Sudan: nuovo intervento "umanitario"?

Fonte: www.claudiomoffa.it

Ad Abuja il 4 maggio Sudan e gruppi armati del Darfur hanno raggiunto solo un mezzo accordo, per la mancata firma di una parte della guerriglia. Pace precaria dunque: che è andato allora a fare ieri il vicesegretario dell’ONU Egeland fra i profughi ancora sotto controllo dei ribelli, contro la volontà del governo sudanese che già lo aveva costretto a rientrare da un'altra missione qualche settimana fa? Una donna chiede l’invio di truppe straniere, scoppiano incidenti, ci scappa un morto.

Scena due: la notizia – ivi compresa la richiesta della sconosciuta donna, manco fosse un ministro degli esteri - rimbalza a Washington, e rafforza la richiesta di Bush di un intervento nel Darfur. Se non della NATO – come aveva chiesto la Rice il 28 aprile scorso – almeno dell’ONU.

Ecco dunque svelato lo scenario dietro i due eventi di ieri: il braccio di ferro è fra un governo sudanese appoggiato sin qui dall’Unione Africana, dalla Lega Araba, e nelle retrovie del Palazzo di vetro da Cina e Russia, e gli Stati Uniti, a loro volta divisi fra le voci più oltranziste legate ai neocons e a Rumsfeld e Cheney – che chiedono un intervento unilaterale americano o NATO – e quelle e più moderate ma in realtà tentennanti di Bush e Rice. Il Sudan cita la carta dell’ONU e ritiene la crisi un affare interno. Gli Stati Uniti, pressati dalla potente lobby israeliana “scandalizzata” per le stragi del Darfur, puntano ad una internazionalizzazione del conflitto.

Una scelta facile per i teorici dello scontro di civiltà, ma difficile per Bush, dopo il disastro dell’avventura irachena: e fra le tante ipotesi, si profila anche un possibile “scambio” fra un freno alla rischiosissima avventura iraniana e un sì a quella, apparentemente meno pericolosa, nel Darfur sudanese.

Claudio Moffa


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