Per la costituzione
dell'Associazione dei Comunisti

Le ragioni di una proposta

Eppur bisogna andar.... Così potremmo titolare la scelta che stiamo discutendo dopo l’esperienza di Aginform, foglio di corrispondenza comunista.

I compagni ricorderanno, e qualcuno ce l’ha rimproverato, i toni pessimistici sui risultati poco lusinghieri ottenuti. Abbiamo sottolineato che il pessimismo non dipndeva tanto da noi, quanto dai dati oggettivi e numerici. Nasconderli non avrebbe aiutato ad aprire una discussione franca e necessaria.

In questo quadro così poco allettante ci siamo però resi conto che in questi sette anni di pubblicazione di Aginform abbiamo consolidato un risultato che non è fatto di numeri che, ripetiamo, sono scarsi, ma della convinzione che siamo stati capaci di resistere alla tentazione di confonderci con uno stato di cose presenti che sta portando la sinistra e i ‘nuovì’ comunisti alla liquidazione. Basta questo per riprendere un percorso comunista? Certamente no. Siamo convinti che se volessimo esprimere solo l’esigenza volontaristica di un gruppo di persone che pretende, contro la forza dei fatti, di voler fondare, come spesso è accaduto, gruppi autoreferenziali, dovremmo concludere che non è il caso di ripetere esperienze dello stesso tipo per affermare un continuismo astratto.

Se ragioniamo però ancora una volta sui dati oggettivi, su ciò che sta accadendo attorno a noi, in Italia e soprattutto fuori, ritroviamo un po’ di quell’ottimismo della volontà che, avendo ben poco a che vedere col volontarismo, ci fa dire che, nonostante la stanchezza per le mille battaglie combattute,  …eppur bisogna andar.

Siano convinti, cioè, che mentre i comunisti che vanno per la maggiore si sono trasformati da rifondatori in liquidatori e diventano altra cosa, i comunisti che dall’89 ad oggi hanno lavorato per analizzare la nuova fase e individuare un che fare? adeguato alle circostanze storiche si rendono conto che ora più che mai bisogna puntare i piedi in un difficilissimo tentativo di far scaturire un punto di riferimento non ‘precario’ per i comunisti.

E’ un’illusione la nostra? E’necessario fare un ulteriore tentativo? Di questo dobbiamo discutere nella

riunione del 20 gennaio
a Roma, ore 11, viale Tormarancia 115

alla quale invitiamo tutti i compagni e le compagne interessate.

Coloro che non potranno intervenire direttamente possono farci conoscere il loro punto di vista via e-mail (pasti@mclink.it) o per posta (Adolfo Amoroso, C.P: 18178, 00164 Roma Bravetta)



I punti di analisi e di proposta


1. Come pensare a una ripresa del movimento comunista dopo l’89?

A questo proposito abbiamo più volte affermato che esiste una sostanziale discontinuità rispetto agli anni precedenti il crollo dell’Unione Sovietica. Pensare di poter rappresentare uno spezzone continuista di quello che è stato il movimento comunista internazionale è fuori dalla fase storica e dalle prospettive concrete. Per questo riteniamo che il discorso antirevisionista abbia fatto il suo tempo e non sia in grado di muovere forze reali. Ciò per alcuni motivi  a nostro avviso molto validi.

Il primo consiste nel fatto che ciò che ancora esiste della fase di espansione delle rivoluzioni socialiste ha caratteristiche completamente diverse da ciò che queste rivoluzioni hanno rappresentato come componenti di un movimento a carattere mondiale. Questo vale per la Cina, come per Cuba, per la Corea e per il Vietnam. Aldilà delle sostanziali differenze tra queste situazioni, nessuna di queste si pone obiettivi strategici per la ripresa del movimento comunista.

