Domande all’11 settembre: è andata davvero così?

A cura di Gaetano Guida

Superficialmente tutto è sembrato abbastanza chiaro. Secondo la versione ufficiale, circa 19 terroristi mediorientali suicidi, col cuore gonfio di odio nei confronti della libertà e della democrazia americane, hanno dirottato quattro aerei di linea, ne hanno fatti schiantare due contro le torri gemelle del World Trade Center di New York ed un terzo contro il Pentagono. Il quarto, a quanto viene riferito, è precipitato nella Pennsylvania occidentale dopo che i passeggeri hanno tentato di contrastare i terroristi.
Tuttavia, analizzando con attenzione ciò che ci dice la versione ufficiale, quella fornita dai media di tutto il mondo, sorgono spontanee delle domande inquietanti, domande che gettano ulteriori ombre su quel maledetto 11 settembre 2001.

1. Perché George W. Bush afferma di aver visto in diretta lo schianto del primo aereo sulla prima torre?

E’ stato lo stesso Presidente ad affermarlo, e non una, ma due volte: il 4 Dicembre 2001, in un discorso a Orlando, Florida, ed il 5 Gennaio 2002, in un discorso ad Ontario, California. E questo come facciamo a saperlo? Basta andare al sito ufficiale della Casa Bianca, nella sezione in cui si trovano tutte le trascrizioni ufficiali di tutti i discorsi di tutti i presidenti, e scaricare il testo originale dei discorsi di Bush nelle date e luoghi sopra indicati. I link diretti per i due documenti sono:

http://www.whitehouse.gov/news/releases/2001/12/20011204-17.html
http://www.whitehouse.gov/news/releases/2002/01/20020105-3.html

Ma cosa dice, esattamente, Bush? Ecco gli estratti "incriminanti" dei suoi discorsi, con traduzione.

ESTRATTO DISCORSO BUSH 4 DICEMBRE 2001 - ORLANDO, FLORIDA.

(Molti ricorderanno che Bush, la mattina dell'11 Settembre, stava visitando una scuola elementare, in Florida. Rispondendo oggi a una domanda su quella mattinata, Bush racconta):

“I was sitting outside the classroom waiting to go in, and I saw an airplane hit the tower -- the TV was obviously on. And I used to fly, myself, and I said, well, there's one terrible pilot. I said, it must have been a horrible accident.”.

“Ero seduto fuori dalla classe, in attesa di entrare, quando ho visto una aereo colpire la torre - la TV ovviamente era accesa. Io stesso ho volato, in passato, e mi sono detto, che cane quel pilota! Mi sono detto, deve essere stato un incidente terrificante”.

“But I was whisked off there, I didn't have much time to think about it. And I was sitting in the classroom, and Andy Card, my Chief of Staff, who is sitting over here, walked in and said, "A second plane has hit the tower, America is under attack".

“Ma mi hanno subito portato via di lì, e non ho avuto troppo tempo per pensarci. Poi ero seduto in classe, e il mio capo-gabinetto, Andy Card, che è ora qui seduto, è entrato e ha detto: "Un secondo aereo ha colpito la torre. L'America è sotto attacco"”.

C'era quindi una TV accesa, ci dice Bush, fuori dalla classe in cui lui stava per entrare, che ha mandato in diretta le immagini del primo schianto! Ma questa non poteva certo essere una TV commerciale, ovviamente. Tutti noi sappiamo infatti che lo schianto del primo aereo è stato ripreso fortunosamente solo da due videoamatori: uno di loro l’ha reso noto solo nel 2003, mentre l’altro ha venduto quasi subito il nastro ai media, i quali lo hanno mandato in onda parecchie ore dopo gli attentati. Dunque è chiaro che Bush non si riferisce a questi filmati. Ciò lascia spazio solo ad un circuito chiuso interno, organizzato presumibilmente dai Servizi Segreti/CIA, per "seguire dal vivo" lo sviluppo degli eventi – allora ne erano a conoscenza già da prima?
La cosa fantastica è che, con decine di giornalisti presenti ad ambedue gli incontri, e con centinaia degli stessi che in seguito ne hanno letto i resoconti, nessuno ha mai avuto il coraggio di chiedere a Bush una sola parola di chiarimento.

2. È’ verosimile che a guidare gli aerei kamikaze siano stati dilettanti senza nessun supporto a terra?

Infatti un Boeing 767 ha una apertura alare di 47 metri circa. La larghezza di una torre è all’incirca di 63 metri eppure tutti abbiamo visto come il bersaglio è stato colpito alla perfezione. Sarebbe bastato un piccolo spostamento o una imperfezione per mancare il bersaglio, cosa assai probabile visto e considerato che la velocità media di questi aerei si aggira intorno ai 700 km/h e a questa velocità bastano pochi decimi di secondo per percorrere una sessantina di metri e dunque mancare il bersaglio. Colpire le torri con quella precisione non è cosa da dilettanti, considerando anche il fatto che il secondo aereo arrivava controvento. Tutto questo è confermato da tutti i piloti di aerei di linea intervistati sull’argomento: una manovra del genere è degna di un mago.

3. Perché a pochi giorni dagli attentati si registrano manovre borsistiche che prevedono il crollo dei titoli American Airlines e United Airlines?

Infatti, i giorni immediatamente precedenti gli attentati, e cioè il 6 e 7 settembre 2001, vengono acquistate 4.744 opzioni put (speculazioni in previsione che le borse calino) della United Airlines, a fronte di sole 396 opzioni call (speculazioni in previsione che le borse salgano), indice di conoscenza anticipata degli avvenimenti. Molte delle put di una delle due società coinvolte negli attentati, United Airlines, e che subito dopo per ovvie ragioni avrebbe avuto un calo, vengono acquistate attraverso la Deutschebank/A.B. Brown. Questa società era gestita fino al 1998 da A.B. Krongard, promosso a marzo del 2001 dal presidente Bush capo esecutivo della CIA.
[Fonte: The Herzliyya International Policy Institute for Counterterrorism, 21 settembre 2001,
http://www.ict.org.il/; New York Times; Wall Street Journal].
Lo stesso accade con l’altra compagnia area coinvolta nello schianto, l’American Airlines. Infatti il 10 settembre 2001 vengono acquistati 4.516 opzioni put dell'American Airlines a fronte di 748 opzioni call. Un cifra al di sopra del 600% della norma. [Fonte: ICT, www.ict.org.il].
Lo ripetiamo: qualcuno era a conoscenza di cosa stava per accadere.

4. Perché nonostante la presenza di squadriglie di F-16 pronti al decollo in varie basi aeree a 10 - 20 minuti di volo dagli aerei dirottati, (ad esempio la base presidenziale di Saint Andrew a pochi chilometri dal Pentagono), bisogna aspettare ben 75 minuti, quando ormai è troppo tardi, prima che la National Command Authority decida di far intervenire le flotte F-16 della Air Force per l’intercettazione degli aerei dirottati? Perché i caccia sono stati lasciati a terra? Chi ha impedito loro di decollare contravvenendo alle più normali regole di prevenzione? Come mai nell’unico attacco mai avvenuto alla sede del Pentagono, con i caccia della difesa aerea in servizio permanente a soli 10 minuti di distanza, avendo almeno 40 minuti di preavviso, i militari USA permettono che il loro Quartier Generale venga attaccato senza nemmeno tentare una reazione?

Forse a queste domande abbiamo delle risposte.
Infatti, esistono una serie di procedure che devono essere adottate in caso di dirottamento. Queste procedure stabiliscono come i militari devono rispondere a un dirottamento sopra il territorio degli Stati Uniti. Ma, piccola particolarità, esse sono state cambiate il 1 giugno 2001 mentre Donald Rumsfeld era in carica come Segretario della Difesa, con l'approvazione di un documento chiamato:
"CHAIRMAN OF THE JOINT CHIEFS OF STAFF INSTRUCTION, J-3 CJCSI 3610.01A"
Questo documento cambia le precedenti linee di comportamento, stabilite negli anni 1997, 1986 e prima. Ciò che è veramente sconvolgente riguardo tutto l'episodio è la totale dissociazione tra ciò che racconta Rumsfeld (ignoranza di un aereo dirottato in arrivo) e quello che queste Chief of Staff Instructions richiedono al Segretario della Difesa.
La parola "approvazione" è il cambiamento più importante nelle procedure di risposta ad un dirottamento aereo. L'approvazione è ora richiesta PRIMA di fornire qualsiasi tipo di assistenza. In passato, l'approvazione era richiesta per far scattare una risposta che impegnava una forza letale.
Questo aggiornamento del 1 giugno ha di fatto fermato qualsiasi risposta militare IN ATTESA dell'approvazione da parte di Donald Rumsfeld ("Segretario della Difesa"), che non ci fu. Rumsfeld ha dichiarato infatti, dopo gli attentati, la sua ignoranza riguardo il velivolo vagante che avrebbe poi colpito il Pentagono (sul lato opposto dov'era ed esattamente dove era stato approntato un progetto di rafforzamento della struttura). In questo modo, ai caccia americani venne impedito di rispondere immediatamente al dirottamento degli aerei commerciali l'11 settembre.
Ai comandanti delle basi aeree venne dunque ordinato, secondo il "Joint Chiefs of Staff Instruction" del 1 giugno, di aspettare l'approvazione del Segretario della Difesa, prima di rispondere ai dirottamenti. Si noti che questa sarebbe stata invece nel passato una risposta di routine, automatica. E' inconcepibile che dopo che la città di New York fu colpita da due jet vaganti, e dopo ben 30 minuti di dirottamento, i cieli di Washington, la città più pesantemente protetta al mondo, si trovassero senza alcuna difesa.
Questa osservazione portò il comandante delle Forze Aeree Russe a dire: "Normalmente è impossibile eseguire un atto terroristico con quello scenario che si è presentato in America. (…) Appena succede qualcosa di simile qui da noi, vengo immediatamente avvertito e in 1 minuto siamo già decollati".
In definitiva, dunque, il Joint Chiefs of Staff Instruction è esplicito, e pone nelle mani del Segretario della Difesa (cioè di Rumsfeld) il potere di prendere decisioni in caso di dirottamento aereo: solo con una sua approvazione si può rispondere a eventuali attacchi.
Ebbene, dov'è questa richiesta di approvazione, la mattina dell'11 settembre 2001? Non c'è alcuna nota riguardo al fatto che Rumsfeld abbia approvato qualcosa quella mattina riguardo i dirottamenti. Si possono trovare registrazioni riguardo al fatto che il vice-presidente (Cheney) approvò l'abbattimento del quarto aereo sulla Pennsylvania. Se, oppure no, sia avvenuto tale abbattimento, non è ancora chiaro. Ma in ogni caso non c'è alcuna connessione con Rumsfeld, la cui approvazione è esplicitamente richiesta prima di una risposta militare ad un dirottamento.
E’ possibile che tutto questo vada sotto il nome di coincidenza?

5. Come ha fatto Donald Rumsfeld a prevedere esattamente cosa sarebbe accaduto quel giorno?

Il mattino dell’11 settembre 2001, il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Donald Rumsfeld, ricevette un certo numero di persone nel suo ufficio del Pentagono. Due minuti prima che il primo aereo si schiantasse sul World Trade Center, egli annunciò loro l’esito di una sua lunga riflessione: ne era certo, un attentato avrebbe avuto luogo in un tempo assolutamente ravvicinato.
Associated Press riporta le sue parole, confermate anche da uno degli invitati, Christopher Cox, presidente del comitato politico repubblicano alla Camera dei rappresentanti:

“All’interno, il segretario alla Difesa, Donald H. Rumsfeld riceve alcune persone per parlare della difesa antimissile e del rischio del terrorismo al riguardo di ciò che è nel frattempo sopravvenuto. ‘Lasciatevelo dire - afferma - io ho fatto il punto della situazione in più riprese. Ci sarà un altro avvenimento’. Due minuti più tardi, un aereo si schiantava sulla prima torre del World Trade Center e provava che egli aveva ragione”.

Visionario fuori dal comune, Donald Rumsfeld annunciò anche un altro attentato che sarebbe seguito a quello del World Trade Center. Precisò anche il bersaglio: il Pentagono. Il Daily Telegraph riportò il seguito della storia:

“Donald Rumsfeld, il segretario alla Difesa, era nel suo ufficio che si trova nella parte Est dell’edificio, in riunione con Christopher Cox, il presidente della commissione della Difesa della Camera dei rappresentanti. Cox ricorda che Rumsfeld guardava gli avvenimenti di New York alla televisione e disse: ‘Credetemi, non è ancora finita. Ci sarà un altro attacco e sarà diretto contro di noi’ ”.

6. Perché nella lista ufficiale dei passeggeri dei quattro aerei non compare neanche un nome arabo?

Quando avvenne il disastro aereo, le compagnie aeree come sempre fornirono la lista dei passeggeri alle famiglie. Ora, è noto a tutti l'estremo scrupolo all'embargo delle compagnie aeree, con accurati controlli effettuati sui passeggeri anche prima dell'11 settembre. Dunque è poco probabile che 5 arabi riescano a strisciare dentro l'aereo e per giunta armati.
La CNN fu tra le prime a proporre la lista dei 56 passeggeri; viceversa, il 27 Settembre, l'FBI pubblicò le foto dei dirottatori del Volo 77.
E nel frattempo avvenne un miracolo: l'AFIP (Istituto di Anatomia Patologica delle Forze Armate americane) identificò quasi tutti i corpi, il 16 Novembre 2001. E i conti? I conti non tornano. L'AFIP suggerì questi numeri: 189 vittime, i 125 che lavoravano al Pentagono e i 64 "passeggeri" dell'aereo. La lista della compagnia aerea ne indicava 56 e quella del risultato autoptico ne riportò invece 58. Essi non spiegarono come fossero stati capaci di riconoscere i corpi delle "vittime" e di distinguerli dai dirottatori.
Sta di fatto che nessun Arabo era steso sul tavolo all'obitorio, così come nessuno dei nomi presenti nella lista dei passeggeri è di origine araba. Una risposta a questo mistero potrebbe essere che i dirottatori usarono nomi falsi. Plausibile.
Ma allora come mai l’FBI ha affermato di aver trovato il passaporto di Mohammed Atta intatto tra le macerie delle torri, quando anche le scatole nere degli aerei sono risultate inutilizzabili?

7. Perché cinque dei 19 dirottatori indicati dall’FBI sono oggi vivi e vegeti?

The Information Times, una pubblicazione on-line, riportò che il Ministro degli Esteri dell’Arabia Saudita, il Principe Saud Al-Faisal, aveva affermato dopo l’incontro con Bush del 20 settembre: “E’ stato provato che 5 dei nomi inclusi nella lista dell’FBI non hanno niente a che fare con quanto accaduto”. Secondo The Orlando Sentinel, l’ambasciata dell’Arabia Saudita confermò che 4 delle 5 persone indicate da Al- Faisal, e cioè Saeed Alghamdi, Mohand Alshehri, Abdul aziz Alomari e Salem Alhazmi, non erano morte e non avevano niente a che fare con gli attacchi dell’11 Settembre. Inoltre, un sesto uomo della lista è vivo ed in buona salute in Tunisia.

8. Perché le autorità investigative Usa, che hanno ammesso di essere state completamente all’oscuro della trama pluriennale degli attentati, pochi minuti dopo l’accaduto sono state già in grado di riconoscere in Bin Laden il colpevole di tutto?

Infatti la persona che, subito dopo gli attacchi sul WTC, fu indicata come "il primo sospetto" (senza alcuna prova), e rapidamente promossa a "la mente dietro gli attacchi", fu Osama Bin Laden, che non aveva mai nascosto la sua animosità verso gli USA per il suo appoggio alla brutalità israeliana verso i palestinesi, per ciò che riteneva la corruzione americana dell’Arabia Saudita (sede di due dei luoghi più sacri dell’Islam), per il continuo bombardamento dell’Iraq e per l’appoggio dato dagli americani ai regimi apostati di Egitto e Arabia Saudita.
Il contesto in cui molte organizzazioni arabe considerano gli USA e il coinvolgimento di arabi nell’attentato al WTC del 1993, hanno portato a ritenere gli arabi automaticamente responsabili di qualsiasi atto terroristico contro gli Stati Uniti (come è stato nel caso di Oklahoma City finché il governo non annunciò la colpevolezza di Timothy McVeigh).
Poco dopo gli attentati alle Twin Towers e al Pentagono, Dan Rather ed altri personaggi dei media cominciarono a divulgare la notizia, che avrebbero ricevuto da fonti governative, che Osama Bin Laden era il colpevole. Ma c’è di più; abbiamo infatti un articolo di Joel Achenbach sul Washington Post online che meglio di qualsiasi altro ci fa capire la velocità con cui lo sceicco arabo fu accusato:

“Alla Casa Bianca centralinisti volontari ascoltavano le voci del popolo americano poco dopo i servizi sugli attacchi aerei che demolirono le torri del WTC di New York. Un volontario, che ha chiesto di rimanere anonimo, disse più tardi, dopo l’evacuazione: ‘La gente era isterica. Dicevano: “Fate subito qualcosa. Fatelo velocemente. Non siate teneri, moderati. Prendete Bin Laden.”’”

Ora, siccome la Casa Bianca venne evacuata alle 9.45, le chiamate devono essere state ricevute prima. Se la gente stava chiamando per chiedere di “prendere Bin Laden” a, diciamo, le 9.35, doveva essere la risposta alle notizie sulla pretesa colpevolezza che veniva trasmessa, diciamo, alle 9.25, il che significa che gli investigatori avevano incolpato Bin Laden per, diciamo, le 9.25, 12 minuti dopo che il secondo aereo aveva colpito il WTC. Essi risolsero l’intero caso in 12 minuti! Perfino prima che gli attacchi terminassero. Wow!
E così, come gli autori degli attacchi dell’11 settembre speravano, l’opinione pubblica immediatamente credette a tali affermazioni e continuò a considerare Bin Laden come l’autore di queste atrocità e l’intero mondo arabo come un nemico (una reazione benvenuta per molti israeliani). Molti nei paesi arabi credettero che egli avesse effettivamente organizzato l’operazione e questo perché per loro Bin Laden impersonava il risentimento contro lo sfruttamento del terzo mondo da parte degli americani.

9. Quali sono le prove della colpevolezza di Osama Bin Laden? E perché i mass media continuano a mostrarci video (di dubbia autenticità) in cui lo sceicco si autoaccusa e non ci riportano anche le dichiarazioni con le quali egli si proclama innocente?

