Non “se” ma “quando” attaccheranno l’Iran

Giulietto Chiesa
9 ottobre 2007
Fonte Megachip


Da diverse settimane era già evidente che il momento dell'attacco contro l'Iran si stava avvicinando. Ma la gran parte dei commentatori sembrava sorda a ogni suono e cieca di fronte ai segnali. Tutti fermi alla stolida constatazione, politically correct”, secondo cui gli Stati Uniti non potrebbero invadere l'Iran, non avendo la forza di farlo. Il problema è che nessuno, al Pentagono, pensa di invadere l'Iran.

Non era bastata la secca dichiarazione di Sarkozy al suo ritorno da Washington: o via la bomba iraniana oppure si dovrà bombardare l'Iran. Parve una battuta e non lo era. Poi è arrivata la replica del ministro degli esteri francese Bernard Couchner, ancora più esplicita: “prepararsi". Alle conseguenze, s'immagina, visto che ce ne saranno molte.

D'Alema, unico europeo a parlare fino ad ora, ha detto una cosa saggia: “la guerra non serve”. Ma bisognava farlo prima e dirlo più forte. Perché ormai siamo alla vigilia. “Il momento è ancora da scegliere, la decisione è già stata presa". Lo dicono ormai in molti. C'è stata una miriade di "fughe di notizie", più o meno pilotate, alcune delle quali provenienti direttamente dalle vicinanze del vice-presidente Cheney. E c'è un considerevole numero di analisti ed esperti molto rinomati, sia nel campo dei falchi che delle colombe, che giungono tutti alla stessa conclusione.

A fine agosto il sito Raw Story ha pubblicato la sintesi di un ampio studio condotto da Dan Plesh (Direttore del Centro di Studi Internazionali e Diplomazia della Scuola di Studi africani e orientali dell'Università di Londra) e da Martin Butcher (Direttore del Consiglio Britannico Americano per l' Informazione sulla Sicurezza ed ex consigliere della Commissione Esteri del Parlamento Europeo) che afferma, senza mezzi termini, che "gli USA hanno preparato le loro forze armate ad un 'massiccio' attacco contro l'Iran che è di fatto già pronto e che non prevede un'invasione sul terreno". L'obiettivo, che sarebbe raggiunto colpendo svariate migliaia di obiettivi militari e civili, avrebbe come scopo di "eliminare le armi di distruzione di massa iraniane, il sistema energetico nucleare, il regime, le forze armate, l'apparato statale, e le infrastrutture economiche in pochi giorni, se non poche ore dal momento in cui il presidente Bush darà l'ordine di attacco".

La stessa conclusione è stata pubblicata da Timesonline (Sunday Times ) il 2 settembre, riportando le parole che Alexis Debat (direttore per il Terrorismo e la Sicurezza Nazionale del Nixon Center), pronunciò a un incontro organizzato dalla rivista dei neocon The National Interest. Gli USA - ha detto Debat - non si preparano a "qualche puntura", ma "coinvolgeranno l'intera forza militare iraniana", con l'obiettivo di "annichilirla nello spazio di tre giorni". Nell'articolo del Sunday Times , firmato da Sarah Baxter, citando fonti informate di Washington, si parla di "temperatura in crescita" e di "segnali inviati da Bush a un certo numero di indirizzi", dove si esprime l'intenzione di fare i conti con Teheran "prima che sia troppo tardi". E che, quando la decisione sarà presa, "sarà prudente usare una forza rapida e straripante".

Ma i segnali più direttamente politici sono ancora più inquietanti. Il deputato democratico Kucinch, fa sapere in riunioni ristrette (che però rimbalzano su decine di siti web) che il vertice del suo partito ha già dato via libera a Bush. Hillary Clinton ripetutamente dichiara di non escludere l'uso della forza contro l'Iran. E, quando, recentemente, il Senato USA ha approvato il "Defense Appropriations Bill", con il consenso di Nancy Pelosi, non solo sono stati concessi i 100 milioni di dollari aggiuntivi chiesti dal Presidente per la guerra irachena, ma è sparita dalla risoluzione la condizione (inizialmente prevista) secondo cui il Presidente avrebbe dovuto affrontare un voto del Congresso prima di poter decidere l'attacco. Altri due tentativi per reintrodurre la clausola, fatti dal democratico Jim Webb (Senate Bill 759) e dall'altro democratico Mark Udall (House Resolution 3119) sono stati insabbiati. E' chiaro che Bush non avrà ostacoli politici. E, appena prima della pausa di agosto, il Senato ha votato - 97 voti a favore nessuno contro - una risoluzione proposta dal democratico Joe Lieberman che duramente accusava l'Iran di complicità nell'uccisione di soldati americani in Irak.

Quando l'attacco ci sarà, sarà dunque bipartizan.

I toni si sono fatti durissimi, e si accompagnano ormai ad azioni dirette di tipo militare, mentre è in discussione se attaccare le "infiltrazioni" iraniane in territorio iracheno, o se inseguire gli "infiltrati" anche dentro il territorio iraniano. E mentre la stampa americana è ormai inondata di accuse all'Iran come esportatore verso la resistenza sciita antiamericana di quei tremendi IED e EFP (ordigni ad alta penetrazione) che stanno mietendo vittime americane in Irak, Bush rende noto, parlando di fronte alla convenzione della American Legion, di avere "autorizzato i nostri comandanti militari ad affrontare le attività criminali di Teheran" , rivelando che "noi abbiamo già effettuato operazioni contro agenti iraniani che fornivano munizioni letali ai gruppi estremisti".

La chiusa è una dichiarazione di guerra: "I dirigenti dell'Iran non potranno sfuggire alla responsabilità di avere sostenuto attacchi contro le forze della coalizione, provocando la morte di iracheni innocenti".

Quindi non più soltanto la bomba atomica iraniana, che Washington intende stroncare prima che nasca, ma la voglia di eliminare l'ultimo antagonista rimasto nell'area. Il tema della bomba si è incaricato di svolgerlo uno dei principali organizzatori e sobillatori dell'attacco contro l'Irak, Michael Ledeen, che, proprio il 6 settembre, con l'attivo supporto dell'American Enterprise Institute ha lanciato il suo ultimo libro: "La bomba a tempo iraniana: la necessità di distruggere i Mullah Zeloti" (St Martin Press). Dove ripete, calcando la mano, ciò che dice e fa da anni: "Questa Amministrazione presidenziale, o la prossima, dovranno fare fronte a una scelta terribile: accettare un Iran nucleare, o bombardarlo prima che le sue armi atomiche siano pronte a partire".

E poichè Ahmadinejad non accenna a cedere, la conclusione non lascia spazio a dubbi. Questo pensano coloro che guidano l'America, inutile farsi llusioni. Hanno convinto anche la Francia di Sarkozi. Cosa pensi l'Europa non è dato sapere. Noi, a quanto pare, ci occupiamo solo di pagare gli effetti del disastro della finanza americana, ma a fare due più due non siamo capaci.

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