Il secondo  dato di fatto è che anche laddove ancora esistono partiti che si definiscono comunisti, dopo le grandi degenerazioni socialdemocratiche e neoliberali di molti di essi, si tratta di partiti parlamentaristici che svolgono funzioni di opposizione elettorale e sono spesso  componenti di blocchi egemonizzati da forze della sinistra borghese.

Terzo: esistono, è vero, una miriade di gruppi che si definiscono comunisti e rivoluzionari, ma essi non hanno raggiunto, se non in pochissimi casi, peso politico e soprattutto non sono stati in grado di costruire, per vari motivi tra cui il settarismo e il vuoto ideologismo, una vera corrente internazionale.

In sostanza ci sentiamo di affermare che oggi siamo in presenza di orfani del comunismo e non certamente di un movimento comunista. Se questa affermazione mena scandalo, vale la pena almeno discuterla per evitare imbrogli e mistificazioni di cui molti di questi orfani sono portatori.

Senza volerci  assumere dunque, la responsabilità  di ergerci a giudici, crediamo che  questa situazione vada analizzata bene per evitare di continuare a pestare acqua nel mortaio e per capire, aldilà della retorica, se e come il movimento comunista sia in grado di riprendere un cammino storico di grande portata. In questo contesto rientra  il nostro modesto contributo  in Italia.

Questo ci sembra il punto di partenza della discussione. Intendiamo di una vera discussione che non veda il sollevarsi del solito pulviscolo gruppuscolare (siamo lontani, date le dimensioni, dal poterlo chiamare polverone), ma di un approfondimento storico, teorico e politico.

A scanso di equivoci diciamo subito che questo lavoro non ha nulla a che fare con i vari laboratori di marxismo ‘critico’ che vengono impiantati da intellettuali più o meno seri i quali lavorano per una autoriproduzione professionale e non per costruire un movimento comunista teoricamente attrezzato.


2. Non siamo all’anno zero

Discontinuità non significa che i comunisti siano di nuovo all’anno zero. Tutt’altro. E soprattutto a nostro parere essi hanno alle spalle una grandiosa esperienza storica, quella della Rivoluzione d’Ottobre e della costruzione di un sistema di stati socialisti che non solo ha ‘sconvolto il mondo’ ma ha segnato un’epoca nello scontro tra forze dello sfruttamento e forze di liberazione dallo sfruttamento nel centro del sistema capitalistico come nella periferia colonizzata. Rivendicare l’eredità di Lenin e di Stalin, il quale, va sottolineato, ha saputo continuare l’opera di colui che ha preparato e diretto la Rivoluzione d’Ottobre, non è, come moltissimi ‘marxisti’ nostrani vogliono fare intendere, una riproposizione nostalgica e sbagliata del passato, alla quale essi contrappongono rivisitazioni buchariniane o gramsciane.

Le motivazioni per cui oggi bisogna essere leninisti e stalinisti stanno nella comprensione di un processo rivoluzionario, il più grande vissuto nella storia dell’umanità , che ci ha insegnato due cose fondamentali:

- come i comunisti hanno saputo muoversi dentro le contraddizioni della fase imperialista dello sviluppo del capitale tentando un grande assalto al cielo. I cannoni dell’Aurora  sono il simbolo di questa capacità rivoluzionaria dei comunisti che non ha un significato ‘nazionale’, ma dimostra una grande lucidità e determinazione nell’inserirsi nelle contraddizioni a carattere mondiale e sfruttarle.

- come i comunisti sono stati in grado di organizzare un potere rivoluzionario nell’economia, nelle istituzioni e nei rapporti internazionali condizionando per più di settanta anni la scena mondiale e gli equilibri di classe.

Dall’importanza di questi due fattori nasce la nostra determinazione di difendere la grande esperienza rivoluzionaria nata nel 1917 e proseguita fino alla svolta kruscioviana del 1956.

