Il diritto internazionale capovolto:
la crisi jugoslava e il caso del Presidente Milosevic

Intervento del prof. Aldo Bernardini, ordinario di diritto internazionale all'Università di Teramo, alla Conferenza Internazionale tenutasi a L'Aia il 26 febbraio 2005

Lettera al
Corriere della Sera
23 novembre 2005


Lettere
(non pubblicate)
a Liberazione
18 novembre
29 novembre

Il contesto nel quale il Tribunale penale internazionale per i crimini in ex Jugoslavia (ICTY) sta operando, è caratterizzato da un assoluto e totale capovolgimento del diritto internazionale. Tra gli scopi delle Nazioni Unite dice l'articolo 1 comma 1 della carta c'è il "mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed è a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace."

La prassi ha stabilito che questo principio non concerne con le misure ex capitolo 7 della Carta dell'Onu (che è quello che regola le azioni a tutela della pace N.d.R.): ma il significato delle limitazioni date dalla Carta alle misure previste nel capitolo 7 è che queste non possono violare a loro volta il diritto internazionale, né essere contrarie ai principi di giustizia; sono misure puramente esecutive, misure di polizia, per fermare e rimuovere situazioni pericolose contemplate dall'articolo 39 (il quale recita "Il Consiglio di Sicurezza accerta l'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa accomodazioni o decide quali misure debbano essere prese in conformità degli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale" N.d.R.). Alcuni scrittori affermano anche che il riferimento al concetto stesso di giustizia (un concetto sostanziale che dipende da interpretazioni soggettive) consenta un approccio meno rigido alle leggi internazionali. In realtà, il riferimento alla giustizia è interpretato solo in virtù degli scopi delle Nazioni Unite di cambiare il diritto internazionale. Il pilastro del sistema delle Nazioni Unite era l'azione del Consiglio di Sicurezza che agiva in virtù del capitolo 6 (soluzione pacifica delle controversie) facendo raccomandazioni seguite da accordi con gli Stati stessi, agendo in conformità alla Carta che all'articolo 24.2 specifica che il Consiglio non può oltrepassare gli specifici attributi dalla Carta indicategli. Ma dal 1989 1991, questo pilastro è e continua ad essere illegittimamente distrutto. Il Diritto Internazionale subisce costantemente delle violazioni nelle sue istanze principali. Si è passati dalla forza del diritto al diritto della forza. Il Consiglio di Sicurezza e i suoi organi sussidiari agiscono contro il diritto internazionale e contro la giustizia (nella sua accezione sostanziale). Può sembrare strano, ma è la verità.

Nelle crisi Jugoslave ad essere a rischio sono prima di tutto la corretta definizione e il corretto approccio agli aspetti che riguardano la sovranità e l'autodeterminazione dei popoli. Contrariamente alle teorie più diffuse, nel sistema dell'ONU e in generale nel diritto internazionale, l'autodeterminazione dei popoli non può violare la sovranità dei singoli Stati, nonché con la loro integrità territoriale. Lo Stato sovrano, soggetto al diritto internazionale, è libero di difendere se stesso da secessioni, e interventi di Stati stranieri nei suoi affari sono proibiti. L'unica eccezione accettabile, e dal diritto internazionale accettata, è quella che riguarda le lotte e le guerre di liberazione dei popoli colonizzati o dei popoli che si trovano in situazioni simili: illegittima occupazione straniera o, persino in condizioni di discriminazione (apartheid) anche se ciò si verifica entro i confini nazionali. In altre parole, solo quando una popolazione o parte di essa, identificabile con un territorio compatto, unita in una regione, o che costituisce la maggioranza di uno Stato, è sotto oppressione nazionale o discriminazione, la sovranità di quello Stato appare non rappresentativo di quel settore di popolazione: non può essere considerato lo stato di quel popolo. Questo è il prerequisito per il diritto all'autodeterminazione. Una norma scritta, la quale definisce i possibili casi di autodeterminazione, è l'articolo 1.4 del primo Protocollo del 1977 alle Convenzioni di Ginevra: " Le situazioni trattate nel precedente paragrafo includono i conflitti