importa a Israele non è il soldato catturato, bensì l'immagine che Israele si è creata delle sue forze armate, dei suoi soldati. Il mito dell'"esercito invincibile" e della "purezza delle armi" crea l'immagine di un soldato "superuomo". In realtà, è l'enorme superiorità sul piano militare-tecnologico, non invece, l'uomo come tale, che sta alla base di quest'immagine del soldato israeliano nel mondo. Si tratta dell'immagine che la classe dirigente intende presentare al suo popolo ed al mondo occidentale. Alla luce di queste considerazioni, si spiega meglio come si sia arrivati all'attuale azione militare – fuori da ogni parametro di proporzionalità – come risposta alla cattura di un singolo soldato israeliano. Le conseguenze di quest'operazione militare, nella sua estensione, superano di lunga quelle di un palestinese che si fa esplodere su un autobus o in un ristorante israeliano uccidendo un numero di civili. Questa forma di terrore civile s'inquadra bene nel concetto dei politici israeliani, in quanto non tocca direttamente le forze armate. Mantenendo la cittadinanza in uno stato di paura ed insicurezza permanente, essi riescono ad assicurarsene un saldo controllo. In qualsiasi momento, le forze armate s'affacciano nel ruolo di salvatore, pronte ad entrare in azione.

Ma nel caso del sequestro di un soldato e nel caso si dovesse eventualmente arrivare perfino a uno scambio di detenuti, l'immagine pura delle forze armate s'intaccherebbe. Questo creerebbe un terremoto politico nella società israeliana che ritiene la vita di un soldato più preziosa rispetto a quella di un civile. Il mondo dovrà finalmente riconoscere che abbiamo a che fare con una guerra di liberazione, con gruppi della resistenza che combattono contro un esercito d'occupazione. Questa immagine di occupanti ed occupati, che Israele sta cercando da 40 anni di sopprimere con l'impiego di ogni mezzo di propaganda e con tale successo che qualcuno, in Occidente, non si rende più conto chi effettivamente sta occupando chi, sarebbe capovolta. Già una volta Israele ha dovuto affrontare questa realtà, in Libano. Dopo avere subito alte perdite nei propri ranghi e in seguito a crescenti proteste della propria cittadinanza, Israele ha dovuto ritirarsi dai territori occupati nel Libano, nel maggio 2000.

Un soldato israeliano è stato catturato da combattenti nella resistenza, dopo che questi erano riusciti a scavare un tunnel lungo di 800 metri per raggiungere un posto di blocco dell'esercito israeliano. Il battaglione israeliano in servizio a detto posto di blocco, il giorno precedente aveva appena fatto un'incursione in un villaggio palestinese sequestrando due giovani palestinesi sotto il pretesto che stessero preparando un'azione terroristica. Nei combattimenti al posto di blocco menzionato, due soldati israeliani e due palestinesisono rimastiuccisi. Un soldato israeliano è stato prelevato dal suo carrarmato e trattenuto come prigioniero di guerra. Il comando militare cui faceva capo il posto di blocco, ha saputo dell'incidente solo 70 minuti dopo. Questo assalto da parte di occupati contro l'esercito degli occupanti, è stato visto dall'intero mondo soltanto sotto l'aspetto del soldato sequestrato e perfino il Papa e Kofi Annannehanno chiestoil rilascio. Non hanno detto, invece, nemmeno una parola degli oltre 12mila prigionieri palestinesi, tra cui 400 minorenni, 150 donne e 7 neonati.

Non aiuta affatto quando si vuole sopprimere la volontà di resistenza di un popolo rifiutandosi di chiamare le cose con i loro nomi. Non è lecito continuare a trattare con l'attuale spensieratezza le sofferenze del popolo palestinese. Bisogna astenersi dal volere paragonare le azioni dei palestinesi, al terrore di un Osama Bin Laden. Sarebbe oltremodo ingenuo presentare questa lotta contro l'occupazione come una "lotta delle culture" o una guerra di religioni. Qui si tratta di un popolo che sta lottando da parecchi decenni per la sua liberazione e per l'autodeterminazione – sarebbe assurdo pensare che i palestinesi stiano per mettersi il cappio al collo con le proprie mani.

L'Europa non deve continuare a tacere. I valori per cui l'Europa si è battuta da secoli e ai quali s'ispira deve concederli anche agli altri popoli.

Nota

Il Dr. Ibrahim Lada'a, un medico palestinese che per decenni aveva lavorato sotto le condizioni difficilissime imposte dall'occupazione israeliana, ormai quasi quarantenne, nei Territori Occupati, ha rivolto questo commento al pubblico europeo che i media tendono atenere all'oscuro circa i veri obiettivi delle forze d'occupazione israeliane, rendendo così largamente incomprese le terribili sofferenze inflitte ai palestinesi della Striscia di Gaza. Il Dr. Ibrahim Lada'a oggi vive in Germania ed è tra i membri fondatori della Deutsch-Arabische Gesellschaft (www.d-a-g.de) che ci ha cortesemente inviato il presente contributo. Il Dr. Lada'a cerca di spiegare al pubblico occidentale che l'assalto militare contro la popolazione occupata nella Striscia di Gaza, contrariamente a quanto dichiara il primo ministro Ehud Olmert, non ha come obiettivo la liberazione di un ostaggio, ma la distruzione delle condizioni materiali di sopravvivenza dei palestinesi resistenti alle mire espansionistiche di Israele. [ritorna al testo]

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