Iraq: la resistenza continua

da Iraq Libero - Comitati per la resistenza irachena

La resistenza continua. Non è uno slogan, non è retorica né faciloneria.
La resistenza agli occupanti continua in Iraq, a due mesi da una farsa elettorale che per ora non ha prodotto alcun governo. A febbraio, dopo la truffa sul numero dei votanti, gli americani hanno imbrogliato anche sui voti attribuiti alle varie liste, tentando in questo modo di costruire un “quadro politico” che fosse in qualche modo “credibile”. Dopo due mesi il parlamento iracheno ha eletto il suo presidente e prima o poi qualche nuovo governo fantoccio nascerà, ma la sua credibilità sarà identica a quella dei vari Chalabi ed Allawi non a caso rimasti in gioco anche dopo il voto del 30 gennaio.

In queste ultime settimane gli USA hanno preferito la tattica del parziale ripiegamento, evitando lo scontro diretto con le forze della guerriglia per limitare le perdite. Gli imperialisti preferiscono ovviamente esporsi il meno possibile, mandando allo scoperto il cosiddetto “esercito iracheno” da loro messo in piedi. Ma il dato fondamentale è che la Resistenza, in un quadro internazionale particolarmente negativo (si pensi all’appiattimento dell’Europa sulle posizioni USA), mantiene un buon livello di iniziativa militare, arrivando in qualche caso ad azioni di guerriglia particolarmente complesse, come l’attacco che è stato portato al carcere di Abu Graib, noto a tutti per essere il principale luogo delle torture americane.

Come abbiamo sempre sostenuto, è necessario che la Resistenza compia un salto di qualità politico che porti alla formazione di un vero e proprio Fronte di Liberazione Nazionale e conseguentemente di un comando politico-militare unificato.

Tuttavia, davanti all’offensiva politica degli occupanti, volta principalmente alla spaccatura del paese sul fronte interno, ed alla propaganda sulla “democratizzazione” insita nelle elezioni su quello internazionale, la Resistenza ha saputo tenere nel migliore dei modi.  

In occidente, le manifestazioni del 19 marzo hanno mostrato l’esistenza di un’area di sostegno certo minoritaria, ma significativa. I numeri dei partecipanti, naturalmente ben distanti da quelli di due anni fa, ma anche da quelli dello scorso anno, vanno letti alla luce dell’attuale crisi del movimento contro la guerra.

Una crisi che ha tanti motivi, ma che certo è legata da un lato alle scelte opportuniste di quasi tutto il ceto politico della sinistra “politically correct (e da questo punto di vista non si denuncerà mai abbastanza il ruolo nefasto di Bertinotti), e dall’altro all’incredibile ritardo con il quale altri settori del movimento si sono accorti della resistenza. Un ritardo che, nel caso italiano, ha prodotto le solite ambiguità anche nell’impostazione della giornata del 19, a differenza di altri paesi dove ben più chiaro è emerso il sostegno aperto alle forze della Resistenza.

Nonostante questi limiti, segnalati nel volantino “Chi ha paura della Resistenza irachena?” che abbiamo distribuito a Roma, possiamo essere soddisfatti per la mobilitazione del 19, per il numero dei partecipanti, per il clima generale e per lo spezzone aperto dallo striscione “CON LA RESISTENZA IN IRAQ, PER L’INTIFADA IN PALESTINA”, che ha raccolto, oltre ai Comitati Iraq Libero, le forze più avanzate nell’azione politica a fianco della lotta di liberazione del popolo iracheno.

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