Un buon commento a una manifestazione indecente

Il ritorno dei forchettoni rossi

Andrea Furlan

Si è svolta ieri (11 giugno) a Roma la manifestazione contro Bush indetta dal Patto permanente contro la guerra (Cobas, Rdb, Rete 28 aprile, Pcl, Sinistra critica, Bastaguerra, Action, Partito umanista e altre sigle minori). Alla manifestazione ha aderito ufficialmente il Pdci, ma non si sono fatta sfuggire l’occasione di ricomparire vari Forchettoni rossi provenienti anche dal Prc: abbiamo individuato Giovanni Russo Spena (intervistatissimo), Marco Rizzo, Katia Bellillo, Manuela Palermi, Francesco Caruso, Salvatore Bonadonna, Elettra Deiana. Qualcuno forse ci sarà sfuggito. Come era prevedibile, al corteo hanno partecipato meno di duemila persone (a piazza Barberini ce n’erano molte di meno), secondo calcoli fatti con altri compagni: Liberazione, comunque, ha dovuto mentire come sempre, dicendo diecimila e il Manifesto 7.500. La questura ha onestamente calcolato duemila persone.

Ciò significa che a un anno dalla battaglia che vide Utopia rossa da sola contrastare l’apertura ai primi Forchettoni pentiti da parte del Patto permanente (primo responsabile ne fu Piero Bernocchi), le nostre peggiori previsioni si sono avverate. La porta ora è spalancata. Nessuno di loro ha dovuto compiere una seria autocritica per aver collaborato con il governo imperialista e per aver distrutto i movimenti nati dopo Genova. Le carte si rimescolano. Amnistia per tutti. D’ora in poi non si potrà più distinguere tra chi con quel governo ha collaborato e chi contro quel governo ha combattuto. D’ora in poi i Forchettoni (vecchi e nuovi) potranno ricominciare a manovrare indisturbati per la prossima occasione che si presenterà per entrare nuovamente al governo, utilizzando nel frattempo tutte le prossime campagne elettorali.

Peggio di così non poteva andare.

Per la nascita di un movimento di sinistra anticapitalistica sui resti di ciò che era cresciuto da Genova in poi la data dell’11 giugno 2008 è la morte definitiva. E i becchini sono più o meno gli stessi leader “mediatici” che dopo Genova consentirono a Bertinotti, al Prc e a tutta la sottocasta della sinistra “radicale” di utilizzare le mobilitazioni di massa per contrattare la propria entrata nel governo imperialistico di Prodi. Se qualcuno allora favorì il gioco di Bertinotti per scemenza, quel qualcuno oggi si dimostra recidivo. E i Forchettoni rossi di ritorno sapranno approfittare nuovamente di tanta recidiva scemenza.

Qualsiasi ripresa del movimento di lotta anticapitalistico in Italia dovrà necessariamente fare i conti con questa riorganizzazione politica dei Forchettoni rossi cominciata ufficialmente ieri, col pretesto del corteo contro Bush.

Ciò premesso, voglio provare a tracciare un quadro per l’interpretazione della situazione in cui questa ennesima sconfitta ci vede impegnati a lottare. Dopo la catastrofe elettorale che ha spazzato via la sinistra arcobaleno dal Parlamento italiano – come risultato della collaborazione di classe di Prc, Pdci e Verdi durante i governi di centrosinistra che si sono caratterizzati come rappresentanti organici dell’imperialismo italiano - la sinistra ex governista non solo non ha prodotto al proprio interno nessuna autocritica seria nei confronti delle scelte politiche operate in questi anni, ma, analizzando il loro dibattito interno, constatiamo che oltre al regolamento dei conti tra i gruppi dirigenti (colpevoli tutti a nostro avviso in ugual misura del disastro compiuto), non hanno di meglio da riproporre che la solita fallimentare strategia di alleanza con una parte del personale politico della borghesia (il PD) per sconfiggere le destre.

A questo punto possiamo asserire con assoluta certezza che la parabola politica di inserimento stabile delle sinistre governiste nell’alveo della gestione capitalistica del sistema sociale ed economico è ormai compiuta e non vi è nessuna possibilità concreta da parte di chi continua a illudersi - militando anche con passione nei summenzionati partiti - di poter incidere cambiandone la natura ormai profondamente borghese, per giunta nella sua variante liberistica.

Tutto ciò è reso più facile dal fatto che la sinistra che un tempo si sarebbe definita “extraparlamentare” (ma che ormai è diventata ultraelettoralistica) - ovvero l’insieme delle forze che hanno dato vita durante il biennio di governo Prodi alle manifestazioni antiguerra raccogliendo il testimone del movimento lasciato cadere in virtù della partecipazione al governo dei partiti della “sinistra radicale” - in questa fase dell’anno “zero” e della necessaria ricostruzione di una sinistra anticapitalistica, avrebbero dovuto agire spendendo le proprie energie per la costruzione di un blocco politico capace di unificare le varie vertenze territoriali potenzialmente anticapitalistiche in una prospettiva generale di attacco al sistema.

