IMPERIALISMO E NAZIONALISMO

Come è abitudine nella tradizione ideologico-gruppettara che pone le questioni fuori dalla storia e dai processi storici, anche la vicenda del Tibet e del Dalai Lama è oggetto di travisamenti ed esaltazioni 'rivoluzionarie'. In questo contesto vivono due tendenze. Quella occidentalista democratica, che spinge Bertinotti a manifestare insieme ad Alemanno per la 'libertà' del Tibet, e quella occidentale 'rivoluzionaria' che prende spunto dall'"oppressione" dei tibetani per unirsi al coro delle proteste.

Certamente le nostre considerazioni non possono riguardare la sinistra imperialista, che è sempre schierata contro le 'barbarie' dei popoli incivili che non hanno il linguaggio di Bertinotti. Su questo abbiamo scritto più volte e l’argomento è scontato.

Peraltro, contro la sinistra imperialista che si manifesta col governismo europeista, coll'orrore nei confronti del 'terrorismo' arabo, colla difesa dello stato nazisionista di Israele si sono schierati alcuni settori di compagni e di compagne, anche se abbastanza minoritari, che hanno le ideee chiare.

La vicenda del Tibet, purtroppo, oltre a rilanciare la campagna della sinistra imperialista, ha  fatto uscire dalle nicchie rivoluzionarie anche persone che pure svolgono una funzione politica apprezzabile. Per intenderci, ci riferiamo a Roberto Massari e ai compagni del Campo Antimperialista, che hanno sentito il bisogno di pronunciarsi sul Tibet, anche se con diversità di accenti.

Ebbene anche noi vogliamo pronunciarci sul Tibet, ma non per gridare alla repressione Han contro il Tibet, ma per mettere in luce due cose.

Una, specifica, che riguarda il Dalai Lama e la sua cricca di bonzi. E’ evidente che questa cricca agisce in nome e per conto dell’imperialismo occidentale e americano in particolare. Permettere che le olimpiadi sanzionassero la grande ascesa cinese sarebbe stato, con la crisi economica in atto, troppo per gli Stati Uniti. Un’operazione audace e coordinata della CIA in versione tibetana è proprio quello che serviva. Diciamo che lo stato cinese è stato fin troppo moderato nella reazione, il che ha consentito a quella banda di controrivoluzionari tibetani di tentare un pogrom incendiando negozi cinesi e bruciando anche chi ci lavorava dentro.

Dobbiamo solidarizzare con l’operazione CIA? Dobbiamo essere dalla parte dei tibetani ‘oppressi’? Chi combatte veramente l’imperialismo deve stare da un’altra parte. E gli antimperialisti sono impegnati da anni a denunciare l’operazione Kosovo, l’operazione Darfur ecc ecc. La linea ‘etnica’ è la linea dell’imperialismo oggi.

Seconda questione. Non esiste forse, ci dicono però i critici di sinistra, una questione nazionale, per i tibetani come per altri popoli?

Per il Tibet, quelli che si considerano rivoluzionari, dovrebbero riflettere sul fatto che lo scontro è il prodotto evidente della continuità con la storia cinese dopo il ‘48. Negli anni cinquanta quando la rivoluzione ha spazzato via il regime feudale dei bonzi, ora con l’avanzare di un processo di ascesa economica che non può non riguardare anche il Tibet. La questione etnica non c’entra, i fatti ci dicono che lo scontro è tra reazione e trasformazione. E, per capirci, noi non siamo mai andati in giro sventolando  libretti rossi, ma abbiamo come riferimento la politica dei comunisti che ha permesso la creazione dell’Unione sovietica e della Jugoslavia. Sappiamo dunque riconoscere le caratteristiche ’nazionali’ di certi processi che hanno portato alla dissoluzione di questi stati a vantaggio dell’imperialismo.

AGINFORM

31 marzo 2008


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