11 settembre:
l'America che indaga
e la lettera scarlatta

Paolo Jormi Bianchi

12 giugno 2006
Fonte: www.megachip.info


Il gruppo di lavoro di Megachip sull'11 settembre si è recato negli Stati Uniti per una settimana di ricerche. Il movimento americano per la verità sui fatti del 2001 vanta ottimi risultati nelle indagini, ma è diviso sulle strategie da tenere.

L'America a quasi 5 anni dalla tragedia dell'11 settembre del 2001 deve ancora fare i conti con la propria coscienza. Il rapporto ufficiale della Commissione Kean, che ad agosto del 2004 ha concluso i propri lavori assolvendo il governo, i servizi di sicurezza e le forze armate da ogni grave responsabilità, non è servito a granché. Come testimonia un sondaggio di Zogby International del mese scorso, attualmente più di 70 milioni di americani con diritto di voto non credono alla versione ufficiale sui fatti del 9-11 e sono favorevoli all'apertura di una nuova investigazione sul possibile ruolo del governo negli attentati.

A Rosemont, una cittadina ventosa a due passi dall'aeroporto di Chicago, si è tenuto tra il 2 e il 4 di giugno il convegno dei pazzi visionari, dei complottisti, di quelli sempre pronti a vedere del marcio ovunque e la longa manus del governo dietro ogni disgrazia. Si, è questa la lettera scarlatta che, indifferentemente di qua e di là dell'oceano, i media hanno cucito sul petto di chiunque abbia osato puntare la lente d'ingrandimento sulle incongruenze nella ricostruzione dell'11 settembre. Siamo andati a vedere.

Il marchio dell'infamia pesa per esempio su Steven E. Jones, professore di Fisica della Brigham Young University, che pure è stimato a livello internazionale per i suoi studi sulla fusione a freddo dell'atomo. È colpevole di aver dimostrato, esperimenti di laboratorio alla mano, che il collasso delle torri può essere avvenuto solo grazie ad una demolizione controllata. La sua esposizione ti lascia sbigottito mentre ti rendi conto che un particolare composto chimico, la “termite”, comunemente usato nel campo delle demolizioni, è stato probabilmente piazzato in diversi punti delle Torri Gemelle. Steven ti mostra immagini di repertorio in cui si vede acciaio fuso colare giù dalla Torre Sud poco prima del suo crollo. Ti mostra l'esperimento di laboratorio in cui la termite provoca lo stesso identico risultato su una barra d'acciaio. Ti dimostra dati alla mano che nessun incendio a base di carburante aereo può fare altrettanto. Ti dimostra che l'incubo del crollo delle torri è ancora più nero e profondo di quanto già non sembrasse. Infame.

Il marchio dell'infamia grava su Kevin Ryan, ex manager alla Underwriters Laboratories, società incaricata dal National Institute of Standards and Technology (Nist) di collaborare alla spiegazione ufficiale della dinamica del crollo delle torri. Kevin è colpevole di aver rivelato a tutti come il Nist abbia costretto la Underwriters a manipolare i propri test. Kevin ti spiega che i suoi modelli matematici e i suoi esperimenti, per quanto lui e i suoi colleghi si sforzassero e per quanto il Nist insistesse, non riuscivano a spiegare il crollo delle torri solo grazie al fattore “impatto degli aerei e conseguente incendio”. Ti spiega che alla fine sono stati costretti a spiegarlo ugualmente ai sensi di quell'unico fattore, forzando i parametri, e che le sue proteste gli sono valse il licenziamento. Infame anche lui.