Le obiezioni trotskiste e i distinguo delle anime belle del ‘marxismo’ occidentale non possono scalfire i dati di fatto. I trotskisti, perché si sono dimostrati la ruota di scorta dell’anticomunismo borghese. Le anime belle, perchè ci ripropongono una lettura idealistica dei processi storici non riuscendo, a nostro parere, a penetrare il concetto di materialismo e la relazione tra mondo della teoria e svolgimento concreto delle cose.

Con questo non vogliamo impedire una discussione sulla storia passata, ma dare una chiave interpretativa che sia fuori dal concetto di ‘rivoluzione tradita’. Per introdurre, invece, nell’analisi e nella discussione concetti che attengono alla categoria della controrivoluzione e del determinarsi della base oggettiva  che la produce.


3. Le due questioni che caratterizzano la fase

A partire dall’89 viviamo una fase caratterizzata da una parte dal grande arretramento del movimento comunista e dall’altra da una ripresa virulenta delle contraddizioni che scaturiscono dall’aggressività dell’imperialismo. Non abbiamo avuto il tempo di riflettere sulla crisi del movimento comunista che già si è aperta, a livello mondiale, una nuova grande contraddizione da cui scaturiscono eventi rivoluzionari a carattere mondiale.

Non siamo, come abbiamo detto  nella nostra lettera precedente, alla vigilia di una nuova rivoluzione proletaria, tutt’altro. Nondimeno non possiamo non definire rivoluzionaria la fase che stiamo attraversando. Si tratta di intenderci sul significato di questa affermazione.

La storia non si ripete sempre allo stesso modo e per questo i comunisti non debbono rimanere inchiodati a schemi interpretativi superati.

All’orizzonte si intravede uno scenario in cui gli USA, i loro alleati occidentali e Israele portano avanti un loro progetto di intervento armato sistematico per mantenere un’egemonia mondiale messa in forse dalla resistenza di stati e popoli che non vogliono essere omologati a sudditi del sistema imperiale. Questa politica di guerra non è diretta solo contro popoli e nazioni disobbedienti, ma è anche un monito per gli alleati e i concorrenti del sistema imperiale americano. Un nuovo spettro di natura nazista e colonialista, partorito nel ventre dell’occidente, si aggira nel mondo e semina guerra, genocidi, miseria. Questo rende rivoluzionaria la situazione ed è questo il dato che la caratterizza.

Certo, esiste il movimento di autonomia che si sta sviluppando in America Latina, l’autonomia di paesi come la Cina e la Russia dal sistema imperiale americano. Esistono discrepanze anche nel rapporto tra Europa e Stati Uniti, ma nessuno di questi elementi, che in prospettiva potranno essere fonti di nuove, laceranti, contraddizioni, rappresenta il centro dello scontro e la base delle trasformazioni rivoluzionarie odierne. Il centro di questa fase è la guerra imperialista e la lotta antimperialista. Questa lotta antimperialista non è diretta dai comunisti, ma essere comunisti non significa farne oggetto, come sovente avviene, di risoluzioni congressuali, ma viverla come un passaggio fondamentale della fase e quindi stabilire un rapporto reale con essa.


4. I comunisti e la lotta antimperialista

Come è possibile essere comunisti senza mettere al centro del programma di riorganizzazione la lotta all’imperialismo? Non dimentichiamoci che il programma bolscevico della Rivoluzione d’Ottobre nasce da un’analisi delle contraddizioni poste dalla guerra mondiale dentro cui veniva considerata l’ipotesi di rivoluzione in Russia e non solo.

La possibilità di riorganizzazione dei comunisti anche oggi nasce o meglio è il caso di dire potrebbe nascere da qui. Usiamo il condizionale perché non intendiamo per movimento comunista  quello basato sulla retorica operaista o sul ‘socialismo  meta finale’. Per noi conta il concetto che il comunismo reale è quello che abolisce lo stato di cose presente. Cioè individua l’obiettivo vero e si attrezza per raggiungerlo. E da qui nasce anche il punto di sintesi e di unità  che il movimento comunista internazionale, aldilà di come concretamente agisce in ogni singola situazione, deve avere.