Come ha scritto Bill Vann in un suo articolo del 14 febbraio 2003 : "il governo USA non ha mai, 17 mesi dopo il fatto, intrapreso una seria inchiesta negli attentati terroristici dell'11 settembre 2001. Non ha mai offerto al popolo americano una spiegazione precisa di ciò che è accaduto e di come i perpetratori sono stati capaci di eseguire il loro crimine nonostante la massiccia sorveglianza USA su Bin Laden ed i suoi uomini. La mancanza di tale spiegazione non solo puzza di insabbiamento e possibile complicità, ma fa anche ridere delle attuali pretese del governo di essere motivato puramente dalle preoccupazioni sull'incolumità e la sicurezza del popolo americano".
Pochi giorni dopo gli attentati Osama Bin Laden, in una intervista ad un giornale packistano, l'Ummat di Karachi (intervista mai evidenziata dai media occidentali), dichiara la propria estraneità agli attentati:

“Ho già detto di non essere coinvolto negli attacchi dell’11 settembre. Come musulmano, faccio i massimi sforzi per evitare di dire bugie. Non so niente di questi attacchi, né considero l’uccisione di donne, bambini e altri esseri innocenti come un atto apprezzabile. Tale pratica è proibita perfino durante il corso di una battaglia. Sono gli Stati Uniti colpevoli di ogni maltrattamento di donne, bambini e gente comune…”

Dopo uno dei video di Al-Jazeera TV in Qatar, Condoleeza Rice dichiarò che quello che si era visto equivaleva ad una "ammissione", da parte di Osama Bin Laden, di responsabilità nell’attacco dell’11 settembre. E non lo era, ma affermandolo la Rice non faceva altro che percorrere la linea ufficiale già tracciata, cioè quella di accusare "terroristi arabi" e distogliere l’attenzione dai veri esecutori di questa atrocità.
Le prove esibite da Blair nel dossier del 4 ottobre 2001, per stessa ammissione dei redattori del dossier, sono insufficienti a supportare un'eventuale accusa in tribunale:

Dei 69 punti di "prova" citati (nel dossier Blair),

- 10 sono relativi ad informazioni sui precedenti della relazione tra Bin Laden e i talebani.;
- 15 sono relativi ad informazioni sui precedenti alla filosofia generale di Al Qaeda ed alla sua relazione con Bin Laden ;
- 26 accuse sono relative ad attacchi terroristici precedenti, Perfino se esse fossero condanne per precedenti attacchi terroristici tutti sanno che ciò non vale la carta sulla quale è scritto, in termini di prova di coinvolgimento dell’11/9 ;
- nessuno fornisce alcun fatto relativo all11/9. La maggior parte nemmeno tenta di collegare direttamente le cose citate agli eventi di quel giorno.

Come ammette il documento ufficiale, "Questo documento non si preoccupa di fornire una prova valida in tribunale contro Bin Laden".
L'FBI dopo sette mesi di investigazioni ammette di non aver trovato alcuna prova concreta contro Al-Qaeda , che menzioni un qualche aspetto degli attentati dell'11 settembre. Tony Blair farà la stessa cosa.

Ma adesso passiamo ai fantomatici video, che hanno definitivamente convinto l’opinione pubblica della colpevolezza di Osama Bin Laden.
Nel primo video trasmesso da Al-Jazeera ad ottobre 2001 non c'è nessuna prova di coinvolgimento di Bin Laden, tantomeno di responsabilità nell'organizzazione degli attentati.
Idem per quanto riguarda il video trasmesso il 7 dicembre 2001, dove Bin Laden appare visibilmente sofferente , con il braccio e la parte sinistra del corpo immobile.
E finalmente arriviamo al video trasmesso il 13 dicembre 2001; per Bush esso rappresenterebbe la prova schiacciante, ultima e definitiva della colpevolezza di Bin Laden ("devastating declaration of guilt", devastante dichiarazione di colpevolezza), reo di aver pianificato e organizzato gli attentati terroristici dell'11 settembre. La prova che il video sia autentico sta nell'assicurazione data da fonti anonime governative!
La persona che appare nel video non è Osama Bin Laden.
Basta confrontare la persona del video e il vero Bin Laden : sono due persone diverse. E' sufficiente osservare la conformazione del naso e le sue proporzioni in confronto agli altri elementi e linee del volto.
Comunque, anche se fosse stato l'autentico Bin Laden a pronunciare quelle parole, esse non sono incriminanti, non c'è nessuna ammissione e tantomeno rivendicazione , e inoltre la traduzione è gravemente errata proprio nei punti chiave più potenzialmente compromettenti.
E' stato tradotto: "noi" laddove poteva essere tradotto anche "essi"; "il mercoledì precedente" anziché "mercoledì"; "noi calcolammo in anticipo il numero delle vittime" : "in anticipo" non è affatto detto. Con riferimento ai presunti dirottatori è stato tradotto "noi chiedemmo a ciascuno di loro di andare in America" anziché "fu loro richiesto di andare in America". Inoltre alcune parti e molti nomi sono stati tagliati. Ciò è stato evidenziato da uno studio commissionato da una TV tedesca a linguisti arabi.
Ma l’ironia è che, se pure accettiamo che il video sia genuino, e la traduzione del Pentagono accurata, ciò servirebbe solamente per provare che Bin Laden NON è la mente dietro gli attacchi. Mentre il video indicherebbe che ne era a conoscenza in anticipo, ed era perciò coinvolto in qualche modo, egli chiaramente dichiara (secondo la dubbia traduzione del Pentagono) che gli fu detto degli attacchi 5 giorni prima che avvenissero. Dunque non è possibile che ne sia stato il principale organizzatore. Chi glielo riferì?
Ad ogni modo, nel novembre del 2002 il nastro con la presunta voce di Bin Laden ritenuto sicuramente autentico da Washington è stato dichiarato falso dall'istituto IDIAP di Losanna (Institute for Perceptual Artificial Intelligence), in uno studio commissionato da France-2. L'IDIAP è tra i più seri istituti nel campo.
E stiamo ancora aspettando uno straccio di prova contro Bin Laden.
Forse la cosa più probabile è che Osama Bin Laden sia morto per insufficienza renale a dicembre 2001.
Lo sostengono da tempo il presidente-dittatore packistano Musharraf, alcuni giornali del mondo arabo ed anche i servizi di Intelligence israeliani.

10. Perché dovremmo credere che il colpevole di queste atrocità sia un uomo che ha sempre avuto stretti rapporti con il governo USA?

Infatti, vi è abbondanza di prove indiziarie che indicano che Bin Laden possa aver avuto qualcosa a che fare con gli attacchi, ma il problema è che ciò implica anche l’amministrazione Bush, la CIA, George Bush senior, il Pakistan, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. La storia ufficiale su Bin Laden è quella di un mostruoso terrorista, con un odio fanatico verso gli USA ed i loro alleati, e che si sia allontanato dal resto della sua ricca famiglia saudita, amici degli USA. La definizione di mostro terrorista è in parte corretta, ma il resto non potrebbe essere più lontano dalla verità.
E’ ben noto che Bin Laden aveva uno stretto rapporto di collaborazione con la CIA durante gli anni ’80. Non viene negato da nessuno. La pretesa è che da allora non vi siano stati altri rapporti, ma questa storia è una menzogna. E’ accertato oltre ogni dubbio che membri importanti dell’amministrazione Bush hanno stretti legami con la famiglia Bin Laden. Secondo i media ufficiali su ciò non vi è nulla di strano, dal momento che il resto della famiglia ha rinnegato Osama per le sue attività terroristiche ed opinioni anti USA. Anche questa è una menzogna.
Su tale aspetto sono stati pubblicati numerosi articoli, che possono essere così riassunti:

- Da quando hanno dichiarato Bin Laden ricercato per terrorismo, gli USA hanno lasciato perdere l’opportunità di prenderlo due volte.
- Due alleati USA, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, è noto essere complici nell’aver permesso a Bin Laden di restare libero.
- Bin Laden ha avuto un incontro con la CIA nel luglio 2001.
- E’ noto che la rete Al Qaeda di Bin Laden ha cooperato, per mezzo dell’Esercito di liberazione del Kossovo (KLA o UCK) con le forze NATO in Jugoslavia.
- Il Pakistan, un altro degli alleati USA nella “guerra al terrorismo” è anche da molto tempo un sostenitore di Al Qaeda.
- L’FBI si è ripetutamente lamentata di essere stata confusa e limitata nei suoi tentativi di investigare materie connesse con Bin Laden e Al Qaeda.
- I servizi segreti pakistani, ISI, sono stati il meccanismo col quale la CIA ha indirettamente sostenuto Al Qaeda.
- Vi è una relazione di rapporto d’affari tra la famiglia Bush e la famiglia Bin Laden, attraverso il “gruppo Carlyle”, che ha vasti interessi in società di armamenti. E’ evidente che entrambi i Bush ed i Bin Laden hanno guadagnato dalla guerra.

11. Perché il terzo e il quarto aereo, che hanno seguito percorsi a dir poco folli, non sono stati intercettati?

Mentre il volo American Airlines 11, decollato da Boston alle 7.58, colpiva la Torre Nord dopo 45 minuti, e il volo United 175, decollato da Boston alle 7.58, colpiva la Torre Sud dopo un'ora circa, guardiamo con più attenzione tempi e percorso del TERZO AEREO (American Airlines AA-77), decollato da Washington alle 8.10 e schiantatosi sul Pentagono alle 9.41.

Salta subito all'occhio la straordinaria libertà di cui avrebbe goduto il volo AA-77, durante tutto il periodo in cui è stato in aria, all'interno di una altrettanto improbabile strategia d'attacco, che lo ha portato a decollare, alle 8.10, a pochi chilometri dal Pentagono, per andare a colpirlo solo alle 9.41, cioè dopo aver bighellonato per un'ora e mezza, pur essendo chiaramente dirottato, nei cieli più protetti del mondo. Ed in modo particolare dopo aver volato per ben 36 minuti - a partire dallo schianto nella seconda Torre, quando tutti capirono che la prima non era stata un incidente - in pieno allarme rosso militare.
Ovvero, da una parte non c'era nessun bisogno di vagare per tutto quel tempo prima di colpire (anzi, ogni minuto in più aumentava enormemente il rischio di venire intercettati), dall'altra non c'era nessun motivo per non averlo intercettato, appunto, almeno dieci volte in quell'arco di tempo. Quanto stupidi si può essere da una parte, e quanto fortunati dall'altra, nell'ambito della stessa operazione criminale?
Per chi già non lo sappia, le rigidissime regole di sicurezza dell'aviazione civile americana (FAA) prevedono che non appena un volo finisca di pochi metri fuori dalla rotta prestabilita - e prima ancora che il pilota venga contattato per saperne i motivi - scatti immediatamente un allarme che si estende automaticamente a tutti i quadranti contigui a quello interessato. Nello stesso momento, sempre automaticamente, viene allertato il corrispondente settore militare (NORAD) di controllo aereo.
Se poi l'aereo rientra immediatamente nel piano di volo, il tutto viene annullato, ma se per caso il problema perdura (in caso di dirottamento, ad esempio, oppure di un'avaria strumentale), il NORAD fa subito alzare due caccia dalla base più vicina (ce ne sono dappertutto, negli Stati uniti, posizionate in modo da non lasciare mai niente fuori portata), mentre i controllori civili provvedono a sgombrare vari strati di traffico sopra e sotto quello in cui vola l'aereo in questione. Quando poi i caccia, che viaggiano a quasi tre volte la velocità dell'aereo commerciale, lo raggiungono, se questo ancora non ha ripreso i collegamenti via radio, gli si affiancano per cercare un contatto visivo col pilota. E se a quel punto venissero ignorati, o se per un motivo qualunque non riuscissero a vedersi in maniera diretta, si mettono davanti al muso dell'aereo, e ondeggiano ripetutamente con le ali, il che significa, nel codice dell'aria, "seguimi oppure è peggio per te". Pare che siano talmente bravi nel fare questo, che riescono ad obbligare un pilota civile a seguirli per forza dovunque vogliano, a meno che questi non scelga di finire spappolato a terra insieme al resto della comitiva (un po’ come un'auto della polizia, che - almeno nei film - riesce a chiudere in curva un'auto in fuga ed obbligarla a fermarsi).

Ebbene: nonostante il fatto che l'AA-77 avesse staccato il trasponder quasi subito dopo il decollo (segno inconfondibile di dirottamento, e, a partire dalle 9.05, anche segno evidente che tale dirottamento facesse parte dello schema generale) nulla, assolutamente nulla di ciò descritto sopra è accaduto, e nessuno ha mai saputo spiegarne in alcun modo il perché. La FAA dice di aver avvisato subito il NORAD, il NORAD nega che ciò sia avvenuto, le tracce radar nel frattempo sono scomparse, e non se n'è più saputo nulla. E mentre nessuno è mai stato né licenziato né sospeso per negligenza, l'unica spiegazione che il vice presidente Cheney abbia mai saputo offrire è che "anche se si fossero alzati, non avrebbero fatto in tempo a raggiungerlo". Cosa non solo non vera (la base di Langley era a 16 minuti di portata, coi caccia che volano a metà gas), ma che tradisce una curiosissima capacità divinatoria da parte dell'uomo che in quel momento era al comando assoluto delle forze armate americane: potrebbero anche non avercela fatta, per assurdo, ma lui come faceva a saperlo in anticipo, e con una sicurezza tale da non provare nemmeno ad alzarli comunque? Ora, se c'è davvero qualcuno che pensa di potersi impadronire di un aereo commerciale in un giorno come quello, e - mentre le torri sono state già colpite e sono in fiamme - andarsene in giro tranquillo per i cieli d'America, col trasponder spento, e senza rispondere alle chiamate da terra, per più di trenta secondi, alzi gentilmente la mano.

Ma passiamo al QUARTO AEREO (United Airlines UA-93), decollato da Boston alle 8.01, e schiantatosi in Pennsylvania alle 10: ancor più anomali, quel giorno, sia il suo percorso che il suo comportamento.
Anche qui, per qualche strano motivo, hanno deciso di prendersela comoda, e di fare una gitarella fuori porta, prima di tornare in città a schiantarsi contro qualcosa di solido.
Ma al di là della macroscopica stupidità strategica, se si guardano gli orari dei vari avvenimenti, la cosa qui risulta proprio impossibile del tutto. Se per quello del Pentagono sfuggire ai caccia per mezzora sarebbe stato già da Guinness dei Primati (non dimentichiamo fra l'altro che alla guida c'erano tutti pivellini che non avevano mai toccato niente più grosso di un Cessna), per l'UA-93 il tempo del brivido si allunga addirittura ad un'ora, alla quale andrebbe aggiunta almeno mezz'ora per arrivare fino a Washington.
Ovvero, con tutto il paese che ha capito alle 9.06 di essere sotto attacco multiplo, e col tuo aereo che risulta dirottato già da prima di quel momento, tu cosa fai? Punti dritto sul tuo bersaglio coi motori al massimo, o te nei vai a fare un giretto distensivo per le Montagne Rocciose, per poi prenderti una rincorsa di almeno 1500 chilometri sul bersaglio che ti aspetta?

12. Perché la distruzione delle torri è sembrata più una implosione controllata che un tragico incidente? E perché molti testimoni affermano di aver sentito ulteriori esplosioni all'interno degli edifici?

Milioni di persone in tutto il mondo osservarono la situazione del WTC l’11 settembre 2001 sulla CNN, in modo incredulo. Videro le grosse nuvole di fumo espandersi sopra Manhattan e videro le Torri crollare…in un modo curioso. Esse non rovinarono al suolo; ma collassarono, nella stessa maniera con cui abbiamo visto distruggere un edificio con il metodo della demolizione controllata: l’edificio non crolla in modo disordinato e caotico, spargendo detriti su una vasta aera, ma collassa su se stesso. E questo è il modo con cui sono crollate le Torri Gemelle: in un modo molto strano, lasciando quasi niente, se si eccettuano frammenti di metallo della struttura esterna e una enorme quantità di polvere e cenere, senza che le colonne centrali di acciaio dal 60° piano rimanessero in piedi o cadessero al suolo. Questo è molto strano. Al loro interno furono piazzati degli esplosivi? Inizialmente la teoria degli esplosivi soffriva del fatto che i media non avevano riportato testimonianze relative ai rumori delle detonazioni, che qualcuno aveva sentito prima del collasso del WTC. Ma successivamente le testimonianze sono venute alla superficie:

... Un testimone il cui ufficio è vicino al World Trade Center disse all’AFP che si trovava in piedi in mezzo ad una folla sulla Church Street, circa due complessi e mezzo dalla Torre Sud, quando vide "un numero di brevi fonti luminose che provenivano dall’interno dell’edificio, tra il 10° e il 15° piano." Egli vide circa sei di questi flash, accompagnati da "un rumore di scoppio" prima che la torre collassasse. Si ricorda che ciascuna torre aveva sei colonne centrali di supporto.

Uno dei primi pompieri della seconda torre, Louie Cacchioli, disse al People Weekly il 24 settembre: "Stavo portando i pompieri con l’ascensore al 24° piano per evacuare i lavoratori. Nell’ultimo viaggio una bomba esplose. Noi riteniamo che vi fossero bombe installate nell’edificio."

Kim White, un impiegato all’80° piano, riferì di aver udito un’esplosione. "All’improvviso l’edificio iniziò a tremare, poi a oscillare. Non capivamo cosa stava succedendo," ella disse al People. "Andammo tutti sulle scale e quindi cominciammo a scendere velocemente al 74° piano…e là ci fu un’altra esplosione."

Non riportato dettagliatamente nella stampa monopolizzata, alcuni vigili del fuoco che sopravvissero al martedì nero, ammisero che ci furono esplosioni negli edifici, in zone distanti da quelle dell’impatto degli aerei… Erano quelle esplosioni controllate in modo remoto per distruggere le torri così come si fa nelle demolizioni di vecchi edifici?
L’insieme di piccole e numerose quantità di esplosivo fatte detonare circa ogni 10 piani potrebbe spiegare una osservazione che la storia ufficiale non spiega: perché le colonne d’acciaio di dimensioni cospicue della parte inferiore dell’edificio non sono rimaste in piedi dopo il collasso? Se la storia ufficiale è vera, e cioè che il danno è stato causato dall’impatto e dal fuoco, che si sono verificati solo ai piani alti, e che i soffitti dei vari piani sono finiti con il crollare uno sull’altro, ci aspetteremmo che le grosse colonne d’acciaio nella struttura centrale, per dire quelle dal 20° o 30° piano in giù, rimangano in piedi ed è quello che non fecero. Invece questo è possibile se le basi delle colonne vengono distrutte da esplosioni a livello della loro base di appoggio. Con le loro basi distrutte e le colonne di supporto disarticolate dalle esplosioni avvenute a vari livelli nelle Twin Towers, allora sì che i piani superiori avrebbero perso il loro supporto e sarebbero crollati a terra in circa 10 secondi.
Infatti, le Twin Towers crollarono in 10 - 15 secondi, cioè vicino ad una caduta libera. Dopo l’inizio del collasso i piani alti avrebbero dovuto frantumare tutte le strutture d’acciaio degli 85 ed oltre piani inferiori. Se questo avesse richiesto solo un secondo per piano, allora il collasso sarebbe dovuto avvenire in più di un minuto. Ma il materiale dei piani alti è corso attraverso gli inferiori ad una velocità di almeno 6 piani al secondo. E questo è possibile solo se tutte le strutture di supporto degli 85 e oltre piani inferiori fossero state eliminate prima dell’inizio del collasso. Siccome i piani inferiori non furono danneggiati dall’impatto degli aerei né dalle fiamme, la rimozione di tutto il supporto strutturale deve essere stato determinato da qualche altra causa, e la possibilità più ovvia è l’esplosivo. In questo modo la velocità del collasso (non molto di più del tempo di una caduta libera) è una convincente prova che le Twin Towers furono buttate giù con una demolizione controllata che ha richiesto l’uso di esplosivi (o qualche altra tecnica distruttiva).
Secondo il mio parere, le persone che più di tutte avevano modo di piazzare questi esplosivi non erano certamente terroristi arabi.

13. Perché anche a distanza di giorni e persino di settimane dagli attentati al WTC agli operatori video è stato proibito di riprendere o fotografare le macerie da determinate angolazioni, così come lamentato dal corrispondente della CBS Lou Young, il quale ha chiesto: "Cos'hanno paura che vediamo?"

Un modo per provare che le colonne di supporto in acciaio delle Twin Towers siano state danneggiate da esplosivo sarebbe stato quello di esaminare i loro frammenti per cercare quella prova che gli esperti chiamano "geminazione". Ma i detriti delle Torri Gemelle sono stati rimossi nel più breve tempo possibile e nessun esame investigativo dei frammenti venne permesso all’FBI o ad altre agenzie governative. Quasi tutte le 300.000 tonnellate di acciaio delle Twin Towers vennero vendute a ditte di New York ed esportate in luoghi come la Cina e la Corea, tanto rapidamente quanto fu il tempo necessario per caricare le navi.

