Polemiche sul Che
L'obiettivo è Cuba

Adriana Chiaia


Abbiamo tutti seguito la polemica riguardante la vendita del copyright sulle opere inedite di Ernesto Che Guevara alla Mondadori da parte della casa editrice australiana Ocean Press, con il consenso dei familiari del Che, come si è sottolineato, in verità per decisione del “Centro de Estudios sobre las obras del Che”, che ha sede all’Avana, nella casa in cui abitò il Che con la sua famiglia. Aleida Guevara March, figlia del Che, la quale è stata, nei giorni scorsi, impegnata in un giro di conferenze in varie località italiane, ha risposto adeguatamente alla scandalosa montatura inscenata dal duo Massari-Moscato a cominciare dalle colonne del Corriere della sera e a cui ha dato la massima risonanza il quotidiano bertinottiano Liberazione. Di una cosa si può esser certi: il suddetto Centro, gestito, insieme ad Aleida March (vedova del Che), dalla studiosa María del Carmen Ariet, che ha visitato tutti i luoghi percorsi dal Che nei suoi itinerari politici e di guerriglia, che ha decifrato (nel caso di manoscritti), raccolto e studiato tutti i suoi appunti, testi dattiloscritti e resoconti registrati o stenografati di interventi pubblici ed in generale tutti gli scritti inediti custoditi nell’archivio personale del Che, non permetterà mai, a chiunque li pubblichi, di alterarli minimamente e se ne assumerà in esclusiva l’edizione.

Detto questo, è indispensabile smascherare - ed è l’argomento di cui ci occuperemo - il vero intento di questa chiassata.

Cominciamo col ricordare che, nella ricorrenza della caduta del Che in Bolivia e del suo assassinio, voluto dal governo statunitense e dalla CIA e perpetrato dai lacchè dell’esercito boliviano del dittatore golpista Barrientos, ogni anno si risuscitano due immagini del Che, contrapposte ed in un certo senso concorrenti allo stesso scopo. Da un lato, la sua demonizzazione: fucilatore dei torturatori di Batista, dopo il trionfo della rivoluzione cubana, nel 1959; frustrato nei suoi limiti fisici e quindi avventuriero disperato; rigido esecutore degli schemi marxisti-leninisti nella gestione centralizzata dell’economia cubana nelle vesti di ministro dell’Industria, e via discorrendo. Dall’altro lato, la sua idealizzazione e trasformazione in mito: il Che guerrigliero (la sua immagine più nota), il comunista senza macchia, nemico di ogni compromesso, l’eroe sconfitto e tradito dalle sue stesse illusioni. Queste immagini opposte si possono trovare in migliaia di scritti pubblicati da giornali e riviste e nelle sue biografie, da quelle più denigratorie a quelle più fantasiose. Le immagini della prima categoria sono generalmente frutto delle forze reazionarie, quelle della seconda vengono da fonti di “sinistra”, con intrecci interessanti tra le une e le altre (1).

Quest’anno, in Italia, si è creduto opportuno celebrare la ricorrenza scatenando la polemica di cui sopra, iniziata con un articolo sul Corriere della sera, dal titolo “Censurato e venduto, rissa sul Che”, nel quale il giornalista Antonio Carioti intervista l’editore Massari e cita lo storico Moscato. Non abbiamo intenzione di commentare il palleggio di interventi, repliche di Minà e contro-repliche dei due accusatori Massari e Moscato apparsi di nuovo sul Corriere, sull’Unità e sul Manifesto.

Chi avesse voglia e tempo per aggiornarsi, troverà tutta la documentazione relativa, - compresa la lettera giustamente dura e tagliente della dottoressa Aleida Guevara March, figlia del Che (Aleidita per i compagni e gli amici) per par condicio, che diamine! - sul Notiziario della Fondazione Ernesto Che Guevara, creatura quest’ultima del suddetto Massari, che da questa operazione ha ricavato una visibilità insperata.

In questo articolo vogliamo invece occuparci dell’operazione politica ed ideologica condotta da Antonio Moscato, alla quale è stato offerto lo spazio di intere pagine di Liberazione, per ben otto puntate, operazione quindi avallata dal quotidiano del Partito di Rifondazione Comunista.

Il trockijsta Moscato ha sempre sostenuto che esistessero degli scritti inediti di Guevara che il governo cubano non voleva rendere pubblici, perché contenevano critiche severe all’Unione Sovietica, sia alla sua economia, sia alla sua politica estera. Questa censura avrebbe dimostrato la dipendenza di Cuba dall’URSS. E questa è anche la tesi principale dei torrenziali articoli di Moscato.

Ora la gran parte delle critiche del Che, come dimostreremo in seguito, è nella sostanza arcinota ed è stata pubblicata, nei modi e nei tempi opportuni, decisi dalla direzione politica del governo rivoluzionario cubano (purtroppo senza consultare Moscato). Ricordiamo che di quel governo il Che era membro autorevole e che, finché ne fece parte (dal 1959 al 1965), ne è stato il rappresentante ufficiale, spesso alla testa di delegazioni cubane, in innumerevoli viaggi, sia in sedi internazionali (ONU) che in moltissimi paesi del mondo, a carattere socialista e non, al fine di stabilire vincoli politici, accordi militari e commerciali.

La ripetitiva e confusa matassa degli scritti di Moscato, al di là del leitmotiv della censura, persegue lo scopo di attaccare il socialismo cosiddetto reale (quello ideale vive solo nel mondo delle idee di Hegel), con l’aiuto della categoria favorita dei trockijsti, della sua degenerazione burocratica in URSS, come a Cuba. Dimostreremo in seguito come egli, atemporale, al pari del suo maestro, sollevi una pietra per farsela ricadere sui piedi (per dirla con Mao Zedong).

