Gli anticomunisti di sinistra all'assalto della Cina

In un editoriale di prima pagina di Liberazione (4 giugno 2005) Rina Gagliardi si scatena contro la Repubblica popolare cinese. Ma prima di parlare di questo ignobile articolo conviene fare un passo indietro per svolgere alcune brevi considerazioni sulla definitiva svolta controrivoluzionaria (nel senso letterale del termine) che Bertinotti ha impresso al Prc dopo il convegno sulle Foibe il 13 dicembre 2003. Si potrebbe dire che in quell'occasione egli ha assestato il colpo di grazia definitivo non solo alla “storia novecentesca” del comunismo, ma anche alle fondamentali questioni teoriche e di principio che stanno alla base della teoria marxista e che hanno trovato la loro puntuale verifica nello svolgimento delle grandi rivoluzioni sociali del secolo trascorso.

La storia costringe, per così dire, il marxismo -che non è né un dogma né una religione- a rinnovarsi continuamente, a seconda delle situazioni effettive in cui si trovano ad operare, nelle varie latitudini del mondo, partiti rivoluzionari che si richiamano al marxismo. Per cui non sarà mai possibile trovare negli scritti teorici dei leaders di rivoluzioni proletarie vittoriose, in Lenin o Mao Zedong per esempio, indicazioni precise su come muoversi in occasioni di crisi rivoluzionarie. Ma la creatività e le innovazioni della teoria marxista prodotte dalla ricchezza della vita, dalle peculiarità delle epoche storiche che si succedono, dai cambiamenti dei costumi, dalla crescita culturale dei popoli ecc. non possono non derivare (nel senso “matematico” del termine), sia pure in maniera indiretta e mediata, dell'esperienza storica e teorica accumulata nei decenni precedenti. Questo vale per tutte le branche del sapere umano. L'operazione più insulsa, presuntuosa e barbarica consiste nel creare una netta cesura con il passato e far cominciare da sé la storia del mondo.

Il marxismo, nella sua essenza, è la teoria e la pratica della rivoluzione armata: essa poteva forse configurarsi come un'evoluzione pacifica nelle determinate condizioni ipotizzate da Marx ed Engels per l'Inghilterra e gli Stati Uniti (ipotesi da essi stessi successivamente esclusa). Ma da allora, cioè nel corso di oltre un secolo e mezzo, la storia ha definitivamente dimostrato che le grandi questioni che investono il genere umano possono essere risolte solo con la forza, che quest'ultima è addirittura -secondo la nota espressione di Marx- la levatrice della storia.

Anche l'opportunismo, in politica, è costretto a rinnovarsi continuamente. Esso consiste, in ultima analisi, nella negazione dell'inevitabilità della lotta armata. Se la presunta “via italiana al socialismo” (cioè pacifica) poggiava sulle grandi realizzazioni delle rivoluzioni sovietica e cinese, “l'altro mondo possibile” fonda le sue radici teoriche sul totale rigetto di quelle due grandi rivoluzioni. Bertinotti ha cominciato con la demonizzazione di Stalin, poi Marco Revelli ha confutato “coraggiosamente” anche Marx, infine la “critica” alle rivoluzioni socialiste sta assumendo, quotidianamente, ordinariamente, toni peggiori, se è possibile, di quelli del famigerato ”libro nero del comunismo”. Ecco che cosa hanno detto i dirigenti rifondatori nel libro “La politica della non violenza”: “La statolatria staliniana e comunista capovolse nel sangue il senso stesso di una missione che intendeva liberare le masse dalla separatezza della statualità…Il Potere non fu sciolto dal fuoco della libertà ma congelato e cristallizzato da una burocrazia che lavorò alacremente per ibernare ogni movimento sociale e per privatizzare la politica come contenzioso interno ad una casta sacerdotale…Ma il Gulag torna come un chiodo fisso in questa parodia tragica del 'sogno di una cosa': in Siberia, in Cina, nella Corea del nord…Senza rompere con l'eredità della Cortina di ferro (espressione coniata da Churchill che al Nostro, evidentemente piace molto) non saprei come ricominciare a pensare il comunismo” (pag.109). Oppure: “All'altare della dittatura del proletariato sono stati immolati milioni di vittime innocenti. L'idea che il bene della Rivoluzione fosse sopra ogni cosa, anche sopra il bene del popolo stesso, ha giustificato alcuni dei peggiori orrori della storia dell'umanità” (pag.76). Qui non si tratta di “criticare” ma di diffondere, presso le nuove generazioni, l'odio e il disprezzo per la storia del comunismo, e quest'odio, questo disprezzo, onestamente, non li percepiamo quando costoro parlano delle imprese americane in Iraq. E' forse azzardato dire che un fascista non potrebbe descrivere meglio di costoro gli “orrori” del comunismo?

