Migliorare l'immagine

Aluf Benn

Haaretz, 16 Febbraio 2006


Tradotto dall'inglese in italiano da Manno Mauro, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica ( transtlaxcala@yahoo.com ). Questa traduzione è in Copyleft.

Il Ministro degli Esteri, la sig.ra Tzipi Livni afferma che l'attuale ONU non approverebbe la risoluzione del 29 Novembre 1947, la decisione, cioè, che stabiliva la spartizione della Terra di Israele [Palestina, ndt] e la fondazione dello stato di Israele. Livni si riferisce ad un problema vero: oggi Israele lotta per mantenere la sua legittimità di esistere come stato ebraico. La questione è ciò che il Ministro degli Esteri e i suoi colleghi del governo stanno facendo per far fronte al pericolo.

Il giornale britannico The Guardian ha pubblicato questa settimana due lunghi articoli in cui si paragona Israele al vecchio regime di Apartheid in Sud Africa. Non era cosa piacevole leggere una lista di peccati dello stato ebraico di Israele commessi contro i suoi cittadini arabi e contro i palestinesi nei territori [occupati dal 1967, ndt]: discriminazioni, separazioni, odio e occupazione. Il problema sconvolgente non è la presentazione dei fatti ma il relativo messaggio sottinteso, e cioè: se il sionismo è la stessa cosa dell'Apartheid, allora si deve ritenere che esso merita di essere sradicato come è successo per l'Apartheid.

Nel 2006 è emersa un'alleanza ideologica tra circoli di sinistra in Europa e il conservatore presidente iraniano dai discorsi infuocati. Entrambi descrivono il sionismo come uno sforzo europeo di liberarsi degli odiati ebrei del vecchio mondo a spese dei palestinesi; entrambi accusano Israele di sfruttare l'Olocausto europeo (che Mahmoud Ahmadinejad nega abbia mai avuto luogo) per opprimere gli arabi; ed entrambi vorrebbero che fosse eliminato. L'unica differenza è che il presidente iraniano propone che gli europei si riprendano dietro gli ebrei, mentre gli europei di sinistra preferiscono una minoranza ebraica in una Palestina araba (come «uno stato per tutti i suoi cittadini»).

Di solito Israele rigetta queste posizioni come manifestazione di antisemitismo. Ma anche se ciò fosse vero, il problema rimane lo stesso: Israele sta perdendo la sua presa su importanti ed influenti parti dell'opinione pubblica in Occidente, e viene sospinto nell'angolo insieme alle destre, ai gruppi cristiani che predicano in favore di una guerra di civiltà con l'Islam.

Ne risulta che c'è un crescente divario tra l'interpretazione israeliana della realtà e il modo in cui Israele viene percepito nel mondo. Alcune mosse che agli israeliani appaiono come ritiro e compromesso – a cominciare dal recinto di separazione [muro di apartheid, ndt] e il ritiro da Gaza – all'estero vengono interpretate come esercitazioni per perpetuare l'occupazione e l'annessione. Il boicottaggio che il governo Olmert ha dichiarato contro l'Autorità Palestinese in risposta alla vittoria di Hamas, da noi, viene presentata come una misura difensiva contro un nemico assassino. Ma all'estero sarà percepita come sovversione di elezioni democratiche, con lo scopo di evitare negoziati ed espandere gli insediamenti. La BBC mostrerà Olmert in gita lungo il recinto [muro di apartheid, ndt] mentre promette di annettere i blocchi degli insediamenti e la valle del Giordano, accanto a ciò mostrerà le proposte dei dirigenti di Hamas di cessare il fuoco, e le immagini della crescente miseria nei territori [occupati dal 1967, ndt] come risultato della chiusura delle frontiere e del congelamento dei trasferimenti di fondi.

David Ben-Gurion affermò che il destino di Israele dipende da due cose: la sua forza e la sua rettitudine [ah!ah!, ndt]. I suoi eredi hanno creduto che bastasse la forza. Nell'attuale campagna elettorale come nelle altre passate, i candidati sono in competizione sul punto di chi annetterà più territorio e colpirà i palestinesi più duramente. Nessuno parla dei problemi di legittimazione di Israele e dice ciò che deve essere fatto per risolverli.

Olmert un tempo ci avvertì che l'occupazione avrebbe trasformato Israele in un lebbroso, ma quando poi raggiunse la posizione di dirigente dimenticò tutto e tornò alle soluzioni di forza. Il suo rivale, Benjamin Netanyahu, il quale, come ministro delle finanze, parlava dello «tsunami dei mercati» che neutralizza i governi indipendenti e li piega alle richieste dell'economia globale, apparentemente oggi crede che la globalizzazione non si applichi alla vita politica, per cui Israele può erigere recinti [muri di Apartheid, ndt] e liquidare e ignorare la comunità internazionale.

La forza è una condizione necessaria all'esistenza di uno stato, ma da sola non è una condizione sufficiente. È venuto il momento di cambiare le priorità, e dare qualche importanza al fatto che Israele deve essere giusto [ah! ah! ah!, ndt]. Ciò non vuol dire alzarsi e scappare da tutti i territori [occupati dal 1967, ndt]. Anche dopo un tale ritiro, ci saranno cose per cui Israele sarà rimproverato e di cui sarà accusato. Ma il prossimo governo deve porre al primo posto il problema della legittimità di Israele ed investire ogni possibile energia per migliorare la sua l'immagine nel mondo.

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