armati in cui i popoli combattono contro il dominio coloniale e un regime razzista nell'esercizio del loro diritto all'autodeterminazione". Penso che ciò non abbia nulla a che vedere con le secessioni interne, poiché queste riguardano la forma dello Stato o del Governo, le relazioni governo-popolo e così via, quindi un affare interno. In caso di "discriminazione delle nazionalità o d'oppressione" invece, fin dagli anni '60, il così detto diritto all'autodeterminazione è affare di diritto internazionale, così i popoli discriminati che lottano per cambiare la loro situazione, persino tramite la secessione, possono essere appoggiati in varie forme di azioni, anche aiuti militari, da Stati terzi, senza così violare la proibizione

all'intervento. Irresoluta rimane la questione se lo Stato centrale è legalmente libero o meno, in virtù delle leggi internazionali, di reagire con mezzi militari alla guerra di liberazione, almeno questa lotta abbia raggiunto un riconosciuto livello o un internazionale riconoscimento (naturalmente, non abusivo ma seguendo i requisiti su menzionati). La legittima repressione di un'illegittima secessione non è mai requisito per un'autentica auto-determinazione. Ma tutto ciò è vero solo nei casi di lotta contro uno stato costituito. In situazioni dove l'entità Statale non esiste, o è estinta, o il potere sovrano su un territorio e sulla sua popolazione è rimosso o fatto oggetto di rinuncia, il diritto all'auto-determinazione di un'entità territoriale compatta e unita è pieno e illimitato e non può essere contrastato da interventi esterni. Le differenti parti territoriali di una regione senza costituito potere sovrano hanno lo stesso diritto di creare e costituire il loro Stato, o comunque di determinare in un altro modo il loro status. Quando un potere sovrano non è venuto ancora ad esistenza, ma è coinvolto in un iter costituente, le varie entità territoriali hanno appunto lo stesso diritto a costituire un loro stato. Il principio dell'uti possidetis juris non è una regola generale di diritto internazionale: storicamente, è stato molto limitato in America Latina e in Africa durante il processo di decolonizzazione. Occorre far menzione di un significativo precedente: il West Virginia nella guerra civile americana. Una cosa è negare l'esistenza del diritto all'auto determinazione di una non discriminata popolazione in uno Stato costituito, altra cosa è imporre su una popolazione o parte di essa la forzata integrazione in uno Stato, il cui processo di formazione è ancora in corso. In questo caso si assiste ad un processo autonomo e non etero diretto. Un auto-determinazione pilotata è una contraddizione. Nelle crisi Jugoslave la secessione di alcune repubbliche era un problema di insurrezione locale contro lo Stato sovrano. In questa sede esaminerò la questione da un puro punto di vista giuridico. Di sicuro non c'erano i prerequisiti per l'autodeterminazione, cioè non si era verificata alcuna discriminazione contro la popolazione delle Repubbliche secessioniste. In tale situazione ogni interferenza esterna è assolutamente proibita. Nessun dubbio che la Federazione Jugoslava era ancora esistente, quando il riconoscimento di Slovenia, Croazia, Bosnia-Herzegovina arrivò dalle potenze occidentali. La caratteristica principale della Federazione Jugoslava era data dal fatto che era un unione di popoli costitutivi che attribuivano il nome alle repubbliche federate, più altre nazionalità e minoranze: ma non c'era mai la stretta coincidenza tra il popolo che assegnava il nome ad una determinata repubblica e la repubblica stessa. In altre parole, Croazia e Serbia furono costituite dai due popoli costitutivi, mentre la Bosnia-Herzegovina ospita tre popolazioni (Musulmana, Croata e Serba). Questo sistema era stato stabilito dalle Costituzioni degli Stati Federali, conformemente a quella del 1974. Questa carta nel preambolo riconosce il diritto di secessione, ma non alle repubbliche federate bensì ai vari popoli costituenti la nazione jugoslava, senza in ogni caso prevederne l'iter. Era possibile che l'eventuale secessione avvenisse in maniera trasversale in relazione alle singole repubbliche federate: così una singola popolazione dividendosi dal resto della nazione