14. Perché i militari americani stavano predisponendo piani di guerra contro l'Afghanistan già da mesi prima degli attentati dell'11 settembre? Stavano soltanto cercando qualche evento che spingesse il pubblico americano, generalmente disinteressato, verso una guerra, come avvenuto in passato?

Per i motivi che abbiamo già illustrato nella sezione “La guerra in Afghanistan”, un attacco USA contro questo paese era largamente prevedibile.
Inoltre, vi è una piccola prova indipendente che dimostra che l’attacco USA all’Afghanistan è stato preparato prima dell’11/9: Niaz Naik, un ex diplomatico pakistano ha riferito che funzionari superiori americani a metà luglio gli dissero che un attacco all’Afghanistan era pianificato per metà ottobre, al massimo prima delle nevicate invernali (Resoconto della BBC di George Arney del 18/9/2001).
E’ sempre possibile che stesse mentendo, e, in assenza di altre prove, la cosa giusta da fare è ritenere che ci siano il 50% per cento di probabilità che stesse dicendo la verità.
Dal momento che non lo sappiamo con certezza, diciamo che ci sono le basi per sollevare significativi sospetti.

Ad ogni modo, molte persone con esperienza militare hanno suggerito che non sarebbe logisticamente possibile organizzare un’operazione militare della vastità di quella lanciata dagli USA contro l’Afghanistan nel giro di 25 giorni, non avendo importanza quanto gli americani potessero essere arrabbiati. Questo punto è stato anche discusso da alcuni con esperienza militare ed ulteriormente dibattuto da coloro che sentono di avere esperienza militare sufficiente per essere in grado di portare un utile contributo.
Facendo un confronto, il tempo impiegato dagli USA per essere pronti per l’attacco all’Iraq nel 1991 fu di 4 mesi e mezzo. Vero che l’operazione in Iraq era molto più grossa, ma il terreno dell’Afghanistan è uno dei più complessi al mondo, mentre l’Iraq uno dei più semplici.
Ciò solleva la questione: fino a che punto durante la pianificazione la dimensione dell’operazione diventa un fattore critico? Vi è un tempo minimo impiegato per pianificare una guerra senza considerazione della sua dimensione, e 25 giorni sono ragionevoli come lasso di tempo?
Vi sono due aspetti nel preparare una guerra: la pianificazione e la mobilitazione. L’esigenza di una maggiore mobilitazione cambia significativamente il tempo per i primi stadi della pianificazione? 25 giorni sono sufficienti, per quanto accelerata possa essere la tabella di pianificazione di una guerra contro l’Afghanistan, paragonati alla pianificazione di una guerra contro l’Iraq?
E se viene suggerito che le forze USA sono talmente efficienti da essere capaci di organizzare un’operazione come questa in 25 giorni, allora è assolutamente inconsistente l’ipotesi della loro incredibile incompetenza la mattina dell’11 settembre.

Comunque, abbiamo altre domande riguardo l’Afghanistan:
perché gli USA a guerra quasi ultimata decidono di installare una megabase militare in Kirghizistan, a quasi mille chilometri di distanza dall’Afganistan, senza nessuna importanza militare strategica per la guerra in corso, ma capace di colpire alcune importanti stazioni balistiche cinesi e alcuni reattori nucleari di quello che l’America aveva già identificato come nemico numero uno entro il 2017, la Cina? L’installazione di questa ed altre basi in prossimità del Celeste impero sarebbe stata possibile senza l’11 settembre? Gli USA si sarebbero mai potuti infiltrare in quella zona del mondo e controllare così importanti risorse di idrocarburi e fondamentali postazioni strategiche?

15. Perché anche Fabio Mini (generale delle forze armate italiane) e Stan Goff (esperto militare, stratega, e docente di scienza e dottrina militare) non credono alla versione ufficiale dell’11 settembre?

Ecco ciò che ha dichiarato Fabio Mini:

“Non sappiamo quanti abbiano partecipato all’ideazione del piano. A dire il vero non sappiamo neppure con certezza che sia proprio Bin Laden il principale artefice.[…] Questa è roba da raffinati giocatori di scacchi. L’attacco devastante, concertato, concentrato dell’11 settembre richiedeva una previsione fino al decimo ordine e oltre. Roba da geni della politica, della strategia e della guerra. Cosa che francamente lo sceicco del terrore non sembra proprio essere”

Questo è invece ciò che sostiene Stan Goff:

“Quattro aerei vengono dirottati e deviati dai loro piani di volo, sotto il controllo radar della FAA. Gli aerei sono tutti dirottati tra le 7,45 e le 8,10, ora legale occidentale. Chi viene informato? Questo è già un fatto senza precedenti. No, il Presidente non viene informato, se ne va in un scuola elementare in Florida ascoltando bambini leggere […] La versione che ci hanno dato di quel che è successo è stata costruita di sana pianta”

E, infine, ci chiediamo:

16. Perché nonostante la CNN abbia dichiarato già alle 9.03 che probabilmente si sarebbe trattato di un attentato terroristico, Bush, il solo che poteva autorizzare gli aerei a decollare, non l’ha fatto, ma ha anzi continuato a giocare e scherzare con i bambini nella scuola elementare?

17. Il sistema radar della più sofisticata difesa antiaerea del mondo non è stato in grado di intercettare un aereo grosso come il Boeing 757-200, lungo 47,32 metri e largo 38,05. È’ possibile che un simile apparecchio volante passi inosservato ai radar statunitensi dopo che lo stesso Bush ammette che gli USA sono bersaglio di attentati terroristici?

18. Perché il presidente degli USA ha fornito tre versioni diverse di quanto accaduto quel giorno?

19. Perché l’FBI, che pure non è stata in grado di anticipare e prevedere niente sino al giorno dell’attentato, è riuscita in soli due giorni a ricostruire il modus operandi dei terroristi e dopo soli tre giorni a fornire addirittura le foto?

20. E’ plausibile che il capo dei dirottatori arrivi in ritardo all’aeroporto e perda i bagagli a mano, che andranno a finire nella mani dell’FBI, all'interno dei quali saranno rinvenuti una videocassetta per imparare a volare (per dire che era un principiante), una preghiera islamica (per confermare la sua fede religiosa) e una lettera che afferma il suo intento suicida (per confermare si trattasse di un Kamikaze)?

21. La guerra in Afganistan prima e quella in Iraq poi, e presumibilmente tutte le altre guerre che verranno, sarebbero possibili senza la giustificazione e l’etichetta mediatica di “guerra al terrorismo”? Nonostante i milioni di posti di lavoro persi durante l’amministrazione Bush (mezzo milione nel solo agosto 2001), nonostante gli scandali finanziari che hanno coinvolto direttamente alcuni uomini del presidente, nonostante il taglio alla spesa pubblica e la soppressione di alcuni diritti fondamentali, Bush resta in testa nei sondaggi. Tutto ciò sarebbe possibile senza lo spauracchio terroristico?

Tutte queste domande meritano delle risposte serie e sincere, perché tutto il mondo vuole e deve sapere per quale motivo e per volere di chi tanti innocenti sono morti quel maledetto 11 settembre 2001.

POSTFAZIONE

Dopo aver completato la mia tesina e sostenuto l’esame di maturità, ho continuato a cercare e raccogliere documenti e testimonianze riguardo ai fatti dell’11 settembre, nella convinzione che sia giusto ricercare la verità riguardo quel giorno. Numerosi sono stati i risultati delle mie ricerche, che riporto qui con il solito stile: formulare domande che meriterebbero delle risposte serie. Ci tengo inoltre a precisare che la grande maggioranza dei fatti che riporto in questa postfazione provengono da due libri che consiglio di leggere a chiunque abbia dei dubbi circa gli avvenimenti dell’11 settembre: “Guerra alla verità” di Nafeez Mosaddeq Ahmed e “11 settembre” di David Ray Griffin. Non si tratta di libri “anti-americani” o “complottisti”, ma semplicemente di esposizioni chiare e semplici dei fatti che riguardano gli avvenimenti di quel tragico giorno, perché, come scrive Griffin all’inizio della sua opera, “per molti aspetti le prove più stringenti addotte da coloro che contestano la versione ufficiale riguardano semplicemente gli eventi dell’11 settembre”. Tutti coloro che come me indagano sull’11 settembre devono molto alle opere di autori come questi, verso i quali esprimo la mia più profonda ammirazione.

22. Come mai il governo USA, nonostante avesse indicato in Osama Bin Laden il “sospettato numero uno” per gli attacchi terroristici dell’11 settembre, lasciò che il giorno dopo alcuni stretti parenti del miliardario saudita lasciassero il paese?

Infatti, il 12 settembre 2001, quando qualsiasi volo all’interno dello spazio aereo statunitense era vietato per ragioni di sicurezza, un volo charter messo a disposizione dal governo saudita ha riportato a casa ventiquattro componenti della famiglia Bin Laden.
Tra i giornali che hanno messo in evidenza questo fatto abbastanza insolito, la “Pittsburgh Tribune-Review” precisa inoltre che tra i familiari trasferiti dall’FBI vi erano almeno due fratelli di Osama sospettati di connivenza con il terrorismo:

“La World Assembly of Muslim Youth (WAMY) è nota per essere un collettore di denaro destinato ad Al-Qaeda e Hamas. La sede della WAMY nel quartiere Herndon di Washington, in Virginia, ospitava Abdullah Bin Laden e Omen Bin Laden, fratelli di Osama. Nessuno li ha più visti dal 12 settembre 2001”.

Un’inchiesta della “National Review” sulla vicenda ha poi appurato che l’evacuazione dei Bin Laden fu effettuata con il benestare del governo. Un funzionario del Logan Airport di Boston intervistato dal giornale si è schermito: “Dovete parlare con il dipartimento di Stato. Sono loro che se ne sono occupati.” Insomma, l’espatrio dei Bin Laden approvato dall’FBI costituisce una violazione delle normali procedure investigative: in caso di omicidio, i familiari dei sospetti sono fra i primi a dover affrontare un duro interrogatorio e la polizia proibisce qualsiasi movimento a potenziali testimoni e sospetti.
Curiosamente, le indagini sull’11 settembre registrarono una procedura esattamente contraria: quelle stesse persone che normalmente sarebbero le prime sulla lista dei sospettati sparirono in Arabia Saudita, scortate dall’FBI.

23. Perché il governo degli Stati Uniti non indaga seriamente sugli stretti rapporti esistenti tra l’Arabia Saudita (sua stretta alleata) e Osama Bin Laden?

Sono infatti precise e numerose le prove secondo cui Osama Bin Laden continua a ricevere ampio sostegno non solo dalla sua famiglia, ma anche dall’establishment saudita. Martin S. Indyk, un ex funzionario presso il dipartimento di Stato, afferma che “l’amministrazione Clinton ha assecondato la tendenza di Riad a tenere lontano i problemi sborsando qualche soldo”.
“Sborsare qualche soldo” significava elargire milioni di dollari alla fonte di quei problemi, cioè ad Al Qaeda. Fa notare Indyk:

“I sauditi avevano pensato di proteggersi cooptando gli estremisti islamici e accogliendoli tra le loro file, un passo considerato necessario, vista l’incertezza seguita alla guerra del Golfo. […] Quando il principe della corona Abdullah aveva assunto la reggenza, nel 1996, la famiglia al potere si apprestò al preciso compito di comprare l’opposizione. […] Gli elementi di vulnerabilità emersi dalla guerra del Golfo, tuttavia, resero evidente la necessità di rafforzare il sostegno alla causa wahabita. Di conseguenza, il regime ha finanziato l’esportazione del wahabismo tramite la costruzione di centinaia di moschee e madrasa (scuole religiose) all’estero…”

E’ ormai chiaro che Bin Laden, nonostante sia stato privato della cittadinanza saudita, ha potuto approfittare di questo sistema per raccogliere fondi e creare la sua rete. Alla fine, dunque, le istituzioni sostenute dai sauditi con la connivenza della famiglia reale “sono state usate come copertura per finanziare le nefaste attività di Al Qaeda. E anche il regime fondamentalista sunnita dei talebani in Afghanistan si ritrovò a essere un beneficiario, diretto e indiretto, della generosità saudita”.

Secondo la rivista “Now”, che ha sede a Toronto:

“E’ convinzione comune che la monarchia abbia fornito sostegno ad Al Qaeda tramite il finanziamento del movimento wahabita, una setta fondamentalista militante. […] I funzionari americani non desideravano sollevare la questione dei legami tra Al Qaeda e i ricchi sauditi. […] Anche dopo che Bin Laden ha rivolto la sua rabbia contro gli Stati Uniti, negli anni Novanta, ha mantenuto stretti contatti con importanti figure del mondo saudita, tra cui il principe Turki al-Faisal, il potente capo dell’intelligence e fratello di re Fahd”.

Il giornalista investigativo svizzero Richard Labevière puntualizza che: “Il principe Turki, capo del servizio segreto saudita per più di vent’anni, e strettamente legato alla CIA, ha fatto un uso intensivo della rete di Bin Laden”. Il principe rassegnò le dimissioni appena due settimane prima dell’11 settembre.
Comunque, l’idea che qualunque indagine seria dovrebbe concentrarsi sull’Arabia Saudita, è stata appoggiata più di recente anche da Gerald Posner, autore che per molti versi sostiene la versione ufficiale dei fatti dell’11 settembre.
Riprendendo le informazioni fornite in via anonima e indipendente da due fonti del governo USA, Posner riferisce dell’interrogatorio, da parte americana, dell’arabo Abu Zubaida, uno dei capi operativi di Al Qaeda catturato in Pakistan alla fine del marzo del 2002. L’interrogatorio, agevolato dall’acido tiobarbiturico (il Pentotal), fu condotto da due arabo-americani che si fingevano sauditi. Sollevato dalla presenza dei due uomini, che egli credeva connazionali, Zubaida divenne molto loquace.
Con la speranza di salvarsi, affermò che, in quanto appartenente ad Al Qaeda, aveva lavorato per conto di superiori sauditi e per incoraggiare chi lo stava interrogando a verificare quanto diceva, suggerì di telefonare a uno dei nipoti di re Fahd, il principe Ahmed bin Salman bin Abdul-Aziz. Dettò perfino il numero del principe Ahmed a memoria. Quando gli fu fatto notare che forse dopo l’11 settembre le cose erano così mutate da sconsigliare al principe Ahmed ogni appoggio ad Al Qaeda, Zubaida rispose che non era cambiato proprio niente, perché il principe Ahmed sapeva in anticipo che l’America sarebbe stata colpita quel giorno. Quindi dettò a memoria anche i numeri di telefono di altri due parenti di re Fahd in grado di confermare le sue dichiarazioni: il principe Sultan bin Faisal bin Turki al-Saud e il principe Fahd bin Turki Saud al-Kabir.
A meno di quattro mesi di distanza si verificò una serie di avvenimenti per cui Posner cominciò a pensare che la testimonianza di Zubaida potesse essere vera. Nell’arco di otto giorni morirono i tre sauditi di cui quest’ultimo aveva fatto i nomi. Il 22 luglio il principe Ahmed, a 43 anni, morì ufficialmente per un infarto. Il giorno seguente il principe Sultan bin Faisal, 41enne, morì a quanto risulta in un incidente d’auto. E una settimana dopo, il principe Fahd bin Turki, che di anni ne aveva 21, “morì di sete”

. Dunque alti funzionari del governo americano sapevano dell’aiuto finanziario offerto a Bin Laden dai membri dell’establishment saudita. Tuttavia l’amministrazione si è volutamente rifiutata di fare alcunché in proposito, e oltretutto sta nascondendo il fatto all’opinione pubblica.

24. Perché gli USA, invece di combatterla, hanno usato Al Qaeda nel corso degli anni per i propri interessi in tutto il mondo?

Numerosissimi sarebbero gli esempi di questa scellerata politica delle diverse amministrazioni americane, ma noi parleremo di un caso in particolare, il più evidente: quello della Bosnia.
Lo “Spectator” di Londra osserva che “dal 1992 al 1995 il Pentagono favorì lo spostamento di migliaia di mujaheddin e altri elementi islamici dall’Asia centrale all’Europa per combattere al fianco dei musulmani bosniaci contro i serbi”.
Molti particolari dell’alleanza sono stati documentati con autorevolezza dall’inchiesta ufficiale olandese del 1995 su Srebrenica, che contiene un’accurata relazione del professor Cees Wiebes dell’Università di Amsterdam sull’intelligence occidentale nel conflitto in Bosnia. Da questa inchiesta si evince che questa strategia del Pentagono ha originato un “ampio corridoio segreto di contrabbando d’armi attraverso la Croazia” che era “in evidente violazione dell’embargo delle armi imposto dall’ONU nei confronti di tutti i combattenti dell’ex Jugoslavia”. Il corridoio fu allestito dalle agenzie di intelligence di “Stati Uniti, Turchia e Iran, con una serie di gruppi islamici estremisti tra i quali i mujaheddin afgani”.
Il corridoio segreto che gli USA sostennero tra Iran, Turchia, Arabia Saudita e i musulmani bosniaci servì anche per far penetrare forze mujaheddin di Al Qaeda, connesse a Osama Bin Laden, dall’Afghanistan, dall’Algeria, la Cecenia, lo Yemen, il Sudan e da altri paesi. Gli Stati Uniti ebbero un ruolo di primo piano nell’agevolare questo esodo. Secondo un accreditato rapporto dell’International Media Corporation di Londra, “è stato riferito che i mujaheddin sbarcati a Ploce erano accompagnati dalle Forze Speciali USA dotate di equipaggiamento per le comunicazioni ad alta tecnologia”.
Offrendo una sintesi complessiva di questa politica, il professor Michel Chossudovsky, direttore del “Centre for Research on Globalisation” (CRG), conclude:

“Il ruolo avuto dalla CIA nel sostenere e far crescere le organizzazioni terroristiche internazionali durante la guerra fredda e subito dopo, nascosto com’è dal fuoco di fila della storia recente, è tranquillamente ignorato o sottovalutato dai media occidentali. […] La tesi della ‘ necessità di reagire agli attacchi ’ è fasulla. Le prove confermano ampiamente che la CIA non ha mai reciso i suoi legami con le ‘ reti dei militanti islamici ’ . Dopo la fine della guerra fredda, non solo questi legami occulti dell’intelligence sono stati mantenuti, ma di fatto sono divenuti sempre più sofisticati”.

25. Perché gli USA hanno ripetutamente evitato di catturare Osama Bin Laden nel corso degli anni?

Anche in questo caso gli esempi della sconsiderata politica delle varie amministrazioni americane sarebbero tantissimi: consideriamone qualcuno.

