Bush, sanzioni alla Siria. Mosca frena

Usa e Gb chiedono dure misure contro Damasco. Der Spiegel: prezzolato il supertestimone dell'inchiesta Hariri

«Un teorema politico senza prove» Damasco respinge le accuse di un coinvolgimento nell'attentato a Rafiq Hariri ma si dice disposta a continuare la sua collaborazione con la Commissione

Stefano Chiarini, Il Manifesto, 23 ottobre

Il Cosiglio di sicurezza dell'Onu, nel corso della riunione di martedì prossimo dedicata alla discussione del rapporto Mehlis sull'uccisione dell'ex premier libanese Rafiq Hariri, raccogliendo l'invito del presidente Bush, inizierà a discutere di nuove sanzioni alla Siria «sospettata» di un coinvolgimento nella strage di San Valentino. Per dare maggior forza alla nuova condanna della Siria - in realtà nel rapporto Mehlis, pur politicamente tutto orientato contro Damasco, si parla di indizi e sospetti, di «scenari possibili» di un coinvolgimento siriano ma senza addurre alcuna prova - Washington avrebbe chiesto che la riunione del Consiglio di sicurezza avvenga «al massimo livello» quello di ministri degli esteri. L'ipotesi del varo di nuove sanzioni alla Siria è stata confermata ieri dal ministro degli esteri britannico Jack Straw, in questi giorni negli Usa, secondo il quale «Stati Uniti, Gran Bretagna a Francia starebbe lavorando alacremente» in questo senso. Secondo il già collaudato copione iracheno scritto ai tempi della Commissione per il disarmo non convenzionale (Unscom) - quando il Consiglio di sicurezza pose a Baghdad condizioni impossibili da soddisfare come l'accesso ai palazzi di Saddam - la mozione anglo-americana dovrebbe chiedere un' «immediata e piena» collaborazione al governo di Damasco. In pratica la messa in stato di accusa, senza prove, del fratello e il cognato del presidente Bashar Assad, rispettivamente Meir Assad e Asef Shawkat, capo dell'intelligence militare siriana e di fronte all'inevitabile rifiuto scatterebbero nuove sanzioni. In realtà gli Usa hanno posto a Damasco anche altre due condizioni: l'abbandono al loro destino e la repressione della resistenza irachena, palestinese e libanese e la rinuncia alla rivendicazione del Golan occupato da Israele. In pratica un suicidio del regime siriano. Tra le sanzioni prese in considerazione vi sarebbe il bando alle linee aeree siriane e l'estensione agli altri paesi delle misure già adottate dagli Usa contro Damasco sulla base delle leggi contro il terrorismo, il Patriot Act e il Syria Accountability Act.. Misure che sino ad oggi l'Europa aveva rifiutato. E che forse potrebbe ancora, in parte, rifiutare nel timore che una balcanizzazione della Siria rischierebbe di far saltare il Medioriente e portare ad un incontenibile flusso di profughi verso le sue coste. Forti dubbi vi sarebbero però da parte della Cina e della Russia che ieri ha frenato l'irruenza di Bush invitando il Consiglio di sicurezza «a non politicizzare le conclusioni del rapporto».

