Due Popoli uno Stato

Volantino distribuito da "Iraq Libero" in occasione dell'incontro sulla Palestina del 18-19 novembre a Roma


Il programma dell'incontro del 18 e 19 novembre


1. Il 28 settembre 1995, alla Casa Bianca, Rabin e Arafat sottoscrivevano, dopo anni di trattative, uno "storico" Accordo di Pace tra Israele e l'OLP in base al quale, in virtù di un lento e progressivo ritiro delle truppe israeliane d'occupazione, in Cisgiordania e nella striscia di Gaza, sarebbe sorto uno Stato palestinese indipendente. Il cardine di questi accordi, dopo che l'O.L.P. aveva abbandonato il legittimo obbiettivo della liberazione di tutta la Palestina, era il principio "Due popoli, due Stati". La sinistra palestinese, il nazionalismo arabo antimperialista, assieme ad alcuni movimenti islamisti, condannarono quegli Accordi come un cedimento, affermando che non ci sarebbe mai stata vera pace fino a quando sarebbe esistito uno stato sionista artificiale conficcato nella nazione araba, come testa di ponte dell'imperialismo internazionale.

Il 5 ottobre Rabin presentava alla Knesset questi Accordi, ma essi passarono per il rotto della cuffia, grazie a due soli voti (61 a favore e 59 contro). Un mese dopo, il 3 novembre 1995, Rabin venne assassinato da un attentatore ebreo, che inspiegabilmente bucò la scorta e le guardie del corpo del Presidente. Forse i mandanti erano pezzi da novanta dell'establishment israeliano.

2. L'eliminazione di Rabin fu l'inizio della fine del "Processo di Pace". Segnava la sconfitta di quella frazione della borghesia sionista che puntava all'egemonia e all'espansione in Medio Oriente, con l'appoggio di Arafat, messo a capo di una Palestina satellitata e a sovranità limitata.

In Israele presero il sopravvento le forze più intransigenti dello schieramento sionista. Prima Nethaniau, poi Barak e infine Sharon, si dedicarono al sabotaggio sistematico degli Accordi. Non ritirarono le truppe come previsto e invece di smantellare gli insediamenti coloniali li aumentarono e li rafforzarono. In numerose interviste i dirigenti ebraico-sionisti dichiararono che non avrebbero mai accettato la nascita di uno Stato palestinese sovrano, che non avrebbero abbandonato Gerusalemme Est, né il controllo della valle del Giordano, e nemmeno le Alture del Golan. Né tantomeno considerato la possibilità del ritorno dei profughi palestinesi nelle loro case. Con la loro proverbiale arroganza ribadirono anzi che la gran parte degli insediamenti nella Cisgiordania erano avamposti strategici indispensabili alla "difesa di Israele". Il piano sionista era alquanto semplice: concedere ai palestinesi, dopo averli battuti, solo una serie di piccoli Bantustan (sul modello dell'apartheid sudafricano) privi di continuità territoriale e tutti sotto il tiro dei loro cannoni.

3. Lo scoppio della Seconda intifada, nel settembre 2000, non era quindi la causa del fallimento dei negoziati, ma la diretta conseguenza. La gran parte del popolo palestinese, aveva creduto nella pace, alla speranza di porre fine al conflitto. Aveva infatti votato in massa Arafat nonostante i suoi tentennamenti e la sua politica paternalistica. Il bersaglio dell'insurrezione (di cui gli strati più poveri erano e sono la forza motrice) non era infatti solo Israele, la sua politica vessatoria e sfruttatrice, ma pure l'Autorità Nazionale Palestinese, considerata non solo corrotta ma remissiva verso i sionisti e collusa col capitalismo israeliano, di cui sembrava una longa manus.

Invece di riprendere veri negoziati di pace, i governi Israeliani risponderanno alla Seconda Intifada con il pugno di ferro, con una repressione sanguinaria senza precedenti. Molte città sotto il controllo dell'ANP vennero rioccupate, la sede del governo di Arafat assediata, Jenin e altri villaggi rasi al suolo. Il tutto con l'appoggio degli USA e tra l'indifferenza dei traballanti e corrotti regimi arabi, la cui principale preoccupazione è quella di impedire ogni vero cambiamento nella regione.

4. La controffensiva militare sionista è riuscita alla fine a venire a capo della seconda Intifada. Sharon non ha ottenuto tutti gli obbiettivi che si prefiggeva, ma i più importanti sì.