Il caso più eclatante riguarda il Sudan. Nel 1996 Bin Laden, lasciata l’Arabia Saudita, si trovava in questo paese e il generale maggiore Elfaith Erwa, ambasciatore alle Nazioni Unite e allora ministro per la difesa del Sudan, si offrì di estradarlo in Arabia Saudita, o negli Stati Uniti. “I servizi di sicurezza sudanesi”, ha affermato, “sarebbero stati lieti di tenere sotto controllo Bin Laden per conto degli Stati Uniti. Ma se non fosse bastato, il governo era pronto a metterlo sotto custodia e a consegnarlo, anche se non era chiaro a chi”.
Invece di accettare l’offerta di estradizione e di incriminazione di Bin Laden, gli Stati Uniti hanno fatto l’opposto, come afferma ancora Erwa: “I funzionari americani hanno detto: ‘ Basta che gli diciate di lasciare il paese. Però state attenti che non vada in Somalia ’ . Noi abbiamo detto che sarebbe andato in Afghanistan, e loro dissero: ‘ Lasciatelo stare ’ ”. Nel maggio del 1996 Bin Laden lasciò il paese.
Così, invece di accettare l’estradizione di Bin Laden e il suo arresto, due anni dopo gli Stati Uniti lanciarono un attacco contro il Sudan, prendendo di mira l’impianto farmaceutico Al Shifa. Gli USA sostenevano che il Sudan stava offrendo rifugio ai terroristi collegati a Bin Laden, e in particolare che stava garantendo la piena operatività dell’impianto di Al Shifa, dove secondo gli americani si producevano armi chimiche e biologiche di distruzione di massa per conto di Osama Bin Laden. Tuttavia, appena prima dell’attacco missilistico americano, il Sudan aveva provveduto a fare altre offerte, ignorate dagli Stati Uniti, proponendo di assumere iniziative per scovare i membri della rete di Bin Laden. Secondo la copia di un memorandum personale inviato dal Sudan a Louis Freeh, già direttore dell’FBI, il Sudan ha arrestato “due persone identificate come agenti di Bin Laden” coinvolti negli attentati contro le ambasciate USA in Kenya e Tanzania:

“Avevano parlato del direttore di una fabbrica di cuoio di Khartoum, di proprietà di Bin Laden, come punto di riferimento per i loro visti, ed erano stati arrestati dopo aver cercato di prendere in affitto un appartamento che affacciava sull’ambasciata americana a Khartoum, dove si riteneva stessero pianificando l’attacco. Fonti USA hanno confermato che l’FBI voleva predisporre una loro immediata estradizione. Tuttavia il segretario di Stato di Clinton, Madeleine Albright, l’ha impedito. Aveva classificato il Sudan come uno ‘ Stato terrorista ’ , e tre giorni dopo i missili americani hanno fatto saltare la fabbrica di medicinali di Al Shifa, a Khartoum. Gli Stati Uniti hanno erroneamente affermato che era di proprietà di Bin Laden e che fabbricava armi chimiche. In realtà, produceva il 60% delle medicine del Sudan, e aveva contratti con l’ONU per la fornitura di vaccini”.

Un’altra testimonianza fondamentale per comprendere il tipo di ostruzionismo americano ai tentativi di investigare su Bin Laden, di incriminarlo e di catturarlo è quella dello scomparso John O’Neill, l’agente dell’FBI di origine irlandese che per vari anni ha diretto le indagini americane su Al Qaeda.
O’Neill, che è stato vicedirettore e poi direttore dell’antiterrorismo dell’FBI, ha indagato sull’attentato del 1993 contro il WTC, su quello del 1996 contro una base americana in Arabia Saudita, su quelli del 1998 contro le ambasciate americane e sull’attacco del 2000 al cacciatorpediniere Cole. Secondo i suoi colleghi dell’FBI, John O’Neill “era considerato un investigatore motivato, instancabile e capace di agire con risolutezza; costituiva uno degli elementi più brillanti dell’FBI”.
L’”Irish Times” ha riferito che, durante le interviste con l’analista dell’intelligence francese Jean-Charles Brisard,
O’Neill ha espresso tutto il suo rammarico, perché il dipartimento di Stato americano – e dietro questo la lobby del petrolio, che costituiva l’entourage del presidente Bush – aveva bloccato ogni tentativo di provare la colpevolezza di Bin Laden. L’ambasciatore americano nello Yemen, Barbara Bodine, aveva impedito a O’Neill e alla sua squadra di cosiddetti Rambo di entrare nel paese. Nell’agosto del 2001, molto amareggiato, O’Neill ha dato le dimissioni dal suo incarico, e ha accettato le mansioni di capo della sicurezza al WTC. E’ morto nell’attacco dell’11 settembre. […] L’agente dell’FBI ha detto a Brisard: ‘ Ogni risposta, tutto ciò che serve per smantellare l’organizzazione di Osama Bin Laden, si trova in Arabia Saudita ’ . Ma i diplomatici americani, di fronte all’idea di offendere la famiglia reale saudita, si sono tirati indietro. O’Neill è andato in Arabia Saudita dopo che diciannove militari americani erano morti nell’attentato contro un’installazione militare a Dhahran, nel giugno 1996. A interrogare i sospetti ci pensarono i funzionari sauditi: li dichiararono colpevoli e li giustiziarono senza lasciare che l’FBI potesse parlare con loro. ‘Gli agenti dell’FBI sono stati trattati come semplici periti, si sono dovuti limitare a raccogliere i materiali probanti sulla scena dell’esplosione’, afferma Brisard. O’Neill ha detto che nello Yemen c’erano prove evidenti della colpevolezza di Bin Laden nell’attentato contro la Cole, ma che il dipartimento di Stato gli ha impedito di raccoglierle”.

E’ forse utile sottolineare che impedendo a O’Neill l’accesso alle “prove evidenti” della colpevolezza di Bin Laden – che avrebbero giustificato la sua incriminazione e l’arresto – il dipartimento di Stato ha praticamente consentito a Osama di sfuggire alla cattura.

Ma questo non è niente. Se il comportamento degli USA nei confronti di Bin Laden prima dell’11 settembre appare sconcertante, quello posteriore agli attentati ci fa davvero pensare di essere stati presi in giro.
Infatti, durante i bombardamenti in Afghanistan (che ufficialmente dovevano servire a sradicare Bin Laden, catturandolo “vivo o morto”), ci sono state diverse occasioni in cui è sembrato che il governo e i comandanti militari si siano fatti in quattro per permettere al saudita e ai suoi di fuggire.
Secondo molti residenti di Kabul, ad esempio, un convoglio di truppe di Al Qaeda, tra cui probabilmente c’erano anche i suoi massimi esponenti, mise in atto una fuga sorprendente una notte dei primi di novembre del 2001. Un uomo d’affari del luogo disse:

“Non capiamo come mai non siano stati uccisi la notte scorsa, dato che sono arrivati in un convoglio di almeno 1000 tra macchine e camion. Era molto buio, ma per i piloti americani non deve essere stato difficile vedere le luci dei fari. Dalle otto di sera alle tre di mattina la strada principale è stata una continua sfilata di macchine”.

Sempre ai primi di novembre, le agenzie d’intelligence statunitensi, avvistati i miliziani di Al Qaeda e i suoi leader spostarsi nell’area di Jalalabad, annunciarono anche l’arrivo di Bin Laden. Secondo i giornali del gruppo “Knight Ridder”, ecco quanto accadde in seguito: “

Gli analisti dell’intelligence USA ne dedussero che Bin Laden, insieme ai suoi combattenti in ritirata, si stava preparando a fuggire oltre frontiera. Ma il commando centrale degli Stati Uniti, a capo delle operazioni di guerra, non fece una sola mossa per bloccarne la fuga. ‘ Dai primi di novembre risultava ovvio che quella zona avrebbe rappresentato la base di un esodo verso il Pakistan ’ , dichiarò un funzionario dell’intelligence parlando in condizione di anonimità. ‘ Tutti ne erano al corrente, e francamente siamo stupefatti che non sia stato fatto nulla per evitarlo ’ “.

A breve distanza di tempo, il 14 novembre, l’Alleanza del Nord conquistò Jalalabad. Quella notte, in un convoglio di “alcune centinaia di macchine”, che trasportavano 1000 o più fra talebani e miliziani di Al Qaeda, tra cui ovviamente Bin Laden, fuggirono dalla città per raggiungere la fortezza di Tora Bora. L’esercito americano, a quanto pare, bombardò il vicino aeroporto, ma non il convoglio.
Il 16 novembre, circa 600 tra affiliati di Al Qaeda e talebani, compresi molti dei principali leader, avrebbero lasciato l’Afghanistan servendosi di un lungo sentiero accidentato, proprio per sfuggire ai bombardamenti di Tora Bora. Benché esistano due strade principali per raggiungere il Pakistan da quella regione, gli aerei USA ne bombardarono solo una, e 600 uomini riuscirono a scappare incolumi percorrendo l’altra. Altre centinaia di miliziani, a quanto si afferma, si servirono di quella via di fuga nelle settimane successive, ma in genere non furono disturbati né dalle bombe americane né dai soldati di frontiera pakistani. Il “Telegraph” scrisse: “A uno sguardo retrospettivo, basandosi su decine di resoconti di chi vi partecipò, la battaglia di Tora Bora somiglia più a un’immensa simulazione”. Alcuni testimoni si dichiararono scioccati dall’esercito USA che circondò le truppe talebane e di Al Qaeda soltanto su tre lati, lasciando aperta la via verso il Pakistan, considerato anche il fatto che fra loro dovesse esserci gran parte dei suoi vertici. Un capo dell’intelligence, nominato dal nuovo governo afgano, avrebbe affermato: “Il punto strategico era la frontiera con il Pakistan, ma sembra che nessuno se ne sia occupato”.

26. Perché il governo degli Stati Uniti non ha mai indagato seriamente sugli stretti rapporti esistenti tra l’ISI e i talebani?

In effetti, tra gli inquietanti intrecci che abbiamo analizzato finora, quello più sconvolgente è forse quello meno noto: il ruolo avuto nei fatti dell’11 settembre dall’Inter Services Intelligence, cioè dall’intelligence militare del Pakistan.
Per comprenderlo, è necessario capire i legami storici tra il Pakistan, Al Qaeda e gli Stati Uniti. Sicuramente il resoconto più dettagliato di questa lugubre storia è la relazione del professor Chossudovsky, “Who is Osama Bin Laden?”, pubblicata il giorno dopo l’11 settembre.
Il professore canadese annota che Bin Laden è stato reclutato in Afghanistan negli anni ottanta, “per ironia della sorte sotto gli auspici della CIA, per combattere gli invasori sovietici”. Nel 1979 fu lanciata “la più grande operazione occulta della storia della CIA”, per contrastare l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Tramite l’ISI pakistana, infatti, la CIA addestrò e sostenne sotto copertura i combattenti afgani. In questo frangente l’ISI era l’intermediaria attraverso la quale la CIA procurava ai ribelli afgani armi, pianificazione e addestramento. Su questo argomento, lo specialista dell’Asia centrale Ahmed Rashid fa notare:

“Con l’incoraggiamento attivo della CIA e dell’ISI pakistana, che voleva trasformare il jihad afgano in una guerra globale contro l’Unione Sovietica da parte di tutti gli Stati musulmani, tra il 1982 e il 1992 circa 35.000 estremisti musulmani di quaranta paesi islamici si sono uniti alla lotta dell’Afghanistan. Altre decine di migliaia di musulmani sono andati a studiare nelle madrasa pakistane. Alla fine, più di 100.000 estremisti musulmani stranieri sono stati influenzati direttamente dal jihad afgano”.

Inoltre, il “Washington Post” sottolinea:

“Nel marzo del 1985 il presidente Reagan ha firmato la National Security Decision Directive 166, che autorizzava un incremento dell’aiuto militare non dichiarato ai mujaheddin. […] Questa direttiva chiariva che la guerra segreta in Afghanistan aveva un nuovo obiettivo: sconfiggere l’esercito sovietico in Afghanistan grazie a iniziative segrete e favorire il ritiro sovietico. La nuova assistenza occulta degli Stati Uniti cominciò con un notevole incremento delle forniture di armi: una crescita costante, che raggiunse le 65.000 tonnellate annue nel 1997 […] oltre a un ‘ flusso incessante ’ di specialisti della CIA e del Pentagono che visitavano il quartier generale segreto dell’ISI pakistana, sulla strada principale vicino a Rawalpindi, in Pakistan. Lì gli specialisti della CIA incontravano i funzionari dell’intelligence pakistana per aiutarli a pianificare le operazioni contro i ribelli afgani”.

L’ISI pakistana divenne così un vero e proprio strumento della politica estera americana in quella regione. Sostenuta dalla CIA tramite un’assistenza militare continua, l’ISI divenne “una struttura parallela, che esercitava un potere enorme su tutti gli aspetti del governo”. Ne sono conseguiti non solo un’intesa operativa tra l’agenzia d’intelligence americana e quella pakistana, ma anche una relazione di dipendenza reciproca in cui la CIA manteneva un predominio decisionale totale e l’ISI perseguiva i suoi obiettivi all’interno dei limiti stabiliti dal suo principale benefattore, gli Stati Uniti.

“Jane’s Defence Weekly” fornisce una panoramica dettagliata di questo triangolo USA-Pakistan-Afghanistan:

“Il modello della ‘ guerra per procura ’ condotta dagli Stati Uniti si basava sulla premessa per cui i fondamentalisti islamici costituivano degli ottimi alleati contro i comunisti. Il piano era diabolicamente semplice: ingaggiare, addestrare e controllare mercenari islamici motivati. […] Gli addetti all’addestramento venivano principalmente dall’ISI; avevano imparato il mestiere dai commando dei berretti verdi e dai Navy Seals americani in varie strutture di addestramento. L’istruzione di massa dei mujaheddin afgani fu successivamente condotta dall’esercito pakistano, sotto la supervisione dell’èlite degli Special Services Group (SSG), esperti nelle operazioni segrete dietro le linee nemiche, e dall’ISI…”

E’ chiaro che, senza il costante sostegno del governo americano, il Pakistan non avrebbe potuto disporre di un apparato di intelligence militare potente come l’ISI. In verità, secondo un esperto dell’Asia meridionale, l’americano Selig Harrison, “i talebani sono una creazione della CIA e dell’ISI”. Inoltre, nel marzo del 2001 Harrison ha messo in luce un fatto ancora più importante, e cioè che il ruolo dell’ISI, in quanto strumento regionale della CIA, non si è esaurito lì: il “vecchio gemellaggio tra le agenzie dell’intelligence continua”. In più, molte fonti ufficiali del governo americano confermano che, attraverso l’ISI, gli USA avevano fornito appoggio ai talebani prima del cambiamento di rotta in senso antitalebano. Una conferma giunse dall’International Relations Committee della Camera dei Rappresentanti USA a metà del 2000:

“Adesso in Pakistan ci troviamo di fronte a un governo militare che sta armando i talebani fino ai denti. […] Faccio notare che l’aiuto americano è sempre finito nelle aree controllate dai talebani. […] Abbiamo sostenuto i talebani poiché tutti i nostri aiuti finiscono regolarmente a loro. E quando qualcuno dall’esterno cerca di far pervenire qualche aiuto in altre zone, viene ostacolato dal nostro dipartimento di Stato”.

Dunque è un dato incontrovertibile che la stessa ISI abbia legami inestricabili con Al Qaeda e i talebani. Il “National Post” ricorda che: “All’ISI, che certi commentatori definiscono uno ‘ Stato dentro lo Stato ’ , per molto tempo è stata demandata la politica esercitata dal Pakistan riguardo all’Afghanistan e al Kashmir. L’applicazione di questa strategia ha fatto dell’agenzia un’istituzione completamente imbevuta di radicalismo islamico”.

Prima dell’11 settembre, il capo dell’ISI era il luogotenente generale Mahmoud Ahmad, descritto da “Time Magazine” come un amico fidato del presidente pakistano Musharraf: “Il luogotenente generale Mahmoud Ahmad era a capo della potentissima ISI, universalmente considerato il governo ombra del paese e un fermo sostenitore della linea filotalebana”. .

27. Com’è possibile che il denaro necessario a compiere gli attentati dell’11 settembre provenisse proprio dall’ISI?

Questo è l’aspetto più contorto di questa storia. Tutto cominciò il 4 settembre 2001, quando una delegazione guidata dal direttore generale dell’ISI, il luogotenente Mahmoud Ahmad, si è recata a Washington; la delegazione era lì per colloqui ad alto livello con i funzionari del dipartimento di Stato.
Un giorno prima degli attacchi al WTC e al Pentagono, il quotidiano pakistano “The News” osservava:

“Il soggiorno a Washington, durato una settimana, del direttore dell’ISI Mahmoud ha scatenato congetture su quale fosse lo scopo dei suoi misteriosi incontri al Pentagono e presso il National Security Council. Ufficialmente, a quanto dicono le fonti del dipartimento di Stato, sta compiendo una visita di routine, per contraccambiare la precedente visita del direttore della CIA George Tenet a Islamabad. Fonti ufficiali confermano che questa settimana ha incontrato Tenet. Ha anche partecipato a lunghi incontri, ma non si sa con quali funzionari, alla Casa Bianca e al Pentagono. […]
A far crescere l’interesse in merito alla sua presenza è la storia stessa di queste visite. L’ultima volta in cui Ziauddin Butt, il predecessore di Mahmoud, andò a Washington, durante il governo di Nawaz Sharif, la nostra politica nazionale fu messa sottosopra nel giro di pochi giorni. Il fatto che non sia la prima visita che Mahmoud ha compiuto negli ultimi tre mesi fa capire il carattere di urgenza degli incontri in corso”.

Ma appena prima dell’inizio dei bombardamenti anglo-americani sull’Afghanistan, ci fu un colpo di scena: il luogotenente Mahmoud fu destituito da direttore generale dell’ISI. L’ufficio pubbliche relazioni dell’ISI affermò che aveva chiesto di essere messo in congedo, dopo essere stato sostituito nelle sue funzioni l’8 ottobre. Ma presto si scoprì che in realtà era stato silenziosamente allontanato per ragioni più serie, in seguito a un’indagine americana.
Mohammed Atta, ritenuto il capo dei dirottatori suicidi dell’11 settembre, aveva infatti ricevuto finanziamenti su indicazione dell’allora capo dell’ISI, proprio il luogotenente Mahmoud. Ecco il “Times of India”:

“Fonti di alto livello hanno confermato martedì che il generale Mahmoud è stato licenziato per via delle prove fornite dall’India, che dimostrano i suoi legami con uno degli attentatori suicidi che hanno abbattuto il WTC. Le autorità degli Stati Uniti hanno chiesto il suo allontanamento dopo che è stato confermato che lo sceicco Ahmad Umar, su istruzione del generale Mahmoud, aveva inviato al dirottatore Mohammed Atta 100.000 dollari dal Pakistan.[…]
Un legame diretto tra l’ISI e l’attacco al WTC potrebbe avere ripercussioni enormi. Gli Stati Uniti non possono evitare di sospettare che forse ci siano stati altri comandanti dell’esercito pakistano al corrente dei fatti. Eventuali prove di una più ampia cospirazione potrebbero scuotere la fiducia degli Stati Uniti nell’impegno dei pakistani nella coalizione antiterrorista”.

Ma non è tutto. Quanto siano stati determinanti gli stretti rapporti dell’ISI con Al Qaeda appare forse con maggior chiarezza da una scoperta effettuata poco dopo l’11 settembre. Infatti, Said Sheikh, agente dell’ISI, aveva inviato altri 100.000 dollari sul conto bancario di Atta in Florida, sempre su istruzione del direttore dell’ISI, Ahmad. Su questa faccenda, i media hanno contribuito a creare un’enorme confusione. Infatti a questo agente dell’ISI furono attribuiti innumerevoli nomi pur di collegarlo a Bin Laden: a un certo punto fu persino identificato come “Sheikh Saiid”, pseudonimo di Sa’d al-Sharif, uno dei cognati di Bin Laden!
Comunque, secondo il notiziario americano “WorldNetDaily”, tradizionalmente cauto, “Tennis M. Lormel, direttore della divisione dell’FBI per i reati finanziari, ha confermato le transazioni” tra CIA e ISI. Ma, come già detto, l’ISI aveva a sua volta avuto accesso a considerevoli aiuti militari e finanziari da parte degli Stati Uniti, per appoggiare le operazioni che si svolgevano in Afghanistan tramite i gruppi militanti legati ad Al Qaeda. E’ possibile che attraverso l’ISI gli aiuti americani siano stati fatti pervenire ad Atta, e magari ad altri membri di Al Qaeda?

