Marx, Lenin, Stalin
su capitalismo, imperialismo e crisi

MARX


"Il processo di produzione appare soltanto come un termine medio inevitabile, come un male necessario per fare denaro. Ma tutte le Nazioni a produzione capitalistica vengono colte periodicamente da una vertigine, nelle quale vogliono far denaro senza la mediazione del processo di produzione."

Karl Marx, Il Capitale, Libro II°, Tomo I°, pag. 68. Anno 1868!
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Nelle crisi scoppia una epidemia sociale che in ogni altra epoca sarebbe apparsa un controsenso: l'epidemia della sovrapproduzione. La società si trova improvvisamente ricacciata in uno stato di momentanea barbarie; una carestia, una guerra generale di sterminio sembrano averle tolto tutti i mezzi di sussistenza; l'industria, il commercio sembrano annientati, e perché? Perché la società possiede troppa civiltà, troppi mezzi di sussistenza, troppa industria, troppo commercio. Le forze produttive di cui essa dispone non giovano più a favorire lo sviluppo della civiltà borghese e dei rapporti della proprietà borghese; al contrario, esse sono divenute troppo potenti per tali rapporti, sicché ne vengono inceppate; e non appena superano questo impedimento gettano nel disordine tutta quanta la società borghese, minacciano l'esistenza della proprietà borghese. I rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per contenere le ricchezze da essi prodotte. Con quale mezzo riesce la borghesia a superare le crisi? Per un verso, distruggendo forzatamente una grande quantità di forze produttive; per un altro verso, conquistando nuovi mercati e sfruttando più intensamente i mercati già esistenti. Con quale mezzo dunque? Preparando crisi più estese e più violente e riducendo i mezzi per prevenire le crisi.

Karl Marx, Manifesto del partito comunista, 1848 - da Marx-Engels, Opere Scelte, Editori Riuniti 1966, p.298



LENIN


Lenin elencò le seguenti cinque caratteristiche dell'epoca dell'imperialismo:

1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica;
2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo "capitale finanziario", di un'oligarchia finanziaria;
3) la grande importanza acquistata dall'esportazione di capitale in confronto con l'esportazione di merci;
4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo;
5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.

L'imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo, in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell'intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalistici.

[Capitolo VII, pp.638-639]

[L'imperialismo] è già qualche cosa di ben diverso dall'antica libera concorrenza tra imprenditori dispersi e sconosciuti l'uno all'altro, che producevano per lo smercio su mercati ignoti. La concentrazione ha fatto progressi tali, che ormai si può fare un calcolo approssimativo di quasi tutte le fonti di materie prime (per esempio i minerali di ferro) di un dato paese, anzi, come vedremo, di una serie di paesi e perfino di tutto il mondo. E non solo si procede a un tale calcolo, ma le miniere, i territori produttori vengono accaparrati da colossali consorzi monopolistici [ora definiti conglomerati multinazionali N.d.r.]. Si calcola approssimativamente la capacità del mercato che viene "ripartito" tra i consorzi in base ad accordi. Si monopolizza la mano d'opera qualificata, si accaparrano i migliori tecnici, si mettono le mani sui mezzi di comunicazione e di trasporto: le ferrovie in America, le società di navigazione in America e in Europa. Il capitalismo, nel suo stadio imperialistico, conduce decisamente alla più universale socializzazione della produzione; trascina, per così dire, i capitalisti, a dispetto della loro coscienza, in un nuovo ordinamento sociale, che segna il passaggio dalla libertà di concorrenza completa alla socializzazione completa.
Viene socializzata la produzione, ma l'appropriazione dei prodotti resta privata. I mezzi sociali di produzione restano proprietà di un ristretto numero di persone. Rimane intatto il quadro generale della libera concorrenza formalmente riconosciuta, ma l'oppressione che i pochi monopolisti esercitano sul resto della popolazione viene resa cento volte peggiore, più gravosa, più insopportabile.

