Il governo di unità nazionale chiude la partita?

La situazione post-elettorale ci ha messo di fronte ad alcune questioni sulle quali si misura la possibilità di trasformazione dell'astensionismo politico in capacità di affrontare una situazione che da virtuale è diventata effettiva.

Alla vigilia del voto era già chiaro il senso della svolta: destra e sinistra di sistema avevano deciso di spartirsi i ruoli arrivando ad un bipartitismo di fatto che superava i blocchi elettoralistici precedenti e portava all'istituzionalizzazione di due forze di riferimento per l'intero quadro rappresentativo parlamentare. L'operazione è riuscita perfettamente anche se ci sono aggiustamenti in corso d'opera per ricondurre l'insieme delle forze in via di disgregazione dentro l'alveo delle case madri. In particolare questo aggiustamento sta avvenendo a sinistra.

L'inciucio che alcuni mesi fa si paventava tra Berlusconi e Veltroni e che sembrava riguardasse prevalentemente la spartizione del potere di rappresentanza, è diventato però qualcosa di qualitativamente diverso: un progetto cioè di cogestione del potere, sotto la direzione del governo di destra, ma con la collaborazione a tutti i livelli istituzionali dei rappresentatnti dell' 'opposizione'.

La novità non è di poco conto e implica una serie di conseguenze. Difatti, non abbiamo fatto in tempo a rallegrarci del crollo dell'Arcobaleno che ci siamo trovati di fronte a una sorta di unità nazionale con l'obiettivo della concertazione sulle scelte di fondo del governo. In prospettiva non si prevedono crepe, ma continue ricuciture tra le forze sistemiche sulle 'questioni concrete'. Economia, sicurezza, politica estera e comunitaria, governo delle questioni locali, scuola ecc. ecc. diverranno il terreno di incontro con cui si cercherà di dominare le contraddizioni e riportarle sotto controllo.

Di fronte a questa nuova realtà c'è molto smarrimento sotto il cielo. Ciò che sta accadendo è sotto gli occhi di tutti: il disgusto monta, il gioco è scoperto. Ma l'interrogativo che si pone è come sia possibile affrontare la nuova situazione. E’possibile, in altri termini, rompere questa cappa? Le risposte che vengono da 'sinistra' a questo proposito sarebbero semplicemente patetiche se non fossero un nuovo tentativo di imbrogliare e di ricostituire rendite di posizione. Mentre i governisti dell’arcobaleno difatti fabbricano strategie e determinano un ulteriore spezzatino delle residue forze, appare evidente che i contaminatori bertinottiani al più hanno la possibilità di vivacchiare, certamente non di invertire la tendenza. In questo contesto anche coloro - e sono tanti, e noi tra questi - che hanno brindato per il crollo dell’Arcobaleno si pongono il problema di passare a una nuova fase. Partendo principalmente dalla considerazione che il cambiamento di equilibri, in caso di rinuncia a intervenire, porterebbe a una stabilizzazione pesante fatta di controllo sociale concertativo, di repressione, di uso della mobilitazione qualunquista. In altri termini, eppur bisogna andar…

Molti di noi si chiedono però, giustamente, se sia possibile tentare e con quale proposta. Una cosa è certa: i tempi sono stretti per trovare una soluzione e definire una scelta. Una scelta che sappia sciogliere la contraddizione tra una gestione sempre più reazionaria del potere e una condizione sociale sempre più drammatica. Se partiamo da questo livello di coscienza troveremo la soluzione giusta, che non può essere fatta di luoghi comuni e che sappiamo non sarà facile materializzare. Ci basta pensare però che possa almeno portare ad aprire una fase nuova. E non è poco.

Erregi

21 maggio 2008


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