Dal Giornale di Sardegna del 10-10-2005

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Le basi Usa a nostro carico, così l'Italia paga i marines

Sconti su bollette e trasporti, contributi in denaro contante per centinaia di milioni. Da La Maddalena ad Aviano la mappa delle servitù salatissime.

Il caso. Il 37 per cento delle spese militari «di stazionamento» è a carico del governo italiano

Le nostre tasse per le basi degli Usa pagati ogni anno centinaia di milioni

Marco Mostallino

marco.mostallino@gds.sm


Lo Stato italiano paga ogni anno il trentasette per cento dei costi delle basi (Aviano, La Maddalena, Sigonella e altre) e delle truppe americane di stanza nel nostro paese: risulta dai documenti ufficiali di bilancio delle forze armate Usa, del Dipartimento della difesa e del Congresso (il Parlamento) degli Stati Uniti. Nel 1999 il tributo versato da Roma a Washington è stato pari a 530 milioni di dollari (circa 480 milioni di euro), mentre nel 2002 i contribuenti italiani hanno partecipato alle spese militari americane per un ammontare di 326 milioni di dollari. Tre milioni sono stati dati in denaro liquido, il resto sotto forma di sgravi fiscali, sconti e forniture gratuite che riguardano trasporti, tariffe e servizi ai soldati e alle famiglie. La maggior parte dei pagamenti, si legge nelle carte ufficiali del Governo di Washington, nascono da «accordi bilaterali» («bilateral agreements» nei testi originali) tra Italia e Stati Uniti, il resto viene dalla divisione delle spese in ambito Nato.

Il metodo di prelievo si chiama «burden-sharing» («condivisione del peso») ed è illustrato nel “Nato Burdensharing After Enlargment” pubblicato nell'agosto 2001 dal Congressional Budget Office (Ufficio per il bilancio) del Congresso. Vi si legge (capitolo III, pagina 27) che i comandi militari Usa stimano che grazie a questi accordi soltanto per le opere e i servizi nella base di Aviano «i contribuenti - (taxpayers) - americani hanno risparmiato circa 190 milioni di dollari».

Quanto all'impegno complessivo del nostro fisco verso gli Usa, il documento chiave è il Report on Allied Contributions to the Common Defense (rapporto sui contributi degli alleati alla difesa comune), consegnato nel marzo 2001 dal Segretario alla difesa (il ministro) al Congresso degli Stati Uniti. Alla pagina 6 della sezione I si legge quanto segue: «Italia e Germania pagano, rispettivamente, il 37 (l'Italia) e il 27 per cento dei costi di stazionamento di queste forze (le forze armate Usa, ndr)».

Nel rapporto “Defense Infrastructure” consegnato nel luglio 2004 al Congresso da parte dell'Ufficio governativo per la trasparenza, a pagina 18 si legge che «diversi Paesi europei forniscono vari tipi di sostegno da parte delle nazioni ospitanti. Per esempio, nel bilancio 2001, Germania e Italia hanno dato i maggiori contributi, valutati rispettivamente in 862 e in 324 milioni di dollari». Si tratta, spiega il rapporto, di contributi diretti e indiretti «aggiuntivi rispetto a quelli della Nato».

Intesa bilaterale. In caso di dismissioni di basi Roma deve risarcire Washington per «l'investimento»

Il sito militare chiude? C'è anche l'indennizzo

I pagamenti di denaro italiano agli Stati Uniti non finiranno nemmeno nel caso - ipotetico, visto che La Maddalena si rafforza - di chiusura di basi e installazioni nel nostro Paese. Nei patti siglati dai governi di Roma e Washington esiste infatti una clausola chiamata “Returned Property - Residual Value”, anch'essa documentata negli atti ufficiali del Congresso americano. Il meccanismo - tutt'ora in vigore e confermato da carte di quest'anno - è ben illustrato nella testimonianza che il colonnello Dean Fox, capo del Genio dell'Aviazione Usa in Europa, rilasciò ai parlamentari degli Stati Uniti l'8 aprile del 1997. «Il ritiro (delle truppe, ndr) e la conseguente restituzione di alcune ex basi degli Stati Uniti alle nazioni ospitanti ha creato l'opportunità per gli Stati Uniti di reclamare il valore residuale come risarcimento degli investimenti statunitensi». È un diritto al pagamento delle “migliorie” apportate dalle forze armate Usa a territori che avrebbero avuto prima un valore inferiore. Gli accordi variano. Quelli con l'Italia sono descritti alla pagina 17 delle “osservazioni preliminari” del rapporto che l'Ufficio della Casa Bianca per la trasparenza (il Goa) ha consegnato al Congresso nel luglio del 2004: «Italia: gli accordi bilaterali stabiliscono che se il Governo italiano riutilizza le proprietà restituite entro tre anni (dalla restituzione, ndr), gli Stati Uniti possono riaprire le trattative per il valore residuale». Ciò comporta, oltre al pagamento dell'indennizzo, un vincolo per il riuso delle terre, perché in questo caso il rimborso aumenta. È vero che le intese prevedono anche che gli Usa paghino alla nazione ospitante i danni ambientali: ma in un rapporto della Commissione governativa per le basi militari all'estero (9 maggio 2005) si legge che finora questi costi sono risultati «limitati».