La lettera scarlatta è cucita anche sul petto di Korey Rowe, lì dove prima si tendeva la stoffa di una divisa da soldato. A soli 23 anni Korey è reduce sia della guerra in Afghanistan che di quella in Iraq. È colpevole di essersi accorto, mentre era in Afghanistan, di essere un invasore, non un salvatore. Prima di permettergli di lasciare l'esercito lo hanno costretto a farsi un'annetto in Iraq, poi quando è tornato a casa ha scoperto su Internet che c'era qualcosa che non andava nelle motivazioni per cui era andato in guerra. Da questa scoperta è nato il film Loose Change, visto oramai da milioni di persone in tutto il mondo grazie a Google Video: è la raccolta al momento più completa di tutti gli interrogativi ancora aperti sul 9-11. Con l'aiuto di due amici e di un computer, Korey ha creato un potentissimo strumento di diffusione dei dubbi. La sua è una delle colpe più gravi.

Rosemont nell'Illinois ha ospitato queste e tante altre persone che qui non possiamo elencare tutte e che hanno qualcosa di importante da dire, ma vivono nella censura più totale da parte dei media americani. Nell'intenzione dei promotori dell'iniziativa, il convegno doveva servire proprio per elaborare le migliori strategie possibili per far sentire la propria voce. Ma a fronte del grande successo che stanno raccogliendo nel campo della ricerca - che mano a mano che va avanti rende sempre più difficile ignorare il loro lavoro - non si manifesta una corrispondente capacità di sviluppare un disegno politico. Manca un'impostazione efficace. Questa America che indaga, come reagisce alla strategia del discredito? Non nel modo migliore, sembrerebbe. Punta il dito contro diversi presunti responsabili senza, ovviamente, disporre di appropriate “smoking guns”. Non evita quei comportamenti “coloriti” che fanno il gioco di chi vuole ridicolizzare il movimento, e si lancia a testa bassa contro “loro”, ovvero i Neocon, i neoconservatori al potere. Posti i suoi quesiti, pesantissimi e documentati, potrebbe fermarsi e chiedere delle risposte, astenendosi dal fantasticare. Ma non lo fa.

Oltretutto il fronte non è compatto. Abbiamo lasciato Rosemont per andare all'ombra delle Sears Towers, downtown Chicago. L'avvocato David Shippers ci ha accolto nel suo ufficio presso lo studio legale Shippers & Bailey, dove è tornato ad esercitare la professione dopo aver lasciato i fasti di Washington. Ha istruito niente di meno che l'impeachment del presidente Clinton all'epoca del fattaccio della Lewinsky. È un uomo della destra, che considera i compatrioti riuniti a Rosemont “nuts”, letteralmente “svitati”. Eppure anche lui punta il dito contro il rapporto ufficiale della commissione d'inchiesta sui fatti dell'11 settembre: una grande operazione di insabbiamento. Ti spiega che quello che è successo a Lower Manhattan è tutta una questione di terribile inefficienza e colpevole disinteresse a diversi livelli della sicurezza nazionale. E ti dimostra che è dall'epoca dell'attentato di Oklaoma City che l'Fbi gira la testa dall'altra parte ogni qual volta un suo agente segnala una pista importante da seguire. “It's all about incompetence”, ripete quasi ossessivamente Shippers. Per lui l'amministrazione Clinton ha gettato le basi per questo disastro, voltando le spalle a segnali chiarissimi di un attacco imminente, di matrice indiscutibilmente islamica. Una posizione molto diversa da quella di chi sostiene che sia esistito un piano preordinato e interno (un “inside job”). Mentre proseguiamo il nostro viaggio in America ci chiediamo cosa possa conciliare queste diverse posizioni, cosa possa fare in modo che il vettore dei “nuts” e quello dell' “hard right man” Shippers esercitino forza nella stessa direzione. Cosa possa fare in modo che entrambi favoriscano il fine ultimo: creare le condizioni perché venga fatta ufficialmente piena luce. Ce lo stiamo ancora chiedendo quando a Washington incontriamo Coleen Rowley e Sybel Edmonds.