Mai come in questa fase - che vede la credibilità politica tra le masse vicino allo zero nei confronti degli ex partiti riformisti (oggi divenuti personale politico della borghesia come nel caso del PD), e con una crisi economica alle porte che indurrà le classi dominanti a peggiorare le condizioni dei lavoratori - vi erano state condizioni politiche così favorevoli per la costruzione di un blocco politico che lavori nell’immediato a una ferrea ed efficace opposizione politica al governo Berlusconi e, in prospettiva, alla costruzione di un movimento rivoluzionario antiparlamentaristico.

Invece di cercare di adempiere nel migliore dei modi a questo compito politico, le forze che compongono il Patto permanente contro la guerra (che noi di Utopia Rossa abbiamo definito un “carrozzone centrista” fin da prima della manifestazione del 9 giugno 2007 e ognuno può oggi verificare quanto quella definizione fosse giusta), hanno scelto di non recidere i legami con le organizzazioni ex governiste, ma anzi offrono loro la possibilità di riciclarsi agli occhi dei movimenti, senza far pagare loro alcun prezzo politico od organizzativo. Si perde in tal modo la possibilità di mobilitare quei quasi tre milioni di nuovi astenuti di sinistra che alle elezioni non hanno voluto votare nemmeno la sinistra arcobaleno, mandando a casa tutto il blocco rossoforchettonico. E non a caso ieri, alla manifestazione anti-Bush, si è ritrovato in grandissima maggioranza il ceto politico della ex estrema sinistra romana, insieme al nuovo ceto della ex sinistra governista. Non c’era la massa radicalizzata degli astenuti di sinistra (quelli che a Roma non hanno voluto votare nemmeno Rutelli, a differenza di Sinistra critica, Action e la maggioranza del Patto permanente), ma il mondo stanco e demoralizzato  di un ceto politico ormai in fase di aperto imbarbarimento. Si sarà reso conto questo ceto di aver manifestato accanto a dirigenti del Pdci e Prc che hanno le mani grondanti di sangue per aver votato tutte le guerre di Bush durante la loro permanenza nel governo Prodi?   

Quanto accaduto ieri è un fatto politico gravissimo che comprometterà nel breve periodo (e chissà per quanto tempo ancora) lo sviluppo in senso anticapitalistico dei movimenti di massa in corso o che appariranno.   

I governisti non hanno ripetuto l’errore compiuto il 9 giugno scorso. La batosta elettorale ha insegnato loro che non si deve perdere il contatto con il proprio elettorato. E poi, questa volta, non c’era Prodi a ricevere Bush ma l’odiato Berlusconi e quindi non hanno esitato a definire finalmente imperialistica la politica del governo italiano (e non più solo “interventista” come vollero i forchettoni inseriti nel Patto permanente già prima del 9 giugno), “riscoprendo” l’importanza della costruzione e dello sviluppo dei movimenti di massa da spendere sul terreno elettorale.

E’ avviata l’operazione  del completo riciclaggio dei governisti agli occhi delle masse, per ricostruire la credibilità politica (persa dopo due anni di governo con la borghesia) tra i lavoratori, i giovani e le donne e accreditarsi nuovamente come soggetti credibili ai quali fare riferimento per un’opposizione alle politiche liberiste di Berlusconi. Malgrado questa loro capacità di ammantarsi delle loro antiche vesti, ciò che sconcerta è che nessuna componente politica del “carrozzone centrista” (compresi Bernocchi dei Cobas e Ferrando del Pcl) senta il bisogno di denunciare apertamente il vero obbiettivo perseguito dai governisti: e cioè, di rimettere in piedi una nuova massa di manovra da spendere sull’altare del nuovo compromesso di classe con il PD (o ciò che gli succederà) appena si  ripresenterà l’occasione. Anzi, durante il corteo, abbiamo visto lo spettacolo disgustoso delle calorose strette di mano e degli scambi di convenevoli in un clima idilliaco tra i Forchettoni rossi presenti e i vari organizzatori della manifestazione. Le masse non c’erano, ma se vi fossero state avrebbero interpretato la cosa come un segno evidente di una unità di intenti persa durante il precedente governo e ritrovata ora con l’avvento al potere di Berlusconi.  