Alla demonizzazione del comunismo fa riscontro un vile sentimento di terrore nei riguardi degli Stati uniti d'America: “Mentre nel secolo scorso si poteva non solo 'resistere' ma anche e soprattutto vincere (il Vietnam è stata una lotta vincente), oggi questa possibilità non è data (e perché?)” (pag.19); “Io credo che l'impero sia invincibile sul piano militare” (pag.65). Contemporaneamente, con un linguaggio grave, delittuoso, da quinta colonna, questi cosiddetti comunisti arrivano ad accusare gli iracheni, che stanno versando il loro sangue per la causa antimperialista mondiale (come ieri fecero i vietnamiti) di “opporre al manto ideologico neocoloniale dello 'scontro di civiltà' che avvolge la guerra imperiale (si noti: non “la guerra americana” ma “la guerra imperiale”) una simmetrica scelta ideologico-religiosa di 'ritorno alle origini' (artefatte), fondamentalista, ultra-patriarcale e autoritaria –in tutte le varianti in cui si presenta” (pag.84). Ecco a che cosa porta la teoria bertinottiana della “tenaglia guerra-terrorismo”!

E' in questa immondizia controrivoluzionaria contrassegnata dall'odio per il comunismo storico da una parte e dalla viltà verso l'imperialismo americano dall'altra, che fermentano e poi germogliano le grandiose (e per niente nuove ed originali) idee sul pacifismo, la nonviolenza, il ripudio del potere. Praticamente Bertinotti e i suoi seguaci hanno scoperto l'acqua calda, e di questa scoperta si vantano con trionfo, dicono di aver inventato “la scrittura di un nuovo vocabolario, della politica e della trasformazione, o meglio della rivoluzione (con la minuscola come suggerì John Halloway (e chi è?) partendo dall'esperienza zapatista) (pag.84). Alcuni esponenti dell'Ernesto hanno risposto alle lupare caricate a pallettoni dei bertinottiani con i fucili a piumini, facendo delle concessioni all'antistalinismo imperante. Burgio, per esempio ha detto: “Riguardo a tutta questa questione dello stalinismo è giunto il momento di abbandonare un impacciato silenzio. Non è vero che si tentenni nella critica, non è vero che si indulga a giustificazionismi. E' vero piuttosto che spesso e volentieri ci si serve di questa gigantesca questione come di una clava per scopi politici immediati di tutt'altro genere. In obbedienza - verrebbe da dire - alla più classica tradizione stalinista” (pag.99). E questa sarebbe una difesa della storia del comunismo?

Ritornando all'editoriale della Gagliardi (anch'esso contrassegnato da un furioso sdegno anticinese), costei dice che Deng Xiaoping ha introdotto in Cina “il capitalismo”, ma che a differenza dell'ingenuo Gorbaciov che, poverino, voleva introdurre in Urss la “democrazia”, Deng ha commesso il crimine di preservare “il dominio del partito comunista e dello Stato centrale”. Nella Piazza Tien An Men, nell'anno 1989, l'imperialismo americano sperava ardentemente di fare l'en plein, sperava cioè che anche la Cina popolare seguisse lo stesso destino inglorioso e amaro dell'Unione Sovietica. In quella drammatica manifestazione che durò giorni e si configurò come un vero e proprio braccio di ferro, gli studenti rivendicavano non una “democratizzazione” del regime socialista come dice la Gagliardi, ma una democrazia di altro genere, rivendicavano (intuendo che ormai “la caduta del muro” poteva aprire ampi spazi anche nel loro paese) la fine del “dominio del partito comunista”. Alcuni esponenti di vertice del Pcc andarono a parlamentare con loro per scongiurare fino all'ultimo lo scontro, ma essi non vollero ascoltare ragioni. Dopo la repressione, dice Gagliardi, le “cancellerie occidentali” “non nascosero più di tanto la loro incondizionata ammirazione”. Ma questa è una colossale stupidità! “le cancellerie occidentali”, soprattutto l'imperialismo americano, sicuramente furono deluse e amareggiate dal fatto che la spallata al “dominio del partito comunista” andò a vuoto, per fortuna di tutti i comunisti del mondo! Occorre essere dei 'politologi' per capire delle cose così ovvie?

E' certo che per tutti quei compagni marxisti-leninisti, che continuano però ad essere ancorati al dogma Deng Xiaoping = Krusciov, trovarsi in compagnia (ideologica) di Rina Gagliardi deve produrre una sensazione non troppo gradevole.

4 giugno 2005

Amedeo Curatoli


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