poteva coinvolgere più di una repubblica. Mentre per le stesse repubbliche federate la procedura era molto più complicata, poiché per cambiare propri confini interni, c'era bisogno del consenso di tutte le nazioni. E' fuori di dubbio che le secessioni delle singole repubbliche siano avvenute violando la Costituzione, come rilevato dalla Corte costituzionale Federale Jugoslava. L'intervento dell'esercito federale jugoslavo dopo la dichiarazione di indipendenza della Slovenia (25 giugno 1991) fu perciò legittimo. L'interferenza della Comunità Europea, che nella conferenza di Brioni optò per il ritiro dell'esercito federale dalla Slovenia, accompagnato da pressioni di ogni genere, presenta senza dubbio una violazione della legalità internazionale. In Croazia, di fronte ai graduali passi verso la secessione, culminata nella dichiarazione di indipendenza (anche in questo caso il 25 giugno 1991), la maggioranza serba in Krajina proclamò la sua repubblica e perciò fu attaccata dalle forze di polizia croate. Anche lì l'esercito federale agì legittimamente (luglio 1991). Le repubbliche secessioniste provocarono la paralisi delle istituzioni federali: dopo il blocco Serbo-Montenegrino, affrontarono col rischio della disintegrazione, e assunsero il controllo delle istituzioni (3 ottobre), provocando la protesta delle potenze occidentali; l'8 ottobre la Slovenia e la Croazia dichiararono definitivamente la loro indipendenza. Sebbene per un pò di tempo difendessero la stabilità, la sopravvivenza della repubblica Federale Jugoslava, gli stati europei cominciarono subito (già il 2 agosto 1991) a dare il via libera alla loro vera ma illegittima politica: in assenza di un accordo tra le repubbliche Federate, i confini internazionali, ma anche quelli interni in Jugoslavia, furono rispettati. La linea fu confermata in un altro meeting internazionale e persino dal Consiglio di Sicurezza nella risoluzione numero 713 del 1991 del 25 settembre, che definì la situazione Jugoslava come un pericolo per la pace. In modo particolare sotto la pressione di Germania, Austria e Vaticano, il 15 gennaio 1992, Slovenia e Croazia furono riconosciute come stati indipendenti, e Bosnia-Herzegovina e Macedonia seguirono la stessa strada, e ci fu poi l'ammissione nelle Nazioni Unite (22 Maggio). Questo processo fu stimolato dai Ministri degli affari esteri degli stati aderenti all'Unione Europea, che il 16 dicembre 1991 hanno pubblicato le linee guida " per il riconoscimento dei nuovi stati dell'Europa dell'est e dell'Unione Sovietica": un'incredibile iniziativa, che invita tali Stati ad agire per ottenere il riconoscimento. Le potenze occidentali stabilirono che la Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia dovesse finire, sebbene ci fossero ancora delle istituzioni, come l'esercito e la Presidenza Federale anche se tronca, che la stavano ancora difendendo. La posizione della Jugoslavia e di Milosevic (Presidente della Serbia dal 1989) fu in un primo tempo quella di non accettare che il paese fosse depennato, e poi che la Federazione dovesse sopravvivere per tutti i popoli e le regioni che vi volevano ancora vivere (ciò fu in malafede concepito come un piano per costruire la cosiddetta 'Grande Serbia'). In questo contesto le potenze riaffermarono il principio del rispetto dei confini interni, specialmente in relazione alla Krajina e la Bosnia Serba , dove i Serbi proclamarono la loro repubblica: loro non parteciparono al referendum sull'indipendenza della Bosnia. Il punto principale è che il processo di dissoluzione della Jugoslavia era senza dubbio in corso, ma non era consolidato, stabilizzato, condizione fondamentale per considerarlo effettivo. All'inizio della cessazione dell'opposizione attiva con riguardo ai nuovi sviluppi della situazione, dalle autorità legittime fu promulgata la Costituzione del 1992 della parte residua della Jugoslavia e successivamente fu deciso il ritiro dalla Bosnia e dalla Croazia. ciò significa che le azioni delle potenze occidentali erano illecite: furono un interferenza in affari interni dello stato, allo scopo di aiutare gli insorti nelle loro mire separatistiche. la fattispecie di crimine contro la pace fu escluso dallo statuto dell'ICTY non per caso. D'altra parte