Il riciclaggio del peggior ceto politico della sinistra governista è un vero e proprio suicidio politico per chi ha a cuore la crescita e l’unificazione dei movimenti, che costerà caro all’intera sinistra antagonista italiana (noi compresi). Il “carrozzone centrista” avrebbe potuto impedire la presenza degli ex governisti semplicemente dichiarando che non ce li voleva, con un linguaggio sincero che le masse avrebbero capito. Non l’ha voluto fare (nonostante sollecitazioni in tal senso provenienti per lo meno da Utopia rossa) e ora non potrà impedire che si fornisca loro la copertura politica necessaria per ricominciare la grande manovra di strumentalizzazione elettoralistica della spinta anticapitalistica delle masse in lotta. Ma ciò che è ancora più angoscioso è che se è vero che nessuno degli esponenti del Patto lo ha fatto, è anche vero che nemmeno le persone di base presenti in piazza hanno fatto nulla per isolare i Forchettoni (c’è stata solo la contestazione contro la Palermi e uno scontro polemico sull’argomento, di Massari contro Bernocchi, davanti agli occhi divertiti di Cremaschi). Nessuno ha chiesto conto a costoro dell’operato controrivoluzionario giocato durante la partecipazione al precedente governo della borghesia imperialista italiana. Insomma, invece di denunciare questi rappresentanti del Prc e del Pdci (i Verdi e i Ds per ora non si fanno più vedere) per la nuova manovra preelettoralistica che si apprestano a compiere, si lascia campo libero per farli continuare nei loro squallidi giochi personali di potere.    

  La verità è che gli esponenti del Patto permanente (organizzatori di questo corteo e di tutti quelli che seguiranno), mirano fondamentalmente alla riuscita dell’evento mediatico,  caldeggiando la forma spettacolare, anche se politicamente inconcludente del corteo. Del resto, durante questi anni di grandi mobilitazioni (da Genova in poi) non si è mai riflettuto sul fatto che i cortei non sono stati capaci di incidere minimamente nella politica italiana (né sulle guerre di Bush) e anzi hanno consentito l’operazione trasformista bertinottiana, che a sua volta ha distrutto temporaneamente la possibilità di riprendere le grandi mobilitazioni.

E’ ormai chiaro che l’obbiettivo delle singole forze politiche (gruppi o partitini o altro) è quello di sfruttare la visibilità mediatica di queste manifestazioni per costruire unicamente la propria organizzazione partitica (o sindacale), rinunciando come ormai accade da tempo a discutere politicamente le divergenze reali per realizzare una prospettiva di carattere unitario pubblica e onesta, basata sul principio dell’unità sul minimo comun denominatore, senza autoreferenzialismi, ma anzi con l’impegno a sviluppare una dialettica politica che miri al superamento delle diverse posizioni in vista di una sintesi più avanzata.

A ciò si oppone l’ostentata caparbietà dei singoli leaders politici con la quale essi cercano di accaparrarsi la visibilità mediatica a fini unicamente spettacolari, in alcuni casi per spenderli in future candidature elettorali, in altri casi anche per obbiettivi di natura immateriale come l’appagamento del proprio narcisismo.

A cosa serve tutto questo in una prospettiva rivoluzionaria o anche di semplice crescita della coscienza delle masse in lotta? Noi siamo convinti che nulla di tutto ciò giova a una ripresa delle lotte su scala nazionale contro le politiche liberiste del governo Veltrusconi. E anzi, se tale ripresa vi sarà, l’esistenza di questo ceto politico corrotto e del carrozzone centrista che lo aiuta, sarà un grande ostacolo che porterà nuovamente alla sconfitta e alla demoralizzazione (come è già accaduto dal dopo-Genova in poi). E in virtù di questa inossidabile convinzione, pensiamo che la direzione politica nella quale i movimenti debbano muoversi sia un’altra.

In primo luogo occorre ricostruire le basi di una riflessione teorica e storica su tutto ciò che è accaduto almeno nell’ultimo decennio (un lavoro che in maniera organica e collegiale sta conducendo solo Utopia rossa con i libri fin qui pubblicati e quelli che verranno). Vi è poi la necessità di chiarire la posizione politica di ciascuno nei confronti delle elezioni e del Parlamento (Utopia rossa si è sempre astenuta e conduce ormai una battaglia apertamente antiparlamentare, convinta che l’elettoralismo sia alla base di molti mali della ex sinistra).

Infine, in una fase come quella che stiamo vivendo – vista la necessità storica di ripartire da zero nella costruzione di una sinistra anticapitalista nel nostro Paese e constatata la complice sordità politica del “carrozzone centrista” nell’assolvere a questo compito – occorrerà lavorare alla base dei movimenti per favorire un’aggregazione autogestita, democratica e libertaria dei movimenti stessi. Tutto ciò, per noi, non potrà mai essere dissociato dalla prospettiva di costruire un movimento politico di massa unitario, internazionalista e anticapitalistico.

Per simili prospettive, la manifestazione rossoforchettonica di ieri ha rappresentato un passo indietro: un passo piccolo ma qualitativamente significativo.

Andrea Furlan
(Utopia rossa)

12 giugno 2008


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