28. Perché, dopo gli attentati dell’11 settembre, i funzionari del governo americano hanno affermato di essere stati sorpresi dalle modalità di attacco dei terroristi, quando invece il piano di Al Qaeda di usare aerei come bombe era noto alla CIA da almeno sei anni?

Anche se può sembrare incredibile, i servizi segreti occidentali sapevano fin dal 1995 che erano in programma attacchi terroristici di questo genere da portare sul territorio americano, in particolare su edifici simbolo degli Stati Uniti.
Alcuni dettagli sulle segnalazioni che prevedevano azioni di questo tipo sono stati indicati dall’accreditato quotidiano tedesco “Die Welt”:

“I servizi segreti occidentali sapevano fin dal 1995 che Osama Bin Laden progettava di attaccare strutture civili utilizzando aerei passeggeri di linea. I piani furono scoperti nel 1995 dalla polizia filippina che stava investigando su un possibile attacco contro papa Giovanni Paolo II in visita a Manila. Si scoprirono particolari relativi al piano nel computer sequestrato nell’appartamento usato da tre individui che facevano parte della rete Al Qaeda. Undici aerei con alcune bombe piazzate a bordo avrebbero dovuto esplodere simultaneamente. Si prevedeva però anche un piano alternativo, secondo cui vari aerei in volo verso gli Stati Uniti avrebbero dovuto essere dirottati e diretti contro obiettivi civili. Tra i bersagli menzionati c’era il WTC di New York, poi distrutto l’11 settembre”.

Di questo progetto criminale, chiamato Piano Bojinka (termine jugoslavo per indicare un “grande botto”), si tornò a parlare durante il processo, svoltosi a New York nel 1997, contro il pakistano Ramzi Yousef, ideatore dell’attacco del 1993 contro il WTC. A quel punto, se non prima, era impossibile che l’FBI e la CIA non fossero al corrente del piano.
Come osserva il Public Education Center (PEC) di Washington, “fonti investigative federali hanno confermato che Murad (braccio destro di Ramzi Yousef) illustrò nei particolari un piano per far schiantare un aereo bomba sul quartier generale della Central Intelligence Agency a Langley, in Virginia”, oltre che su altri edifici americani.
Un'altra testimonianza su questo argomento arriva da una persona coinvolta nelle indagini che portarono alla scoperta del Piano Bojinka: Rafael M. Garcia III, presidente e direttore esecutivo della società filippina “Mega Group Computer Companies”, il quale spesso lavora come consulente per il National Bureau of Investigation (NBI). Garcia si occupò della decodifica del computer di Yousef; al riguardo osserva:

“Fu così che scoprimmo i vari progetti criminali che venivano portati avanti dalla cellula di Ramzi Yousef. Primo, c’era il complotto per assassinare papa Giovanni Paolo II. Poi, scoprimmo un secondo piano, ancora più sinistro: il Piano Bojinka. Si trattava di un piano per far esplodere undici aerei sopra l’Oceano Pacifico, tutti quanti nel giro di 48 ore. Gli aerei sarebbero venuti da Seul, Hong Kong, Taipei, Bangkok, Singapore e Manila.
Poi abbiamo trovato un altro documento in cui si parlava di un’ulteriore possibilità, quella di far schiantare gli undici aerei contro obiettivi scelti negli Stati Uniti, invece che limitarsi a farli saltare in aria. Tra gli edifici citati c’erano il quartier generale della CIA a Langley, in Virginia; il WTC di New York; la Sears Tower di Chicago; la TransAmerican Tower di San Francisco e la Casa Bianca a Washington. […] Sottoposi le mie scoperte ai funzionari dell’NBI, che senza dubbio passarono la relazione (e il computer) all’allora sovrintendente superiore Avelino Razon della PNP (la polizia nazionale filippina), o a Bob Heafner dell’FBI…”

Infine, sull’argomento Paul Monk, decano dell’”Australian Thinking Skills Institute” e professore all’”Australian Defense University”, cita “fonti confidenziali” di Manila e Washington che precisavano:

“[…] Il Piano Bojinka era stato concepito da un certo Ramzi Yousef, che fu arrestato a Islamabad in seguito all’interrogatorio di Murad. Sia Murad che Yousef furono estradati negli Stati Uniti, processati e condannati per complicità nell’attacco del 1993 contro il WTC. Yousef fu arrestato l’11 settembre 1996. Da quel momento, dato il fascino che esercitano gli anniversari sui terroristi, l’11 settembre sarebbe divenuto certamente una data da tenere sott’occhio”.

29. Com’è possibile che la comunità d’intelligence americana non sia riuscita ad evitare gli attentati, nonostante avesse ricevuto numerosi avvertimenti nei mesi precedenti al settembre 2001?

Infatti, durante tutto il 2001 i servizi segreti americani ricevettero una quantità enorme di informazioni circa un imminente attacco, ma nonostante questo non furono in grado di sventare il piano dei terroristi.
Gli avvertimenti cominciarono ad arrivare nel marzo 2001, quando le agenzie USA vennero a sapere che Bin Laden stava progettando di realizzare quanto prima il Piano Bojinka. Tre mesi dopo, queste stesse segnalazioni furono confermate, come riportava a metà settembre “Newsbytes”, sezione on-line del “Washington Post”:

“Le agenzie di intelligence americane e israeliane, secondo un articolo del quotidiano tedesco ‘Frankfurter Allgemeine Zeitung’, hanno ricevuto almeno tre mesi fa alcuni segnali di avvertimento secondo i quali terroristi mediorientali stavano progettando di dirottare un aereo di linea per usarlo come un’arma attaccando importanti simboli della cultura americana e israeliana.
Il quotidiano, citando fonti anonime dell’intelligence tedesca, ha riferito che si stava facendo uso della rete di spionaggio Echelon per raccogliere informazioni sulle minacce terroristiche, e che anche i servizi segreti britannici erano stati avvertiti. Il giornale tedesco ha poi aggiunto che già sei mesi prima le agenzie giornalistiche occidentali e del vicino oriente avevano ricevuto segnalazioni secondo cui si stavano progettando attacchi del genere: negli ambienti dell’intelligence statunitense gli avvertimenti erano stati presi sul serio e la sorveglianza era stata intensificata”.

L’ultima frase è decisiva. Indica chiaramente come in seguito alle segnalazioni di Echelon l’intera comunità dell’intelligence statunitense fosse in stato di allerta di fronte all’eventualità di un attacco tipo Piano Bojinka. Da un’informativa indirizzata ai vertici del governo, citata da Eleanor Hill, si evince poi che tale informazione venne inoltrata tempestivamente alla Casa Bianca.

Il “New Yorker” fornisce ulteriori elementi su questo quadro generale riferendo che secondo Richard A. Clarke, coordinatore nazionale per l’antiterrorismo alla Casa Bianca, circa dieci settimane prima dell’11 settembre gli ambienti dell’intelligence erano convinti che fosse imminente un attacco terrorista di Al Qaeda in terra americana:

“Nel frattempo, l’intelligence era in fibrillazione per via di un probabile attacco di Al Qaeda. ‘ Successe tutto insieme, nella terza settimana di giugno ’ , ha detto Clarke. ‘ L’idea della CIA era che nelle settimane successive si sarebbe verificato un grande attacco terroristico ’ . Il 5 luglio, Clarke convocò tutte le agenzie che operavano per la sicurezza della nazione – la Federal Aviation Administration, la Guardia Costiera, i funzionari della dogana e del servizio immigrazione e naturalizzazione, nonché l’FBI – e diede loro istruzione di intensificare i controlli, in vista di un imminente attacco”.

Il “Washington Post” riporta poi l’affermazione fatta il 5 luglio dallo stesso Clarke, secondo cui “qui sta per succedere qualcosa di assolutamente tremendo, e sta per succedere da un momento all’altro”. E’ evidente, dunque, che all’inizio di luglio 2001 tutte le agenzie di intelligence USA attendevano un attacco a breve da parte di Al Qaeda.
Di lì in avanti, vi fu una serie di segnalazioni sul possibile attacco. Circa un mese prima dell’11 settembre, la CIA ricevette informazioni precise che riguardavano un azione sul suolo americano. L’Associated Press riporta: “I funzionari hanno detto che, un mese prima degli attacchi, la CIA disponeva di indicazioni generali che avevano fatto crescere il timore che Bin Laden e i suoi fossero sempre più decisi a colpire sul territorio americano”. Un funzionario della CIA affermò: “ Ci fu qualcosa di specifico all’inizio di agosto che ci fece capire come Bin Laden fosse deciso a colpire sul territorio americano”. Infine, due funzionari dell’antiterrorismo affermarono che gli avvertimenti ricevuti dai servizi nella prima metà dell’estate 2001 erano “i più urgenti mai ricevuti da decenni”.

30. Perché le autorità americane non hanno preso seri provvedimenti in seguito all’arresto di Zacarias Moussaoui, ritenuto il “ventesimo dirottatore”?

Come abbiamo visto, la sorveglianza degli attivisti di Al Qaeda da parte dell’intelligence americana si era intensificata nei mesi immediatamente precedenti l’11 settembre. A questo proposito “WorldNetDaily” riferisce alcune notizie pertinenti:

“L’FBI e altri organi federali di polizia sapevano anche che due dei dirottatori si trovavano nel nostro paese. Figuravano in una lista di terroristi da sorvegliare. Ma le linee aeree non furono avvertite. […] Il Federal Bureau of Investigation teneva sotto controllo parecchi terroristi, secondo il numero del primo ottobre di ‘Newsweek’. Appena prima dell’11 settembre l’FBI aveva intercettato comunicazioni che facevano capire come stesse per succedere qualcosa di molto grave. […] E c’erano anche altri indizi. Zacarias Moussaoui era stato arrestato quando gli istruttori di volo avevano informato i federali che l’uomo voleva imparare a condurre un 747, ma non era interessato ai decolli né agli atterraggi. Zacarias viaggiava con passaporto francese. Quando fu contattato, il governo francese comunicò che era un sospetto terrorista legato a Osama Bin Laden”.

Al momento dell’arresto, Moussaoui era in possesso di informazioni tecniche sugli aerei Boeing e manuali di volo. Quando il quartier generale dell’FBI fu informato dai servizi francesi che sicuramente Moussaoui aveva legami molto solidi con Al Qaeda era il 26 agosto
. Anche la scuola di volo del Minnesota, la “Pan Am International Flight Academy”, in cui Moussaoui era stato addestrato, mise in allerta l’FBI in termini che non lasciavano dubbi. Come ha riferito lo “Star Tribune” di Minneapolis, “Moussaoui destò sospetti all’International Flight Academy della Pan Am di Eagan (Minnesota)”, quando, nell’agosto 2001, frequentò l’accademia per imparare a pilotare i jumbo jet. “Prima Moussaoui fece nascere delle perplessità quando, durante una semplice presentazione, disse di essere francese, però non sembrò capire quel che diceva l’istruttore, quando questi gli parlò in francese […] poi Moussaoui divenne aggressivo ed evasivo in merito al suo passato. […] Inoltre, pur apparentemente ignaro delle più basilari procedure di volo, voleva un costoso addestramento sul simulatore di volo avanzato di un jet commerciale”.
Perfino gli impiegati della scuola di volo “cominciarono a sussurrare che poteva essere un dirottatore”. Il direttore delle operazioni dell’Accademia, John Rosengren, riferisce che l’istruttore di Moussaoui era “preoccupato e si chiedeva perché una persona che non era un pilota, e aveva così poca esperienza, stesse cercando di ottenere in così poco tempo quel tipo di addestramento. […] ‘ Più parlava con lui, più capiva che non aveva proprio l’aria del pilota. […] Voleva sapere quanto carburante ci fosse a bordo di un 747-400 e che danni avrebbe potuto causare se avesse colpito qualcosa ’ ”.

Qualche ora dopo che l’FBI aveva arrestato Zacarias Moussaoui, un allievo di nome Atlas, insieme al quale Moussaoui aveva raggiunto la scuola di volo del Minnesota dall’Oklahoma, riferì al comando locale dell’FBI che Moussaoui considerava “accettabile uccidere i civili che recano danno ai musulmani e che approvava i musulmani che si immolavano come ‘martiri’ in simili attacchi”.
Ma il governo americano si impegnò per impedire che un’indagine più approfondita venisse svolta. Gli investigatori locali dell’FBI, a Minneapolis, avevano immediatamente riconosciuto in Moussaoui un sospetto terrorista e richiesto l’autorizzazione per un mandato di sorveglianza speciale antispionaggio, così da poter ispezionare il disco rigido del personal computer dell’uomo. Il dipartimento di Giustizia e gli alti funzionari dell’FBI bloccarono, per ragioni di sicurezza nazionale, il mandato di perquisizione che avrebbe consentito di esaminare il computer di Moussaoui, affermando che gli agenti dell’FBI non disponevano di informazioni sufficienti per giustificare, dal punto di vista legale, un simile mandato. A questo proposito è interessante notare che il dipartimento di Giustizia ha approvato più di 12.000 provvedimenti simili e ne ha bocciato solo uno, da quando è passata la legge, nel 1978. Il blocco alle indagini continuò anche dopo che i servizi francesi ebbero riferito che Moussaoui era legato a Osama Bin Laden. Su questo argomento la MS-NBC ha riferito:

“Anche alti funzionari di polizia insistono nel dire che un’indagine più approfondita su Moussaoui – insieme alle altre informazioni in possesso delle agenzie USA – avrebbe potuto fruttare indizi sufficienti sul progetto che stava per essere realizzato. ‘ Quello che lascia perplessi è che bastava fare due più due, e avrebbero potuto mettere insieme molte più informazioni su quel tizio, se non addirittura impedire il dirottamento ’ , ha detto un investigatore”.

In un’istanza resa pubblica dalla corte federale, Moussaoui richiese formalmente di testimoniare davanti a un grand giury e al Congresso in merito agli attacchi dell’11 settembre, sostenendo di possedere informazioni secondo le quali il governo statunitense desiderava che l’attentato si verificasse. A tutt’oggi la sua istanza è stata respinta.

31. Perché le autorità americane hanno permesso a Mohamed Atta di muoversi liberamente negli Stati Uniti, nonostante il “capo dei dirottatori” fosse inserito nell’elenco governativo dei terroristi da sorvegliare fin dal 1986?

In effetti l’atteggiamento tenuto dalle autorità americane nei confronti di Mohamed Atta è non meno stupefacente di quello tenuto con Zacarias Moussaoui.
Il 23 novembre 2001 il canale televisivo pubblico tedesco ARD ha riferito che Atta era soggetto a controlli telefonici da parte dei servizi segreti egiziani. Nel 2000, poi, anche l’FBI aveva controllato per vari mesi i movimenti di Atta: in quel periodo l’uomo aveva viaggiato ripetutamente da Amburgo a Francoforte, e acquistato grandi quantità di prodotti chimici utilizzabili per fabbricare esplosivi. Questi stretti controlli nei confronti di Atta vanno naturalmente inseriti in un quadro più generale: egli era inserito nell’elenco governativo dei sospetti terroristi da sorvegliare fin dal 1986, quando era stato coinvolto nell’attentato contro un autobus in Israele. E’ quindi chiaro che gli Stati Uniti conoscessero la pericolosità di quest’uomo.
Nonostante tutto questo, a Mohamed Atta fu riservato un trattamento da privilegiato ogni volta che si recò negli Stati Uniti.
Nel gennaio del 2001 ad Atta fu permesso di rientrare negli USA dopo un viaggio in Germania, anche se non disponeva del tipo di visto necessario. Era sceso a Miami da un volo proveniente da Madrid il 10 gennaio, con un visto turistico, dichiarando però agli ispettori dell’immigrazione che stava frequentando una scuola di volo negli Stati Uniti, cosa per cui è assolutamente indispensabile un visto M-1 per motivi di studio. Jeanne Butterfield, direttrice esecutiva dell’”American Immigration Lawyers Association”, sottolinea come “in quasi tutti i casi, in una simile situazione gli ispettori gli avrebbero detto di tornare indietro e di fare richiesta per la qualifica di studente nel paese di provenienza. Non è previsto che qualcuno possa entrare come turista e poi invece andare a lavorare, o a scuola”.
A questo proposito, Ken Garcia, del “San Francisco Chronicle”, fa presente che:

“Posso capire che in molti riescano ad eludere la sorveglianza della rete nazionale di sicurezza, ma non pensavo proprio che tra questi ci potessero essere terroristi noti all’FBI, alla CIA, al dipartimento di Stato, all’Immigration and Naturalization Service e a numerosi organi di polizia della Florida, già messa alla prova dal voto. […] Almeno uno dei dirottatori suicidi, Mohamed Atta, ha potuto muoversi dentro e fuori gli Stati Uniti con un visto scaduto. […] Dato che, a quanto pare, Atta andava e veniva a suo piacimento fra Stati Uniti, Spagna e Germania usando il suo vero nome, ci si poteva aspettare che qualcuno dell’FBI, della CIA, del dipartimento di Stato o dell’INS si accorgesse dei suoi andirivieni”.

Tuttavia, nonostante questi collegamenti con il terrorismo, ad Atta fu nuovamente consentito di entrare senza problemi negli Stati Uniti; e pur avendo fatto ripetuti viaggi in Europa, ritornò sempre negli USA senza che le autorità dell’immigrazione statunitensi facessero difficoltà, e non perché le leggi sui visti fossero permissive, ma perché furono semplicemente e ripetutamente violate.
Insomma, pare che Mohamed Atta, pur essendo ben noto alle autorità, conducesse una vita da signore. Sebbene il suo nome fosse incluso dal 1986 nella lista dei sospetti terroristi, fatto questo che normalmente avrebbe dovuto sbarrargli l’accesso al paese, gli fu permesso di muoversi liberamente dentro e fuori gli USA. Fra il gennaio e il maggio 2000 Atta fu tenuto sotto osservazione dalla polizia americana, per via dell’acquisto sospetto di una quantità considerevole di prodotti chimici, potenzialmente idonei alla costruzione di ordigni. Nel gennaio 2001 fu trattenuto per 57 minuti all’aeroporto internazionale di Miami dai funzionari dell’INS, perché in passato aveva protratto la permanenza nel paese oltre la scadenza del visto, e non aveva prodotto un visto valido di entrata negli USA quando si era iscritto alla scuola di volo della Florida. Ma questo non lo fermò.
Nel 2001 fu fermato dalla polizia per guida senza patente. Non si presentò al processo, indetto per maggio, e il tribunale ordinò il suo arresto. Neanche questo lo fermò, visto che il mandato non fu mai eseguito, neanche in seguito, anche se Atta venne fermato altre due volte per guida in stato di ebbrezza. Durante tutta la sua permanenza negli USA, Atta non fece alcun tentativo di celare le sue generalità: viveva, viaggiava e seguiva i corsi di volo con il suo vero nome.
E’ difficile trovare una spiegazione benevola per questa sequela di avvenimenti. In pratica, il governo statunitense ha consapevolmente e ripetutamente autorizzato un noto terrorista a entrare liberamente nel paese per seguire un corso di volo. Perché?

32. Come mai le autorità americane e i mass media di tutto il mondo hanno dipinto i terroristi come “fondamentalisti islamici”, mentre il comportamento tenuto da costoro prima degli attentati suggerirebbe esattamente il contrario?