Poiché ci rifiutiamo di contestare le menzogne, le mezze verità, le ambiguità, colpo su colpo, tentiamo di dipanare questo groviglio ideologico affrontandone gli argomenti principali:

L'economia cubana nella costruzione del socialismo

Il dibattito sull’economia cubana, alla cui guida il governo rivoluzionario aveva chiamato Ernesto Guevara, come ministro dell’Industria, fu un dibattito che si svolse pubblicamente a Cuba e che ebbe ripercussioni internazionali (intervenne, tra gli altri, l’economista e storico Bettelheim, che, prima della sua conversione a posizioni revisioniste, sostenne il sistema economico sovietico!). Si trattò del confronto su temi di importanza basilare: 1) le diversità strutturali tra un’economia centralizzata, basata sul “finanziamento delle imprese tramite il bilancio dello Stato” (il sistema promosso ed applicato al settore industriale dell’economia cubana da Ernesto Guevara), ed un’economia basata sul cosiddetto calcolo economico, più chiaramente sull’autonomia delle imprese e sulla loro possibilità di accedere direttamente a crediti bancari (secondo le modifiche economiche introdotte da Krusciov e dai suoi economisti, come Libermann, affascinati dalle sirene capitalistiche, modifiche affermatesi ulteriormente negli anni successivi); 2) sulla legge del valore che regola l’economia capitalista e sulla sua validità limitata e la sua governabilità in un’economia socialista; 3) sul ruolo degli incentivi per aumentare la produttività: le diversità tra quelli materiali e quelli morali, tra quelli collettivi e quelli individuali, tra l’incentivo finalizzato a promuovere l’interesse personale e quello finalizzato allo sviluppo della coscienza e all’acquisizione di una nuova visione del lavoro.

Il dibattito prese le mosse da un articolo di Alberto Mora dal titolo “Sul funzionamento della legge del valore nella economia cubana di oggi”, pubblicato sulla rivista Nuestra Industria Económica del Ministero del Commercio Estero. Ernesto Guevara rispose con il suo articolo: “Sulla concezione del valore” in cui osservava tra l’altro, riferendosi al ramo industriale:
“Per noi il passaggio da un reparto all’altro, da un’impresa all’altra nel sistema di finanziamento tramite il bilancio non può essere considerato un atto di scambio ma solo un atto di formazione e di aggiunta di nuovo valore mediante lavoro. Cioè, se merce è quel prodotto che cambia di proprietà per mezzo di un atto di scambio, e se tutte le fabbriche sono di proprietà dello Stato e rette dal sistema di finanziamento tramite il bilancio nel quale quel fenomeno non si produce, il prodotto si trasformerà in merce solo quando, portato sul mercato, passerà in mano al popolo che lo consuma" (2).

Lo scritto più completo del Che sull’argomento è quello intitolato: “Sul sistema di finanziamento tramite il bilancio dello Stato”, (pubblicato su Nuestra Industria Económica, n.5, febbraio 1964). In esso il Che cita Marx, Engels, soprattutto Lenin e paragona le condizioni esistenti nella Russia Sovietica nei primi anni Venti con la situazione di Cuba. Impossibile fornire qui, per ragioni di spazio, anche solo una sintesi di tale lavoro; ci limitiamo soltanto a riportare due citazioni sulle differenze tra il sistema sovietico e quello cubano. La prima riguarda il concetto di impresa: “La differenza più evidente è quella che concerne la definizione di impresa. Per noi l’impresa è un insieme di fabbriche o di unità che hanno una base tecnologica simile, destinazione comune per la loro produzione o, talvolta, una ubicazione geografica ben delimitata. Per il sistema del calcolo economico, l’impresa è un’unità di produzione dotata di personalità giuridica. Secondo questo metodo, uno zuccherificio è un’impresa, mentre per noi tutti gli zuccherifici e le altre unità produttive connesse con l’industria zuccheriera costituiscono la Empresa consolidada dello zucchero. (…)” (3).

La seconda citazione riguarda gli incentivi materiali, argomento, dice il Che, in cui le contraddizioni sono più sottili: “È questo uno dei punti in cui le nostre divergenze acquistano dimensioni concrete. Non si tratta di sfumature; per i sostenitori dell’autogestione finanziaria, l’incentivo materiale diretto che viene proiettato nel futuro e che accompagna così la società nelle diverse tappe della costruzione del comunismo, non si contrappone allo “sviluppo” della coscienza: per noi è il contrario. (…)” (4).

In questo stesso testo sono riportati stralci del Manuale di economia politica dell’Accademia delle Scienze dell’URSS, che Guevara commenta e critica.

Il dibattito continuò per molti mesi (fino al dicembre 1964), riguardò il confronto con l’INRA, ramo dell’agricoltura, dove non si applicava il metodo presupuestuario, e toccò il sistema bancario e del credito. Come abbiamo detto, ebbe risonanze internazionali, riguardando la questione cruciale della costruzione del socialismo in molti paesi diversi. Guevara rispose all’intervento di Charles Bettelheim sul n. 32 della rivista Cuba socialista, contestando le sue tesi. Anche l’economista trockijsta Mandel si schierò a favore delle tesi del Che, ma non fu certamente il suo principale interlocutore (Moscato, non ti allargare!).

Il Che, come abbiamo visto, affrontò tutti questi temi in forma sistematica nei suoi scritti economici, li ribadì, in maniera episodica, ma sempre approfondita, in conferenze nelle fabbriche (che visitava spesso, anche perché personalmente impegnato nel lavoro volontario), in dibattiti televisivi e nei seminari che aveva organizzato nel Ministero dell’Industria, al fine di elevare il livello culturale e la coscienza politica dei suoi collaboratori. I resoconti stenografici di questi interventi furono pubblicati in varie forme.

Come si vede, il dibattito fu largamente pubblico e non fu tenuto nascosto ai lavoratori cubani, come lamenta il solito Moscato. Certamente esistettero ed esistono altri scritti inediti o diffusi selettivamente nei settori della produzione maggiormente coinvolti nella discussione, e soprattutto nella sua sperimentazione e applicazione concreta. Molti sono stati successivamente (e non furtivamente) raccolti e pubblicati e serviranno per approfondimenti e arricchimenti in materia. Ma il nocciolo delle divergenze tra la gestione dell’economia cubana, sia nel ramo industriale diretto dal Che, sia nel ramo dell’agricoltura (INRA), e la gestione dell’economia dell’URSS nella sua nuova impostazione, sono tutte note nella sostanza, compresa la critica del Che al Manuale di economia politica dell’Accademia delle Scienze dell’URSS (5). Non è escluso che critiche più radicali e taglienti del Che siano apparse nei suoi interventi orali e scritti, ma ripetiamo che le critiche essenziali sono ampiamente contenute nei suoi scritti più importanti e divulgati a Cuba, a cui abbiamo fatto riferimento.