la forma dei nuovi stati non era ancora stata stabilita: il loro processo di formazione non era ancora concluso, non avevano ancora il libero e pieno controllo su tutto il territorio che reclamavano (fatta eccezione per Slovenia e forse Macedonia). Il prematuro riconoscimento (e le conseguenti attività di supporto, di condanna, sanzioni e limitazioni alle azioni costituzionali dell'esercito Federale), furono gli elementi dell'azione illegale condotta dagli Stati occidentali. Farò menzione del secondo protocollo alla Convenzione di Ginevra . L'intervento in conflitti interni, il prematuro riconoscimento di stati ancora non completamente giunti a formazione: un giovane studioso italiano (Tancredi, Secessione p.464) espresse molto chiaramente il capovolgimento dei criteri fondamentali di effettività: un non esistente (a livello internazionale) diritto alla secessione fu creato dalla volontà politica di un gruppo di Stati stranieri mediante il riconoscimento, il quale ha dato alla questione rilievo internazionale, attribuendo il diritto all'auto-determinazione, sebbene non ci fossero le condizioni. " Il riconoscimento degli stati secessionisti della Jugoslavia, costituisce una nuova strategia, non più la passiva accettazione del fato, ma si pilotano gli eventi". Il tutto con illegali conseguenze: la proibizione per le autorità centrali di contrastare la secessione, la proibizione per stati terzi dare assistenza al potere centrale, mentre diventa legale per i secessionisti ricevere aiuto, anche militare, dall'esterno. Bene quindi, non l'indipendenza di fatto dichiarata che corrisponda alla reale situazione giuridica, ma una creazione giuridica artificialmente posta in essere i cui aiuti sono decisivi per ottenere l'indipendenza - non ancora ottenuta effettivamente. Cosicché la Jugoslavia passò per l'aggressore (in un primo momento per mantenere lo status quo, poi per aiutare i serbi di Croazia e di Bosnia cui era stato negato il diritto all'autodeterminazione). Chiaramente, se in un conflitto accadono episodi di crudeltà e financo criminali ad opera di entrambe le parti, è naturale e piuttosto automatico, attribuirli in toto all' "aggressore", ricorrendo alla calunnia e amplificando i singoli casi col beneficio dei mass-media e dei loro manipolatori. Dopo l'assoluto stravolgimento delle relazioni tra sovranità e auto-determinazione rispettivamente di Jugoslavia e repubbliche secessioniste, ecco che abbiamo anche la negazione all'autodeterminazione all'interno delle stesse repubbliche secessioniste, sebbene queste non fossero ancora definitivamente formate. Abbiamo già ricordato che quando uno stato è coinvolto in un processo di formazione, ogni componente etnica della popolazione (che sia identificabile con un'entità territorialmente compatta) ha il medesimo diritto di costituire il suo stato, o rimanere nel vecchio stato. Ma anche a questo proposito ci sono stati dei capovolgimenti del diritto: l'imposizione dell' uti possidetis elevò i confini interni a confini riconosciuti a livello internazionale, contrariamente a quanto sosteneva la Costituzione Jugoslava (che contemplava, ripeto, la secessione ma in relazione ai popoli, mentre la procedura per apportare modifiche ai confini delle Repubbliche era stabilita, così come i confini stessi e le condizioni per la convivenza tra differenti popolazioni nella stessa Repubblica, dalla Costituzione Federale, e la loro validità finì col cessare della Costituzione). Attraverso questo imbroglio, la repressione delle negate auto-determinazioni dei serbi di Croazia e di Bosnia furono considerate un affare interno delle Repubbliche (non ancora costituite), l'aiuto a tale auto-determinazione (da parte della Jugoslavia) invece illecito, di conseguenza persino l'intervento armato di Stati terzi o di organizzazioni fu legittimato contro l'assistenza Jugoslava. Assolutamente sbagliato, se non per meglio dire vergognoso, anche dal punto di vista del diritto internazionale, deve essere considerata la forzata formazione dall'esterno della cosiddetta Federazione di Bosnia-Herzegovina, un' entità artificiale, nemmeno realmente indipendente. Ma l'azione di moderazione del Presidente Milosevic durante gli accordi di Dayton non può essere dimenticata.

