Lacrime e ipocrisia:
chiude il quotidiano “Liberazione”

Marco Costa

Fonte: Stato & potenza - Quotidiano indipendente d'informazione
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22 dicembre 2011


Piero Sansonetti

A gennaio chiuderà il quotidiano “Liberazione”, come conseguenza della cancellazione retroattiva del finanziamento pubblico per i giornali cooperativi. Lo ha reso noto qualche giorno fa il comitato di redazione dell’organo di informazione del Partito della Rifondazione Comunista nel proprio sito web. A dare l’annuncio ai lavoratori di Liberazione è stato direttamente l’editore: “La Mrc, società editrice di Liberazione, ci ha comunicato che dal prossimo primo gennaio, il giornale sospenderà in via cautelativa le pubblicazioni”, si legge sulla pagina internet del giornale diretto da Dino Greco. “E’ questo il risultato immediato, spiega l’editore, della cancellazione retroattiva del finanziamento pubblico per i giornali cooperativi, di idee e di partito decisa dal governo Berlusconi e confermata dal governo Monti”, annuncia il quotidiano del partito Rifondazione Comunista. Intanto i finanziamenti pubblici ai giornali di partito restano lì dove sono e giornali come L’Unità e La Padania, cosi’ come tanti altri settimanali, sopravvivono grazie ai soldi dei contribuenti.

E’ interessante notare come, in realtà, a fronte dell’ostinato finanziamento a molte testate senza alcun seguito né referente politico o istituzionale reale, vengano falcidiati gli ultimi organi di stampa della sinistra “ufficiale”, come si evince dai dati forniti dallo stesso Governo [qui]. Quando chiude una testata giornalistica, non vi può essere che una sincera ragione di allarmante preoccupazione. Tuttavia, e lo dico con la massima sincerità, questo segnale non è per nulla inaspettato ed ha radici profonde che travalicano un sostanziale piagnisteo retorico a cui la direzione del quotidiano, in questi ultimi giorni, si è abbandonata. Ideato come testata quotidiana, dal 1991 ad oggi Liberazione non ha mai saltato un’uscita, anche se nell’ultimo biennio si era ridotto a sole 5 uscite settimanali come foglio di appena 8 pagine; uno stato davvero comatoso, a cui solo pochi affezionati ormai si rivolgevano. La decisione di chiudere è legata certamente anche ai tagli all’editoria, previsti prima dal governo Berlusconi e poi confermati dal suo successore Monti. “Relativamente all’esercizio 2010 – spiega Marco Gelmini, amministratore unico della Mrc – si registrerà un minore ricavo del 15 per cento a causa delle ridotte provvidenze dell’editoria (-511 mila Euro). Relativamente all’esercizio 2011, si può prevedere un minor ricavo da provvidenze per l’editoria nell’ordine del 70 per cento”. A nulla sono quindi valsi i sacrifici degli ultimi tempi, che, pur di mantenere la testata in vita, avevano portato a una riduzione di 23 su 30 giornalisti e di 14 su 20 poligrafici. “Ora tutti e 50, con le nostre famiglie, restiamo senza futuro – denunciano le lavoratrici e i lavoratori della testata, il Comitato di redazione e la Rappresentanza sindacale unitaria – E la testata, piccola ma con vent’anni di storia alle spalle, vede spegnersi la propria voce. Il nostro è il primo di una serie di giornali, le stime dicono almeno cento, che se il finanziamento non verrà ripristinato immediatamente, sono destinati a morire”.