Anche se può sembrare incredibile, innumerevoli rapporti basati su indagini giornalistiche e testimonianze oculari offrono un quadro curioso dei dirottatori dell’11 settembre, assai diverso dall’immagine che li ritrae come “fondamentalisti islamici”.
Due terroristi chiave, Mohamed Atta e Marwan al-Shehhi, soggiornarono al Woodland Park Resort Hotel, albergo alla moda nelle Filippine, diverse volte tra il 1998 e il 2000, stando a quanto riportano testimoni del luogo. Secondo le dichiarazioni, “bevevano whisky con accompagnatrici filippine, cenavano in un ristorante specializzato in cucina mediorientale e si recarono ad almeno una delle scuole di volo locali”.
Ha raccontato un’ex cameriera dell’hotel, Gina Marcelo, che nel dicembre 2000 Al-Shehhi diede una festa all’albergo con sei o sette amici arabi: “Affittarono per mille pesos lo spazio vicino alla piscina all’aperto. Bevvero Johnny Walzer etichetta nera e acqua minerale. Fecero un barbecue con gamberetti e cipolle. Arrivarono con dei macchinoni, e avevano un sacco di soldi. Avevano tutti quanti delle ragazze”.
Affermano gli investigatori americani che cinque dei terroristi, Atta, Al-Shehhi, Nawaq Alhazmi, Ziad Jarrah e Hani Hanjour, andarono a Las Vegas perlomeno sei volte tra il maggio e l’agosto del 2001. Il “San Francisco Chronicle” riporta che “si avventurarono sul terreno di piaceri proibiti decisamente poco islamici in quella che è considerata la capitale americana della corruzione morale”: consumo di alcolici, gioco d’azzardo, strip-club. Come “South Florida Sun Sentinel” ha osservato, l’abituale sregolatezza dei dirottatori era in class="nero" con i principi essenziali dell’islam:

“Tre tizi che saltellano con ballerine di lap-dance al Pink Pony Nude Theatre. Altri due che ingollano bicchieri di Stolichnaya e rum e Coca in una bettola di balordi a Hollywood il fine settimana prima di commettere un suicidio e un omicidio di massa. Questo potrebbe descrivere il comportamento di alcuni individui sospettati dell’attacco terroristico di martedì 11 settembre, ma non è l’immagine di musulmani devoti, dicono gli esperti. Tanto meno quella di fanatici religiosi nei loro ultimi giorni sulla terra”.

Avvalorando questa tesi, class="nero", professore di religione alla “Temple University” di Filadelfia e specializzato in studi islamici e del Medio Oriente, ha sottolineato il fatto che il divieto di bere alcolici, giocare d’azzardo e avere rapporti sessuali fuori dal matrimonio sia un precetto cardine dell’islam: “E’ inconcepibile che una persona possa trascorrere la notte a bere e assistere a uno spogliarello e il giorno dopo uccidersi nel nome dell’islam. Persone capaci di ammazzarsi per la propria fede dovrebbero provenire da ambienti ideologici rigidamente islamici. I conti non tornano”.

33. Perché il governo americano ha sistematicamente bloccato le indagini contro il terrorismo?

Ci sono buone ragioni per ritenere che, se l’FBI non ha arrestato i sospetti terroristi che erano collegati a Bin Laden e operavano negli USA, ciò sia successo a causa degli impedimenti decisi ai livelli più alti dell’FBI e del dipartimento di Giustizia. Le prove vengono dall’autorevole testimonianza del procuratore statunitense David Philip Schippers, già responsabile delle indagini giudiziarie della Commissione di Giustizia della Camera.
Due giorni dopo gli attacchi, Schippers concesse un’intervista alla WRRK di Pittsburgh, in cui affermò di aver tentato di mettere in guardia sugli attentati terroristici il procuratore generale, John Ashcroft, oltre che altri funzionari federali, qualche settimana prima dell’11 settembre. Schippers dichiarò di aver ricevuto informazioni da fonti dell’intelligence USA, tra cui agenti dell’FBI, secondo le quali i terroristi stavano pianificando un grande attacco diretto contro il cuore finanziario di Manhattan, nella parte sud.
Secondo Schippers questi agenti conoscevano mesi prima dell’11 settembre i nomi dei dirottatori, gli obiettivi degli attacchi, le date programmate, le fonti dei finanziamenti e altro ancora. Ma il comando dell’FBI aveva bloccato le indagini sulla prossima azione terroristica e sulle persone coinvolte, avvertendo gli agenti che se avessero reso pubbliche le informazioni emerse dalle loro indagini sarebbero stati perseguiti in base al National Security Act. Quindi gli agenti cercarono il consiglio di Schippers, per esercitare una pressione su alcuni esponenti del governo americano affinché prendessero iniziative per impedire gli attacchi; ma gli appelli del procuratore furono vani. Ora Schippers rappresenta un agente dell’FBI in un procedimento legale contro il governo americano e sta cercando di ottenere una citazione in giudizio che obblighi i funzionari a testimoniare. In un’intervista con Geoff Metcalf, su “WorldNetDaily”, il procuratore ha dichiarato:

“Disponevo di informazioni che indicavano che ci sarebbe stato un massiccio attacco alla parte sud di Manhattan. Ma non riuscivo a fare in modo che qualcuno mi desse retta […] e questo circa un mese e mezzo prima dell’11 settembre. Originariamente, ciò che avevo sentito, e potrete chiedere conferma al signor Bodansky […] lui era una delle persone all’origine della segnalazione che è arrivata il 19 febbraio 1995, ed è questa l’originale che io ho visto: ci sarebbe stato un attacco contro gli Stati Uniti da parte di uomini di Bin Laden, e gli obiettivi prescelti sarebbero stati la Casa Bianca e il Campidoglio, e avrebbero usato aerei di linea commerciali come bombe”.

Alex Jones, nel corso dell’intervista, ha chiesto a Schippers: “Quindi in seguito lei ha saputo da agenti FBI di Chicago e del Minnesota che ci sarebbe stato un attacco alla parte sud di Manhattan?
Schippers ha risposto spiegando che i suoi tentativi di informare le autorità erano stati ignorati:

“Sì, ed è questo che mi ha convinto a chiamare […]. Ho cominciato a chiamare qualcuno. Prima di tutto ho cercato di vedere se riuscivo ad avere l’appoggio di un membro del Congresso, almeno per portarci quelle persone e farle ascoltare. Ho mandato le informazioni di cui disponevo, ma a nessuno importava nulla. Tutti dicevano: ‘ La richiameremo noi ’ . Poi ho fatto un altro tentativo, cercando di contattare il procuratore generale. E, anche qui, mi sono appoggiato agli amici personali di John Ashcroft, per cercare di entrarci in contatto. Uno di loro mi ha richiamato e mi ha detto: ‘ Certo, ho parlato con lui. La chiamerà domani mattina ’ . Questo accadeva circa un mese prima dell’attentato”.

La telefonata non arrivò mai.
Successivamente, Schippers venne a sapere che c’erano molti altri agenti che possedevano informazioni sugli attentati e che non furono ascoltati. Fonti dell’intelligence USA gli dissero infatti che “ci sono altre persone, in tutto il paese, che si sentono deluse, e che desiderano solo uscire allo scoperto”. La frustrazione di questi funzionari dell’intelligence, spiegò Schippers, era motivata dall’ostruzionismo di una “èlite di burocrati di Washington impegnata a troncare di netto ogni indagine”; la conseguenza è che hanno consentito “ al terrorismo di regnare sovrano negli Stati Uniti”. Gli agenti sostennero inoltre di essere venuti a conoscenza dei nomi e delle attività di “personaggi molto strani che si addestravano nelle scuole di volo”, e quindi avevano tentato di “sottoporli a controlli”. Queste indagini furono bloccate dai vertici, e ciò provocò la rabbia degli agenti. Non c’era alcuna giustificazione valida, né di natura legale né d’altro tipo, per un simile provvedimento, dicono gli agenti, e, come uno di loro disse a Schippers, “se si fosse consentito di andare avanti con le indagini, i fatti dell11 settembre non sarebbero mai accaduti.
A questo proposito, vale la pena di ricordare delle pesantissime affermazioni di un ex agente dell’FBI al “New American”:

“E’ davvero spaventoso. L’FBI ha avuto accesso a queste informazioni perlomeno dal 1997. E’ ovvio che non stiamo facendo il nostro lavoro come dovremmo. Non mi ero mai aspettato di vedere accadere una cosa del genere nel nostro paese, ma in un certo modo non sono rimasto troppo sorpreso quando è successo. Deve esserci qualcosa che noi non siamo in grado di vedere, persone delle alte sfere, la cui carriera è a rischio, e che non vogliono che la verità venga fuori. […] Ma cosa stanno macchinando? Ovviamente, qualcuno doveva sapere, doveva esserci gente che sapeva che queste informazioni venivano messe in circolazione. Persone come i terroristi di Al Qaeda non possono spostarsi dentro e fuori dal paese senza che nessuno se ne accorga. Se qualcuno a Washington riceve certe informazioni e le insabbia – ed è molto facile gestire le cose da Washington – allora vuol dire che le radici del problema sono molto, molto profonde. […] E’ terribile pensarlo, ma devono aver consentito che questa cosa succedesse, perché era nei programmi di qualcuno”.

Una valutazione, questa, con cui concordava un investigatore della task force congiunta antiterrorismo FBI della Florida meridionale, un’unità d’èlite dedicata ad individuare i possibili casi di spionaggio e terrorismo:

“Il memorandum dell’Arizona sarebbe stato preziosissimo. Con tutte le scuole di volo che ci sono in Florida, gli saremmo stati alle calcagna. Che il governo non la raccontasse giusta l’abbiamo capito un momento dopo i dirottamenti. Nel giro di qualche ora dagli attacchi avevamo i nomi dei dirottatori e quanto ci serviva per indagare sulle scuole di volo. Visto con quale velocità erano spuntate quelle informazioni, a quel punto era chiaro che qualcuno di Washington doveva sapere qualcosa fin da prima. Ci stavano sopra e non facevano un tubo. Alla fine sono saltate fuori”.

In altri termini, il comando centrale dell’FBI sapeva molto di più di quanto facesse credere, e conosceva i particolari più allarmanti, ma aveva imbrigliato i suoi agenti e aveva alterato la trasmissione delle informazioni pertinenti.

34. Perché Gorge W. Bush non ha preso provvedimenti atti ad evitare gli attentati dopo aver letto il Presidential Daily Brief del 6 agosto 2001?

Le regolari valutazioni riservate fornite dalla CIA ai massimi responsabili del governo statunitense, attingendo a tutte le fonti d’intelligence disponibili, sono note come informative di “livello strategico”. Il “livello strategico” si riferisce al massimo livello del processo decisionale, a livello nazionale o di alleanze.
Prima degli attacchi dell’11 settembre il direttore della CIA Gorge Tenet fornì al presidente Bush ragguagli orali per circa un’ora quasi ogni mattina alle otto. Stando al “Washington Post”, il Presidential Daily Brief (PDB) è preparato a Langley [la sede della CIA] dal direttorio analitico della CIA, e una bozza va a casa con Tenet ogni sera. Tenet la rivede di persona e la comunica oralmente durante il suo incontro di prima mattina con Bush”. E’ significativo che le informative orali della CIA sono del tutto senza precedenti: i passati presidenti ricevevano solo un’informativa scritta.
Curiosamente, per anni la Casa Bianca ha rifiutato di diffondere pubblicamente l’informativa della CIA dal titolo “Bin Laden deciso a colpire negli Stati Uniti” che era stata consegnata al presidente nel suo ranch in Texas il 6 agosto 2001. Questa informativa era stata preparata su richiesta di Bush dopo essere stato informato di credibili allarmi su “un attacco imminente nell’estate del 2001”. A quel che è stato detto Bush era preoccupato per “bersagli interni”. Sia la “valutazione di minaccia” di luglio sia l’informativa di agosto chiesta da Bush in risposta a questa valutazione restano riservate su insistenza della Casa Bianca.
In seguito, però, sotto pressione di alcuni membri della commissione sull’11 settembre, la Casa Bianca fu costretta a declassificare la PDB del 6 agosto. Come ha fatto notare il “New York Times”: “Un unico documento di diciassette frasi, l’informativa dei servizi consegnata al presidente nell’agosto 2001, spiega chiaramente il chi, accenna al che cosa e indica il dove degli attacchi terroristici su New York e Washington che si verificarono trentasei giorni dopo”.
Malgrado la parziale declassificazione dell’informativa, pochi commentatori hanno preso nota delle sue implicazioni estremamente gravi. Ecco alcuni importanti estratti dell’informativa:

“Rapporti clandestini, di governi stranieri e dei media indicano che dal 1997 Bin Laden intende condurre attacchi terroristici negli Stati Uniti. In interviste a televisioni statunitensi nel 1997 e nel 1998 Bin Laden ha lasciato intendere che i suoi seguaci avrebbero seguito l’esempio dell’attentatore del World Trade Center, Ramzi Yousef, e ‘ portato la battaglia in America ’.
Dopo i raid missilistici statunitensi contro la sua base in Afghanistan nel 1998, Bin Laden ha detto ai seguaci di voler compiere azioni di rappresaglia a Washington, secondo un [porzione espunta] servizio.
Un agente del Jihad Islamico Egiziano (EIJ) ha detto allo stesso tempo a un [porzione espunta] servizio che Bin Laden stava pianificando di sfruttare l’accesso dell’agente negli Stati Uniti per organizzare un’azione terroristica. […] Membri di Al Qaeda – tra cui alcuni che sono cittadini statunitensi – risiedono o viaggiano negli Stati Uniti da anni e sembra che il gruppo abbia una struttura di sostegno che potrebbe aiutare gli attacchi […]. Una fonte clandestina ha detto nel 1998 che una cellula di Bin Laden a New York stava reclutando giovani americani musulmani per degli attacchi. […] Informazioni dell’FBI indicano da allora modelli di attività sospetta in questo paese coerenti con preparativi per dirottamenti o altri tipi di attacchi, compresa la recente sorveglianza di edifici federali a New York. L’FBI sta conducendo in tutti gli Stati Uniti circa settanta indagini approfondite che considera collegate a Bin Laden”.

Questa informativa, in altre parole, delineava in pochi paragrafi l’intera trama dell’11 settembre: si citava un solo esecutore, Al Qaeda; si indicavano solo due aree degli Stati Uniti, Washington e New York; si indicava un solo metodo, il dirottamento; e si faceva riferimento a un solo edificio chiave come bersaglio potenziale, il World Trade Center. In altri termini, i terroristi di Al Qaeda stavano pianificando di dirottare degli aerei sul suolo statunitense e di prendere di mira edifici-chiave a Washington e New York, in particolare il World Trade Center: anche preso alla lettera, un chiaro ritratto del Piano Bojinka di scagliare aerei civili dirottati contro edifici-chiave.
Se questo è solo un assaggio di un’unica informativa semplificata dei servizi d’informazione consegnata al presidente un giorno particolare, possiamo legittimamente chiederci che cosa sia contenuto nella porzione riservata dell’informativa, quali siano gli approfondimenti presenti nelle numerose altre informative ricevute dal presidente, e quali altri dettagli specifici fossero disponibili alle comunità dei servizi che conduceva almeno 70 indagini sulle attività di Al Qaeda negli Stati Uniti.
Tutto questo, ovviamente, non fa altro che aggravare ancora di più la posizione di George W. Bush.

35. Perché l'FBI non ha sfruttato le informazioni provenienti da Sibel Edmonds e Randy Glass per evitare gli attentati dell'11 settembre?

Effettivamente i casi che riguardano l'ex traduttrice Sibel Edmonds e l'agente Randy Glass lasciano esterrefatti per come l'FBI abbia evitato di intervenire nei confronti di alcuni individui e di prevenire così gli attacchi dell'11 settembre. Cominciamo con il caso della Edmonds.

Sibel Edmonds era una traduttrice dell'FBI con il permesso di visionare materiale di massima riservatezza; per sei mesi, dal settembre 2001, ha lavorato part-time per il reparto traduzioni dell'ufficio di Washington del Bureau. Secondo quanto riferito dalla Edmonds, cittadina americana da dieci anni che ha superato un esame alla macchina della verità, il dipartimento di Giustizia le chiese di "ritradurre e aggiustare le traduzioni e le intercettazioni di argomento terroristico che erano state ricevute prima dell'11 settembre 2001 da FBI e CIA". Per impedirle di divulgare in pubblico l'entità degli allarmi rivelati da questo materiale le fu "offerto un aumento consistente e un impiego a tempo pieno". La Edmonds ha però cercato in tutti i modi di divulgare queste informazioni, anche deponendo a porte chiuse davanti a varie commissioni. Per tutta risposta, il procuratore generale John Ashcroft si è appellato alla "prerogativa al segreto di Stato e alla sicurezza nazionale" per impedirle di essere convocata come testimone in una corte statunitense. L'essenza delle sue accuse è la seguente:

"Le mie traduzioni delle intercettazioni pre-11 settembre comprendevano riciclaggio di denaro sporco, informazioni dettagliate e date sufficientemente precise per mettere in allerta i cittadini americani, e altre questioni risalenti al 1999 su cui ora non mi addentrerò. […] La Commissione Giudiziaria del Senato e la Commissione sull'11 settembre mi hanno sentito testimoniare a lungo (tre ore) su piani molto specifici, date, aerei usati come arma, attività e individui precisi. […] I traduttori prima di me intrattenevano rapporti personali con gli argomenti o gli obiettivi delle indagini dell'FBI e del dipartimento della Giustizia prima dell'11 settembre – indagini collegate a intercettazioni e altre informazioni riservate – in giugno, luglio, agosto, appena prima degli attacchi. […] L'intera situazione è scandalosa e io la renderò di dominio pubblico".

Ma non è tutto. In una precedente intervista al programma della CBS "60 Minutes", la Edmonds evidenziò che il dipartimento della Giustizia aveva ordinato a lei e altri traduttori non solo di ritradurre centinaia di intercettazioni già accuratamente tradotte, ma anche di ritardare per un tempo indefinito la traduzione di centinaia di altre intercettazioni, specie quelle di alta rilevanza e immediatamente richieste per le indagini terroristiche portate avanti da FBI e CIA:

"I nostri supervisori ci dissero che questa era la grande occasione per chiedere più fondi e più traduttori. A tal fine non dovevamo fare il lavoro, lasciando accumulare i documenti in modo da poter mostrare la difficile situazione e dire che avevamo bisogno di più traduttori e di allargare il reparto. […] Il giorno dopo tornavo al lavoro, accendevo il computer e la traduzione [completata il giorno precedente] era scomparsa. Allora dovevo ricominciare da capo e ritradurre lo stesso documento. E quando andavo dal supervisore questo diceva: ' La consideri una lezione e non ne parli con nessun altro né vi faccia alcun cenno ' . […] La lezione era: ' Non lavorare, non fare le traduzioni. Esci e prenditi due ore di pausa pranzo. Esci e … non prendere il caffè al pianterreno. Fatti otto isolati. Chiacchiera con gli amici. Ma non fare il lavoro perché… questa è la nostra occasione per aumentare il numero delle persone di questo reparto ' ".

Forse l'informazione più importante ai nostri fini che riceviamo dalla Edmonds è il fatto che il governo americano avesse "informazioni estremamente specifiche", tra cui date, piani, esecutori e, soprattutto, il metodo: "aerei usati come arma". Una chiara indicazione che la comunità dei servizi era ben consapevole dell'imminente Piano Bojinka.

