Abolire la Borsa

Carlo Gambescia

7 ottobre 2008
Fonte: carlogambesciametapolitics.blogspot.com


Le persone comuni si chiedono ora che succederà. La caduta dei titoli borsistici, qualora proseguisse con questo ritmo, potrebbe portare le società quotate (industriali, assicurative, bancarie eccetera) all’insolvibilità e al crollo economico. E questo a prescindere dal rifinanziamento, pure qui caldeggiato, che non può però durare all’infinito, pena una crescita dell’inflazione a livelli weimariani.

Il meccanismo purtroppo è semplicissimo, se A, vede sparire in un giorno i suoi risparmi in azioni, conti correnti, eccetera , non potrà saldare i suoi debiti con B; B a sua volta non potrà rifondere C. E così via. Restano ovviamente le disponibilità patrimoniali di A,B,C, e di tutti gli altri.. Che però, se immesse sul mercato tutte insieme, come di solito avviene, per realizzare liquidità, rischiano, di regola, di far crollare i prezzi dei beni patrimoniali venduti, e quindi di impoverire ulteriormente i venditori, già coperti di debiti, e, al tempo stesso, incapaci di riscuotere i crediti. Come dire: il lungo serpente economico, fatto di crediti e debiti sostanzialmente inesigibili, finisce per mordersi la coda. E morire soffocato.

Di solito in tali situazioni pochissimi si arricchiscono, quelli che già dispongono di enormi capitali, e moltissimi impoveriscono, quelli che di capitali non dispongono, la maggioranza delle persone.

Che fare? L’intervento, come abbiamo scritto in altri post, deve essere pubblico, sistematico e strutturale. E perciò diretto a rianimare l’economia reale. Salvaguardando a tutti i costi l’occupazione e i redditi della stragrande maggioranza delle persone. Soprattutto vanno evitati i fallimenti a catena, per le ragioni creditorie-debitorie di cui sopra.

A questo punto, per evitare che pochi si arricchiscano a danno dei molti, intanto suggeriamo una misura-tampone: chiudere temporaneamente la Borsa. Proprio per impedire alla radice, in un momento così difficile, qualsiasi forma di speculazione. E per il futuro, invece, una misura ancora più radicale: la sua abolizione. E' vero che storia e funzioni della Borsa, le cui origini risalgono al Cinquecento (nel 1531 venne fondata la Borsa di Anversa), sono legate allo sviluppo del capitalismo. Ma a quanto pare in misura sempre più negativa e parassitaria.

Ma facciamo pure un passo indietro. Sul piano della teoria economica la Borsa è da sempre presentata come uno strumento di finanziamento delle imprese e di investimento per i risparmiatori. Per contro sul piano della pratica ha sviluppato, fin dall’inizio, una crescente funzione speculativa, riflettendo scambi non sul valore reale delle imprese (la produzione e i profitti effettivi), ma speculazioni su valori congetturali e sempre più spesso irreali ( la produzione e i profitti futuri). A puro scopo di lucro e a danno dei risparmiatori. Soprattutto quando produzione e profitti futuri rispecchino valori irreali ma diffusi ad arte per influenzare il mercato in chiave rialzista o ribassista. Per così profittare, sulla base di scambi a termine, delle differenze tra valori puramente ipotizzati: in pratica immaginari.

Se tuttavia fino alla grande crisi degli anni Trenta del Novecento, la Borsa aveva comunque svolto una funzione di finanziamento, con l’avvento del capitalismo manageriale e la conseguente distinzione tra proprietà azionaria e direzione strategica affidata ad amministratori delegati, l’aspetto speculativo è passato in primo piano. Alla fierezza dell’ imprenditore e spesso unico azionista, di essere il “fondatore” di un impero economico da estendere e difendere, si è sostituita la necessità di appagare la crescente fame di profitti a breve (in genere borsistico-speculativi e nel lungo periodo autolesionistici per il "sistema"), da parte di quasi sempre anonimi gruppi di azionisti, per nulla fieri, se non del tutto estranei ai lati eroici ed imprenditoriali del capitalismo, celebrati da Schumpeter. Hanno fatto il resto il progresso nelle comunicazioni e la crescente diminuzione dei controlli da parte dello stato-nazione di enormi masse fluttuanti di denaro. Accelerando, com' è sotto gli occhi di tutti, la micidiale frequenza di crisi borsistiche sempre più gravi. Che attenzione - ecco il punto fondamentale - sono di natura puramente speculativa. Ma che purtroppo a lungo andare, come abbiamo già sottolineato, non possono non influire sull’economia “reale”, producendo crisi “reali”, sempre più gravi. Giocando quell’effetto moltiplicatore (in negativo), di cui sopra, su tutti gli altri fattori.

Naturalmente, come nostro solito, abbiamo semplificato (forse troppo) un problema complesso. Ma "l'invito" resta: sul breve periodo, vista la gravità della crisi, tutte le attività borsistiche andrebbero sospese. E su quello lungo abolite. Sì, a-bo-li-te. E l’abolizione della Borsa potrebbe essere il primo passo verso un nuovo modello di sviluppo. O comunque, in direzione di un capitalismo, a bassa velocità, capace di finanziarsi ricorrendo a valori reali e non fittizi, evitando qualsiasi forma di anticipazione di capitale, sia bancaria che borsistica.

Si dirà un bel rebus. Certo. Ma perché non augurarsi, per il bene di tutti, che gli economisti, quelli veri e non al servizio dei poteri forti, tornino finalmente a pensare? A “produrre” idee nuove e non ripetere la solita lezioncina sulla mano invisibile. Ora, basta.

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