2008: chiariamoci le idee

Abbiamo sottolineato più volte che dentro la mucillagine rossa e ancor più rossa che si agita sul palcoscenico del già visto si sono aperti squarci di lucidità che mettono in evidenza un comune sentire su alcune questioni di non poco conto. In particolare ci sembra che il nuovo modo di pensare che emerge da questi squarci abbia il merito principale di sottrarsi alle storiche diatribe tra 'moderati' e 'rivoluzionari', diatribe che generalmente sfuggono all'analisi dei dati oggettivi e risultano spesso piuttosto sterili.

Dove sono i punti di novità? Il primo squarcio si è aperto sulle questioni internazionali. Mentre la sinistra imperialista sosteneva il governo della guerra nelle sue scelte operative e nei suoi contorni strategici, dalla Jugoslavia al Darfur al Dalai Lama alla Somalia, ecc. ecc., alcuni settori, seppur limitati, hanno decisamente rotto col pacifismo governista e imposto la discussione sul valore delle resistenze e in particolare sulla resistenza irachena. Ricordate la grande assemblea di Roma del 2 ottobre 2005?

La discussione ha poi investito la questione sionista. Questo problema era stato rimosso non solo ad opera delle lobby ebraiche italiane, ma anche per una deriva opportunista che ha introiettato l'equiparazione antisionismo-antisemitismo, favorendo così l'azione imperialista e il genocidio dei palestinesi. Il punto più alto dello scontro si è avuto con la vicenda della chiusura dell'università di Teramo e l'intervento degli squadristi 'nazisionisti' romani per impedire la conferenza di Faurisson e con il rifiutodella pubblicità dei quaderni di Aginform sulla questione sionista da parte della direzione di Liberazione. Anche la vicenda palestinese ha avuto, nel dibattito politico, punti di differenziazione qualificanti. Mentre la sinistra filomperialista e governista si appiattiva su Abu Mazen l'amerikano, e gli 'amici' nostrani dei palestinesi ripetevano la solita giaculatoria sui due popoli e due stati inventandosi terze vie e prendendo decisamente le distanze dalla grande vittoria di Hamas a Gaza si sono andate moltiplicando, soprattutto ad opera del Campo antimperialista, iniziative di sostegno alla resistenza islamica.

Pure l'11 settembre ha aperto un varco dentro il perbenismo pacifista riproponendo la verità documentata che ha preso corpo nella grande iniziativa dell'Arena del Sole a Bologna (settembre 2006), nel tour di Webster Tarpley per presentare in molte città italiane il volume 'La fabbrica del terrore', nella pubblicazione del dossier di Aginform 'L'autoattentato' e nell'iniziativa di Giulietto Chiesa che ha portato al film Zero e al libro che porta lo stesso titolo.

Sulla politica interna e sulle vicende della sinistra, sono venuti importanti contributi con l'uscita dei volumi 'La sinistra rivelata' di Badiale e Bontempelli e i 'Forchettoni rossi', una raccolta a più voci curata da Roberto Massari [vedi la recensione da Megachip]. Forse per la prima volta si è usciti dagli 'storici' scazzi tra gruppi per analizzare più a fondo il punto di arrivo della sinistra e della sua area 'radicale'.

Il movimento critico verso queste forze ha finalmente fatto un salto qualitativo. Da questo punto di partenza derivano conclusioni politiche su come vivere il rapporto a sinistra. Il governismo dei sostenitori della 'cosa rossa' è diventato oggetto di una riflessione a più voci che ci porta ad individuare le forze che la compongono non come interne alla nostra area di appartenenza, ma come nemici da combattere frontalmente, in quanto truppe di complemento della grande borghesia imperialista. Alcuni di noi si stanno ponendo l'obiettivo di costruire una sorta di muraglia cinese che isoli la sinistra 'radicale' combattendone l'influenza elettorale e politica.

Allo stesso tempo si è posto il problema della sinistra 'di movimento' che rischia di raccogliere il rifiuto della politica della sinistra governista da parte di ampi settori di compagni e di compagne trasformandolo in un area di parcheggio elettoralistico e politico in vista di nuove integrazioni di governo o di sottogoverno. Su questo credo che siano condivisibili i giudizi di Roberto Massari e le considerazioni di Moreno Pasquinelli in risposta al suo scritto [si vedano i testi che riportiamo qui], che mettono in luce il ruolo effettivo del movimentismo centrista e il suo collegamento con l'area dei forchettoni rossi.