Questa la situazione finanziaria amministrativa, che lascia poco spazio ad interpretazioni. Più interessante, credo, indagare sulle ragioni politiche della disfatta editoriale; varrebbe la pena di chiedersi, ad esempio, perché Liberazione vende 3000/4000 copie di media, quando il PRC vanta ufficialmente ancora 40 mila iscritti. Se i tagli all’editoria sono oggettivi, viene anzitutto da chiedersi se un organo di informazione che si dichiara “comunista” possa realisticamente pensare di campare con la ripartizione delle prebende clientelari di uno Stato borghese, piuttosto che ambire a muoversi in un regime di autonomia finanziaria (condizione necessaria e propedeutica ad una reale autonomia ideologico-editoriale). Quando oltre il 90 % degli iscritti risulta estraneo o indifferente al giornale, rimangono ben pochi appigli vittimistici di fronte alle ragioni corporative (in parte condivisibili, almeno rispetto all’arbitraria ripartizione dei fondi per l’editoria) sull’iniquità del finanziamento pubblico ai quotidiani. Basti pensare che PRC-FdS può vantare ancora un bacino elettorale di quasi un milione di voti, per sottolineare la quasi totale estraneità dei militanti-elettori comunisti alla causa del quotidiano. Certo, si dirà, criticare è sempre più facile che fare, tuttavia la voragine, il distacco che questo quotidiano aveva solcato rispetto alle ragioni dei “comunisti” paiono oggettive, ahimè. Tale situazione si colora di tratti surreali se si pensa che, appena un paio di anni fa, un’altra testata storica della sinistra comunista “ufficiale” – La Rinascita della Sinistra – organo del PdCI (ereditato dal vecchio PCI) prima come testata quotidiana poi come settimanale, ha desolatamente cessato le pubblicazioni. Ancora più grottesco risulta questo episodio – assai emblematico del frazionamento burocratico imperante all’interno del PRC – alla luce del fatto che tutte le correnti interne al movimento politico proseguono le loro pubblicazioni di mensili o bimestrali patinati: Essere Comunisti (bimestrale di riferimento dell’area Grassi), Su La Testa (ferreriani), FalceMartello (area trotskista), oltre alla rivista Marx21, portavoce della componente ex PRC avvicinatasi al PdCI, che ha inglobato la vecchia area Ernesto (senza dubbio questa rivista presenta una caratura intellettuale ed ideologica di assoluta rilevanza rispetto a quelle precedentemente segnalate).

Emblematicamente, questo frazionamento editoriale è assai rappresentativo del frazionamento dei microapparati burocratici di Rifondazione, dove sembrano essere più curate le ragioni della parte correntizia rispetto alla dimensione del tutto-partito; come sembra assurdo che una Federazione della Sinistra – cartello elettorale rappresentativo ormai di un blando 2% dell’elettorato nazionale – possa nascondere al proprio interno quattro organizzazioni confederate, di cui la maggiore, il PRC appunto, è a sua volta sgretolato in almeno 4 correnti autonome interne.

Liberazione, che pure ha presentato nel primo decennio della sua vita editoriale un esperimento parzialmente riuscito (se non altro stabile) nel panorama editoriale della sinistra, non può non essere ricordato per le sue ultime pirotecniche divagazioni revisioniste, tali da farlo somigliare maggiormente al bollettino di una qualche organizzazione neoumanistica rispetto all’organo di un partito autenticamente marxista; con la nefasta e grottesca gestione del vendoliano salottiero Piero Sansonetti (stipendio mensile in doppia cifra per produrre un decremento delle vendite ed un buco di bilancio di oltre 3 milioni di euro, ben compensati con una buonuscita multimilionaria, e sconosciuta, a suo favore) la credibilità del quotidiano, impegnato in surreali inserti quali Queer che inneggiavano settimanalmente alla bontà delle ragioni omosex, o il costante accanimento anticinese della linea editoriale (basti pensare ai numerosi articoli dedicati a dissidenti filo-atlantisti come l’autrice Lijia Zhang, o i ripetuti articoli sulle presunte brutalità antidemocratiche nella nuova potenza asiatica, sullo stile di un bollettino informativo di Amnesty International) è andata via via scemando. Peraltro la carriera di Sansonetti presenta degli aspetti decisamente divertenti, ma pone anche degli interrogativi seri su come un personaggio del genere abbia potuto dirigere per molto tempo il quotidiano del maggior partito della sinistra “di alternativa” italiana. Nel 1990 Sansonetti arriva a L’Unità, dove ben presto diventa vicedirettore e poi condirettore. E gli anni Novanta per L’Unità sono stati quelli della crisi di vendite che ha portato, nel 2000, alla chiusura del giornale. Gennaro Carotenuto ricordò che “Quando morì Diana Spencer riuscì a disgustare tutti e ad accelerare il percorso verso il fallimento titolando ‘Scusaci principessa’ e dedicando una dozzina di pagine a quello che considerava l’evento del secolo”.