Coleen è candidata al Congresso nelle prossime consultazioni elettorali. Il suo motto è “Agent for Change”, agente per il cambiamento. Infatti Coleen è stata un agente, speciale, nell'Fbi. Ha denunciato pubblicamente i propri superiori, rei di aver bloccato un'indagine su Zacarias Moussaoui prima del 9-11, indagine che avrebbe potuto forse evitare la strage di quasi tremila americani.

“Big cases, big problems. Small cases, small problems. No cases, no problems”. Questo è a suo dire il principio che chiunque voglia fare carriera nelle agenzie come l'Fbi, sa di dover seguire: ogni due anni puoi salire di grado, se non ti impelaghi in indagini complicate, “cases” che possono risolversi in un tuo fallimento o portarti a pestare i piedi a qualcuno. Dalla teoria dell'incompetenza a quella dell'estrema burocratizzazione della sicurezza negli Stati Uniti: un'altra spiegazione del perché l'11 settembre non sia stato fermato prima che avvenisse.

Sybel Edmonds, ex traduttrice per l'Fbi di documenti in lingua farsi, araba e afghana, ci ripete la stessa filastrocca sui “Big cases”. Sybel ha dovuto lasciare il Bureau quando ha protestato per il fatto che diversi importanti documenti che avrebbero potuto mettere gli investigatori sulle tracce degli autori del 9-11 erano stati trascurati o mal tradotti all'epoca del suo impiego presso l'agenzia. Ha raccolto intorno a sé, in un'associazione, diversi agenti che si trovano nelle sue medesime condizioni, i cosiddetti “whistleblowers”, “gole profonde” costrette a tacere e messe all'angolo perché in grado di dimostrare i colpevoli silenzi e le omissioni dell'Fbi e di altre agenzie per la sicurezza nazionale.

Sybel e Coleen, così come David Shippers, non hanno addosso la lettera scarlatta. Su di loro non pesa il marchio dell'infamia. Nel 2002 Coleen è stata persino eletta donna dell'anno da Time. Non vogliono avere nulla a che fare con la gente che si è riunita nei pressi di Chicago, e sostengono che quel loro insistere sulle demolizioni controllate, o sulle prove che nessun aereo si è schiantato sul Pentagono, allontanino i media, e arrechino grave danno alla causa della verità e dell'accertamento delle responsabilità. Chi ha frequentato le sale del convegno di Rosemont non può che dolersi di questa separazione in casa: sa che alcuni (non tutti) degli studi scientifici e alcune delle analisi geopolitiche a cui ha assistito lì sono materiale valido, e che certe prese di distanza sono frutto della rispettabilità che, in un contesto tematico già difficile, i convenuti di Rosemont forse non hanno saputo costruirsi. D'altro canto la maggiore disponibilità che i media e il potere mostrano verso la Edmonds, la Rowley e Shippers, dovrebbe insospettire i meno ingenui.

Torna allora e comunque la domanda, mentre si sorvola l'Atlantico, di ritorno a casa: quale può essere il comune denominatore, che imbrigli la forza dispersa di questa indagine collettiva, forse la più importante della storia recente? Come mettere assieme chi ha prove scientifiche della demolizione delle Torri Gemelle con chi ha prove invece della colpevole negligenza di chi doveva difendere gli Stati Uniti? Probabilmente bisogna andare al di là del continuum che parte dal “se lo sono fatti da soli”, passa per il “lo hanno lasciato volutamente fare ai terroristi” e arriva al più blando “è una problema di incompetenza endemica ai servizi”. Bisogna smettere di dare risposte, perché le domande sono più che sufficienti. L'esplosivo nelle torri e il blocco delle indagini Fbi sui dirottatori non sono più due argomenti inconciliabili se non si pretende di teorizzarci sopra. Diventano entrambi, con pari dignità, dei macigni che pesano sul rapporto ufficiale del 2004 sui fatti dell'11 settembre. Là dove l'America che indaga si muove in ordine sparso con le teorie, può andare avanti compatta con le domande. In Europa, in Italia, ci stiamo provando.

Paolo Jormi Bianchi


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