Negli anni che seguirono (1965- 1967) a Cuba si commisero, in campo economico, errori gravissimi. In un primo tempo, nell’applicazione estremizzata del pensiero del Che, ad esempio, dando per scontato il livello di coscienza raggiunto dai lavoratori cubani (cioè l’esistenza compiuta dell’uomo nuovo, che invece il Che diceva non ancora “definita” (6) ) e quindi eliminando ogni controllo nella produzione (al contrario, il Che era celebre per il suo rigore nell’esercitarlo), e successivamente, all’opposto, adottando i metodi di direzione dell’economia ormai in vigore in URSS e negli altri paesi socialisti europei, che il Che aveva pubblicamente stigmatizzato come tendenti all’instaurazione del capitalismo.

Lo denunciò Fidel Castro, nel suo discorso in occasione del XXV anniversario della vittoria di Playa Girón, dando inizio al movimento di “rettifica degli errori e delle tendenze negative”. Egli disse anche che simili errori erano molto più gravi delle tendenze all’idealismo (7) che si erano precedentemente verificate e denunciò vigorosamente, con un vasta casistica di esempi concreti, le nuove tendenze negative. Egli disse, ad esempio:
“(…) Vi sono alcuni dei nostri direttori di imprese che si sono trasformati in impresari da strapazzo, del tipo capitalista. Perché la prima cosa che si deve chiedere un quadro rivoluzionario, un quadro socialista, un quadro comunista, non è se la sua impresa ottiene maggiori profitti, ma come il paese possa trarre maggiori profitti. (…)”. (8)
Fidel Castro in più occasioni chiamò le masse a lottare contro gli errori e le tendenze negative denunciate: “(…) sono altresì convinto che sono le masse organizzate e disciplinate che possono aiutare a vincere questa battaglia, e tra le masse, quelle del nostro partito e della nostra gioventù comunista.” (…). (9)
Ed ancora:
“Errori della Rivoluzione hanno contribuito a queste tendenze negative che dobbiamo combattere, perché così non si costruisce il socialismo, (…) si costruisce il capitalismo.” (10)

Gli interventi di Fidel Castro si svolsero in un arco di tempo che comprende l’intero anno 1986 e i primi mesi del 1987. Il movimento di rettifica, in atto in tutto il paese, fu collegato alla necessità di riprendere l’eredità teorica e pratica del Che; ancora Fidel Castro, il 12 ottobre del 1987, in occasione del XX anniversario della caduta in combattimento del comandante Ernesto Che Guevara, disse, tra l’altro:
“(…) Stiamo rettificando tutte quelle tendenze, e sono molte, che si allontanano dallo spirito rivoluzionario, dalla concezione rivoluzionaria (…). Stiamo rettificando ogni sorta di ciarpame e di mediocrità che erano esattamente la negazione delle idee del Che, del pensiero rivoluzionario del Che, dello stile del Che, dello spirito del Che e dell’esempio del Che.” (11)
E più oltre:
“(…) in questo XX anniversario, faccio appello ai nostri militanti, ai nostri giovani, ai nostri studenti, ai nostri economisti perché studino e conoscano il pensiero politico e il pensiero economico del Che!” (12)

Dobbiamo ricordare allo “storico marxista” Moscato che la costruzione del socialismo comporta una lotta tra opposte tendenze? Non si capisce perché Cuba ne dovesse essere esente. Tuttavia, se il Partito comunista, cioè la direzione rivoluzionaria di una società socialista, che lotta, all’interno del partito stesso e in tutta la società, è in grado (e Fidel lo dimostra) di rettificare gli errori, quella società riprende il cammino verso il comunismo. In caso contrario il cammino si arresta e finisce col cambiare di segno. Non era quindi soltanto l’influenza dell’Unione Sovietica (quale Unione Sovietica, Moscato?) che metteva un freno alla diffusione delle opere del Che, e soprattutto all’attuazione del suo pensiero, ma un complesso di circostanze, interne ed esterne, su cui ritorneremo in seguito. Il nuovo impulso alla gestione corretta dell’economia, ispirata ai principi del Che, si scontrò con la recrudescenza del blocco economico da parte dell’imperialismo USA e il concomitante venir meno degli scambi economici con i paesi socialisti. Il Partito comunista ed il governo cubani furono costretti a chiudere molte aziende, a permettere l’ingresso di imprese capitaliste e la creazione di società miste, introducendo così elementi di capitalismo nell’economia cubana, scelta dolorosa, dettata dalla dura necessità di evitare che la popolazione morisse letteralmente di fame e che permetteva - come dichiarato chiaramente da Fidel Castro - di salvare le principali conquiste della Rivoluzione in campo sociale.

E veniamo ora ad un altro argomento favorito da Moscato e soci:

La politica estera di Cuba e in particolare
il suo rapporto con l’URSS e gli altri paesi socialisti

Facciamo riferimento al discorso del Che, pronunciato il 24 febbraio 1965, durante il II Seminario economico afro-asiatico svoltosi ad Algeri. In tale occasione il Che, secondo la tesi di Moscato e soci, avrebbe accusato l’URSS e il campo socialista di oggettiva complicità con l’imperialismo, ragion per cui - essendo divenuto un personaggio scomodo per i rapporti tra Cuba e l’URSS - sarebbe stato costretto a lasciare le sue cariche nel governo cubano e a lanciarsi nell’avventura guerrigliera, prima in Congo e poi in Bolivia. In questa interpretazione falsa e faziosa coincidono - come sempre - reazionari e trockijsti.