Marco Mostallino



Soldi e indennizzi, così paghiamo le basi Usa

Angelo Mastrandea

Il Manifesto, 11 ottobre 2005

Si tagliano i fondi per gli enti locali, si sforbiciano il welfare e la cultura, perfino le Olimpiadi di Torino. Ma guai a toccare ciò che deve rimanere segreto. Cioè che con i soldi dei contribuenti italiani si pagano non solo le spese militari del nostro paese, ma addirittura i costi delle basi americane in Italia. Denaro liquido, per un totale del 37 per cento delle spese complessive, ma anche sgravi fiscali, sconti e forniture gratuite di trasporti, tariffe e servizi. In proporzione, siamo il paese Nato che versa di più agli Usa: il 37 per cento, contro il 27 della Germania. In valori assoluti, il rapporto è inverso: la Germania, nel bilancio 2001, ha stanziato 862 milioni di dollari, e l'Italia 324. Contributi diretti e indiretti «aggiuntivi rispetto a quelli della Nato», spiega lo statunitense Report on allied contributions to the common defense, rivelato ieri dal cronista del Giornale di Sardegna Marco Mostallino. Nell'anno successivo, è scritto nero su bianco in un rapporto della Commission on review of overseas military facility structure, trasmesso al presidente Bush e al Congresso Usa il 15 agosto scorso e in nostro possesso, la Germania ha aumentato i contributi a 1.563 milioni di dollari, l'Italia a 366,54. Dunque nei primi due anni del governo Berlusconi, mentre si sforbiciava qua e là lo stato sociale e si approvavano condoni per fare cassa, lo stanziamento è aumentato, e tutto lascia presumere che nei successivi tre anni non sia diminuito. Ma non ci si lasci ingannare: nel 1999, infatti, governo D'Alema di centrosinistra, lo stanziamento fu di ben 480 milioni di euro.

Contributi necessari? Un inevitabile riconoscimento all'amicizia con gli Stati uniti e al loro ruolo di liberatori dal nazifascismo? Non parrebbe. A leggere i documenti ufficiali di Washington, la maggior parte dei pagamenti nascono da bilateral agreements, «accordi bilaterali», e solo una minima parte dipende dalla dovuta divisione delle spese tra i paesi della Nato. Le cifre sono ancora più istruttive. Il dossier dell'agosto scorso elenca infatti paese per paese le quote di quella che gli americani chiamano «condivisione dei costi», bilateral cost sharing, sia pur per pagare le proprie truppe. Ebbene, paesi «alleati» come Francia, Canada, Repubblica Ceca, Olanda, Norvegia e Polonia non sganciano un euro o dollaro che dir si voglia. Altri, come Spagna, Ungheria e Turchia, danno solo dei contributi «indiretti», e perfino gli inglesi, i più fedeli alleati degli Usa, pagano meno di noi, per la precisione 185,39 milioni di dollari.

Ma non finisce qui. I pagamenti agli Stati uniti non finiranno nemmeno se le basi dovessero essere chiuse e non ampliate, come sta per accadere alla Maddalena e a Camp Darby. Nei patti tra Washington e Roma, rigorosamente segreti, esiste una clausola chiamata Returned property - residual value, che prevede un indennizzo per le «migliorie» apportate. L'accordo è top secret, ma qualcosa filtra alla pagina 17 delle «osservazioni preliminari» che il Goa, l'ufficio della Casa bianca per la trasparenza, ha consegnato al congresso Usa nel luglio del 2004. Leggiamo: «Gli accordi bilaterali stabiliscono che se il governo italiano riutilizza le proprietà restituite entro tre anni, gli Stati uniti possono riaprire le trattative per il valore residuale». Che più o meno vuol dire: se i terreni vengono riusati entro quel periodo, il rimborso va aumentato. Unica clausola favorevole, quella che prevede per le nazioni ospitanti il rimborso dei danni ambientali. Peccato che a quantificarli paiono essere gli stessi americani, tanto che un rapporto della Commissione governativa per le basi militari, incurante delle tante denunce di inquinamento, li ha già definiti «limitati».

Sulla vicenda ha presentato un'interrogazione parlamentare il verde Mauro Bulgarelli, che ha anche preparato un progetto di legge per la desecretazione di tutti i documenti che sono segreto di Stato. «Ancora una volta ci troviamo di fronte ad accordi segreti che impongono, oltre alla presenza di basi straniere sul nostro territorio, anche l'onere di mantenerle a spese dei contribuenti italiani, che si ritrovano a loro insaputa a finanziare tariffe, trasporti e servizi gratuiti ai soldati americani e alle loro famiglie», dice il deputato verde, che considera il diritto di indennizzo una vera e propria «provocazione».

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