Un altro aspetto dello stravolgimento del diritto internazionale: la negazione della continuità della Repubblica Federale del 1992 rispetto alla Repubblica Socialista e l'affermazione che questo era ormai un'altro Stato, visto il venir meno dei membri originali e perciò delle caratteristiche originali dello stato membro, bisognava pertanto rifare la procedura di adesione. E' sufficiente affermare che, al contrario, si era di fronte semplicemente ad un caso di rimpicciolimento , non di una radicale modifica o sostituzione del vecchi sub strato sociale: non si trattava di smembramento, ma di una serie di secessioni di alcune repubbliche: secessioni che avevano visto l'opposizione attiva e legittima dello stato centrale, anche se stava progressivamente perdendo il suo controllo di fatto sul suo territorio, fino a quando sospese o rinunciò alla sovranità sui vari territori, ma non, almeno all'inizio, per il beneficio delle Repubbliche secessioniste. Inoltre non ci fu una contro-rivoluzione socio-economica, come nelle altre Repubbliche. Ma la cosa più sorprendente fu il diverso trattamento riservato alla Russia, considerata come entità avente continuità con l'Unione Sovietica anche per quanto riguarda il seggio presso permanente presso il Consiglio di Sicurezza. Forse avrebbe dovuto svilupparsi un lavoro teorico maggiore per quanto riguarda lo smembramento dell'URSS, dove nessuna attività di opposizione contro le secessioni fu mossa nel '91, mentre la Russia era attiva nel processo di estinzione della forma dello Stato precedente. Un fatto importante che non deve essere dimenticato sulla Jugoslavia "residuale": le Costituzioni di Serbia e di Jugoslavia (1990 e 1992) grazie all'attivo impegno politico del Presidente Slobodan Milosevic, non erano nazionalistiche, dando eguale diritto di cittadinanza ad ogni abitante, a differenza di quella croata, che sancisce la Croazia come stato dei croati, mentre gli altri gruppi sono considerati minoranze.

Altri elementi sullo a proposito dello stravolgimento: l'aggressione del 1999,la cosiddetta guerra del Kosovo. In questa non prenderò in considerazione i fatti come il presunto genocidio e il restringimento dell'autonomia regionale avvenuta nel 1989-90, che fu una decisione della Federazione e non di Milosevic. E' sufficiente riportare l'intervista al generale Heinz Loquai del contingente tedesco presso l'Osce: "Circa il genocidio, non solo "pianificato" ma "perpetrato" dal governo Jugoslavo, sia i parlamentari del Bundestag sia il Governo tedesco hanno dato il via libera a delle esagerazioni enormi.Ciò che le armi di distruzione di massa irachene rappresentano per Bush, la cosiddetta catastrofe umanitaria in Kosovo fu per la Germania la giustificazione per la guerra".Egli afferma pure che, il giorno prima dell'aggressione, esperti del ministero della difesa tedesco affermarono che "non era in corso nessuna pulizia etnica". E ancora: in Kosovo "c'era una guerra civile. La NATO è intervenuta unilateralmente contro una parte, la Jugoslavia: la guerra ha provocato una reale catastrofe umanitaria: 70000 rifugiati dal Kosovo nei vicini paesi all'inizio del conflitto, 800000 alla fine". In questo severo resoconto dei fatti troviamo ancora il capovolgimento del diritto internazionale. L'intervento umanitario - consentito dal diritto internazionale- è un'invenzione frutto della nuova epoca caratterizzata dal dominio imperialista. L'intervento in una guerra civile, o in un conflitto interno, i quali sono tipici affari interni di uno stato, è a livello di principio proibito (e mancava pure l'autorizzazione del consiglio di sicurezza che comunque non avrebbe lasciato la questione priva di dubbi). A tal proposito c'è una regola internazionale che conferma questa tesi, si tratta dell'art 3 del secondo Protocollo del 1977 alle convenzioni di Ginevra del 1949, relativamente alla protezione delle vittime in conflitti non internazionali: "Nessun articolo di questo Protocollo può essere invocato per influire sulla sovranità degli Stati sulla responsabilità dei governi, sia direttamente che indirettamente, per nessuna ragione". Questo Protocollo è in vigore dal 7 dicembre 1978 ed è stato ratificato dalla Jugoslavia e poi dagli USA, Italia, Germania, Gran Bretagna. Si può stabilire un'importante analogia con la questione cecena. Fu un'aggressione, per il piacere dei gruppi criminali e terroristi: ora il Kosovo è illegalmente separato dalla Jugoslavia (Serbia), sono in corso pulizie etniche contro i Serbi e le altre minoranze etniche: nessuno pagherà delle "corti internazionali" per i crimini di aggressione (da parte della NATO) e altri criminali di guerra occidentali, e per i crimini perpetrati dai gruppi al potere oggi in Kosovo.