In primo luogo, Ernesto Che Guevara rappresentò ufficialmente a quel seminario il governo cubano, come già nelle occasioni precedenti. Il Che non era un anarchico, libero battitore, ma un comunista disciplinato, che conduceva le sue battaglie con determinazione, ma anche con senso di responsabilità. Sarebbe a questo punto desiderabile che i compagni (anche quelli del PRC, fuorviati dalla campagna avallata dal loro giornale), nonché i “sinceri democratici” leggessero o rileggessero l’intero testo che, polemiche a parte, è ricco di insegnamenti, anche di attualità. Ci limitiamo a citare, qui di seguito, alcune frasi del discorso, quelle “incriminate” ed isolate dal contesto dagli “storici” faziosi e quelle omesse dagli stessi.

Il Che, dopo aver aperto il suo intervento con queste parole:
“Cari fratelli, Cuba giunge a questa conferenza per far sentire, da sola, la voce dei popoli d’America e (…) lo fa anche nelle sue condizioni di paese sottosviluppato che, nello stesso tempo, costruisce il socialismo.”(13)
prosegue:
“Non ci sono frontiere in questa lotta a morte [contro l’imperialismo, ndr]: non possiamo restare indifferenti di fronte a ciò che succede in qualsiasi parte del mondo; una vittoria di un qualsiasi paese sull’imperialismo è una vittoria nostra, così come la sconfitta di una qualsiasi nazione è una sconfitta per tutti.(…) Abbiamo detto che ogni qualvolta un paese si libera è una disfatta per il sistema imperialista mondiale; ma dobbiamo anche dire che questa liberazione non avviene per il semplice fatto di proclamare l’indipendenza o di conquistarsi, con le armi, la vittoria in una rivoluzione: avviene quando il dominio economico imperialista non può più essere esercitato su di un popolo. Pertanto è vitale per i paesi socialisti che queste rotture si realizzino effettivamente, ed è nostro dovere internazionalista - un dovere determinato dalla ideologia che guida le nostre azioni - contribuire con i nostri sforzi affinché la liberazione sia il più rapida e profonda possibile” (14)
(…) “Pensiamo che la responsabilità di aiutare i paesi dipendenti debba essere affrontata con questo spirito [dell’internazionalismo proletario, ndr.] e che non si debba mai parlare di sviluppare un commercio reciprocamente proficuo sulla base dei prezzi che la legge del valore e i rapporti internazionali di scambio - scambio diseguale, conseguenza della legge del valore - impongono ai paesi arretrati.” (15)
(…) “Se stabiliamo questo tipo di relazione tra i due gruppi di nazioni, dobbiamo convenire che i paesi socialisti sono, in un certo modo, complici dello sfruttamento imperialista [la sottolineatura è nostra].”(16)

E adesso vediamo che altro ha detto il Che in quella, come in altre occasioni, e non certo per opportunismo, ma per quel senso di equilibrio nei giudizi che lo contraddistingueva:
“ (…) dopo una serie di discussioni politiche, Unione Sovietica e Cuba hanno firmato accordi vantaggiosi per noi: accordi in base ai quali venderemo fino a cinque milioni di tonnellate [di zucchero, ndr.] a prezzi fissi superiori a quelli normali del cosiddetto mercato libero mondiale zuccheriero. Anche la Repubblica Popolare Cinese compra da noi agli stessi prezzi.” (17)

Più oltre, parlando della necessità per i paesi sottosviluppati di progredire nella conquista della tecnica e quindi del dovere dei paesi socialisti di aiutarli anche in questo campo, dice che questo aiuto è possibile perché:
“ (…) i paesi fratelli ci hanno mandato un certo numero di tecnici: ed essi hanno fatto, per lo sviluppo del nostro paese, più di quanto avrebbero potuto fare dieci istituti e hanno contribuito a cementare la nostra amicizia più di dieci ambasciatori o cento ricevimenti diplomatici.” (18)

Non resta che far notare, come si evince dalla nota n.12, che il testo del discorso, fu immediatamente pubblicato sul giornale cubano Revolución e che il popolo cubano era un appassionato lettore dei giornali (a differenza del nostro), da Granma, a Juventud Rebelde, a Revolución, appunto, almeno fino a quando il blocco economico degli USA impedì di stamparne, come di consueto, milioni di copie.

Occupiamoci ora dell’altro cavallo di battaglia dei denigratori del governo cubano e per estensione del socialismo: cioè dell’anno in cui il Che “non fu da nessuna parte”. In quel periodo i luoghi comuni anticomunisti si sprecarono: il Che era stato arrestato o rinchiuso in un manicomio o, peggio, ammazzato.

La lettera di commiato del Che a Fidel (19) non era ancora stata resa nota per ovvi motivi di segretezza e di sicurezza nei confronti della colonna cubana che operava in Congo e che era stata addestrata, equipaggiata, fatta giungere sul posto dal governo cubano, coerentemente con i principi dell’internazionalismo proletario che sempre ispirarono ed ispirano anche oggi - sia pure in forme differenti - il governo rivoluzionario cubano, il PCC, Fidel Castro e il popolo cubano. La vocazione internazionalista di Che Guevara ebbe tutte le possibilità di svilupparsi ed attuarsi nella pratica, proprio grazie a questo determinante appoggio.

Non a caso la Prima Conferenza di Solidarietà dei Popoli dell’Africa, Asia e America Latina si svolse, nel 1966, all’Avana e la segreteria generale dell’organizzazione (OSPAAAL), fondata in quella conferenza ha, ancor oggi, sede all’Avana.
“La Prima Conferenza di Solidarietà dei Popoli dell’Africa, Asia e America Latina, si è svolta all’Avana dal 3 al 15 gennaio 1966. (…) Per la prima volta nella storia, una vastissima rappresentanza delle forze rivoluzionarie di 82 paesi di tre continenti ha scambiato esperienze ed iniziative, ha stretto i vincoli di solidarietà rivoluzionaria ed antimperialista e adottato accordi fondamentali per la lotta contro il sistema di sfruttamento imperialista, colonialista e neocolonialista, contro il quale hanno dichiarato una guerra mortale.” (Dalla dichiarazione generale della Conferenza)

Il Che non fu fisicamente presente, ma vi partecipò idealmente con il suo celebre Messaggio alla Tricontinental (20) (reso noto all’Avana in un numero speciale della rivista TRIcontinental, il 17 aprile 1967) in cui lanciava il suo appello a “Creare, due, tre…molti Vietnam”.