[Capitolo I, pp. 584-585]

[…]L'evoluzione del capitalismo è giunta a tal punto che, sebbene la produzione di merci continui come prima a "dominare" e ad essere considerata come base di tutta l'economia, essa in realtà è già minata e i maggiori profitti spettano ai "geni" delle manovre finanziarie. Base di tali operazioni e trucchi è la socializzazione della produzione, ma l'immenso progresso compiuto dall'umanità, affaticatasi per giungere a tale socializzazione, torna a vantaggio... degli speculatori.

[Capitolo I, p.586]

Monopoli, oligarchia, tendenza al dominio anziché alla libertà, sfruttamento di un numero sempre maggiore di nazioni piccole e deboli per opera di un numero sempre maggiore di nazioni più ricche o potenti: sono le caratteristiche dell'imperialismo, che ne fanno un capitalismo parassitario e putrescente. Sempre più netta appare la tendenza dell'imperialismo 'a formare lo "Stato rentier", lo Stato usuraio, la cui borghesia vive esportando capitali e "tagliando cedole". Sarebbe erroneo credere che tale tendenza alla putrescenza escluda il rapido incremento del capitalismo: tutt'altro. Nell'età dell'imperialismo i singoli paesi palesano, con forza maggiore o minore, ora l'una ora l'altra di quelle tendenze. In complesso il capitalismo cresce assai più rapidamente di prima sennonché tale incremento non solo diviene in generale più sperequato, ma tale sperequazione si manifesta particolarmente nell'imputridimento dei paesi capitalisticamente più forti (Inghilterra).

[Capitolo X, pp. 668-669]

Parliamo del parassitismo, che è proprio dell'imperialismo.
Come abbiamo visto, la base economica più profonda dell'imperialismo è il monopolio, originato dal capitalismo e trovantesi, nell'ambiente generale del capitalismo, della produzione mercantile, della concorrenza, in perpetuo e insolubile antagonismo con l'ambiente medesimo. Nondimeno questo monopolio, come ogni altro, genera la tendenza alla stasi e alla putrefazione.

[Capitolo VIII, p.647]

Certo la possibilità di abbassare, mediante nuovi miglioramenti tecnici, i costi di produzione ed elevare i profitti, milita a favore delle innovazioni. Ma la tendenza alla stagnazione e alla putrefazione, che è propria del monopolio, continua dal canto suo ad agire, e in singoli rami industriali e in singoli paesi s'impone per determinati periodi di tempo.
Il possesso monopolistico di colonie particolarmente ricche, vaste ed opportunamente situate, agisce nello stesso senso.
Ed ancora. L'imperialismo è l'immensa accumulazione in pochi paesi di capitale liquido, che, come vedemmo, raggiunge da 100 a 150 miliardi di franchi di titoli. Da ciò segue, inevitabilmente, l'aumentare della classe o meglio del ceto dei rentiers, cioè di persone che vivono del "taglio di cedole", non partecipano ad alcuna impresa ed hanno per professione l'ozio. L'esportazione di capitale, uno degli essenziali fondamenti economici dell'imperialismo, intensifica questo completo distacco del ceto dei rentiers dalla produzione e dà un'impronta di parassitismo a tutto il paese, che vive dello sfruttamento del lavoro di pochi paesi e colonie d'oltre oceano

[Capitolo VIII, p.648]

Occorre rilevare come in Inghilterra la tendenza dell'imperialismo a scindere la classe lavoratrice, a rafforzare in essa l'opportunismo, e quindi a determinare per qualche tempo il ristagno del movimento operaio, si sia manifestata assai prima della fine del XIX e degli inizi del XX secolo. Ivi, infatti, le due importanti caratteristiche dell'imperialismo, cioè un grande possesso coloniale e una posizione di monopolio nel mercato mondiale, apparvero fin dalla metà del secolo XIX. Marx ed Engels seguirono per decenni, sistematicamente, la connessione dell'opportunismo in seno al movimento operaio con le peculiarità imperialiste del capitalismo inglese. Per esempio Engels scriveva a Marx il 7 ottobre 1858:

"... l'effettivo, progressivo imborghesimento del proletariato inglese, di modo che questa nazione, che è la più borghese di tutte, sembra voglia portare le cose al punto da avere un'aristocrazia borghese e un proletariato accanto alla borghesia. In una nazione che sfrutta il mondo intero, ciò è in certo qual modo spiegabile".