Il governo di Damasco, da parte sua, ha criticato il rapporto per i suoi contenuti -«Non è credibile. E' costruito su una strana sintesi degli incontri tra Hariri e le autorità siriane. E' un teorema politico senza prove costruito su testimonianze di ambienti ostili a Damasco» (Faisal Mekdahd ambasciatore siriano all'Onu) ma allo stesso tempo ha ribadito la sua volontà di non porre ostacoli all'azione dell'investigatore dell'Onu fino al punto di permettere nuovi interrogatori dei vertici dei suoi servizi, forse anche all'estero. Sul teorema di Mehlis si è però abbattuto un primo siluro proveniente non da Damasco ma dall'Europa, da Berlino. Il settimanale tedesco «Der Spiegel», nel prossimo numero, sosterrà che il supertestimone autore delle «rivelazioni» sul presunto complotto per uccidere Hariri organizzato dai vertici dei servizi segreti siriani e libanesi, Zuheir Saddiq, sarebbe in realtà un faccendiere e un imbroglione con varie condanne a suo carico che lo portarono a disertare dall'esercito siriano e a fuggire in Libano nel 1996 - dove si sarebbe messo sotto la protezione del leader druso Walid Jumblatt. Zuheir Saddiq, secondo il settimanale tedesco, potrebbe essere stato indotto a fare le sue dichiarazioni contro i vertici dei servizi siriani e libanesi in cambio di ingenti somme di denaro tanto da telefonare a suo fratello da Parigi per annunciargli di «essere diventato milionario». Assai sospetto sarebbe anche il fatto che la comparsa sulla scena del supertestimone sarebbe stata sponsorizzata, lo scorso agosto, dai servizi sauditi e francesi e dallo stesso Rifaat Assad, fratello dell'ex presidente siriano Hafez Assad (zio e nemico di Bashar Assad) esiliato nel 1984, e recentemente adottato da una parte dell'establishment americano (in particolare da Yossef Bodansky ex direttore della task force del congresso sul terrorismo) come una delle possibili alternative per un «cambio di regime». Quando però, a metà settembre, è emerso chi fosse realmente il supertestimone, invece di rimettere in discussione il suo teorema - con le relative accuse a Damasco - il giudice Detlev Mehlis ha subito preso per buono un improvviso cambiamento della testimonianza di Zuheir Saddiq che ora, per ridarsi una certa credibilità, si auto-accuserebbe - in cambio di precise garanzie che non sarà mai estradato in Libano ma resterà a godersi i suoi soldi a Parigi - di aver fatto parte in prima persona del complotto di San Valentino quel tragico febbraio del 2005.

Bush ordina: sanzioni subito alla Siria

Mozione di Usa, Francia e Gb contro Damasco per Hariri e per il sostegno alla resistenza palestinese e irachena

Stefano Chiarini, Il Manifesto, 26 ottobre

Il presidente americano George Bush ha chiesto ieri alle Nazioni unite di imporre sanzioni contro la Siria per un presunto coinvolgimento di Damasco nell'uccisione dell'ex premier libanese Rafiq Hariri, e per il sostegno che la Siria darebbe alla resistenza irachena, a quella libanese degli Hezbollah e ai gruppi palestinesi che hanno i loro uffici a Damasco e non ha escluso - anche se come ultima carta - il ricorso all'uso della forza. Se nel rapporto del giudice Detlev Mehlis, incaricato dall'Onu di indagare sulla strage del 14 febbraio scorso a Beirut, si parla di un possibile complotto dei servizi libanesi e siriani, senza portare in realtà alcuna prova - se non la testimonianza di un faccendiere-disertore che il settimanale «Der Spiegel» ha definito «prezzolato» - il presidente Bush ha emesso invece ieri una condanna senza appello: «La Siria e i suoi leader devono essere ritenuti responsabili per il loro continuo sostegno al terrorismo, compreso un coinvolgimento nell'omicidio del primo ministro Hariri». Per questo, ha continuato Bush, l'Onu «deve agire».

Il diktat Usa è venuto nel giorno in cui il giudice tedesco Detlev Mehlis ha esposto al Consiglio di sicurezza le conclusioni del suo rapporto sulla strage del 14 febbraio scorso secondo il quale «Damasco non poteva non sapere» del complotto per uccidere Rafiq Hariri. Detlev Mehlis, dopo aver denunciato una scarsa collaborazione da parte delle autorità di Damasco, ha poi parlato di non meglio precisate minacce contro alcuni uomini del suo team di investigatori, circa 30, che stanno «lavorando» sul caso Hariri e ha sottolineato la necessità di assicurare loro un'adeguata sicurezza. Ad una domanda sulle minacce ricevute il giudice Mehlis, anche in questo caso senza portare, come sempre, alcun elemento di prova, ha risposto che si tratterebbe di «gruppi attivi nel sud del Libano». Un'affermazione assai grave nella sua genericità, probabilmente riferita ad alcuni movimenti islamisti sunniti ma che potrebbe essere interpretata anche come un riferimento alla stessa resistenza libanese degli Hezbollah, vero obiettivo, con la Siria, del giudice tedesco e dei suoi sponsor d'Oltreoceano.