Nel suo discorso conclusivo della conferenza, Fidel parlò - tra l’altro - di questa assenza e denunciò tutte le calunnie con cui gli imperialisti, con i loro reggicoda, cercavano di spiegarla da par loro. Diede lettura, in particolare, ad una dichiarazione pubblicata dal giornale trockijsta italiano Lotta operaia, che riportiamo per rinfrescare la memoria di Moscato e dei suoi amici trockijsti di Rifondazione:
“Un aspetto dell’acuirsi della crisi mondiale della burocrazia è l’espulsione di Guevara. Guevara è stato espulso ora, non 8 mesi fa. Otto mesi è durata la discussione con Guevara e non sono stati otto mesi in cui si beveva il caffè, hanno lottato duramente e forse ci sono stati dei morti, forse si è discusso a colpi di pistola. Non possiamo dire se hanno ammazzato o meno Guevara, ma è lecito il diritto di pensare che lo abbiano ammazzato. Perché Guevara non compare? (…) La Quarta Internazionale deve portare avanti una campagna pubblica in questo senso, esigendo la comparsa di Guevara, il diritto di Guevara di difendersi e di discutere, a fare appello alle masse,,,” [Dal discorso di Fidel Castro alla cerimonia di chiusura della Conferenza, 15 gennaio 1966].

Non vi sembra di sentire il loro maestro, Trockij, quando insinuava che Stalin aveva affrettato la morte di Lenin per la sua sfrenata sete di potere? (21) Fidel Castro concluse dicendo:
“(…) Un giorno l’umanità verrà a conoscenza di tutti i fatti. Sarà il giorno quando i miserabili vedranno che non c’è stato nessun compagno Guevara assassinato, quando si sapranno esaurientemente tutti i dettagli su ogni suo passo, quando ugualmente si saprà quale è stata la posizione di Cuba in quei giorni difficili e quale è stata la serenità di questo popolo, quando si capirà, non resterà più nessuno, insolente che sia, provocatore che sia, che si azzarderà a mettere in dubbio il sentimento di solidarietà di questo popolo e il coraggio di questo popolo.” [Dal discorso sopra menzionato. Vedi Atti della Conferenza pubblicati a cura della rivista TRIcontinental, La Habana, Cuba].

Moscato, epigono di questi calunniatori, non cerca il cadavere del Che, ma, più modestamente, gli scritti del Che relativi alla guerriglia in Congo, che sarebbero stati tenuti nascosti per “imposizione dell’Unione Sovietica”. Moscato si profonde in elogi per il “coraggio” dimostrato da Paco Ignacio Talbo II, noto scrittore e storico di origine spagnola, che vive e lavora in Messico, il quale ruppe il silenzio e che, per avere osato tanto rischiò, ci informa sempre Moscato, un processo, che poi non si sarebbe svolto per evitare lo scandalo(!). Il suo libro (22), come si dice nella nota degli autori, “è un montaggio delle testimonianze di persone che parteciparono agli eventi”, di cui si rendono noti i nomi, e del Diario del Che, fatto pervenire da “una persona dell’apparato statale cubano, che preferisce mantenere l’anonimato”. Il secondo libro sullo stesso argomento (23), di William Gálvez, Premio Casa de las Américas 1995 fu pubblicato nel 1997. È anch’esso un montaggio di brani del Diario del Che, di testimonianze degli altri guerriglieri della colonna che operò in Congo e di considerazioni dell’autore, rivoluzionario cubano di “lungo corso”. Inoltre è preceduto da un’introduzione di Jorge Risquet Valdés che inquadra la vicenda nel suo contesto storico, geografico e sociale. Purtroppo, non ne esiste la traduzione italiana. Il primo è certamente un libro stimolante ed onesto, ma, se è vero che la storia dei rivoluzionari non può che esser scritta da rivoluzionari, il secondo - a nostro parere - è decisamente preferibile. Infine, nel 1999 è stato pubblicato il testo integrale del diario del Che durante la sua spedizione in Congo: Pasajes de la guerra revolucionaria: Congo (24), con prologo di Aleida March Guevara (figlia del Che). Su questo ritardo di più di trent’anni specula il Moscato. Anche se dovrebbe essere comprensibile - a qualsiasi persona che non abbia la mentalità di “rivoluzionario da salotto” - che si debba serbare a lungo il segreto sulle operazioni clandestine, sul soggiorno di cospiratori nelle ambasciate cubane presso vari paesi, sul passaggio illegale di uomini con passaporti falsi e con armi, attraverso le loro frontiere, i loro aeroporti, ecc.; che si debba tener conto dei rapporti diplomatici con Stati che offrirono solidarietà o furono implicati nelle operazioni, ciononostante risponderemo con quanto disse, in un’intervista (25) rilasciata per la prima volta dopo trent’anni, un rivoluzionario che sapeva tenere la bocca chiusa. Si tratta di Manuel Piñero Losada, sfortunatamente scomparso di recente. Con un curriculum di rivoluzionario di professione, fondò il Ministero degli Interni e fu il massimo responsabile della Direzione Generale di Liberazione Nazionale fino al 1975. Diresse per oltre 15 anni il Dipartimento America del CC del PCC, di cui fu membro fin dalla sua costituzione, il 3 ottobre 1965. In quello stesso giorno Fidel rese pubblica la lettera di commiato del Che. Egli quindi lavorò al fianco del Che per stabilire i rapporti con tutte le forze rivoluzionarie e i movimenti di liberazione del mondo intero e preparò l’una e l’altra impresa guerrigliera del Che e dei suoi compagni. In quella intervista, egli disse: “Prima o poi, quando sarà il momento opportuno, bisognerà raccontare con maggiori dettagli questa storia e rendere merito a tutti i compagni che collaborarono a quelle operazioni, nelle quali non ci fu un solo errore. Oltre 140 cubani partirono per l’Africa e più di 20 per la Bolivia senza essere individuati dal controspionaggio statunitense né dagli apparati di sicurezza dei paesi di transito. (…) Vivemmo giorni di grande tensione, e mi riferisco a tutta la squadra incaricata di portare a termine quei compiti. Sapevamo che un errore di qualsiasi natura avrebbe potuto provocare la morte di uno dei partecipanti alla missione.” (26)