La „guerra infinita“, l’abbiamo detto molte volte e lo ripetiamo ancora, deve essere bloccata, perchè da questo passaggio dipende la storia futura dell’umanità e delle classi sfruttate. E dentro questo passaggio si forgiano le nuove avanguardie rivoluzionarie. Stavolta bisogna misurarsi con l’anello forte della catena imperialista e gli iracheni e i libanesi ci hanno dimostrato che si può fare.

Si è sviluppata la coscienza, in Italia e in occidente, dove la storia dei comunisti ha avuto la sua culla, di questo fattore?

In occidente, Italia compresa, la debolezza delle posizioni antimperialiste è evidente e questo dipende  non solo dal controllo che la borghesia esercita sulle gente, ma anche dal ruolo che i partiti di ‘sinistra’ esercitano a livello di sviluppo delle coscienze. I concetti di lotta al terrorismo, resistenza uguale terrorismo, antisionismo uguale antisemitismo ecc. ecc., aiutano i progetti della guerra ‘giusta’ e dell’esportazione della ‘democrazia’.

La presenza delle organizzazioni comuniste e internazionaliste diventa un punto essenziale per contrastare l’ideologia imperialista e quello che si può definire il nuovo socialimperialismo maturato all’interno della sinistra.

Ce ne siamo resi ben conto quando abbiamo dovuto contrastare slogans come „contro la guerra e contro il terrorismo“, „antisionismo uguale antisemitismo“, „la resistenza irachena è terrorismo“.


5. Imperialismo e contraddizioni di classe

I comunisti non hanno solo il compito di capire e di inserirsi in modo rivoluzionario nelle contraddizioni scatenate dall’imperialismo, ma anche di legare queste contraddizioni alle dinamiche di sfruttamento del capitale internazionale che sono quelle che in definitiva determinano le scelte politiche e militari.

Anche se ancora una volta è la guerra che mette all’ordine del giorno la necessità di trasformazioni rivoluzionarie, è compito dei comunisti individuare la dinamica complessiva dello scontro per capire la natura delle contraddizioni e le forze in movimento.

Se il punto di riorganizzazione immediato dei comunisti è la lotta alla guerra infinita di Bush e dei suoi alleati, l’attenzione sul lungo periodo deve essere puntata sull’evoluzione globale della dinamica del capitale e delle relazioni di classe.

Un percorso strategico di riorganizzazione dei comunisti si deve misurare dunque con due fattori della crisi, quello immediato della guerra infinita di Bush e uno di più ampia articolazione che riguarda le relazioni tra le grandi aree del mondo e la condizione di classe che si determina al loro interno.

Rotta la diversità dei sistemi economici dopo il crollo dell’URSS e dei paesi socialisti europei, l’intero pianeta entra in un sistema globale di relazioni in cui sfruttamento delle risorse, livello dei profitti e salario diventano organicamente interdipendenti.

La novità rispetto al passato è che non esiste neppure più la divisione tra condizione di benessere dell’occidente, occupazione e welfare, e il resto del mondo, ma l’integrazione tra zone avanzate e zone arretrate condiziona l’avvenire di tutta la popolazione mondiale.

L’intensificazione dello sviluppo tecnologico non può creare, nel sistema capitalistico, i margini per uno sviluppo generalizzato. Anzi con questa riglobalizzazione dell’economia capitalistica si riducono i margini di autonomia delle singole aree economiche, costringendole a misurarsi coi punti alti dello sviluppo e quindi ad accelerare lo sfruttamento, la precarietà, il liberismo sfrenato nelle relazioni sociali. Sicchè nelle vecchie e nelle nuove aree di industrializzazione, le condizioni di sfruttamento creano la base per le nuove contraddizioni sociali di ampia portata.