Legalità, imperatività delle norme di legge è prima di tutto l'affermazione della definizione dei crimini e delle sanzioni, delle procedure giuridiche , dei modi e dei mezzi per creare nuove regole e organi. Questo è particolarmente vero nel caso di norme internazionali e decisioni riguardanti l'individuo e non le attività tra stati.Le questioni sui diritti umani, stanno emergendo almeno nel sistema delle Nazioni Unite, non passare inosservate. Per quanto riguarda il cosiddetto delicta contra gentium , si deve assicurare che i diritti individuali sanciti dalle leggi internazionali siano rispettati (anzi, aggiungerei bisogna garantire anche il corretto adempimento da parte dello stato).

Sottolineerei un punto che solitamente viene tralasciato: nella legislazione delle Nazioni Unite l'accettazione di obblighi internazionali da parte degli Stati è espressamente vincolato al rispetto dei dettati costituzionali interni. E questo è un principio fondamentale, come ha affermato un grande studioso austriaco di diritto internazionale, Alfred Verdross: l'ONU non ha sovranità direttamente sugli individui. In quest'ambito che bisogna rispettare la sovranità degli Stati, cosicché la diretta azione dell'Onu sugli individui, senza passare attraverso la struttura legislativa dello Stato, è esclusa. Ciò è essenziale, ragione strutturale perché un'iniziativa come l'ICTY è da respingere come totalmente illegale. Ma siamo in una fase storica dove la legge della forza prevale sulla forza del diritto. Il quale è, come vuole la vulgata, la base legale per la creazione da parte del Consiglio di sicurezza di tal straordinario, anzi meglio dire senza precedenti organo come l'ICTY (nonché il tribunale del Rwanda). Prima di tutto, il suo potere discrezionale sconfinato nel definire le minacce o i pericoli per la pace (non si parla di pace internazionale come invece si legge nella norma) ai sensi dell'articolo 39 della Carta, è il risultato di un'accezione erronea sfortunatamente corroborata da prassi fuorvianti e dalla acquiescenza degli stati. In secondo luogo, alla base della determinazione di questo strumento c'è l'affermazione che il Consiglio di Sicurezza abbia possibilità illimitate nell'adottare ogni sorta di misura che ritiene utile e necessaria. Ciò è stato confermato anche in anni recenti, dalla prassi illegale, ma ciò è profondamente falso. Gli articoli 41 e 42della Carta prevedono due tipi di misure (rispettivamente con e senza l'uso della forza), senza dubbio in maniera esemplificativa, in modo da limitare le tipologie connesse con funzione di auto tutela, in cui è proibita l'azione individuale degli stati, e dove ci si debba affidare all'azione collettivamente decisa. Attività del genere lo stato leso poteva mettere in opera, conformemente al vecchio diritto internazionale, che includeva tra le contromisure, rappresaglie,auto-tutela e così via. Ciò ora è rimpiazzato dalle iniziative collettive sempre dello stesso tipo. Con ciò si vorrebbe impedire l'auto tutela individuale per favorire quella collettiva, rimuovendo situazioni (reali o imminenti) minacciose per la pace, senza imporre soluzioni (previste dal capitolo 6 ma solo sotto forma di raccomandazioni). In questo senso, è una pura funzione esecutiva. Perciò nessun potere di modifica dell'esistente ordine legale, o di creazione di regole e di organi o di leggi è attribuito all'ONU e in particolare al Consiglio di Sicurezza in base al capitolo 7 (non è prevista nessuna funzione giuridica interstatale, tanto meno sugli individui). L'istituzione dei cosiddetti tribunali con lo scopo di giudicare i crimini perpetrati da individui è secondo me una questione che desta qualche dubbio. Il minimo requisito