Israele fenomeno coloniale

L'ipocrisia dell'intero arco politico sulla questione del Medio Oriente e del conflitto palestinese-israeliano, con l'eccitazione conseguente alle dichiarazioni del Presidente iraniano Ahmadinejad, si rivela ad ogni pie' sospinto. Mi riprometto di tornare sui "ragionamenti" di Cossiga e di Bertinotti (con condimento di Antonio Cassese) sul processo Saddam, che potrebbero intitolarsi "l'imperialismo dal volto umano". Ma non molto diverso è il discorso per la manifestazione "di guerra" bipartisan indetta dal sionista Giuliano Ferrara con l'appendice della "manifestazioncella" separata per il diritto all'esistenza dei due Stati nell'antica (?) Palestina.

Al solito, un deficitario inquadramento storico e giuridico porta a soluzioni assolutamente da respingersi, come l'incondizionata solidarietà ad Israele della prima manifestazione, o deboli, astratte, "buoniste", come nella "manifestazioncella".

In sintesi estrema: alla dissoluzione dell'Impero ottomano dopo la prima guerra mondiale, i principali Stati colonialisti si arrogarono la sovranità su gran parte dei territori arabi distaccati dall'Impero e se la fecero confezionare sotto forma di "mandati" dalla Società delle Nazioni. Furono comunque stabiliti dei vincoli: quei territori e quelle popolazioni avrebbero dovuto conseguire l'indipendenza. Ciò avvenne ad es. per la Siria e per l'Iraq. La Palestina, in realtà staccata artificialmente dalla Siria, avrebbe dovuto conoscere lo stesso esito a favore della locale popolazione araba e delle minoranze ivi esistenti, fra cui una minoranza ebraica. In seguito alla famigerata dichiarazione Balfour, nel mandato per la Palestina venne inserita, potrebbe dirsi abusivamente, una clausola che prevedeva un focolare (foyer) ebraico. La Gran Bretagna, come potenza mandataria, tollerò e in alcuni casi incoraggiò l'immigrazione ebraica che, in seguito alla tragedia della persecuzione nazista nella seconda guerra mondiale, si incrementò moltissimo.

E' istruttivo riportare una dichiarazione di Arturo Parisi della Margherita ("Corriere della Sera", 2 novembre 2005): "Come dimenticare l'origine dello Stato ebraico? Israele non è un avamposto della civiltà occidentale che si confronta con l'Islam… è il risultato delle nostre contraddizioni. Gli ebrei sono nostri fratelli che abbiamo costretto ad andar via dall'Europa. Dopo averli perseguitati li abbiamo accompagnati sull'uscio e gli abbiamo voltato le spalle". Bella morale: risolviamo le nostre contraddizioni a casa degli altri, cioè dei palestinesi. Ricordiamo lo slogan sionista: "una terra senza popolo per un popolo senza terra". Dunque, i palestinesi erano dei sottouomini che non costituivano un popolo e la loro terra doveva essere assegnata a un altro popolo.

Come si qualifica, storicamente e giuridicamente, l'entrata di masse di popolazione estranea in un territorio già popolato da altri, che vengono in un modo o nell'altro espulsi? A parte che per questa espulsione c'è chi ha parlato di "pulizia etnica", il fenomeno in generale non è qualificabile altrimenti che come fenomeno di colonizzazione. Era stato diverso l'ingresso dei coloni francesi in Algeria o, certo in numero assai minore, degli italiani in Libia o, prima ancora, degli olandesi (boeri) nel Sudafrica o ancora dei coloni USA nel Far West, spesso con sterminio degli indigeni? La differenza è che l'immigrazione ebraica in Palestina è avvenuta in un momento storico in cui il fenomeno del colonialismo cominciava ad essere rigettato con lotte di liberazione nazionale che hanno portato, fra l'altro, all'espulsione dei coloni francesi dall'Algeria e di quelli italiani dalla Libia. Per il Sudafrica, conosciamo la lotta contro l'apartheid con il risultato di uno Stato multinazionale. Degli USA non parliamo.

Fenomeno colonialistico dunque, quando ciò cominciava a divenire inammissibile, certamente comunque in violazione, consentita dal mandatario britannico, dei termini del mandato. A questo punto qualcuno dirà: ma c'è stata la ris. 181 delle Nazioni Unite, che ha previsto la spartizione. Qui è il solito equivoco: le Nazioni Unite non hanno nessun potere di disposizione su territori altrui e su sovranità, possono solo proporre elementi di soluzione di un conflitto come quello che era scoppiato in Palestina a seguito dell'immigrazione ebraica. Soluzione che nel caso concreto fu di per sé iniqua nei confronti della popolazione araba ma che comunque per esser valida giuridicamente si sarebbe dovuta accettare dalle parti in causa. La parte araba non accettò. Vi è ora un'accettazione, non si sa quanto formalmente valida e definitiva, da parte dell'Autorità nazionale palestinese, certamente non accettata da tutta la popolazione palestinese e in particolare da determinati movimenti di Resistenza e certamente non dai profughi. Nonostante tutte le proclamazioni internazionali sull'indiscutibile esistenza dello Stato di Israele, ho molti dubbi che su un piano giuridico di fondo questo Stato possa considerarsi in senso tecnico consolidato, cioè giuridicamente definitivo. Non può valere il "chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto", e cioè che chi ha ricevuto un torto debba necessariamente subire la situazione di fatto che ne è risultata. E' la solita storia che alla fine porta ad unirsi coloro che ritengono che torto non vi sia stato e coloro che, pur ammettendo il torto iniziale, ne accettano le conseguenze (per conto di altri, e cioè dei palestinesi).

E' questa la nefasta forza ideologica dell'imperialismo. Esattamente come in Iraq, dove da taluni si condanna l'aggressione a quel paese, ma si vuole costruire il futuro non sulla Resistenza, bensì sul c.d. processo politico instaurato dagli occupanti nel quadro di un regime quisling. Il Presidente iraniano, nell'espressione di una rivalsa di un popolo che ha subito il colonialismo anche indiretto, potrebbe aver usato qualche espressione incauta (ma bisognerebbe conoscere il testo esatto e completo, nonché tener conto delle precisazioni anche successive). Ma l'espressione diretta contro l'entità sionista, con le sue caratteristiche storico-giuridiche cui si è accennato, non vuol dire il genocidio, bensì la cessazione del carattere coloniale con tratti di apartheid ai danni della popolazione araba visibili al giorno d'oggi. Pensiamo dunque, ad es., allo Stato unico binazionale.

Ma gridare allo scandalo per l'idea della cancellazione dell'entità sionista in quanto tale, mentre l'entità palestinese viene cancellata nella realtà in modo attuale, è molto ipocrita. E' piuttosto irrealistico pensare che Israele sionista consenta mai il sorgere di un vero Stato palestinese indipendente, padrone delle sue frontiere, con territorio non spezzettato… La costruzione del muro, condannato anche da un parere della Corte internazionale, ma che non ha certo sollevato lo scandalo che si agitava intorno al muro di Berlino, indica le vere intenzioni del potere sionista. Il quale del resto, nella realtà dei fatti, già ha strappato abbondanti porzioni di territorio persino rispetto alle linee armistiziali del 1967 assunte come intangibili dalle Nazioni Unite. In un quadro del genere, salva evidentemente la garanzia della vita e dei diritti fondamentali della popolazione ebraica in Palestina, le soluzioni politiche debbono essere aperte e possono includere anche quella del superamento di uno Stato sionista.

Aldo Bernardini

4 novembre 2005


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