La domanda che si pone, dunque, per il 2008 è questa: possiamo partire da queste premesse per far avanzare un movimento politico che rompa, non a livello di scazzi tra gruppi, la deriva che si è imboccata e contribuisca a far nascere un'opposizione vera e credibile all'ordine imperialista attuale e al suo modello culturale, sociale e politico? Quali sono i tempi e le possibilità per un movimento politico di questo genere?

Certamente quelli che abbiamo indicati come squarci dentro la mucillagine della sinistra non possono essere già una definizione progettuale, ma ne costituiscono la premessa necessaria. Per andare oltre e definire un percorso è necessario considerare l'insieme della situazione. Il rifiuto della mucillagine della 'cosa rossa' e dello squallore dei comunisti di mezzo - quel coacervo di opportunismo centrista, di marxologia pseudo accademica e di movimentismo ideologico - non può ridursi a moralismo e per evitare questa deriva occorre valutare i dati oggettivi su cui si manifestano i fenomeni che andiamo denunciando.

Per iniziare la discussione su questo ci limitiamo a porre due questioni: il giudizio sulla nuova fase imperialista e la situazione italiana da cui nasce il nostro giudizio sulla politica della sinistra, radicale e non.

Non vi è dubbio che dopo l'89 è ripresa la grande corsa dell'imperialismo occidentale verso l'accaparramento delle risorse e dei mercati e per il controllo delle nuove aree di influenza. La leadership di questa corsa è sicuramente americana, ma il grande sogno di Bush di creare un nuovo ordine mondiale sul modello nazista in Europa non ha funzionato ed ha aperto una fase importante di sconvolgimenti che non attengono solo alle resistenze dei popoli aggrediti dall'imperialismo, ma anche ai problemi sociali e di tenuta economica del maggior paese capitalistico alle prese con la sua debolezza strutturale e con i nuovi concorrenti. Ebbene, questa fase è portatrice di grandi sconvolgimenti sociali e ambientali e di guerre su vasta scala. Anche se il ventre dell'occidente è capace di digerire con i mass media, con i 'diritti umani', con la 'democrazia', l'urto che viene dalle contraddizioni internazionali, a coloro che comprendono la dinamica degli avvenimenti e sono fuori della logica della sinistra imperialista spetta il compito di aprire la battaglia contro questa sinistra, comunque mascherata, di far crescere non solo la solidarietà internazionale, ma anche il rifiuto della criminalità dei governi occidentali nella guerra infinita e di prepararsi ai nuovi eventi. Non dobbiamo essere in attesa dell'ora x, ma dobbiamo capire in profondità la tendenza e agire di conseguenza.

L'Italia è un paese in guerra e un paese in crisi. In questo calderone emergono due tendenze che ci coinvolgono. La tendenza ad essere un pilastro del sistema imperialista occidentale e la tendenza allo scontro politico tra destra e sinistra istituzionale per adeguare il sistema alle nuove sfide. L'adeguamento non è però indolore.

Anche se i teatri di guerra sono fuori del territorio nazionale, possiamo dire che la guerra è vicina e non solo per le ripercussioni degli eventi internazionali. Di questo ci rendiamo conto tutti e a ricordarcelo è anche la vicenda Alitalia. La crisi sociale e politica che attraversiamo si esprime nelle due versioni, quella populista reazionaria di Berlusconi e quella rigorista prodiana. Ambedue queste tendenze producono un malessere sociale e una miseria economica che avrebbe bisogno di una risposta che i governisti di sinistra e i 'movimentisti' attestati nelle loro nicchie di sottogoverno non possono dare.

Ci sembra che la definizione di sinistra imperialista e la denuncia dei forchettoni rossi siano una base di partenza per iniziare uno scontro e preparare le coscienze a un passaggio politico non più rinviabile. Con un avvertimento: che anche chi si accingerà a compiere l'operazione capisca che il risultato dipende dai passaggi sociali e non si riduca alle risse tra gruppi.

Erregi e PP

26 dicembre 2007


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