Passato a Liberazione, si sente investito di una missione singolare: quella di sostenere posizioni di destra qualunquista dalle pagine di un quotidiano nominalmente di sinistra. I redattori di Liberazione raccontano di aver avuto difficoltà a riportare le difficoltà giudiziarie dei vari esponenti di Forza Italia, e in particolare di Dell’Utri: il direttore si opponeva sistematicamente a posizioni troppo ostili, bollandole come “giustizialismo”. Ma la polemica più accesa scoppia a fine maggio 2007, quando sul quotidiano di Rifondazione compaiono alcuni articoli di tale Angela Nocioni contro Cuba, che offendono e sbeffeggiano il padre di Fabio Di Celmo, vittima di un attentato avvenuto nel 1997, e le famiglie dei cinque agenti dell’antiterrorismo cubano ingiustamente detenuti negli Stati Uniti. A sinistra c’è un’ondata di indignazione ma Sansonetti, difeso dall’area “innovatrice” del partito Bertinotti-Vendola, prosegue imperterrito sulla strada dell’esibizionismo e dell’anticomunismo.

Nel febbraio 2008 si fa intervistare da Il Secolo d’Italia facendo una sviolinata a Gianfranco Fini e al sindacato di destra UGL: “esprime posizioni originali e culturalmente interessanti”. Si segnala ancora una volta per l’affondo contro Fidel Castro, che confessò – all’interno di un suo editoriale – di odiare in quanto despota autoritario che nulla avrebbe avuto da invidiare in fatto di autoritarismo ad Adolf Hitler…

Liberazione si ridusse così a giornale allo sbando in cui nessuno si riconobbe più: passa da 10mila copie, con punte di 13mila, a 4mila, nel giro di un biennio. Nel frattempo arriva la batosta della Sinistra Arcobaleno. Rifondazione rimane senza parlamentari e senza i relativi finanziamenti pubblici. Le perdite generate dalla gestione di Liberazione sono ormai insostenibili e imporrebbero un deciso cambio di rotta, ma nonostante i risultati fallimentari Sansonetti rimane al suo posto. I bertinottiani ad ogni tentativo di rimuoverlo gridano al colpo di Stato e strepitano contro lo “stalinismo”. Anche su questo tema, furono davvero farsesche le posizioni anticomuniste su temi quali il Patto Ribbentropp-Molotov, la “dissidenza anti-sovietica”, la difesa dei moti controrivoluzionari ungheresi e cecoslovacchi e tutta una serie di chicche quotidiane del genere.

Sansonetti si scatena: nel maggio 2008 chiede la grazia per Anna Maria Franzoni, la donna condannata per il delitto di Cogne, uno dei tormentoni di Bruno Vespa. Nell’estate del 2008 difende a spada tratta la ministra Carfagna dopo l’intervento di Sabina Guzzanti al No Cav day, che definisce “fascistoide e barbaro“. Nel novembre 2008 dedica paginate entusiaste alla vittoria di Vladimir Luxuria nel reality L’Isola dei Famosi. Titoli imbarazzanti come “Grazie Simona Ventura”. In televisione e alla radio è onnipresente: un personaggio che si dichiara di sinistra ma dà sempre ragione alla destra non può mancare in nessun talk show, soprattutto in quelli più faziosi. Le comparsate a “Porta a Porta”, “La vita in Diretta” e “Zapping” si sprecano e si concludono sempre con figuracce epocali. Alla fine del 2008 finalmente viene cacciato da Liberazione e sostituito da Dino Greco – di formazione sostanzialmente tardo-operaista – che presenta una modalità di conduzione certamente meno imbarazzante ma che, alla luce della contemporanea estromissione del partito dalle istituzioni nazionali e relativo prosciugamento dell’accesso al finanziamento pubblico, non ha potuto far altro che assottigliare le pagine e ridurre le uscite.

Insomma si chiude la contraddittoria esperienza editoriale di Liberazione; un quotidiano che, troppo spesso, ha dimostrato di fregiarsi solo nominalmente dell’appellativo “comunista”, abbinando, nella banalità intellettuale di certa sinistra nostrana, radicalismo civile ed occidentalismo libertario acritico. Sperando di non peccare di cinismo, viene in mente una citazione del commediografo inglese John Osborne: “Anche il libro peggiore ha una pagina buona: l’ultima”.

Speriamo se ne aprano presto di nuove, ma differenti.

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