I riti dei cattivi maestri

E' noto che il mese di ottobre, oltre a portarci la vendemmia, è tempo della manifestazione 'antagonista' che porta in piazza a Roma le strutture di 'movimento'. L'ironia e la critica che usiamo contro simili scadenze non sottovaluta l'apporto di migliaia di persone che intendono protestare su questioni sociali e politiche che sono al centro della situazione odierna e vogliono trovare un'occasione di sfogo. L'ironia e la critica, anche feroce, che usiamo contro i cattivi maestri che ci propinano annualmente la scadenza di movimento è centrata sul fatto che essi continuano a perpetuare riti che servono solo a dare continuità a pratiche che per decenni sono servite a evidenziare il protagonismo di gruppi e gruppetti che hanno professionalizzato il loro impegno e, nel tempo, dimostrato tutta la loro ambiguità rispetto alla lotta di classe e alla necessaria strategia politica che essa impone.

Oggi di fronte a questi comportamenti sarebbe proprio il caso di dire che la situazione è drammatica, ma poco seria. Drammatica, perchè la situazione economica e sociale fatta di disoccupazione di massa, di impoverimento di milioni di persone, di generazioni di giovani senza prospettive, è lì a testimoniare che a tutto questo bisognerebbe dare una risposta adeguata; poco seria perchè le espressioni politiche e sindacali odierne dimostrano la loro inadeguadezza e diventano parte della crisi stessa.

Perchè, a ben vedere, la crisi che stiamo attraversando abbraccia tutti i settori della società, da quello economico-sociale a quello istituzionale a quello che dovrebbe esprimere l'opposizione allo stato di cose presente. In questo contesto la riflessione che si impone prende le mosse sì da una critica a chi gioca all'antagonismo, ma deve andare ben oltre e porsi interrogativi che riguardano più questioni strutturali. Ne possiamo indicare almeno tre che dovrebbero essere oggetto di discussione approfondita.

La prima riguarda la natura politico-sociale del ceto che da decenni esprime quello che potremmo definire l'antagonismo e che si ritrova nelle ottobrate romane, compresa quella del 18. Questo ceto per la sua natura socio-culturale non vuole e non può esprimere un progetto di lotta e di alternativa strategica basata sull'analisi scientifica delle contraddizioni odierne perchè non le esprime organicamente e non ha individuato i percorsi materiali che possono portarlo ad essere protagonista effettivo dello scontro. Non è un caso che il movimentismo è rimasto subalterno al quadro politico e serve più che altro ad agitare lo spauracchio del caos e della violenza. Le due eccezioni, che confermano però la regola, sono l'esperienza dei NOTAV e dei NOMUOS che hanno il merito di aver dato un esempio di serietà e di continuità.

La seconda riflessione è legata alla prima e si basa su questo interrogativo: perchè dagli anni settanta in poi le contraddizioni strutturali, quelle di classe per intenderci, non hanno finora espresso una rappresentazione organizzativa e politica che divenisse il polo antagonista del sistema? Fintanto che non si scioglierà questo nodo difficilmente usciremo dal movimentismo.

La crisi però ci pone anche un altro problema in modo dialettico agli altri due ed è quello del rapporto nella fase attuale tra crisi economico-sociale e rappresentazione politica. La disgregazione di classe che in occidente è partita dagli anni 80 ha impedito che la crisi vivesse in modo tradizionale la lotta politica nel senso che opposizione politica di massa e linea di classe, non trovando una loro immediata corrispondenza, sono approdate al grillismo. Il movimentismo, da parte sua, non è stato neppure in grado di esprimere qualcosa di diverso delle fallimentari liste 'radicali', lasciando il campo libero alla demagogia della destra. E anche questo è materia urgente di discussione.

Erregi

10 ottobre 2013


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