Passiamo ora al caso di Randy Glass. Costui era un falsario di opere d'arte condannato per tredici reati gravi e che avrebbe dovuto scontare venti mesi di carcere prima che il governo gli offrisse la possibilità di ridurre la detenzione operando come informatore sotto copertura per l'FBI. Malgrado il passato criminale indubbiamente equivoco, Glass si dimostrò rapidamente un agente governativo straordinariamente capace e credibile, tanto che fu implicato in operazioni riguardanti la sicurezza nazionale statunitense e divenne membro di una squadra speciale antiterrorismo dell'FBI.
Alla fine del 1998 Glass fu impiegato come informatore in un'operazione-trappola in cui agenti del governo pakistano tentarono di comprare missili e componenti di armi nucleari per cederli a dei terroristi: Osama Bin Laden e Al Qaeda. Glass condusse degli agenti federali da Diaa Mohsen, un mediatore di armi. "Munito di microspia dagli agenti, Glass ascoltò mentre Mohsen diceva di conoscere gente desiderosa di comprare armi USA, tra cui funzionari di un governo e ' terroristi ' che avrebbero pagato in eroina". Mohsen presentò inoltre Glass all'amico "Mohammed Malik. […] Mohsen deisse che Malik, a sua volta, poteva metterli in contatto con gli acquirenti finali, che Mohsen identificò nei servizi segreti del Pakistan e in persone vicine al regime talebano dell'Afghanistan e al fondatore di Al Qaeda Osama Bin Laden"
. Il 14 luglio 1999 Glass pranzò con i trafficanti di armi Mohsen e Malik, l'ex giudice egiziano Shireen Shawky e l'agente dell'ISI Rajaa Gulum Abbas, in un ristorante da dove si poteva vedere il World Trade Center. L'intero incontro fu segretamente registrato e filmato, mentre agenti dell'FBI origliavano dai tavoli vicini, fingendosi clienti del ristorante. Brani del filmato sono stati trasmessi da vari canali d'informazione statunitensi, tra cui MSNBC. Secondo il "Cox News Service":

"Glass, munito di microspia, incontrò un uomo identificato in documenti di tribunale con il nome di Abbas, ritenuto essere un agente del governo pakistano presentato da Malik. Glass fu informato del fatto che volevano comprare un carico completo di armi e gli dissero che erano per Bin Laden. […] Ha raccontato Glass: ' Mentre lasciavamo il ristorante, Abbas si voltò e disse: '' Quelle torri stanno per venir giù '' '".

Randy Glass trasmise gli avvisi dell'imminente attacco terroristico contro il WTC ad alti funzionari del governo. Ma, dice, "i massimi livelli del governo diedero ordine di addolcire le denunce". Anziché agire sulla scorta degli allarmi e indagare ulteriormente, come ha riferito un programma informativo di una TV della Florida, "le denunce furono sigillate, ma Glass ha evidenziato che il suo documento del 15 giugno 2001 elencava le minacce contro il WTC e gli americani. Le torri crollarono tre mesi dopo". Glass, il cui curriculum come informatore dei servizi è definito "eroico" da agenti del governo americano, ha riassunto la vicenda come segue:

"Il governo è a conoscenza delle persone coinvolte nel mio caso che non sono mai state incriminate né espulse, che svolsero una parte attiva nel far venire dei terroristi nel nostro paese per incontrarsi con me e altri agenti infiltrati. […] Volevano acquistare sofisticati sistemi di armamento, fra cui materiale nucleare e isotopi radioattivi per realizzare bombe sporche, che potessero essere usate da terroristi per colpire gli americani".

Facendo poi notare l'importanza dell'avvertimento dell'agente dell'ISI Abbas, affiliato a Bin Laden, su un piano terroristico per far crollare il WTC, Glass si chiede: "Non si sarebbe dovuta mettere una microspia sui telefoni di Diaa e Malik, i contatti statunitensi di Abbas?". Che i telefoni dei due trafficanti di armi affiliati ad Al Qaeda non fossero messi sotto controllo non accadde semplicemente perché mancò una richiesta. Il "Cox News Service", per esempio, ha evidenziato che non solo il governo rifiutò di sostenere l'operazione della squadra FBI ma addirittura la ostacolò:

"La squadra si trovò ripetutamente priva di sostegno. Non riuscivamo a ottenere dai procuratori l'autorizzazione alle intercettazioni telefoniche. Un supervisore dell'FBI a Miami per la squadra speciale antiterrorismo rifiutò di anticipare denaro per l'operazione segreta, costringendo gli agenti federali, per portarla avanti, a usare soldi delle Dogane statunitensi e persino di Glass".

In definitiva, la risposta del governo americano agli avvertimenti di Glass fu sconvolgente. Anziché agire sulla scorta di queste informazioni stando addosso ai principali sospetti, il governo cancellò l'intera operazione. Dichiarò Glass: "Malgrado quelle informazioni, disponibili al governo due anni prima dell'attacco al WTC, la squadra speciale antiterrorismo dell'FBI non sembrò prendere la minaccia seriamente".

36. Perché l'11 settembre 2001 le forze armate statunitensi rimasero inattive?

In effetti, l'aspetto dell'11 settembre che più di tutti ha sorpreso l'opinione pubblica è proprio la totale passività delle forze armate americane: mentre si sta verificando il più grande attacco della storia sul suolo americano, l'esercito più forte del mondo rimane totalmente inattivo, restando a guardare. Perché?

La cosa che più lascia sconcertati è che sarebbe bastato applicare le procedure operative standard riguardanti i casi di dirottamento per evitare tutti e tre gli attentati. Per rendersene conto, è sufficiente osservare i movimenti degli aerei in questione.
Il primo aereo dirottato fu il volo American Airlines (AA) 11, partito da Boston alle 7.59. Alle 8.14, oltre a non rispondere all'ordine di prendere quota lanciato dal controllo di terra della FAA (Federal Aviation Administration), la radio e il trasponder di bordo smisero di funzionare, lasciando intendere la possibilità che il volo fosse stato dirottato. Alle 8.20, mentre il controllo di terra della FAA monitorava la traiettoria di volo sul radar, l'aereo andò completamente fuori rotta, inducendo a concludere che con tutta probabilità era stato dirottato. Alle 8.21 il personale di volo riferì telefonicamente che, senza più dubbio, l'aereo era in mano ai dirottatori, i quali avevano già ucciso alcuni passeggeri. Alle 8.28 l'apparecchio virò in direzione di New York. Alle 8.46 si schiantò contro la Torre nord del WTC. Tutto ciò non sarebbe mai accaduto se fossero state applicate le famigerate procedure. In quel caso, infatti, il volo 11 sarebbe stato intercettato dai caccia entro 10 minuti dal momento in cui fosse stato rilevato qualsiasi indizio di possibile dirottamento. Se a quel punto l'aereo non avesse obbedito al segnale di seguire i caccia verso un aeroporto dove atterrare, sarebbe stato abbattuto. Questa evenienza si sarebbe verificata entro le 8.24 o, al più tardi, entro le 8.30, visto che i caccia possono raggiungere la velocità di 3400 km/h, e la questione di dover abbattere un aereo di linea proprio sopra il cuore di New York non si sarebbe posta.
Qualcuno potrebbe ribattere che in quel momento nessuno sapeva quanto stesse per fare l'aereo. Oltre a non essere accettabile, questa giustificazione non potrebbe essere però addotta per il secondo aereo.

Il volo United Airlines (UA) 175 lasciò Boston alle 8.14, proprio nel momento in cui alla FAA si faceva largo l'ipotesi che il volo 11 fosse stato dirottato. Alle 8.42 la radio e il trasponder si spensero e l'aereo virò fuori rotta. A quel punto, avendo ormai la certezza che il volo precedente era stato dirottato e stava volando sopra New York, i funzionari della FAA si accingevano senz'altro a mettersi in contatto con le forze armate. Dai rapporti infatti emerge che essi informarono il NORAD (North American Aerospace Defense Command) alle 8.43. Il NORAD a sua volta avrebbe dovuto far intercettare l'aereo dai jet militari alle 8.53. Quindi, 7 minuti dopo che il primo aereo colpì la Torre nord, i caccia avrebbero dovuto apprestarsi ad abbattere il secondo aereo dirottato, se questo non avesse immediatamente eseguito gli ordini. Invece nessun aereo intercettò il volo 175, che infatti esplose contro la Torre sud del WTC alle 9.03: i caccia, a quanto ci è stato detto, erano ancora a 33 km da New York… ma allora hanno viaggiato solo a circa 1300 km/h?
Un altro aspetto inquietante del disastro, soprattutto per i familiari delle vittime, è che alle 8.55, secondo quanto riportato, nella Torre sud venne diffuso un annuncio che dichiarava la sicurezza dell'edificio e invitava il personale a tornare nei propri uffici. Comunque sia, premesso che il secondo aereo colpì il WTC 17 minuti dopo il primo, non c'è spiegazione immaginabile che, seppure in grado di motivare la mancata attivazione delle procedure standard nel primo caso – distrazione dei controllori del traffico aereo, mancata allerta dei piloti presenti nelle basi militari, errate supposizioni sul comportamento anomalo dell'aereo - , possa essere utilizzata per chiarire il motivo per cui il volo 175 non sia stato intercettato.

Riguardo questa sequela di avvenimenti, c'è poi un episodio che vale la pena essere ricordato.
Alle 9.27 dell'11 settembre il vicepresidente Dick Cheney e il consigliere per la Sicurezza Nazionale Condoleezza Rice erano nel bunker sotto la Casa Bianca a seguire gli sviluppi del volo 77, che poi si schiantò sul Pentagono. Un assistente disse loro che un aereo non identificato era a 50 miglia da Washington e si dirigeva sulla città. In seguito diede a Cheney e alla Rice ulteriori informazioni sulla rotta suicida dell'aereo in volo sulla capitale. "Signor vicepresidente, l'aereo è a 30 miglia"; "è a 10 miglia"; "ahi, abbiamo appena perso l'aereo". Alla fine l'aereo scomparve dal radar: proprio mentre colpiva il Pentagono. La cosa sconvolgente è che per tutto questo periodo non fu fatto alcun tentativo di evacuare gli edifici governativi chiave del Distretto di Columbia, come la Casa Bianca, il Campidoglio, il dipartimento di Stato e il Pentagono. Perché Cheney, che segue il volo 77 che si avvicina a Washington, non dà alcun ordine di evacuazione? Quante delle 125 persone uccise nel Pentagono si sarebbero potute salvare?
Il segretario dei Trasporti Norman Mineta, presente nel bunker, nella sua testimonianza davanti alla Commissione sull'11 settembre, ha raccontato la seguente cruciale sequenza degli eventi che avvennero in quegli attimi, sotto la Casa Bianca:

"Nell'intervallo di tempo in cui l'aereo si avvicinava al Pentagono, ci fu un giovane che andava e veniva e diceva al vicepresidente: ' L'aereo è a 50 miglia ' ; ' L'aereo è a 30 miglia ' . E quando si arrivò a ' L'aereo è a 10 miglia ' , il giovane chiese al vicepresidente: ' Gli ordini restano invariati ? ' . E il vicepresidente si girò, si sfregò il collo e disse: ' Naturalmente gli ordini restano invariati. Ha sentito qualcosa in contrario? ' . Beh, all'epoca non sapevo cosa significasse tutto ciò".

Mineta ne dedusse che Cheney doveva riferirsi a un ordine che avrebbe dovuto permettere ai caccia di abbattere aerei di linea pericolosi. Ma la sua deduzione era errata: fu solo dopo le 10 che Bush comunicò a Cheney l'ordine di abbattere ogni velivolo ostile, aerei commerciali compresi.
Perciò il riferimento di Cheney, alcuni minuti dopo le 9.37, a "ordini" che dovevano essere mantenuti, non aveva nulla a che fare con l'abbattere aerei. Al contrario, gli ordini di Cheney riguardavano l'esatto opposto: l'inattività totale di tutti gli aerei, caccia militari USA compresi.
In uno straordinario articolo il settimanale "Time" ha rivelato che alcuni minuti prima, alle 9.25, l'amministratrice della FAA Jane Garvey,

"quasi certamente dopo aver ricevuto l'ok dalla Casa Bianca, ordinò un fermo a terra nazionale, che vieta i decolli e richiede agli aerei in volo di atterrare quanto prima possibile. L'ordine, che non è mai stato eseguito da quando fu inventato il volo nel 1903, si applicava praticamente a ogni tipo di veicolo in grado di decollare: civile, militare e delle forze di polizia".

Dunque, furono tenuti a terra tutti i velivoli militari e delle forze di polizia, mentre il volo 77 si avvicinava a Washington e al Pentagono a circa 500 miglia orarie. Il divieto sui caccia militari fu tolto solo alle 10.31.
In altre parole, mentre controllava la rotta del volo 77 verso Washington, circa otto minuti prima della collisione sul Pentagono, il vicepresidente Cheney aveva esplicitamente ribadito che il fermo totale nazionale da parte della Casa Bianca di tutti i velivoli – compresi i caccia che avrebbero potuto intercettare gli ultimi due aerei dirottati, tra cui il volo 93 – andava rigorosamente mantenuto, senza eccezioni di sorta.
In questo contesto non sorprende notare che, malgrado le chiamate che dopo la seconda collisione contro il WTC affluirono al NORAD da più unità di caccia di tutto il paese, che si offrivano di lanciare jet armati per proteggere i cieli nel giro di pochi minuti, non avvenne nulla.
L'ordine di fermo della Casa Bianca, a quanto pare emesso da Cheney, fu solo l'ultima decisione cruciale di un alto esponente del governo che impedì ai caccia militari di intercettare il volo 77, permettendogli così di piombare su un Pentagono che alti funzionari avevano rifiutato di far evacuare.

37. Fu davvero un aereo a colpire il Pentagono l'11 settembre 2001?

Questo è l'argomento che più ha scandalizzato i sostenitori della versione ufficiale dei fatti dell'11 settembre e, allo stesso tempo, quello più oscuro. Ci sono infatti parecchie stranezze che riguardano il Pentagono e l'aereo che l'avrebbe colpito.

Il volo AA 77 lasciò l'aeroporto di Dulles a Washington alle 8.20. Per parecchi minuti, a partire dalle 8.46, volò completamente fuori rotta ma, a quanto pare, nessun caccia ricevette l'ordine di decollo immediato. Alle 8.50 riprese il piano di volo, ma il contatto radio era interrotto e, alle 8.56, con il trasponder spento, l'aereo scomparve dallo schermo radar di Indianapolis.
Alle 9.25, vale a dire 29 minuti dopo la sua scomparsa, i controllori di volo dell'aeroporto di Dulles lanciarono l'allarme avendo notato un apparecchio che si spostava a grande velocità in direzione della Casa Bianca. A partire dalle 9.33, i tracciati radar mostrarono che l'apparecchio aveva attraversato l'anello autostradale di Washington e stava puntando verso il Pentagono, che fu sorvolato alle 9.35. Poi, da circa 2100 m di altezza, l'aereo compì una difficoltosa "spirale verso il basso, descrivendo un cerchio quasi completo e discendendo da quella quota in due minuti e mezzo". Alle 9.38 il Pentagono fu colpito. Per le conseguenze dello schianto e dell'incendio divampato, morirono 125 persone, per gran parte dipendenti civili.
Sebbene si ritenesse che l'attacco al Pentagono fosse opera del volo 77, cioè un Boeing 757, il collegamento non risultò subito ovvio. Danielle O'Brien, una dei controllori di volo di Dulles che alle 9.25 comunicò di aver visto l'aereo, dichiarò: "Per la velocità, la manovrabilità, il modo in cui ha eseguito la virata, ognuno di noi nella sala radar, tutti controllori di volo esperti, pensava si trattasse di un aereo militare". Un altro testimone, che lo aveva visto dal 14° piano del suo appartamento a Pentagon City, affermò che "sembrava poter trasportare ottododici persone" e "faceva il rumore stridente di un caccia". Lon Rains, direttore di "Space News", dichiarò: "Ero convinto che fosse un missile. E' arrivato così veloce che non sembrava davvero un aeroplano". Un quarto testimone, che in quel momento si trovava in macchina, raccontò che "era come un missile da crociera con le ali". La versione ufficiale, tuttavia, parlerà di un velivolo di dimensioni ben maggiori, un Boeing 757: il volo 77. Nel corso della giornata però, l'associazione avvenne per gradi. Alle 10.32 "ABC News" diffuse la notizia del dirottamento, ma nella cronaca nulla lasciava intendere che il volo 77 fosse tornato a Washington e avesse colpito il Pentagono. Infatti, poco dopo, Fox TV affermò che si trattava di un apparecchio dell'US Air Force. Soltanto nel pomeriggio tutti concordarono che a schiantarsi sull'edificio era stato il volo 77.

Alcuni di coloro che contestano la versione ufficiale respingono questa identificazione. Primo fra tutti il ricercatore francese Thierry Meyssan, presidente del "Reseau Voltaire", la cui argomentazione, integrata da elementi forniti da altre voci dissenzienti, offre numerose ragioni per ipotizzare che fu qualcos'altro a colpire il Pentagono quel giorno.
Oltre a rilevare che il volo abbattutosi sul Pentagono non fu immediatamente identificato con il volo AA 77, Meyssan sostiene inoltre che le fonti dirette in base a cui fu stabilito tale collegamento sono dubbie. Infatti, tutte le dichiarazioni in merito provengono da personale militare, tranne una: quella di Ted Olson, sostituto procuratore generale degli Stati Uniti. Egli disse che sua moglie, Barbara Olson, nota autrice e commentatrice televisiva a bordo dell'aereo, lo aveva chiamato due volte, alle 9.25 e alle 9.30 circa. Durante le conversazioni, non disse né dove si trovasse né dove fosse diretto l'apparecchio, ma le telefonate servirono a stabilire che non si era ancora schiantato al suolo né era esploso, bensì che era stato dirottato. A quel punto era quantomeno possibile che a colpire il Pentagono fosse stato il volo 77.
Ci sono però molte motivazioni per dubitare delle dichiarazioni di Olson. Prima di tutto si tratta di una persona molto vicina all'amministrazione Bush: infatti patrocinò la causa del presidente davanti alla Corte Suprema durante la controversia che decise le elezioni del 2000. Inoltre, stando a quanto riportato, anche dagli altri voli giunsero telefonate di molti passeggeri e del personale di bordo, ma Ted Olson pare sia stato l'unico ad averne ricevuto una dall'AA 77.

Se dunque sin dal principio le informazioni che misero in relazione il volo 77 all'apparecchio schiantatosi contro il Pentagono provennero evidentemente da fonti poco attendibili, intervengono anche le prove documentali a dimostrare la falsità di quanto assunto: si tratta delle fotografie effettuate subito dopo lo schianto.
Una delle immagini decisive si deve a Tom Horan dell'Associated Press, scattata subito dopo l'arrivo dei camion dei pompieri e subito prima del loro intervento (disponibile all'indirizzo www.asile.org/citoyens/numero13/pentagone/erreurs_en.htm). Al momento dello scatto la facciata dell'ala ovest non era ancora crollata. Un'altra foto scattata alla stessa ora mostra che il buco della facciata misurava tra i 4,5 e i 5,4 m di diametro. Inoltre non si scorgono segni di danneggiamenti al di sopra del foro né ai suoi lati. E in nessuna delle due immagini v'è traccia di un aereo.
Le testimonianze fotografiche sono in forte contraddizione con la versione ufficiale, che parla di danni causati da un aereo grande quanto un Boeing 757. Il fatto più evidente è che non essendoci altri segni di danneggiamento ai due lati dello squarcio, può esservi entrato soltanto il muso di un aereo di quelle dimensioni. Il resto deve essere rimasto fuori dell'edificio. Commenta Meyssan: "Dunque all'esterno, sul prato, dovremmo vedere le ali e la fusoliera". Si potrebbe obiettare che forse l'aereo è bruciato completamente prima che venissero scattate fotografie. Ma Meyssan aggiunge: "Se il muso dell'aereo è costruito con una lega che può fondere rapidamente e se le ali – che contengono il carburante – possono bruciare, la fusoliera è fatta di un materiale simile alla carrozzeria di una macchina o di un camion. Finito l'incendio rimarrà senz'altro una carcassa bruciata".
Nelle foto scattate da Tom Horan o da chiunque altro, però, non c'è la minima traccia di una carcassa bruciata.

