Il terzo anno della Resistenza irachena:

CHI STA CON CHI?

La cartina di tornasole della politica italiana

Mentre la Resistenza irachena è entrata nel suo terzo anno di attività, la coalizione messa in piedi dagli Stati Uniti mostra palesi difficoltà, politiche e militari. La stessa farsa elettorale del 30 gennaio non è stata in grado di produrre un governo minimamente credibile.

In questo quadro le tensioni tra alleati stanno crescendo. Alcuni paesi hanno già ritirato le truppe, altri lo hanno annunciato, altri ancora sembrano intenzionati a farlo. Anche il governo italiano è stato costretto ad annunciare, sia pure nel solito modo ipocrita e pasticcione, il ritiro delle truppe da Nassyria per l’inizio del 2006. E’ questo un chiaro successo della Resistenza, una conferma della sua forza e del suo radicamento popolare. Ed è un successo di chi non ha smesso di mobilitarsi in questi due anni contro l’occupazione, e che ora deve riproporre con forza l’obiettivo del ritiro immediato, fino all’ultimo soldato, del contingente italiano dall’Iraq.  

La stessa vicenda Calipari ha evidenziato serie incrinature nell’alleanza che si è formata nel 2003 per dare copertura all’occupazione angloamericana, mostrando che di fronte alle difficoltà anche tra alleati si gioca sporco.

La tesi dell’incidente – avvalorata sia pure in termini diversi dai due rapporti (americano ed italiano) –  non è affatto convincente. D’altra parte, se incidente fosse stato, che senso avrebbero avuto due conclusioni distinte? E perché l’ossessiva preoccupazione dei filoamericani di casa nostra di non incrinare il rapporto con gli USA?   

Quello che è certo è che gli americani hanno esibito il loro solito strapotere anche nell’attività della commissione d’inchiesta, in base alla dottrina di American Service Members Protection Act (usare ogni mezzo necessario per sottrarre militari o agenti USA a qualsiasi giurisdizione esterna).

Se da parte americana c’è stata la solita protervia, da parte italiana c’è stato l’abituale servilismo preoccupato unicamente di salvare la faccia. I timidi segni di indipendenza, che lo stesso Berlusconi è stato costretto a manifestare, sono certo il frutto dell’avvicinarsi delle elezioni politiche e (proprio in considerazione di questo) della consapevolezza di un’ostilità diffusa verso la guerra americana.  

Questi deboli segnali, che certo non intaccano la subalternità italiana, sono stati però sufficienti ad aprire la gara a chi è più filoamericano nel nostro paese. In questo senso la posizione verso la lotta di Resistenza del popolo iracheno è la vera cartina di tornasole della politica italiana. Ma se il servilismo atlantico, pur cucinato in varie salse, accomuna notoriamente tutto il centrodestra,  è sul centrosinistra che si appresta a tornare a Palazzo Chigi che è necessario accendere i riflettori.

I fatti sono davanti ai nostri occhi:

1. Di fronte alle tensioni USA-Italia il centrosinistra ha scelto i toni bassi, puntando ad accreditarsi come interlocutore più solido, più stabile ed affidabile verso il governo di Washington.

2. Il tema del ritiro delle truppe è sostanzialmente scomparso, paradossalmente proprio nel momento in cui questa prospettiva va concretizzandosi per il fallimento dei sogni neocoloniali di Berlusconi e Fini. Ovviamente sul piano formale la questione continua ad essere posta, ma seguitare a sostenere che il ritiro non ha da essere immediato equivale a dire che non verrà mai richiesto seriamente.

3. Le dichiarazioni di D’Alema sull’esportazione della democrazia, se necessario con la forza, chiudono il cerchio e danno la linea al futuro governo dell’Unione, riportando in maniera plateale – checché ne dica Bertinotti – alle scelte del D’Alema bombardatore della Jugoslavia nel 1999.

4. La smodata esultanza dei capi dell’Unione, per la rielezione in Gran Bretagna del criminale di guerra Blair è l’ulteriore riprova di un orientamento che certo non subirà modifiche sostanziali per l’iniziativa della cosiddetta “sinistra del centrosinistra” (Prc, Pdci, Verdi).  

Davanti a questo quadro, certo non sorprendente ma ben illuminato dalle vicende delle ultime settimane, è necessario rilanciare una forte iniziativa a sostegno della Resistenza irachena.

E’ giunto il momento in cui tutte le forze che intendono sinceramente opporsi al disegno imperialista della Casa Bianca devono sostenere esplicitamente la Resistenza.

Chi continua a tergiversare, pur di aggirare questo nodo, finisce per dare una mano ai politicanti incalliti che usano l’opposizione alla guerra per affondare Berlusconi solo per prenderne il posto di servile alleato degli imperialisti americani.

L’assemblea convocata a Roma per il prossimo 15 maggio da alcuni settori del movimento contro la guerra fa registrare un passo indietro rispetto alla stessa piattaforma della manifestazione dello scorso 19 marzo. Se allora si riconosceva perlomeno la legittimità della resistenza, pur evitando di esprimere il sostegno, oggi ogni riferimento alla Resistenza è stato cancellato, con uno spostamento a destra parallelo a quello delle forze del centrosinistra. In questo modo si nega la realtà dei fatti: si nega il fatto elementare che se resistenza armata non vi fosse stata in Iraq, in occidente non esisterebbe più neppure la parvenza di un movimento contro la guerra; si nega la centralità oggettiva di questa battaglia nel confronto globale tra l’imperialismo e la resistenza dei popoli e degli oppressi; si nega la necessità di uno scontro aperto con le tesi bertinottiane e con la logica del regime bipolare. In sostanza si nega l’essenziale.  

Noi pensiamo che si debba percorrere un’altra strada. Una strada illuminata dalla chiarezza degli obiettivi e dall’analisi delle forze in campo. La strada di una lotta all’imperialismo che aggredisce paesi e popoli unicamente colpevoli di non voler chinare la testa; una lotta non proclamata astrattamente, bensì concretamente praticata nelle condizioni odierne. Una lotta che oggi esige soprattutto il pieno sostegno, senza se e senza ma, ai resistenti iracheni.

E’ su questa base che lavoreremo per la massima unità. Ed è su questa base che invitiamo tutti quanti vi si riconoscono a sviluppare un lavoro comune, a partire dalla preparazione e dall’organizzazione della Conferenza Internazionale a sostegno della Resistenza che si terrà a Roma agli inizi di ottobre. Ed è la stessa base che ci farà realizzare nelle prossime settimane una ventina di incontri, in altrettante città italiane, con un rappresentante della Resistenza in Europa.  

La Resistenza in Iraq continua, come la nostra lotta al suo fianco. E’ il momento di rafforzare e di espandere l’iniziativa, di battere la passività, di superare le incertezze. E’ il momento di realizzare un grande salto di qualità. Anche per le forze che hanno animato il movimento contro la guerra sarà questa la vera cartina di tornasole.  

Comitati Iraq Libero

11 maggio 2005


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