Moscato, commentando la pubblicazione integrale di Pasajes de la guerra rivolucionaria: Congo stravolge il senso di una frase del prologo di Aleida March, che trascriviamo integralmente:
“(…) Publicar Pasajes de la guerra revolucionaria: Congo, documento inédito, conservado en su [del Che, ndr] archivo personal , que contiene ademàs la corrección de estilo, la incorporación de observaciones y la eliminación de algunas notas, es un gran compromiso con la historia … (27) .
[“pubblicare Pasajes de la guerra revolucionaria: Congo, documento inedito, custodito nel suo archivio personale, che inoltre contiene correzioni di stile, l’introduzione di osservazioni e la eliminazione di alcune notazioni, è un grande impegno storico, traduzione della redazione].

Ora chiunque, che non sia in malafede, capisce che le correzioni, le osservazioni, l’eliminazione di notazioni sono del Che, come si può anche vedere dalle foto del testo originale, pubblicate dal già menzionato libro di William Gálvez alle pp. 329-333. Invece Moscato attribuisce queste modifiche del testo alle forbici di Aleida March. Abbiamo derogato al nostro proposito di non controbattere, punto per punto, il mare di menzogne profuse in questa campagna denigratoria, perché in questo caso specifico abbiamo voluto dimostrare come per lanciare una calunnia gratuita e irresponsabile bastino due righe. Contestarla richiede invece un paziente lavoro di ricerca e il tempo e lo spazio necessari, che vanno al di là della stesura di un semplice articolo.

Invitiamo i compagni e le persone interessate alla verità storica a leggere la lettera di Fidel riportata nello stesso prologo (e anch’essa travisata dal solito Moscato), lettera scritta per convincere il Che a ritornare a Cuba per preparare, nel modo più idoneo e con tutto il sostegno necessario, la missione in Bolivia: vi troveranno l’espressione più alta di quello che possono essere i rapporti di amicizia, di solidarietà e di rispetto tra rivoluzionari, tra comunisti, uniti dal vincolo di un ideale comune e dalla volontà di realizzarlo. Si disintossicheranno così dalle meschinità di Moscato, Massari e soci.

Per quanto riguarda il bilancio dell’impresa in Congo, Moscato sentenzia che in Africa i Cubani fecero errori politici molto gravi e “dimentica” che gli insegnamenti tratti dall’esperienza negativa della colonna Uno in Congo servirono a porre le basi per la vittoria militare in Angola del FAPLA (Fronte Armato Popolare per la Liberazione dell’Angola), appoggiato dal forte contingente delle Forze Armate Rivoluzionarie cubane, vittoria che permise di concludere i negoziati di pace con il regime dell’Apartheid del Sudafrica, che fu costretto a ritirarsi definitivamente dall’Angola e a riconoscere l’indipendenza della Namibia. Questa sconfitta da cui il regime razzista non si riprese, aprì la strada alla sua abolizione. Nelson Mandela non l’ha dimenticato.

Dopo la morte del Che in Bolivia, il suo diario, arrivato in modo rocambolesco in mani cubane, fu immediatamente stampato in centinaia di migliaia di copie e distribuito gratuitamente alla popolazione cubana. Come si sa, fu pubblicato immediatamente in molti paesi, tra cui l’Italia (Feltrinelli editore). Questa volta Moscato non può parlare di ritardi e censure, ma ha un argomento su cui far leva: il tradimento di Monje, segretario del Partito comunista boliviano. Anche qui dimentica che Monje non fu seguito da alcuni quadri appartenenti al Partito (i più noti Inti e Coco Peredo) che si erano già uniti alla guerriglia e da altri che volevano raggiungerla e ne furono impediti.

A questo punto risulta chiaro lo scopo principale di Moscato. La privatizzazione dei diritti di autore delle opere del Che è solo un pretesto. Il suo vero obiettivo sono i partiti comunisti, non importa se il PCUS o il Partito comunista cubano o quello boliviano, tutti naturalmente burocratizzati; il suo obiettivo è l’Unione Sovietica, sono gli Stati socialisti, compreso quello cubano, tutti ovviamente degenerati. In definitiva il suo obiettivo è il socialismo. Inseguendo una visione dogmatica, atemporale, che non tiene conto delle contraddizioni, delle diversità, delle circostanze concrete, arriva finalmente a colpire il bersaglio preferito del suo maestro, Trockij e dei suoi seguaci. Sentitelo:
“Non solo [il Che, ndr.] ribadisce il concetto di imparare dai paesi capitalisti sviluppati che era costantemente presente in Lenin (e che divenne impensabile negli anni in cui Stalin, appoggiandosi sullo sciovinismo grande-russo, introduce una grottesca esaltazione del popolo russo e una ossessiva xenofobia), ma dice una semplice verità”… (dall’articolo di Moscato su Liberazione del 9 ottobre 2005).

Nell’ultima parte, superficiale e abborracciata, della puntata finale della serie dei suoi articoli, Moscato tocca il punto più basso delle sue analisi. L’”ultimo” Lenin a cui soprattutto si sarebbe ispirato il Che, è il Lenin della NEP. È scandaloso dover ricordare al “ricercatore”, allo “storico”, al “docente universitario” - come lo qualificano i suoi estimatori - che per Lenin la NEP fu una ritirata (il più possibile ordinata) obbligata perché il sostegno al governo bolscevico da parte dei contadini colpiti dalla carestia stava venendo meno? Lenin lavorò instancabilmente per porre fine a quella ritirata e affermò più volte che dalla Russia della NEP sarebbe sorta la Russia socialista. Legato che, dopo la sua morte, portarono a termine il PCUS e il popolo sovietico sotto la guida di Stalin. È vergognoso il giudizio sommario di Moscato su Stalin, peggiore di quello dei più beceri anticomunisti. Stalin è l’uomo che più lavorò intorno alla questione delle nazionalità, al fine di unirle, su base volontaria e con parità di diritti, nell’ Unione della Repubbliche Socialiste Sovietiche (vedi Costituzione del 1936). In quanto all’internazionalismo proletario, basti pensare al ruolo propulsore esercitato dall’URSS sui movimenti rivoluzionari e di liberazione nazionale di tutto il mondo e sul movimento operaio nei paesi capitalisti, con l’appoggio solidale e soprattutto con l’esempio della costruzione del socialismo e con la vittoria sul nazismo.