Circa un quarto di secolo più tardi, in una lettera dell'11 agosto 1881 egli parla delle "peggiori Trade-unions inglesi che si lasciano guidare da uomini che sono venduti alla borghesia o per lo meno pagati da essa".

In una lettera a Kautsky del 12 settembre 1882, Engels scriveva:

"Ella mi domanda che cosa pensino gli operai della politica coloniale. Ebbene: precisamente lo stesso che della politica in generale. In realtà non esiste qui alcun partito operaio, ma solo radicali, conservatori e radicali-liberali, e gli operai si godono tranquillamente insieme con essi il monopolio commerciale e coloniale dell'Inghilterra sul mondo"

Lo stesso dice Engels anche nella prefazione alla seconda edizione (1892) della "Situazione della classe operaia in Inghilterra" .

[Capitolo VIII, p.654]

La situazione odierna è contraddistinta dall'esistenza di condizioni economiche e politiche tali da accentuare necessariamente l'inconciliabilità dell'opportunismo con gli interessi generali ed essenziali del movimento operaio. L'imperialismo, che era virtualmente nel capitalismo, s'è sviluppato in sistema dominante, i monopoli capitalistici hanno preso il primo posto nell'economia e nella politica; la spartizione del mondo è ultimata, e d'altro lato in luogo dell'indiviso monopolio dell'Inghilterra osserviamo la lotta di un piccolo numero di potenze imperialistiche per la partecipazione al monopolio, lotta che caratterizza tutto l'inizio del XX secolo. In nessun paese l'opportunismo può più restare completamente vittorioso nel movimento operaio per una lunga serie di decenni, come fu il caso per l'Inghilterra nella seconda metà del secolo XIX; ma invece in una serie di paesi l'opportunismo è diventato maturo, stramaturo e fradicio, perché esso, sotto l'aspetto di socialsciovinismo, si è fuso interamente con la politica borghese.

[Capitolo VIII, p.655]

Le citazioni sono tratte da
V.I.Lenin, L'imperialismo fase suprema del capitalismo,
in Lenin, Opere Scelte, Editori Riuniti, 1970.
La scelta dei brani in Did Vladimir Lenin Predict The Banking Disaster Of 2008? www.informationclearinghouse.info/article20946.htm,
traduzione italiana dacomedonchisciotte.

STALIN


L'attuale crisi economica nei paesi capitalistici si differenzia da tutte le crisi analoghe, tra l'altro, per il fatto che si trascina maggiormente ed è di più lunga durata. Se prima le crisi si esaurivano in uno o due anni, la crisi attuale è già al suo quinto anno, e un anno dopo l'altro devasta l'economia dei paesi capitalistici e consuma le riserve che sono state accumulate negli anni precedenti. Nulla di strano che questa sia la più grave di tutte le crisi.

In mezzo a queste ondate tempestose di sconvolgimenti economici e di catastrofi politiche e militari, l'U.R.S.S. si erge, a parte, come una roccia, proseguendo l'opera sua di edificazione socialista e di lotta per il mantenimento della pace. Se là, nei paesi capitalistici, continua a infierire la crisi economica, nell'U.R.S.S. prosegue ininterrotta l'ascesa, così nel campo dell'industria come nel campo dell'agricoltura. Se là, nei paesi capitalistici, si intensifica febbrilmente la preparazione d'una nuova guerra per una nuova spartizione del mondo e delle sfere di influenza, l'U.R.S.S. continua invece la lotta accanita e sistematica contro la minaccia di guerra e per la pace, e non si può dire che gli sforzi dell'U.R.S.S. in questo campo non siano stati coronati da nessun successo.

G. Stalin, Rapporto al XVII Congresso del Partito
sull'attività del Comitato Centrale del Partito Comunista (Bolscevico) dell'URSS
, 26 gennaio 1934
(in: G. Stalin, Questioni del Leninismo, Edizioni in lingue estere, Mosca 1946, p.462).


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