Discorso pronunciato da Ralph Hartmann a Belgrado
durante la commemorazione  di Slobodan Milosevic il 15 marzo 2006

 

Traduzione dal quotidiano tedesco JUNGE WELT

“Non mi piegheranno. Riuscirò ad affrontarli ed a vincerli”; queste le ultime dichiarazioni che Slobodan Milosevic ha rilasciato il giorno 10 marzo nel corso di una telefonata con Milorad Vucelic, segretario pro-tempore del Partito Socialista Serbo (SPS). Milosevic, presidente in carica del SPS, aveva telefonato al suo vice per parlare di alcuni problemi interni di partito. In relazione al processo del cosiddetto “Tribunale dell’Aia” egli si era limitato ad osservare di aver preparato, congiuntamente a Momir Bulatovic (ex-presidente del Montenegro)  che si apprestava a comparire in veste di testimone della difesa, una documentazione che “avrebbe costituito per il tribunale il colpo sin qui più duro che mai gli sia stato assestato”.

Ma così non è stato. Nel corso di quella stessa notte quello che per lunghi anni fu presidente della Serbia e della Jugoslavia è deceduto nella sua cella. La notizia è stata accolta con costernazione da amici e sostenitori, mentre i suoi avversari all’Aia e nelle metropoli della NATO, dopo le prime ipocrite reazioni di sorpresa, hanno ripreso a cantare le sperimentate litanie contro “il mostro di Belgrado”. Non gli hanno mai perdonato di esser stato l’ultimo governo in Europa a non voler ammainare la bandiera rossa, per aver difeso ad oltranza il diritto all’esistenza dello stato jugoslavo federato e multinazionale, e per aver dato sino all’ultimo del filo da torcere alla Banca Mondiale, al Fondo Monetario Internazionale ed alla NATO. Questa era ed è rimasta la ragione che spiega l’odio profondo di questi signori. I loro canali d’informazione hanno ripetuto con convinzione esattamente quelle stesse menzogne che l’accusato aveva  smontato in modo più che convincente, e cioè la favola del “nazionalismo grande-serbo senza scrupoli”, della “sistematica pulizia etnica”, dei “massacri” consumati in Croazia, Bosnia e Cossovo, degli stupri di massa…

Non pochi commentatori respinsero in modo sdegnato l’accusa di omicidio che venne sollevata  a Belgrado ed altrove. Ma se non di un omicidio, di che cosa mai dovremmo parlare?

Un uomo può venir ucciso in diversi modi; può venir abbattuto a colpi di mazza, oppure fucilato, annegato o strozzato, ma ci sono anche dei metodi più sottili e raffinati per raggiungere lo stesso obiettivo. Slobodan Milosevic, che già durante i criminali bombardamenti della NATO  contro il suo paese era stato posto sotto accusa dal tribunale (illegale) internazionale dell’Aia per presunti crimini contro l’umanità,  fu arrestato per ordine della NATO dal governo di Djindjic il 1° aprile del 2001, rinchiuso in completo isolamento nella prigione centrale di Belgrado durante 89 giorni,  trasferito successivamente e in modo illegale all’Aia, e lì rinchiuso in una  cella  per quattro anni e nove mesi. Nella la prima fase del processo, egli venne confrontato –durante 250 giorni di dibattimento-  con le dichiarazioni dei 300 testi d’accusa citati dal pubblico ministero Carla del Ponte, fra i quali spudoratamente brillavano i responsabili per la conduzione della criminale campagna di guerra contro la Jugoslavia: i generali della NATO Wesley Clark e Klaus Naumann,  e fu inoltre letteralmente sommerso con oltre un milione di pagine contenenti la trascrizione di nastri e video. Il tribunale approfittò di ogni possibile occasione per tiranneggiarlo: le fasi di riposo e di preparazione della sua autodifesa vennero ristrette oltre ogni limite, si tentò di imporgli dei difensori d’ufficio di nazionalità britannica, lo si minacciò di vietare le visite della moglie Mira e dei familiari a lui più vicini con l’obbiettivo di minare la sua resistenza  psichica.

Malgrado questo il tribunale non è riuscito a metterlo in ginocchio. Egli dimostrò in maniera convincente, con atteggiamento sicuro e con cognizione di causa, punto per punto,  l’inconsistenza dell’accusa e la falsità delle testimonianze. Egli accusò con veemenza le ingerenze della NATO, e soprattutto della Germania, tendenti a creare le condizioni per lo  scoppio di una guerra civile, il loro sostegno ai terroristi e separatisti  del Cossovo ed infine

l’aggressione brutale ed aperta da parte dell’alleanza di guerra.

Persino alcuni osservatori della NATO dovettero riconoscere che Milosevic, da accusato, si era trasformato in accusatore; Carla del Ponte e con lei l’intero tribunale insieme ai loro mandanti stavano alla vigilia di una sconfitta .Influenti personalità negli USA dichiararono che bisognava seppellire il “tribunale-Frankestein” e mandare al diavolo la signora Carla del Ponte. Di fronte a questo pericolo i nemici di Milosevic non esitarono a minare la sua già precaria salute.

Già nel 2002 un cardiologo olandese di fiducia del tribunale aveva diagnosticato una pressione estremamente alta accompagnata da danni organici secondari e dall’allargamento dell’alveolo cardiaco sinistro. Il suo referto affermava esplicitamente  che la pressione psichica del processo comportavano per Milosevic il rischio di ictus, di infarto ed anche di morte.

Ma tribunale la pensava diversamente e non soltanto rifiutò di permettere al suo medico curante di Belgrado di curarlo, ma  giunse al punto di proibirgli l’assunzione delle medicine che il medico gli aveva  prescritto. La totale mancanza di scrupoli di questi  signori viene confermata dal rifiuto di permettere al detenuto di sottoporsi alle cure degli specialisti del centro cardiaco Bakuljew, noto a livello internazionale…

Poco prima del decesso,  egli aveva dichiarato al proprio consigliere legale, Zdenko  Tomanovic,  che lo si voleva avvelenare (1). Immediatamente Tomanovic avvertì  il ministero olandese della giustizia, la polizia e l’ambasciata russa, cui fu recapitata una lettera autografa di Milosevic per il ministro degli esteri Lawrow. L’autopsia ha confermato questa accusa. Il tentativo del tribunale e dei suoi complici di insinuare il dubbio che fosse stato proprio l’incrollabile Milosevic ad aver assunto dei medicinali che avrebbero aumentato il rischio d’infarto dimostra soltanto di quali infami e stupide bassezze questi signori siano capaci. Questo maldestro tentativo completa in certo qual modo l’immagine che il tribunale dell’Aia,  ha offerto fin dall’inizio di sé e del processo penale che i suoi mandanti gli hanno commissionato contro il presidente del paese da loro aggredito.

Slobodan Milosevic ha avuto sino all’ultimo ragione: “non mi piegheranno” aveva affermato recentemente. E in effetti non lo hanno piegato, lo hanno soltanto portato alla morte.

(Ralph Hartmann è stato ambasciatore della Repubblica Democratica Tedesca a Belgrado)


Nota

(1) Già due anni or sono Milosevic aveva denunciato al tribunale di aver casualmente assistito, durante la distribuzione del cibo, ad un frettoloso cambio della pietanza che gli era stata in un primo tempo servita con un’altra, apparentemente del tutto uguale alla prima. (Il tribunale reagì a questa denuncia con sovrana indifferenza)

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