I fili rivelati

Gianluca Freda

Fonte: blogghete.blog.dada.net
21 giugno 2009


Per chi avesse ancora dei dubbi sulla regia israelo-americana che sta dietro all’attuale tentativo di golpe in Iran (detto, per l’occasione, “Rivoluzione verde”, secondo una sceneggiatura stantìa che ripropone in altra colorazione la stessa manfrina già vista in Georgia, Serbia ed Ucraina) propongo qui qualche documento significativo. Il primo è la dichiarazione di Kissinger che vedete nel filmato qui sopra. Kissinger, ex Segretario di Stato americano, ebreo e grande burattinaio dell’espansionismo USA, lo dice chiaro e tondo: se dal casino iraniano non dovesse emergere un governo gradito al potere USraeliano, allora sarà necessario “provocare un cambio di regime DALL’ESTERNO”. E’ sottinteso: per ora ci stiamo provando dall’interno, facendo orchestrare dalla CIA le consuete proteste destabilizzanti; se non dovesse funzionare, agiremo in modo più diretto. Kissinger dice anche che il presidente Obama non desidera agire in modo “visibile” nell’attuale congiuntura, il che è scontato. Le proteste a cui stiamo assistendo in Iran sono, non a caso, “covert operations” condotte secondo il più tradizionale degli schemi CIA.

Lo schema è più o meno il seguente:

1) Prima di tutto si ricercano contrasti politici interni al paese da destabilizzare su cui far leva per scatenare la guerra civile. In questo caso gli antichi contrasti fra Rafsanjani e Khamenei – l’uno sostenitore di Mousawi, l’altro di Ahmadinejad – capitavano a fagiolo. Ahmadinejad è un leader particolarmente sgradito a una parte del regime degli ayatollah, avendo spesso denunciato la corruzione dei suoi esponenti (particolarmente di quelli che fanno capo a Rafsanjani) guadagnandosi in questo modo un forte sostegno popolare.

2) Si organizza all’interno del paese o nelle sue vicinanze una rete di istituzioni fittizie (solitamente ONG), finanziate dall’esterno, che apparentemente perseguono nobili fini democratici, ma che mirano in realtà a fornire fondi e organizzazione agli elementi politici in grado di destabilizzare il potere in carica; in questo caso, come era già avvenuto in Georgia e Ucraina, un ruolo di primo piano è stato giocato dall’organizzazione nota come NED (National Endowement for Democracy) guidata dal neoconservatore americano Kenneth Timmerman (ci torniamo più avanti).

3) Infine, il momento di passare all’azione è quello delle elezioni. Il candidato sostenuto dalla CIA quasi sempre perde rovinosamente, visto che il popolo non è del tutto fesso. A questo punto scatta la denuncia di brogli. Il candidato della CIA dichiara, con qualche ora di anticipo rispetto alla chiusura dei seggi, di aver vinto le elezioni, pur sapendo benissimo di star dicendo una baggianata sesquipedale. E’ un tipico espediente della CIA per screditare in anticipo il risultato di segno opposto. Una volta compiuta tale affermazione, il lasso di tempo che intercorre tra la dichiarazione di vittoria preventiva e l’arrivo delle prime proiezioni dei risultati verrà visto come un tentativo delle autorità di manipolare il voto. E’ un trucco vecchissimo, ma il popolino (soprattutto se lavorato ideologicamente a dovere dai propri leader del cuore eterodiretti) ci casca sempre.

4) Si supporta tutto il caos così creato con una massiccia campagna propagandistica gestita dai media internazionali. Nella campagna mediatica i manifestanti che sfasciano vetrine e danno fuoco alle automobili vengono presentati immancabilmente come “in lotta per la democrazia”, anche se ciò che in realtà stanno facendo, consapevolmente o inconsapevolmente, è lavorare per l’asservimento del proprio paese ad una potenza straniera. Si dà abbondante risalto alle “vittime della repressione del regime”, a volte vere, a volte inventate, sempre esagerate e insignite dello status di martiri. Particolarmente schifosa l’ipocrisia dei media italiani, che dedicarono chilometri di esorcismi ai “black bloc” del G8 di Genova e ora inneggiano alle violenze dei manifestanti mascherati di Teheran come ad eroiche gesta di arcangeli della pace e della giustizia.

Veniamo a Kenneth Timmerman e alla sua NED (National Endowement for Democracy, cioè Sostegno Nazionale alla Democrazia), creata dai servizi segreti come intermediario e strumento di copertura per i fondi destinati alla destabilizzazione di una nazione. Timmerman è uno che la sa lunga. Come fa notare Daniel McAdams in questo articolo, egli aveva dichiarato, il giorno prima delle elezioni in Iran: “Gira voce che ci sarà una rivoluzione verde a Teheran”. Il fatto che Timmerman sapesse della “rivoluzione verde” prima ancora dello svolgimento delle elezioni basterebbe da solo a dimostrare il coinvolgimento americano nei disordini di Teheran. Ma lasciamo che sia lo stesso Timmerman, con sconcertante sincerità, ad esporre quali siano i reali obiettivi della sua NED (cito le sue dichiarazioni tratte dall’articolo di McAdams): “La National Endowement for Democracy ha speso milioni di dollari nell’ultimo decennio per promuovere “rivoluzioni colorate” in paesi come Ucraina e Serbia, addestrando gli operatori della politica nell’utilizzo di moderne tecniche organizzative e di comunicazione.