L'Amministrazione Bush sta accorciando i tempi e sta lavorando, insieme alla Gran Bretagna e alla Francia, ad una risoluzione ultimatum che chieda a Damasco di «collaborare» in pieno con il giudice Detlev Mehlis, ad esempio consegnandogli come inquisiti - sulla base di generici sospetti - i vertice stessi dell'apparato di sicurezza del regime, a cominciare dal capo dell'intelligence militare e cognato del presidente, il generale Assef Shawkat e dallo stesso fratello di Bashar, Maher che, secondo il figlio di Hariri e non meglio precisati transfughi siriani, sarebbero implicati nel complotto. Di fronte all'ovvio rifiuto scatterebbero le sanzioni contro Damasco. Stati Uniti e Francia, desiderosi di stabilire sul Libano un loro protettorato, presenteranno nei prossimi giorni una mozione in questo senso. Non è chiaro però se lo faranno o meno sotto il capitolo sette che rispondendo ad una presunta minaccia alla pace implica anche il ricorso all'uso della forza. Contro il possibile varo di sanzioni si sono però pronunciati Russia e Cina, paesi con diritto di veto e il governo algerino. Ma Bush non si ferma e l'Amministrazione Bush ha chiesto, forze già per lunedì prossimo, una riunione del Consiglio di sicurezza a livello di ministri degli esteri per condannare solennemente Damasco.

Parallelamente sta per arrivare al Consiglio di sicurezza un altro dossier esplosivo, quello dell'inviato speciale dell'Onu, Terje Roed Larsen, sul rispetto da parte del Libano e della Siria della risoluzione 1559 sul disarmo dei campi palestinesi e della resistenza libanese degli Hezbollah, primo passo verso la distruzione dei campi e la negazione del diritto al ritorno dei profughi palestinesi e verso un trattato di pace separato con Israe indipendentemente dal ritiro dello stato ebraico dai territori occupati palestinesi, siriani (il Golan), e libanesi (le Fattorie di Sheba). Le pressioni Usa rischiano ora di far saltare, prima ancora del regime siriano, anche i fragili equilibri libanesi. Nel paese dei cedri si moltiplicano i segni di una costante opera di destabilizzazione: due giorni fa una misteriosa sparatoria in un quartiere di Sidone, Tamiir, confinante con il campo palestinese di Ain el Helwe ha portato ad un ulteriore avvicinarsi dell'esercito alla cintura esterna del campo mentre ieri un geometra dell'esercito libanese che stava prendendo le misure per una eventuale futura demarcazione del confine con la Siria è stato ucciso da alcuni sconosciuti datisi poi alla fuga nella parte orientale della valle della Beqaa. Naturalmente l'episodio sarebbe avvenuto nei pressi di una base del gruppo palestinese Fatah Intifada che gli Usa vorrebbero smantellare così come le basi del Fronte popolare comando generale vicino al confine con la Siria e sulle colline a sud di Beirut.

Grazie all'opera di destabilizzazione portata avanti dagli Stati uniti e dalla Francia, le armi in Libano hanno ricominciato a parlare e sarà difficile farle tacere.

Libano, assediate tre basi palestinesi

Beirut, braccio di ferro sul disarmo della resistenza. All'Onu Mosca boccia la bozza Usa per l'embargo alla Siria

Stefano Chiarini, Il Manifesto, 27 ottobre

Mezzi corazzati e commando dell'esercito libanese hanno circondato alle prime luci dell'alba alcune basi palestinesi del Fronte popolare- comando generale (Sultan Yakub) e del gruppo Fatah-Intifada (Haiwa) nella valle della Beqaa, vicino al confine con la Siria, intimando ai combattenti palestinesi di sgomberarle e di consegnare le armi. E' la prima volta che ciò avviene dalla triste guerra dei campi del 1985-87. Parallelamente si è fatto sempre più stretto l'assedio dell'esercito libanese ai dodici campi profughi dove oltre 350.000 palestinesi vivono in condizioni di vita insostenibili e dove le forze di sicurezza libanesi non entrano più dalla «rivoluzione» del 1969.