A. Ha guadagnato il massimo terreno sul piano militare per porre la cosiddetta Comunità internazionale davanti al fatto compiuto;

B. Con centinaia di omicidi mirati e migliaia di arresti ha decapitato la resistenza palestinese, rompendo l'alleanza tra Al Fatah, Hamas, Jihad, FPLP e gli altri movimenti di liberazione;

C. Ha seppellito gli Accordi del 1995 Rabin-Arafat spianando la strada alla ben peggiore Road Map (maggio 2003) sponsorizzata dal famigerato quartetto (USA, UE, Russia e ONU)

D. ha fatto emergere, dal seno di Al Fatah una leadership palestinese collaborazionista che accetta la soluzione di uno Stato palestinese fantoccio;

E. Ha tenuto altissima la tensione in tutta la regione per consentire agli imperialisti americani di scatenare la guerra all'Iraq per far fuori il regime nazionalista e mettere quel paese in ginocchio per i prossimi decenni.

5. Il ritiro da Gaza (anzitutto dovuto alla forza della resistenza palestinese) presentato come una "svolta" è quindi solo un pendant del piano strategico del sionismo, che con la costruzione del Muro conferma di voler accettare solo un mini-stato palestinese groviera e a sovranità zero. Che l'ANP di Abu Mazen abbia accettato la bidonata della Road Map e si presti al gioco di Sharon e Peres non significa che esso sia accettato o accettabile da parte del popolo palestinese e degli antimperialisti.

In queste condizioni parlare di "pace" significa prendersi gioco dell'intelligenza. Affinché riparta un vero negoziato di pace Israele dovrebbe tenere fede agli impegni solennemente assunti nel 1995: ritirare le sue truppe entro i confini del 1967 (si è ritirato dal Libano meridionale ma solo grazie alla resistenza nazionale libanese guidata da Hezbollah), smantellare le colonie in Cisgiordania e a Gaza, accettare il principio del rientro dei profughi palestinesi, consegnare Gerusalemme Est all'ANP, consentendo così la fondazione immediata di uno Stato palestinese sovrano nei territori occupati nel 1967.

Solo in questo quadro avrebbe infine senso inviare osservatori ONU, allo scopo di verificare il pieno ritiro israeliano e vigilare le frontiere tra i due Stati (nonché quelle con la Siria e con il Libano).

6. Piaccia o meno in Palestina e Medio Oriente abbiamo uno stato di guerra permanente a bassa intensità che può nuovamente degenerare in un conflitto generale (vedi le minacce USA alla Siria e all'Iran). La vera causa di questo marasma è la politica imperialistica che non vuole perdere a nessun costo il dominio geopolitico nella regione e il controllo dei pozzi e delle rotte petrolifere. L'esistenza stessa di Israele, in quanto testa di ponte e enclave dell'imperialismo nordamericano, era, è e resterà tra le principali cause di questo conflitto infinito. Chi abbia a cuore gli interessi della pace mondiale e le sorti dell'umanità deve avere il coraggio di guardare in faccia la realtà:

(1) il sionismo (cioè la dottrina razzista di uno Stato ebraico di coloni per sua natura confessionalmente omogeneo) è irriducibile ad una soluzione equa e rispettosa fondata sul criterio "Due popoli due stati".

(2) La cosiddetta "democrazia" isrealiana è al contempo sia una democrazia schiavista dato che gli schiavi (quasi sempre non ebrei) non godono dei diritti umani e sociali fondamentali, sia un regime costitutivamente colonialista-militarista fondato sul sopruso dei nativi e il saccheggio a mano armata.

L'eventuale fondazione di uno Stato palestinese nei Territori (ulteriormente) Occupati da Israele con la guerra del 1967, ove avvenisse, sarebbe solo una tappa verso la liberazione totale della Palestina, nella prospettiva della sconfitta finale del sionismo.

Ciò non significa teorizzare uno "stato arabo etnicamente pulito", implica però che venga assicurato ai profughi palestinesi il loro diritto al ritorno (sancito dalle stesse Nazioni Unite) e quindi l'allontanemento di quei cittadini sionisti che non vogliono cessare di essere dei coloni né restituire il frutto delle loro rapine.

Il tempo mostrerà che la soluzione giusta è quella di una Palestina araba, democratica e multiconfessionale (come lo è sempre stata fino all'illegittima occupazione sionista), uno Stato unitario in cui i cittadini di religione musulmana, cristiana o ebraica abbiano quindi pari diritti.

Il rovesciamento del sionismo (gendarme della supremazia imperialistica americana in Medio Oriente) è la condizione preliminare, non solo per ottenere la liberazione nazionale del popolo palestinese e per quella delle masse arabe vittime di regimi mafiosi e dispotici, ma per la stessa emancipazione degli ebrei di umili condizioni, cittadini israeliani sì, ma vessati e di serie B.

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