Parte di quel denaro sembra essere arrivato [ovviamente andando a zonzo per conto suo, NdT] nelle mani dei gruppi pro-Mousawi, che hanno legami con organizzazioni non governative esterne all’Iran che sono a loro volta finanziate dalla National Endowement for Democracy”.
Come si è arrivati ad attribuire questi fondi alle ONG finanziate dalla NED? Cito da questo articolo di Paul Craig Roberts su Counterpunch: “Il 23 maggio 2007, Brian Ross e Richard Esposito riferirono su ABC News: “La CIA ha ricevuto una segreta approvazione del presidente a organizzare una covert operation per destabilizzare il governo iraniano, secondo quanto hanno dichiarato ad ABC News attuali ed ex funzionari dei servizi d’intelligence”

Il 27 maggio 2007, il London Telegraph riportava: “Il presidente Bush ha firmato un documento ufficiale con cui autorizza i progetti della CIA per una campagna di propaganda e disinformazione tesa a destabilizzare, ed infine rovesciare, il governo teocratico dei mullah”.

Pochi giorni prima, il 16 maggio 2007, il Telegraph aveva riportato che John Bolton, falco neocon dell’amministrazione Bush, aveva dichiarato allo stesso Telegraph che un attacco militare contro l’Iran era da considerarsi “una ‘estrema opzione’ nel caso che le sanzioni economiche e i tentativi di fomentare una rivolta popolare dovessero fallire”.

Il 29 giugno 2008, Seymour Hersh riferiva sul New Yorker: “Alla fine dello scorso anno, il Congresso ha approvato la richiesta del presidente Bush di finanziare una serie di operazioni segrete contro l’Iran, stando a quanto riferiscono fonti dell’esercito, dei servizi segreti e del Congresso. Queste operazioni, per le quali il presidente ha richiesto una copertura fino a 400 milioni di dollari, sono state definite in una Presidential Finding firmata da Bush e mirano a destabilizzare la leadership religiosa del paese”.

Questo per fugare i dubbi relativi al coinvolgimento della CIA nei recenti disordini iraniani, coinvolgimento che alcuni poco illuminati lettori si ostinano a mettere in discussione. Vorrei, in chiusura, rispondere a coloro secondo i quali Stati Uniti e Israele starebbero operando per sostenere non Mousawi, ma Ahmadinejad, in quanto quest’ultimo, in virtù del suo radicalismo antioccidentale ed antiisraeliano, sarebbe un comodo pretesto per continuare a demonizzare l’Iran e giustificare un eventuale intervento militare. A costoro posso solo dire, se quanto esposto più sopra non dovesse essere sufficiente, che le cose non funzionano in questo modo. USA e Israele non hanno alcun interesse a demonizzare l’Iran e a continuare a frignare sul suo “antisemitismo”, se non come fase preparatoria all’opera di destabilizzazione vera e propria. Non hanno nemmeno, secondo me, alcuna reale intenzione di intervenire militarmente, poiché ciò provocherebbe una dura reazione – non solo iraniana – che in questo momento nessuna delle due potenze mi sembra in grado di gestire. Del resto lo stesso Bolton, come si legge più sopra, ha definito l’intervento militare come “ultima opzione”. Opzione che potrebbe, al limite, essere facilitata dalla presenza di un governo amico, così come l’invasione del Libano da parte di Israele nel 2006 fu agevolata dal governo Siniora, che si profuse in chiacchiere e condanne generiche, ma non mosse un dito, arrivando perfino a condannare gli uomini di Hezbollah che lottavano eroicamente – e con successo – per respingere l’invasore. E’ per questo che vengono finanziate le operazioni di copertura: non per potersi lagnare della cattiveria dei regimi canaglia, ma più concretamente per avere un appoggio interno in caso d’intervento militare, oltre che, ovviamente, per inserirsi da padroni nel sistema economico e produttivo di un paese (nel caso dell’Iran il petrolio e la posizione geostrategica sono particolarmente ghiotte).

Per tutti questi motivi auspico una pronta e drastica repressione del tentativo di golpe da parte delle autorità di Teheran, anche se la titubanza e il grave ritardo nello stroncare le manifestazioni di protesta, oltre al mancato arresto del traditore e sobillatore Mousawi, iniziano a preoccuparmi un po’.

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