Appello contro la condanna
del presidente Saddam Hussein alla pena capitale

Aldo Bernardini


Una voce di protesta fortissima deve essere elevata contro l'illegale condanna alla pena capitale pronunciata da un “tribunale” privo di ogni legittimità e certamente di indipendenza e terzietà nei confronti del presidente irakeno. Non ci soffermiamo sulle enormi carenze della normativa regolatrice e dell'attività concreta del “tribunale” di Baghdad, in particolare per quanto attiene ai diritti della difesa, ampiamente dimostrate da altri.

Saddam Hussein è tuttora legittimo presidente della Repubblica dell'Iraq, dato che, in presenza di una resistenza da lui stessa in larga misura preparata prima dell'aggressione, la situazione del paese è, al di là di nominali “trasferimenti di sovranità”, quella di uno Stato sotto occupazione bellica, situazione nella quale non sono consentite, e non sono quindi lecite, modifiche dell'assetto costituzionale. Egli va dunque considerato organo supremo dello Stato irakeno, impedito di fatto nell'esercizio delle sue funzioni, e in quanto tale è prigioniero di guerra, non processabile, perdurando l'occupazione bellica, per i fatti attribuitigli.

Il “tribunale” di Baghdad è organo di un regime che, nonostante la conclamata legittimazione elettorale, è stato istituito dagli occupanti nella situazione di occupazione bellica. Come tale si tratta di un regime quisling, nella realtà in tutto dipendente dagli occupanti e, giuridicamente, organo di questi illecitamente stabilito nel quadro di un'occupazione bellica. Tutte le attività e gli organi di un regime quisling risentono del carattere “fantoccio” di questo, e ciò vale anche per il “tribunale” di Baghdad, fra l'altro istituito dal governatore occupante Bremer e funzionante con regole stabilite dall'occupante e personaggi da esso avallati.

I fatti attribuiti come crimini a Saddam Hussein – a parte la loro realtà e consistenza effettive, certamente alterate dai media – vanno contestualizzati. Quello che avviene oggi in Iraq, al di là della resistenza legittima, con stragi e caos generale riferibili a forze diverse, rivela come, nel quadro mondiale disegnato dall'imperialismo e dal colonialismo, l'Iraq fosse un paese governabile, e orientabile in senso sociale laico e progressista, come Saddam Hussein ha senza dubbio realizzato, solo con la mano di ferro e sulla base del principio, certo duro e da limitarsi al massimo, ma ineluttabile, del mors tua vita mea. Ogni altra situazione e sistemazione sarebbe stata, ed è oggi, certamente peggiore. Lo ha riconosciuto espressamente molto di recente il segretario uscente delle Nazioni Unite Kofi Annan (“Corriere della Sera” e “Repubblica” del 5 dicembre 2006), quando ha affermato che “la vita di un irakeno medio era migliore sotto Saddam Hussein” e che il giudizio per cui dopo la caduta di Saddam la situazione è peggiorata “ha ragione riguardo alla vita di un irakeno medio. Nei panni degli irakeni farei lo stesso confronto”. Un vero stato di necessità, dunque, provocato pure dalle continue interferenze dall'esterno soprattutto imperialista, che non consente, se non entro limiti ristretti, di “giuridicizzare” sul piano internazionale l'operato di Saddam Hussein, dovendosi casomai rimettere gli aspetti giuridici a un futuro Iraq ripristinato realmente nella sua sovranità e indipendenza.

E' certamente mostruoso che, di fronte al crimine internazionale dell'aggressione, perpetrato anzitutto da USA e Gran Bretagna e dai loro dirigenti, venga sottoposto a giudizio, e condannato a morte, il capo del paese aggredito, attraverso un “organo di giustizia” che è strumento degli aggressori occupanti, in passato fra l'altro sostenitori e coadiutori, e se vogliamo entrare nella logica perversa della “condanna”, “complici” di Saddam Hussein in molte delle attività da questo poste in essere, senza dubbio in linea di principio a volte condannabili secondo standards astratti, ma, si ribadisce, da contestualizzarsi e da leggersi unitamente alle responsabilità dell'imperialismo.

Riteniamo che figure storiche di forte rilievo meritino di venire valutate per l'intero arco della loro opera. Al di là degli errori politici e degli aspetti talora anche fortemente condannabili, ma nelle sedi e nei tempi appropriati, la predisposizione di una resistenza efficacia contro la criminale aggressione e invasione del suo paese e il comportamento di assoluta dignità a fronte del “tribunale”-marionetta illegittimo e illegale faranno di Saddam Hussein, non solo fra le masse arabe, ma presso tutti coloro che hanno a cuore l'indipendenza, l'uguaglianza e il progresso sociale di Stati e popoli, una personalità di indomito resistente contro l'imperialismo.

20 dicembre 2006

Aldo Bernardini


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