Elezioni e alternativa

Non ripeto qui le considerazioni che ho fatto in precedenti numeri di Aginform sui problemi del voto o non voto. Ora si tratta, alla vigilia del 9 aprile, di trarne le conseguenze e andare al concreto.

Non vi è dubbio che chiamare il centrosinistra non solo un’alternativa elettorale a Berlusconi, ma anche un cambiamento sostanziale del quadro italiano è un non senso. Bastano tre cose ad inquadrare la situazione: la presa di posizione di Mieli sul Corriere, l’attacco di Berlusconi al presidente della Confindustria Montezemolo per il suo filoprodismo e l’esclusione di Ferrando dalle liste del PRC per la denuncia di Israele e del ruolo dell’occupazione italiana in Iraq.

Qualcuno ha giustamente detto che avremo, in caso di vittoria di Prodi, un centro più a sinistra. Avremo cioè un governo moderato legato ai centri del capitalismo italiano che hanno capito il disastro di Berlusconi e che cercano di rilanciarsi a livello  interno e europeo con una politica ‘pulita’ e con un occhio alle questioni sociali per costruire un blocco elettoralmente vincente.

I proclami delle forze ‘alternative’ che stanno nell’Unione non sono riusciti a scalfire nella sostanza i contenuti del programma, nè sulla politica internazionale nè su quella interna. Si vedano le contorsioni sull’Iraq, la questione clericale, la politica sociale aldilà degli escamotage linguistici, l’inserimento nel quadro dell’economia di mercato così come è configurata oggi. Queste forze che si dicono alternative hanno rimandato lo scontro al momento, in caso di vittoria, dell’applicazione del programma, ma non c’è da credere che avranno la forza e la determinazione di fare sul serio. La linea è: stare comunque nell’Unione, e questo non è compatibile con un programma di alternativa.

Se le cose stanno in questo modo la risposta sarebbe facile, "non votiamo". Ma a questo punto si tratta di fare altre considerazioni. Non quelle sul meno peggio, che è un discorso banale e  di rinuncia, bensì rispetto all’interrogativo  se il governo Berlusconi e il governo Prodi sono la stessa cosa rispetto ai movimenti di lotta e di trasformazione e più in generale alle condizioni in cui si svolge lo scontro politico. E questo dato non ha nulla di elettoralistico, ma riguarda coloro che intendono la loro militanza non come partecipazione ai cortei del sabato sera o come conta delle schede bensì come lotta.

Proprio sulla questione delle lotte, politiche e sociali, c’è da fare un’ulteriore considerazione su un eventuale governo Prodi, il quale nel corso della sua vita, breve o lunga che sia, dovrà fare i conti con la credibilità del suo operato rispetto ad un settore di elettori abbastanza vasto che immagina la caduta di Berlusconi come l’inizio di una nuova era.

I partiti dell’alternativa, quello che viene definito il settore radicale, si preparano a vivere la loro stagione d’oro immaginando il vasto contenzioso da gestire ‘a sinistra’. Pensando al voto, dobbiamo  considerare proprio questo gioco di scatole cinesi in cui, sempre nella stessa logica, si formano gli schieramenti dentro l’Unione e porci l’obiettivo di rompere il circolo vizioso che ci fa trovare sempre allo stesso punto. Quindi ai compagni che si pongono il problema se votare o no, dobbiamo dire: avete pensato al dopo?

I soliti testimoni di Geova della sinistra hanno già risposto: noi siamo il partito, quindi venite con noi. Risposta scontata e inutile. Perché? Innanzitutto perchè un partito si forma nel contesto delle contraddizioni storiche che si attraversano. E noi dobbiamo domandarci, quali sono le contraddizioni oggi che consentono un’aggregazione da giustificare una nuova formazione politica a sinistra. Io vedo due punti qualificanti di un progetto: la partecipazione ad un fronte antimperialista a carattere mondiale e la capacità di legare questo con le esigenze politiche e sociali che contrastano con la politica delle classi dominanti, sia di destra che di sinistra.

Per ottenere questo risultato occorre modificare alcuni paradigmi che sono divenuti una sorta di luoghi comuni che non raccolgono la complessità della situazione.Nessun revisionismo né storico né teorico, ma la capacità di coniugare un retroterra  che rappresenta le nostre radici con l’individuazione delle forze motrici delle trasformazioni rivoluzionarie.

Questo ovviamente non si potrà fare puntando sui ‘radicali’ dell’Unione, né con un movimentismo senza progettualità politica. E’ il caso di dire anche stavolta: osare combattere osare vincere.

Roberto Gabriele


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