Aggiungiamo che Lenin, Stalin e Guevara non hanno mai affermato che si dovesse imparare dai paesi capitalisti avanzati (il cui modo di produzione combatterono strenuamente), ma che da essi bisognava imparare le tecniche organizzative e di controllo dei costi.

Per chiudere con Moscato e soci, vogliamo ricordar loro che i trockijsti sono gli ultimi ad avere il diritto di recriminare sull’URSS di Chrušcëv, di Brežnev, di Kossyghin, di Gorbacëv e di El’cin. Il loro maestro, Trockij, affiancando l’opera dell’imperialismo, insieme agli altri rinnegati del “blocco dell’opposizione” e ai revisionisti infiltrati nel PCUS, ha contribuito ad abbattere l’URSS di Lenin e di Stalin, bastione del socialismo mondiale, con la conseguenza di seminare disorientamento e divisioni nei partiti comunisti, nei movimenti rivoluzionari, nei movimenti di liberazione nazionale e nelle organizzazioni del movimento operaio di tutto il mondo e di determinare il loro provvisorio arretramento.

Cronologia comparata
degli avvenimenti relativi ai rapporti tra Cuba e URSS

Vogliamo infine concludere questo lavoro con una sintetica cronologia comparata dei principali avvenimenti, limitandoci a quelli relativi ai rapporti tra Cuba e l’URSS, nel periodo di tempo di cui ci siamo occupati.
La rivoluzione cubana conquistò il potere politico nel 1959, sei anni dopo la morte di Stalin (1953) e tre anni dopo il XX Congresso del PCUS (1956), reso famoso dal “rapporto segreto” che demoliva la figura e l’opera di Stalin. Congresso durante il quale non si instaurò di colpo il capitalismo (come non ci stanchiamo di ripetere), ma a partire dal quale Chrušcëv e le correnti revisioniste che erano prevalse nel Partito e alla guida dello Stato cominciarono ad introdurre le riforme necessarie per imboccare quella strada.
Nel 1960 Chrušcëv è accolto trionfalmente a Cuba. Del resto, nella Conferenza di Mosca degli 81 partiti comunisti (novembre 1960), venivano ribaditi i principi del marxismo-leninismo e i delegati del Partito Comunista Cinese e di altri partiti, che contestavano il principio della “coesistenza pacifica” sostenuto da Chrušcëv, accettarono una mediazione allo scopo di salvaguardare l’unità dei partiti comunisti.
1962. L’URSS, di fronte alla minacciosa presa di posizione degli USA (durante la presidenza Kennedy), accetta di smantellare le basi missilistiche sovietiche installate a Cuba. Lo fa senza contropartite (gli USA non smantelleranno le basi missilistiche in Turchia). Malgrado si rischiasse un conflitto mondiale nucleare, il governo cubano non permise le ispezioni dell’ONU sul suo territorio. (Ricorda qualcosa?). Il popolo cubano, che resistette impavido, ritmò lo slogan “Nikita… (insulto non “politicamente corretto”), lo que se da no se quita” (quello che si dà non si toglie). Il Partito Comunista Cinese accusò i sovietici di codardia.
1964. Si definiscono e vengono rese pubbliche le divergenze tra il Partito Comunista Cinese, il Partito del Lavoro d’Albania e il PCUS. Nell’ottobre dello stesso anno Chrušcëv si dimette dalle cariche di primo segretario del partito e di primo ministro. Lo sostituiscono rispettivamente Brežnev e Kossyghin. 1966/67. Nel suo Messaggio alla Tricontinental, il Che, pur essendo cosciente della rottura insanabile in seno al movimento comunista, esorta a superare le divergenze e ad unirsi contro l’imperialismo:
“E se tutti fossimo capaci di unirci, perché i nostri colpi fossero più forti e sicuri, perché ogni tipo di aiuto ai popoli in lotta fosse ancora più efficace, come sarebbe grande il futuro e quanto vicino!” (28)
1985. Gorbacëv assume la guida del PCUS.
1986 (febbraio-marzo). Gorbacëv critica la stagnazione dell’”era” di Brežnev e annuncia una riforma radicale (perestrojka) dell’economia sovietica.
1989. Gorbacëv visita Cuba. Viene accolto con festeggiamenti ufficiali all’Avana, ma in quanto alla perestrojka, il governo cubano dice: “Non fa per noi”. 1990. 28 gennaio. Memorabile discorso di Fidel Castro in chiusura del XVI Congresso della CTC (Central de Trabajadores de Cuba, sindacato dei lavoratori cubani). Fidel dichiara:
“Qui non abbiamo vergogna di parlare di Lenin e di celebrare Lenin, mentre altri vanno togliendo il nome di Lenin a vie e piazze ed abbattendo statue di Lenin, Marx ed Engels, noi qui le erigiamo, e non le erigiamo con il marmo, il bronzo e l’acciaio, ma con la nostra condotta rivoluzionaria, con il nostro eroismo, con la nostra posizione dignitosa, con le nostre convinzioni profonde, innalzando più che mai le bandiere del marxismo-leninismo, del socialismo e del comunismo (…) (29)”
1991. Dissoluzione dell’URSS. El’cin (l’uomo degli USA) “finisce il lavoro”. Scioglimento del PCUS. Nascita della Comunità degli Stati Indipendenti.
1991. A Cuba comincia il “periodo speciale in tempo di pace”. Le difficoltà economiche, come previsto nel discorso di Fidel ricordato sopra, sono enormi, gli scambi commerciali con i paesi ex socialisti sono interrotti. Cuba è costretta, per la seconda volta dal trionfo della Rivoluzione, a ristrutturare la sua economia (per le misure adottate, vedi più sopra).