per un organo del genere dovrebbe essere che alla base ci sia un accordo tra gli stati, un accordo direi, che rientri nel quadro delle regole delle Nazioni Unite, che rispetti le istanze costituzionali dei paesi coinvolti e i principi fondamentali dei diritti umani. La convenzione sul genocidio del 1948, ovviamente accettata dagli Stati, prevede la costituzione di un tribunale, che non è mai stato costituito, la cui giurisdizione abbia l'esplicito consenso degli stati. Altri successive corti internazionali sono state istituite a seguito di accordi internazionali. La creazione dell'ICTY (e del tribunale del Rwanda) ad opera del Consiglio di Sicurezza è inammissibile da un punto di vista strettamente giuridico. L'opposta opinione, che corrisponde con quella dell'ICTY stesso, si basa sull'interpretazione degli articoli 39, 41, 42 tendente a dare ampio potere discrezionale al Consiglio di Sicurezza. Accettare questa dottrina equivale ad accettare una dittatura mondiale del Consiglio di Sicurezza su individui e Stati.Siamo consapevoli di essere già sulla buona strada: le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza lo testimoniano; lo stesso si dica della risoluzione 827 che da vita all'ICTY. Questo è un puro atto di giustizia dei vincitori, espressione del diritto della forza contro la forza del diritto. Sono i principi del Fuhrer espressi a livello planetario.Come tale istituzione può essere inclusa nella carta dell'ONU?La risoluzione 827 non è né una decisione collettiva che non implica la forza né una misura che la prevede ex.articolo 42.Non è, in generale, un mezzo collettivo di autotutela atto a impedire l'autotutela individuale ad opera degli stati stessi: avete mai visto un istituzione come un tribunale usata come contromisura o come rappresaglia da uno stato leso?Secondo la corretta interpretazione,il consiglio di sicurezza non ha tale potere:le istituzioni di un organo di questo tipo non è una misura esecutiva, ma normativa che implica il potere legislativo e potere giudiziario persino sugli individui, poteri mai conferiti al consiglio di sicurezza.Un fondamentale saggio di Gaetano Arangio-Ruiz, (''on the security counsil's law making'' ex membro della commissione diritto internazionale presso le nazioni unite nonché uno dei maggiori studiosi della dottrina sostiene: ''Si ha l'impressione che i giuristi internazionali tendano ad essere soddisfatti senza mostrare un minimo di senso critico, facendo solo qualche proposta marginale circa la procedura volta a far si che le azioni del Consiglio di Sicurezza siano meno problematiche, ma politicamente più gradite... non si nota, in dottrina, nessuna trattazione a proposito dei problemi che si pongono circa l'interpretazione e l'applicazione della Carta . Questa per mezzo secolo sono sempre state in balia di svariate letture... si percepiva, in quel tempo, nell' approccio alla materia, un' atteggiamento rinunciatario da parte dei giuristi in ossequio al potere politico e al 'realismo' ". Le conclusioni di Arangio-Ruiz sull'ICTY sono perentorie: "Chiaramente, l'istituzione di un tribunale con le funzioni cui sono state date all'ICTY, rappresentano un duro impatto ai diritti e agli obblighi degli Stati, la cui sovranità e giurisdizione penale potrebbero risultare danneggiate dall'espletamento di tali funzioni. Due possibilità -data l'impraticabilità del trattato- erano così aperte circa la questione del Consiglio. Una era quella di avviare un'azione militare nei territori coinvolti, aprendo in questo modo la possibilità di formare una corte penale nel contesto delle operazioni militari svolte dall'Onu, operando nell'ambito degli articoli 42 e 51; la seconda strada era quella di creare