Abituati al riformismo e al neoriformismo all’occidentale vediamo che queste contraddizioni vengono affrontate con una visione che ripropone l’economicismo, il neosindacalismo e le forme della nuova socialdemocrazia umanitaria.

Dunque, non è solo la guerra infinita di Bush e la necessità della lotta antimperialista che spinge i comunisti alla riorganizzazione. Al contrario, in ballo c’è anche il fatto che la crisi dello sviluppo generalizzato e la ‘precarietà sociale’ che ne deriva saranno la base dei nuovi processi rivoluzionari dove i comunisti devono saper ritrovare il loro ruolo di avanguardia nella classe e di lotta per la trasformazione dei rapporti di produzione. Gli avvenimenti stanno riportando all’ordine del giorno la necessità del socialismo.

Su questa ipotesi dobbiamo concretamente lavorare, senza estrapolazioni però che ci portino fuori dallo svolgimento concreto degli avvenimenti. Non vogliamo né fare ipotesi astratte né inventarci i tempi per alimentare fuoriuscite ideologiche.

Non vogliamo però neppure accodarci a un movimentiamo senza forza oggettiva e ipotesi strategica.


6. La realtà italiana e il significato della proposta di fondare l’Associazione dei comunisti

Anche se l’Italia rientra a pieno titolo in quello che si definisce sistema occidentale, essa vive assieme agli altri paesi capitalistici avanzati quelle che abbiamo definito le contraddizioni di questa epoca storica.

Il nostro paese fa parte dell’alleanza militare che gestisce le guerre nel mondo, il nostro paese partecipa ai processi di globalizzazione economica, il nostro paese, assieme all’UE, è impegnato nel duplice obiettivo di fare dell’Europa una forte area concorrenziale e di assorbire l’est europeo nell’integrazione, nell’economia e nello sfruttamento di madopera a più basso costo.

Contro questo tipo di politica  si sviluppa un’opposizione, ma che tipo di opposizione?

I partiti della sinistra cosiddetta radicale, PRC in testa, sono ormai diventati un’appendice della linea del governo Prodi di cui cercano di garantire la socialità, mentre al di fuori di questo vivacchia l’universo gruppuscolare che si barcamena tra tendenze neotrotskiste, cobasismo e antimperialismo ideologico.

E’ importante sottolineare che il ciclo ambiguo che ha accompagnato l’esistenza del PRC e anche della sua costola, il PdCI è arrivato al capolinea. Questo dovrebbe portare quei compagni e quelle compagne che hanno voluto misurare il grado di permeabilità di questi partiti ‘comunisti’ da parte di posizioni autenticamente comuniste a una seria riflessione.

Non tanto sulle questioni cosiddette tattiche, se stare o non stare in determinati partiti, ma sui risultati, che ci dicono che per  creare una forza comunista non si possono saltare i processi oggettivi e la formazione di una base teorica adeguata. Le ambiguità, quando non sono volute, non ci fanno fare passi in avanti. A meno che qualcuno non ci voglia dimostrare che dopo tanto lavorio ‘comunista’  è venuto fuori qualcosa di solido e non il solito brodo politicista dentro cui inzuppa il pane qualche scheggia trotskista.

Quanto a quelle che noi definiamo le forze di ‘movimento’ e che, aldilà delle configurazioni più o meno ideologiche, rappresentano l’alternativa al neoriformismo, quando non sono, come nella maggioranza dei casi, legate col cordone ombelicale alle case madri governiste, si impegnano in rituali alternativi che non riescono a condizionare un bel nulla, salvo a preservare serbatoi di voti a sinistra e  procedere con sempre maggiore difficoltà dovutea alla repressione delle istituzioni. Le quali hanno adottato il motto: „rrendersi o perire!“

Così è stato per i disobbedienti che sono diventati penitenti, così è stato per gli stracciatori di bandiere israeliane.