A questa improvvisa mossa del premier libanese Fouad Siniora, uomo di fiducia di Saad Hariri (e quindi dell'Arabia saudita e degli Usa decisi a dare la Siria agli islamisti sunniti), ha risposto a tempo - come in un concerto - la presentazione al Consiglio di sicurezza da parte di Stati uniti e Francia di un'asprissima mozione che apre la strada all'adozione di dure sanzioni contro Damasco - per di più sotto l'articolo sette che fa presagire, come in Iraq «l'uso della forza» - se la Siria non collaborerà totalmente e senza condizioni con la Commissione di inchiesta sull'uccisione dell'ex premier libanese Rafiq Hariri. Per collaborazione totale da parte di Damasco la mozione intende anche l'«arresto» di chiunque rientri nella categoria dei «sospetti» e la sua consegna alla stessa commissione per essere interrogato fuori dal paese e senza testimoni. E tra i «sospetti» accusati da anonimi testimoni prezzolati, potrebbero esserci anche due membri della stessa famiglia del presidente siriano, il cognato Asef Shawkat, capo delTintelligence militare siriana e suo fratello Mehir.

La bozza di risoluzione americano-francese-britannica ha incontrato però un primo ostacolo nel rifiuto di Russia e Cina, ma anche della stessa Lega Araba, preoccupate che nuove sanzioni a Damasco potrebbero destabilizzare l'intera regione. In realtà il vero obiettivo dei «neocons» Usa e dell'Amministrazione Bush. «La Russia è contraria alle sanzioni contro la Siria - ha detto ieri Mikhail Ka-mynin, portavoce del ministro degli esteri Sergey Lavrov - in questi giorni in visita in Israele - e farà tutto il necessario per impedire qualsiasi tentativo di imporle a Damasco». La dura presa di posizione è venuta dopo una lunga telefonata notturna tra il presidente siriano Bashar Assad e il presidente russo Vladimir Putin e l'invio di una lettera dello stesso Bashar a Stati uniti, Gran Bretagna e Francia Nella missiva ai paesi autori della nuova risoluzione il presidente siriano ribadisce la disponibilità del suo paese a collaborare con la Commissione - ma nel rispetto della sua sovranità - sostiene la totale estraneità del suo paese all'uccisione di Hariri e allo stesso tempo, nel caso dovessero emergere «prove certe» a carico di qualche cittadino siriano, si impegna a «processarlo con severità».

Il Consiglio di sicurezza appare così, per il momento, bloccato, anche se il presidente americano Bush, anche questa volta, non sembra disposto a fermarsi. Damasco in realtà si trova sul banco degli imputati non tanto per la vicenda Hariri quanto per la sua stessa esistenza - dopo lo sfrantunamento dell'Iraq- come stato arabo laico, sovrano e indipendente, l'unico rimasto a chiedere il ritiro israeliano dai tenitori occupati nel 1967, a combattere il terrorismo jiha-dista e a sostenere il diritto delle popolazioni dei tenitori occupati in Iraq, Libano, e Palestina a resistere con le armi per riacquistare la loro libertà. Diritto che invece viene loro negato dalla risoluzione dell'Orni 1559 che oltre a chiedere il ritiro delle truppe siriane, pretende anche il disarmo della resistenza palestinese e libanese, prima, e non contestualmente ad un ritiro israeliano dai ter-ritori occupati di Palestina, dal Golan e dalla enclave delle Fattorie di She-baa. E che nega ai profughi palestinesi persino il diritto di difendere i loro campi e le loro case. Per poterli meglio spazzar via alla prima occasione.

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