Putin accusa l'Osce: «Siete servi degli Usa»

«Vogliono destabilizzarci». Ma la polemica tra Mosca e l'organizzazione che nei paesi ex socialisti certifica la qualità elettorale divide la stessa Osce. Intanto, Usa e Ue criticano la repressione degli oppositori in Russia

Barbara Yukos

Il Manifesto, 27 novembre


Putin a testa bassa contro l'Osce, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa di cui pure la Russia fa parte, e in particolare contro la sua branca denominata Odihr (Office for Democratic institutions and Human Rights), che si occupa di monitoraggio elettorale e il 16 novembre ha rinunciato a monitorare il voto alla Duma del 2 dicembre. Per Putin la decisione sarebbe stata presa «su raccomandazione del Dipartimento di stato Usa (...) con l'obiettivo di delegittimare le elezioni russe»; e Mosca ne terrà conto nelle sue relazioni bilaterali.

È l'aspro epilogo di una lunga contesa fra il Cremlino e l'organizzazione (56 stati membri). Presieduto attualmente dalla signora Urdur Gunnarsdottir e basato a Varsavia - nella Polonia che sotto i Kaczynski è stata il più fiero avversario della Russia in Europa - l'Ufficio tra i partecipanti alle sue missioni annovera molti cittadini della «nuova» Ue ex comunista, ostili a Mosca; e ha cominciato a far parlare di sé nell'era delle «rivoluzioni colorate»: per Putin, l'Odihr avrebbe svolto un ruolo di primo piano nel fomentare le opposizioni filo-occidentali e antirusse, in alcuni casi appoggiandole apertamente - mentre gli Usa le finanziavano. Dalla rivoluzione «delle rose» georgiana che detronizzò Shevardnadze (2003) a quella «arancione» di Kiev (2004) dove i 1200 osservatori, dopo aver bocciato come «viziata da pesanti brogli» l'elezione del filorusso Yanukovic, benedirono il ricorso e la successiva vittoria del team Yushenko-Timoshenko nel voto ripetuto. Poi la Bielorussia di Lukashenko: per Varsavia le presidenziali del 2006, che furono un plebiscito per l'autocrate, erano viziate alla base per l'assenza di una campagna elettorale democratica. Tutti paesi strategici per l'avanzamento Usa-Nato a est a spese di Mosca. Proprio a Minsk, l'Osce rischiò la propria credibilità quando le tv locali sorpresero suoi membri (lituani e polacchi) che distribuivano volantini anti-Lukashenka al fianco dei dimostranti. Da allora Mosca ha più volte minacciato di ritirarsi dall'organizzazione; e ieri Putin ne ha auspicato una riforma.

Gunnarsdottir respinge ogni accusa: alla base della rinuncia ci sono i ritardi e le difficoltà posti dalle autorità russe nel rilascio dei visti agli osservatori. La procedura di lavoro dell'Odihr prevede infatti di inviare una prima missione di valutazione ad alcuni mesi dal voto, poi un team di esperti a preparare il terreno 2 mesi prima, infine gli osservatori che assistono al voto. Scadenze impossibili da rispettare coi tempi imposti da Mosca. Che a ottobre ha ridotto il numero di ispettori dai 1200 del 2003 a 300, infine a 70: pochi per coprire adeguatamente il vastissimo territorio russo. Dal gruppo erano già esclusi i cittadini statunitensi. Contemporaneamente, la Russia ha aumentato il numero degli altri osservatori esteri, dal Parlamento Ue agli stessi rappresentanti dell'Ufficio centrale dell'Osce: un chiaro sgarbo all'Odihr. La sede di Vienna, del resto, nelle ultime settimane si è clamorosamente e per la prima volta distanziata pubblicamente da Varsavia, esprimendo «rammarico» per la rinuncia.

Da Bruxelles intanto la Ue - pur affermando che in Russia ci sono comunque le condizioni «per uno svolgimento equo del voto» - ha lanciato ieri un monito contro la repressione dei cortei antigovernativi a Mosca e Pietroburgo. Preoccupazioni condivise dagli Usa, ormai impegnati in una campagna a vasto raggio anti-Cremlino. Anche se da Londra l'oligarca esule Boris Berezovsky ha ammesso di pagare esponenti dell'opposizione russa per «scendere in piazza e rovesciare il regime», media e governi occidentali preferiscono ignorarlo.

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