Questo è, a grandi linee, il contesto storico nel quale Cuba ha dovuto vivere. Attaccata per più di quarant’anni sul piano militare, economico, politico e diplomatico dall’imperialismo USA, ha proseguito nel suo cammino rivoluzionario. A 100 miglia dal suo potente nemico, ha intrapreso la costruzione del socialismo. Prima aiutata dall’URSS e dagli altri paesi socialisti europei, malgrado la mutazione in corso della loro natura, con la caduta di questi ultimi e la dissoluzione dell’URSS fu lasciata sola. Ha dovuto fare due passi indietro, aprendo le porte ai capitali stranieri ed introducendo un’economia mista, per resistere e tornare nel futuro ad avanzare sulla via del socialismo.

Cuba, dove vai? intitola un suo libro (30) un altro “amico” di Cuba, Aldo Garzia. Cuba non imboccherà certamente la via che da anni le va suggerendo l’autore, cioè la via della democrazia borghese (quella importata con le armi in Iraq?). Recentemente il popolo cubano, in modo plebiscitario, ha espresso la volontà di preservare il carattere socialista della Rivoluzione, sancito dalla Costituzione. Negli ultimi anni la situazione politica ed economica di Cuba è migliorata, anche grazie alle mutate condizioni politiche in America Latina. Si sono riallacciate le relazioni politiche e diplomatiche con molti governi dei paesi di quel continente (con i loro popoli non si erano mai interrotti i vincoli di solidarietà e di amicizia), si sono ristabiliti gli scambi commerciali con molti di essi, in particolare con il Venezuela. Cuba (paese “canaglia” per gli Stati Uniti) si inserisce a pieno merito nella lotta antimperialista che conducono molti popoli e nella ripresa della lotta per il socialismo che portano avanti le forze rivoluzionarie in tutto il mondo.

Far conoscere, sostenere risolutamente queste lotte, unirsi ad esse è , anche per noi, il modo migliore di dimostrare la nostra solidarietà con Cuba.

Note

(1) Una casistica puntuale e completa di queste pubblicazioni si può trovare nel saggio del ricercatore cubano German Sánchez che ne fa una documentata rassegna. Vedi: Autori vari, Attualità del Che. Lotta per il potere politico, internazionalismo, costruzione del socialismo nel pensiero di Ernesto Che Guevara. A cura di Luis Suarez Sanchez e Adriana Chiaia, Teti Editore/ Editorial José Marti, Milano 1997/ La Habana 1997, pp. 37- 111.
(2) Ernesto Che Guevara, Scritti, discorsi e diari di guerriglia 1959 - 1967, Einaudi Editore, 1969, p. 605 - 606.
(3) Ibidem, p. 617
(4) Ibidem, pp. 619 - 620.
(5) Lo scritto di Stalin Problemi economici del socialismo concluse la discussione sul progetto di manuale di economia politica, che si era svolta nel 1951. Il Manuale fu pubblicato, dopo la morte di Stalin, nel 1954 (I edizione) e nel 1955 (II edizione). Parallelamente alle riforme economiche successivamente introdotte, è probabile che contenga delle varianti rispetto al testo originale. Sarebbe interessante un’analisi comparata delle varie edizioni.
(6) “In questa fase di costruzione del socialismo possiamo vedere l’uomo nuovo che sta nascendo. La sua immagine non è ancora definita: né potrebbe esserlo, giacché il processo marcia parallelo allo sviluppo di nuove forme economiche”. In “Il socialismo e l’uomo a Cuba”. Scritti politici e privati di Che Guevara. Editori Riuniti, Roma, 1988, p.267.
(7) Vedi: Fidel Castro, Por el camino correcto. Compilatión de textos, Editora Política, La Habana 1968, p. 84.
(8) Ibidem, p. 3.
(9) Ibidem, p. 7.
(10) Ibidem, p. 35.
(11) Ernesto Che Guevara. Temas económicos Editorial de Ciencias Sociales. La Habana 1988, p. 1.
(12) Ibidem, p. 4.
(13) Pubblicato a Cuba in Revolución, 25 febbraio 1965. Traduzione in italiano: Ernesto Che Guevara. Scritti, discorsi e diari di guerriglia 1959 - 1967. Einaudi, 1969, p. 1420.
(14) Ibidem, p. 1421.
(15) Ibidem, p. 1422.
(16) Ibidem, p. 1422.
(17) Ibidem, p. 1423.
(18) Ibidem, p. 1425.
(19) Ibidem, p. 1453.
(20) Ibidem, p. 1461.
(21) Vedi: Ludo Martens. Stalin. Un altro punto di vista. Zambon editore, 2005, p. 71.
(22) A cura di Paco Ignazio Taibo II, Froilán Escobar e Felix Guerra, El año en que no fuimos en ninguna parte, 1994, è stato tradotto in italiano con il titolo L’anno in cui non siamo stati da nessuna parte da Ponte alle Grazie, 1994.
(23) William Gálvez. El sueño africano del Che.¿ Qué sucedió en la guerrilla congolesa? Casa de las Américas, 1997.
(24) Ernesto Che Guevara. Pasajes de la guerra revolucionaria: Congo. Grijalbo Mondatori, Barcelona, 1999.
(25) Intervista realizzata da Luis Suárez Salazar, Ivette Zuazo e Ana María Pellón per la Rivista TRIcontinental, tradotta in italiano e pubblicata, per gentile concessione della suddetta rivista, nel numero speciale del Calendario del popolo, n. 613, ottobre 1997.
(26) Manuel Piñero nella suddetta intervista.
(27) Op. cit. nella nota 21, p.11.
(28) Vedi nota 18.
(29) Fidel Castro. “L’ideale del socialismo e del comunismo sarà mantenuto e difeso a qualunque costo”. Fonte: Bohemia n.5, 2 febbraio 1990. Pubblicazione a cura del Gruppo di Ricerca sui problemi del Sud del Mondo, Milano, 1990, p. 54.
(30) Aldo Garzia. Cuba, dove vai?, Edizioni Alegre, Roma, 2005.

Adriana Chiaia


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