I comunisti che si vogliono riorganizzare devono avere le idee chiare su questi processi politici per evitare di essere invischiati in uno scontro frustrante da cui non possono uscire se non collegandosi ai dati oggettivi. Sono questi che permettono l’avanzata del programma comunista e su cui bisogna definire una vera teoria della fase.

Ci sono ragioni oggettive e culturali che spiegano come mai tutte queste tendenze che si travasano continuamente come tanti vasi comunicanti e producono pentimenti e conversioni varie, dominano la scena di quello che viene definito ‘movimento’. I personaggi di questa scena sono solo gli interpreti in un teatrino che non permette vere scene drammatiche.

In  definitiva oggi, in Italia, il tessuto delle contraddizioni sociali che sostiene le tendenze all’opposizione non ha una radicalità che può reggere nell’immediato un progetto strategico più avanzato e l’uso della cultura anticomunista dentro la sinistra non consente di sedimentare rapidamente un pensiero forte che vada oltre il movimentismo e la protesta generica. Anzi, l’avventura berlusconiana dimostra che le tendenze alla crisi hanno una fuoriuscita a destra di cui bisogna non solo valutare potenzialità e pericolosità, ma anche come saperle affrontare tatticamente in una situazione di debolezza delle forze comuniste e di classe.

E’ possibile uscire da questa situazione?

Certamente, a nostro parere non coll’illusione di creare un ennesimo partitino dei comunisti, di cui non vediamo le condizioni odierne per la sua esistenza. Nè con un dialogo tra ‘organizzazioni’ i cui militanti si contano sulle dita di una mano.

Neppure però crediamo che di fronte alla situazione che abbiamo sommariamente delineato si debba, come comunisti, andare in ordine sparso e sostenere una diversità che non abbia dimensioni collettive e politiche.

Proponendo l’Associazione dei comunisti noi pensiamo a un lavoro collettivo che sia basato da una parte su una crescita  di identità e di presenza politica e dall’altra sulla costruzione di una sostanziale autonomia da quelle correnti di ‘movimento’ che, come diceva Mao, sono come i palloni che quando piove si afflosciano. E sappiamo tutti quanto piove quando la situazione si fa difficile.

In sostanza riteniamo che i punti di aggregazione debbano essere basati:

- sulla formazione di un’area politica comunista che sappia misurarsi con le nuove contraddizioni di fase, pur nella coscienza dei limiti oggettivi della situazione italiana;

- sulla capacità di quest’area politica di contrastare l’anticomunismo della sinistra, ridando credibilità e spessore alla storia dei comunisti;

- sull’autonomia dai ‘comunisti’ di governo e dalle loro appendici interne ed esterne e dal movimentismo di matrice sessantottina ed economicista.


7. Non è che l’inizio

Questi tre punti sono solo una base iniziale di identità tra comunisti che vogliono lavorare assieme, senza la boria che ha sempre contraddistinto i gruppuscoli. Ma, ripetiamo, senza identità non si può cominciare il lavoro. Stavolta  invece di definirci organizzativamente, pensiamo che ci si debba definire su alcuni riferimenti che non sono improvvisazioni di qualche improbabile leader carismatico, ma questioni su cui abbiamo riflettuto abbastanza in questi anni che ci separano dal fatidico ’89.

Ci rendiamo conto  che siamo solo all’inizio del lavoro, posto che l’Associazione decolli.

I temi cui abbiamo solo accennato in questa lettera di convocazione della riunione del 20 gennaio sono di enorme portata e dobbiamo come al solito affrontarli col pessimismo dell’intelligenza.

Questi temi non sono però argomenti per un nuovo circolo culturale. Questi temi sono punti di partenza per un lavoro di organizzazione dei comunisti e per una loro capacità di usarla nel corso degli avvenimenti. Definire una posizione non significa isolarla dal contesto, ma verificarla e farla funzionare in questo contesto. 

Per fare tutto questo non abbiamo bisogno di nostalgici, ma di compagni che realisticamente si assumano  responsabilità che sono caratteristiche dei comunisti.

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