una corte penale come forma isolata riguardante solo gli stati in gioco. Prerogativa questa che avrebbe permesso di agire al di fuori di qualsiasi operazione militare vincolata ai dettami della Carta e del diritto internazionale. Non potendo, o non volendo seguire la prima opzione, e traviato da esperti in legge, il consiglio scelse la seconda. Così facendo il Consigli non intraprese una legittima azione di "peace-enforcement" prevista dal capitolo 7, ma si attribuì un potere legislativo, che viola il capitolo 7 dal momento che questo non prescrive una tale funzione. In questo modo l'Onu ha ignorato la distinzione di importanza capitale fatta dalla Carta tra peace-enforcement e il potere di creare, modificare e rinforzare le leggi, quest'ultime non sono attribuite agli organi delle Nazioni Unite da nessuna parte". Io aggiungerei questo- nemo dat quod non habet- il Consiglio di Sicurezza non può istituire un organo sussidiario ex art. 29 e attribuirgli poteri che lui stesso non possiede. Così ICTY è un puro strumento di natura politica. Ho lasciato da parte ogni sorta di commento circa il suo Statuto, sulla suo specifico modo di procedere, sull'infame rifiuto di giudicare i crimini della NATO (bombe, uranio impoverito ecc.), il vergognoso rapimento di Slobodan Milosevic, la violazione dello Stato e dell'immunità che spetta ai suoi organi (come previsto dalla decisione della corte Internazionale di giustizia il 14 Febbraio 2002: caso riguardante l'autorizzazione all'arresto del 11 aprile 2000 - Repubblica Democratica del Congo contro Belgio) e così via, per non parlare dei capi di accusa contro Slobodan Milosevic contrari ad ogni principio di diritto penale. Quello contro Milosevic è un processo politico: il crimine dell'ex Presidente è stato quello di non accettare il diktat delle potenze occidentali. I processi, quasi tutti contro personalità di nazionalità Serba (non si sono visti i leader delle altre Repubbliche come Tudjman o Itzebegovic e nemmeno i leader odierni albanesi), sono un avvertimento per tutti coloro che non si sottomettono al nuovo ordine mondiale: hanno bisogno di abbellire delle vere e proprie aggressioni, per poi condannare presunti crimini commessi da presunti mostri. La risoluzione 36/103 del 9 Dicembre 1981 dell'Assemblea Generale (dichiarazione di ammissibilità dell'intervento e di interferenza in affari interni agli stati) afferma: " Il dovere di ogni Stato di astenersi dal promuovere campagne diffamatorie o di propaganda ostile con lo scopo di intervenire o interferire negli affari interni" nonché " il dovere per ogni Stato di evitare ogni strumentalizzazione e distorsione di questioni riguardanti i diritti umani come mezzo per interferire in affari interni, per far pressione sugli altri stati, o per seminare distruzione e disordine tra stati o gruppi di Stati". Notate una certa somiglianza con l'atteggiamento delle potenze occidentali e dei media? Mai prima d'ora la differenza di atteggiamento tra le due parti era stata così evidente: uno Stato che rifiuta financo di accettare l'adesione alla convenzione del 1998 di Roma che istituiva la Corte Penale Internazionale con i suoi alleati che appoggiano un processo farsa contro le vittime dell'aggressione, e i leader che tentano di difendere la propria patria. Tale mancanza di legalità è equivalente ad una violenza sconfinata. Non c'è da stupirsi se la violenza e il terrorismo (vero o presunto) si stia spargendo su tutto il pianeta, se i più elementari principi di legalità vengono violati dall'Onu stesso.

Aldo Bernardini

Traduzione di Pacifico Scamardella (Forum Belgrado Italia)
Fonte: http://www.resistenze.org/sito/os/ta/osta5i01.htm


Ritorna alla prima pagina