Ma il problema più generale è che qualunque cosa colpì il Pentagono non fu abbastanza devastante da giustificare il resoconto ufficiale. Un Boeing 757, oltre a distinguersi in altezza e avere un'ampia apertura alare, pesa più di 100 t. Viaggiando a una velocità compresa fra i 450 e gli 800 km orari, avrebbe causato danni immensi. Eppure, come mostra un'immagine messa a disposizione dal Dipartimento della Difesa, "l'aereo distrusse solo il primo anello dell'edificio". Ma se per un verso l'apparecchio non causò danni sufficienti per essere un Boeing 757, per l'altro, il foro aperto nel muro interno dell'anello C indica invece che i danni furono eccessivi. Il muso, spiega Meyssan, contiene il sistema di navigazione elettronica ed è costruito in fibra di carbonio, non in metallo. Essendo "molto fragile", non può aver perforato tre anelli del Pentagono, provocando un foro in uscita di oltre 2 metri nel muro interno del terzo anello. Si sarebbe frantumato ma non lo avrebbe perforato. A provocare un foro simile potrebbe essere stata, invece, l'ogiva di un missile, come ci illustra Meyssan:

"Alcuni missili sono appositamente concepiti per avere un effetto perforante. Questi missili sono appesantiti con uranio impoverito, un metallo molto denso che si scalda alla minima frizione e rende la perforazione più facile, e sono usati, in particolare, per perforare i bunker. Un aereo si può schiantare e può sfondare un palazzo. Un missile di questo tipo perfora".

E questo è quanto dicono le fotografie. Il Pentagono fu perforato, non sfondato.

Comunque la si voglia mettere, un altro elemento va a sostenere tale ipotesi: il genere di incendio sviluppatosi. Le foto di combustioni dovute a idrocarburi, come quelle sviluppatesi nelle Torri gemelle per via del carburante degli aerei, presentano fiamme gialle unite a fumi neri. Le immagini del Pentagono, al contrario, mostrano una fiammata rossa, che indica una combustione a temperatura molto più elevata e rapida, come quella provocata dal tipo di missile descritto sopra. Sostenendo che il Pentagono fu colpito da "uno dei missili di ultima generazione del tipo AGM, munito di una carica cava e con punta a uranio impoverito del tipo BLU", Meyssan aggiunge che una tale arma può provocare "un incendio istantaneo, che sprigiona un calore superiore ai 2000 °C".
Le testimonianze fotografiche, in breve, forniscono diverse ragioni per concludere che non si trattò di un aereo passeggeri della Boeing quanto piuttosto di un missile militare.

Tale conclusione è confortata anche dal fatto che il velivolo diretto contro il Pentagono non fu abbattuto dai missili disposti sul terreno. Sebbene alcuni giornali abbiano riportato che l'edificio, diversamente dalla Casa Bianca, non disponeva di un sistema di difesa antiaerea, di fatto, come sottolinea Meyssan, è protetto da "cinque batterie antimissile estremamente sofisticate". Il ricercatore francese aggiunge inoltre:

"Contrariamente a quanto afferma il Pentagono, i militari sapevano perfettamente che un apparecchio non identificato si stava dirigendo dritto verso la capitale. Eppure i militari non hanno reagito e le batterie antimissile del Pentagono non sono entrate in funzione. Perché? La difesa antiaerea presso il Pentagono è concepita per distruggere i missili che tentassero di avvicinarsi. Un missile, quindi, non dovrebbe poter passare. Un grosso Boeing 757, poi, non avrebbe alcuna possibilità".

Allora Meyssan suggerisce un'ipotesi che potrebbe rendere conto di questa anomalia:

"Ogni apparecchio militare, infatti, dispone di un trasponder molto più sofisticato […] che gli permette, in particolare, di farsi identificare agli occhi del suo possessore come amico o nemico […]. Una batteria antimissile […] non reagirà al passaggio di un missile amico. Non è impossibile che sia andata proprio così l'11 settembre al Pentagono".

La sua teoria potrebbe anche rappresentare una soluzione all'interrogativo posto da certi resoconti, stando ai quali, quando l'aereo virò per tornare verso il Pentagono, arrivò molto vicino alla Casa Bianca: perché allora non fu questo sistema missilistico ad abbatterlo?

C'è poi un ulteriore aspetto che mette in dubbio che lo schianto contro il Pentagono fu opera dei dirottatori del volo 77: il punto in cui è avvenuto. Supponendo che i terroristi volessero essere certi di colpire il bersaglio, perché mai avrebbero mirato a una delle facciate, alte solo 24 m, quando sarebbero potuti piombare su un tetto la cui superficie misura 11,5 ha? E ritenendo anche che volessero provocare quanti più danni e uccidere quanti più dipendenti possibile, il bersaglio logico sarebbe stato il tetto. Inoltre, posto che si trovasse risposta a tale interrogativo, perché mai avrebbero colpito l'ala ovest, l'unica zona rinnovata del Pentagono, nella quale non potevano essere presenti i massimi dirigenti civili e militari? Cioè, perché compiere una difficilissima spirale verso il basso per provocare meno danni possibile?
E non bisogna dimenticare che quella manovra così difficile fu eseguita da piloti con addestramento minimo, quali erano i terroristi. L'esperto militare Stan Goff, a tal proposito, non usa mezzi termini:

"Un pilota che, a quel che vorrebbero farci credere, ha studiato in Florida in una scuola per saltafossi in cui si insegna ai novellini a condurre Piper e Cessna, esegue una magistrale spirale verso il basso, discende gli ultimi 2100 metri in due minuti e mezzo, porta l'aereo in volo così basso e radente da tagliare i fili elettrici sulla strada davanti al Pentagono, e poi vola con precisione […] contro la fiancata di quell'edificio, alla velocità di 850 chilometri all'ora. Quando la teoria, secondo cui quelli che avevano imparato a volare così nella scuola per saltafossi, ha cominciato a perdere terreno, hanno aggiunto che avevano ricevuto un ulteriore addestramento su un simulatore di volo. Come dire che avete preparato la vostra figlioletta alla sua prima esperienza di guida sull'interstatale 40 nell'ora di punta comprandole un videogioco per farla esercitare".

L'obiezione acquista maggior peso nel momento in cui l'uomo creduto alla guida del Boeing, Hani Hanjour, era a quanto pare non soltanto un dilettante, ma un pilota particolarmente incompetente. Ecco il "New York Times":

"Il personale della scuola lo ha descritto come una persona educata, mite e silenziosa. Ma un ex dipendente ha tenuto a sottolineare che tutti lo consideravano un pessimo pilota. ' Ancora oggi non riesco a credere che possa aver guidato quell'aereo contro il Pentagono ' , ha detto l'ex dipendente. ' Non sapeva proprio volare ' ".

Come si fa a credere che un pilota del genere possa aver eseguito la perfetta manovra che portò l'aereo a schiantarsi contro il Pentagono?

Dulcis in fundo, il ridicolo si è avuto con le contraddittorie dichiarazioni dei vari funzionari del governo americano. Tanto per fare un esempio, la versione ufficiale sostiene che le fiamme sviluppatisi nel Pentagono furono così roventi da fondere non solo il metallo dell'aereo, ma da farlo vaporizzare; allo stesso tempo però, le autorità hanno dichiarato di essere state in grado di identificare le vittime dello schianto attraverso le impronte digitali. Quindi, quel giorno nel Pentagono l'incendio sviluppò una temperatura così elevata da far vaporizzare l'alluminio, ma sufficientemente contenuta per lasciare intatti i tessuti umani.
Non vale neanche la pena sottolineare che tutto ciò è impossibile. Allo stesso modo, tutte le altre dichiarazioni assurde e contrastanti dei vertici del governo e dei pompieri non meritano nemmeno di essere commentate.

38. Come sono spiegabili i comportamenti negligenti e irresponsabili dell'11 settembre del presidente Bush, del segretario alla Difesa Rumsfeld e del generale Myers?

Infatti, l'inspiegabile inerzia di quel giorno delle forze armate americane non è che un riflesso dei comportamenti negligenti di alcuni dei più importanti personaggi del governo statunitense.

Quella mattina, riferisce il "New York Press", il capo di Stato Maggiore Interforze, generale Richard B. Myers, aveva in corso un incontro al Campidoglio con il senatore Max Cleland. Secondo l'"American Forces Press Service" (AFPS), appena prima che cominciasse la riunione, "a quanto ha detto, mentre si trovava in un ufficio esterno, aveva visto in TV che un aereo aveva colpito il World Trade Center. ' Pensavamo fosse un piccolo apparecchio, o qualcosa di simile ' , ha raccontato Myers. Poi i due uomini si sono allontanati per andare ad affrontare il loro impegno ufficiale".
In altre parole, essendo stati informati che a New York si presentava un'emergenza senza precedenti, e che per la prima volta nella storia un aereo si era abbattuto sul WTC, questi due funzionari, e in particolare il generale Myers, che ha la specifica responsabilità di sovrintendere la risposta militare in casi del genere, hanno reagito ignorando la cosa: un'esplicita e deliberata negligenza. Mentre Myers e Cleland se ne andavano chiacchierando, un "jet dirottato investiva la torre nord del WTC, un altro investiva la torre sud e un terzo piombava sul Pentagono. Ma loro sono andati avanti con la loro riunione". A questo proposito, l'AFPS ha riferito:

"Nel frattempo, la seconda torre del WTC veniva colpita da un altro jet. ' Nessuno ci ha informato ' , ha detto Myers. ' Ma quando siamo usciti, tutti lo sapevano. Poi, proprio allora, qualcuno ha detto che era stato colpito il Pentagono ' . Qualcuno ha messo un cellulare in mano a Myers. Il generale Eberhart, comandante del NORAD, era dall'altra parte del filo, ' e parlava di quel che stava accadendo e delle iniziative che avrebbe preso ' ".

Nella sua testimonianza davanti alla Commissione per i Servizi Armati del Senato, Myers confermò ulteriormente che la decisione di far decollare i caccia fu presa durante la sua conversazione con Eberhart. Questa è un'affermazione alquanto strana, visto che nella stessa testimonianza Myers ha poi dichiarato che il Pentagono aveva tenuto sotto osservazione la crisi sin dal momento del primo schianto sul WTC. Nonostante ciò, i caccia furono fatti decollare solo dopo che tre aerei civili si erano schiantati sul WTC e il Pentagono!
Tutto questo è assolutamente fuori dalla norma: il decollo solitamente avviene in automatico secondo le procedure operative standard, senza che sia necessaria un'autorizzazione dagli alti comandi. Questo significa che sia il generale Myers sia il generale Eberhart dell'Air Force hanno violato le procedure obbligatorie per la risposta alle emergenze, ordinando la risposta ai dirottamenti quasi con un'ora e mezzo di ritardo. In realtà, i caccia dovevano decollare subito, e automaticamente, appena confermati i dirottamenti – o ancor prima, appena gli aerei avevano deviato dai loro percorsi di volo e le comunicazioni con il centro di controllo si erano interrotte.

La reazione del presidente George Bush ha evidenziato un pari livello di incredibile negligenze e indifferenza. Come è noto, egli era in visita ad una scuola in Florida. Il "New York Press" scrive: "Proprio mentre stava per lasciare il suo hotel, il presidente Bush fu informato dell'attacco alla prima torre del WTC. Un giornalista gli chiese se sapeva cosa stava succedendo a New York. Lui ha detto di sì, e poi è andato in una scuola elementare di Sarasota a fare delle letture ai bambini". A questo proposito, il critico canadese Barry Zwicker osserva:

"Il presidente viaggia con al seguito un gran numero di addetti [incluso] il servizio segreto, che è responsabile della sua sicurezza. I membri di questa squadra hanno le migliori attrezzature di comunicazione del mondo. Mantengono, o possono facilmente attivare, il contatto con il gabinetto di Bush, il Military Command Center nazionale al Pentagono, la FAA".

Ma Zwicker annota anche: "Alle 8.20, secondo il suo stesso rapporto ufficiale, la FAA è del tutto consapevole dell'emergenza senza precedenti che si verifica nello spazio aereo". Le implicazioni sono debitamente dedotte dallo stesso Zwicker, che scrive: "In altre parole, al più tardi intorno alle 8.46 il servizio segreto e il presidente avrebbero saputo di tutti e quattro gli aerei dirottati, e che uno di questo aveva colpito il WTC".
Ma invece di tenere immediatamente una riunione di emergenza per garantire la sua protezione e per programmare specifiche istruzioni per gli intercettori, Bush continuò la sua visita alla scuola elementare a leggere le storie ai bambini! Addirittura anche quando Andrew Card lo informò che un secondo aereo aveva colpito il WTC, Bush non uscì dall'aula per tenere una riunione di emergenza con gli ufficiali militari superiori. Rimase in aula per almeno altri venti minuti, prima di rilasciare una dichiarazione pubblica sugli attentati dal podio della scuola.
La condotta del presidente risulta ancor più sbalorditiva poiché il suo servizio di sicurezza avrebbe dovuto supporre che Bush fosse uno degli obiettivi a rischio. Per la verità, pare che uno degli agenti, mentre guardava la diretta televisiva del secondo aereo che centrava il WTC, disse: "Andiamocene via di qua immediatamente". Ma se anche pronunciò questa frase, nessuno gli diede ascolto. Nello stesso momento, come già detto, Cheney e la Rice erano stati trasferiti in tutta fretta nel bunker sotterraneo della Casa Bianca. Eppure, "per una qualche ragione, gli agenti del servizio di sicurezza non si precipitarono a portare via Bush", commenta il "Globe & Mail". "Perché a quell'ora il presidente non ricevette lo stesso trattamento?", si chiede il ricercatore Thompson. "Perché il servizio di sicurezza non lo allontanò dal luogo in cui tutti sapevano che si trovava?". C'è una ragione per porre questa domanda, come evidenzia lo stesso Thompson: "I dirottatori sarebbero potuti piombare con un aereo nel luogo tanto pubblicizzato dov'era Bush e il suo servizio di sicurezza, a quel punto, non avrebbe potuto far niente per fermarli". Dunque, perché Bush non si preoccupò della salvaguardia dei bambini, evitando di trasformare loro e gli oltre 200 presenti nella scuola in possibili bersagli terroristici? Forse la risposta è che sapeva di non correre alcun pericolo?
Bush stesso ha confermato che non cercò di intraprendere alcuna azione in quanto comandante in capo delle forze armate fino a quando gli attacchi non furono portati a termine:

"[…] E cominciai a riflettere intensamente, in quel breve lasso di tempo, sul significato della cosa. Sapevo che quando avessi avuto il quadro completo della situazione, se eravamo stati attaccati, i responsabili l'avrebbero pagata duramente […]. Cercai di raccogliere quante più informazioni possibile […] per accertarmi di conoscere la situazione […] su cosa esattamente stavo basando le mie decisioni[…]. E così dall'Air Force One chiamavo al telefono per conoscere i fatti […]. Avevo bisogno di sapere quel che era successo. Ma sapevo che dovevo agire. Sapevo che se la nazione viene attaccata il ruolo del comandante in capo è di rispondere con la forza per prevenire l'eventualità di altri attacchi. Così parlai al segretario alla Difesa, e una delle prime cose che feci fu quella di allertare il personale militare".

Si tratta di una confessione eccezionale per diverse ragioni. Il gruppo che accompagnava Bush, che comprendeva funzionari chiave del servizio segreto, era perfettamente a conoscenza di come gli eventi si stavano sviluppando l'11 settembre, dato che i servizi avevano stabilito un contatto diretto con la FAA verso le 8.45. Sembra quindi evidente che al presidente vennero costantemente fornite tutte le informazioni rilevanti sul corso degli eventi. Tuttavia, Bush ammette di non essere neppure riuscito a "conoscere i fatti" su cui "basare le sue decisioni" fino a quando non si mise a "chiamare al telefono dall'Air Force One". Eppure aveva avuto a quel punto ampio accesso ai fatti.
Bush non poteva essere al telefono sull'Air Force One prima delle 10 circa, l'ora cioè in cui il velivolo decollò dall'aeroporto di Sarasota, e quindi quasi un'ora dopo che era stato informato del secondo attacco al WTC o, in altri termini, un'ora e 15 minuti dopo che i servizi segreti avevano stabilito la linea di emergenza con la FAA e un'ora e 40 minuti dopo che la FAA aveva confermato il dirottamento del volo 11 da Boston! Per quell'ora, gli attacchi terroristici erano già stati portati a compimento con successo.

Infine, il comportamento incomprensibile di Bush e Myers trovò purtroppo un riscontro perfetto in quello del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. Proprio come gli altri due, pur essendo informato dello stato di crisi, Rumsfeld decise di ignorare la situazione, divenendo così corresponsabile dell'11 settembre.
Alcuni sostenitori del "Family Steering Committee for the 9/11 Independent Commission" e il membro del medesimo comitato Mindy Kleinberg, che ha perso il marito negli attentati, hanno ricostruito i movimenti del segretario alla Difesa Rumsfeld. Così riferisce il "New York Observer":

"Si trovava nel suo ufficio di Washington, intento alla sua ' solita riunione informativa con l'intelligence ' . Dopo essere stato informato dei due attacchi al WTC, proseguì la riunione fino a quando il terzo aereo colpì il Pentagono. Mindy riferì la cosa a Kristen [Breitweiser, una collega]: ' Ti pare possibile? Due aerei che si schiantano sulle Torri Gemelle non sono sufficienti a far sì che Rumsfeld lasci il suo ufficio per andare nella camera di guerra anche solo per controllare che cosa diavolo sta succedendo ' . Mindy aveva paura: ' E' il mio capo, è il mio segretario alla Difesa. Ma davvero Rumsfeld si è dovuto alzare dalla scrivania, andare alla finestra e vedere il Pentagono in fiamme, prima di rendersi conto che stava succedendo qualcosa di grave? Com'è possibile? '. ' Non è possibile ' , rispose Kristen".

La calcolata indifferenza di Rumsfeld di fronte agli attentati durante il loro svolgimento svela la sua natura del tutto inaccettabile se si considerano le già citate istruzioni emanate dal capo si Stato Maggiore il 1 giugno 2001. Queste istruzioni sottolineano il ruolo centrale del dipartimento della Difesa e del suo segretario nello stabilire la risposta militare a un dirottamento: fatta salva la risposta immediata che può essere attivata a discrezione dei comandi militari e di altri funzionari dotati dell'adeguato livello di comando, Donald Rumsfeld aveva la responsabilità principale dell'approvazione e della supervisione di qualunque risposta militare a un dirottamento. Eppure, nonostante questa incombenza fondamentale del suo ufficio, Rumsfeld ha palesato una totale mancanza di senso della responsabilità di fronte all'evolversi degli attentati. Come ha detto Kristen Breitsweiser, avvocato e moglie di una vittima dell'11 settembre, un simile comportamento oltrepassa semplicemente qualunque normale o giustificabile livello di incompetenza.

L'assoluta indifferenza di Myers, Bush e Rumsfeld, in un momento in cui erano loro ad avere, con gli altri funzionari del governo e delle forze armate, la responsabilità per la sicurezza del paese, è stupefacente e rivela un'intollerabile negligenza e disinteresse. Se avessero agito prima, avrebbero potuto impedire i successivi attacchi al WTC e al Pentagono, salvando migliaia di vite. E invece, rifiutando di rispondere in alcun modo agli attacchi, e continuando deliberatamente le loro attività in confronto banali, sembrano essersi sottratti ai loro doveri specifici verso il popolo americano, mentre gli attacchi andavano avanti indisturbati.

39. Perché la Commissione Indipendente sull'11 settembre non ha usato tutti i mezzi a sua disposizione per far luce sugli attentati? E perché il governo americano ha fatto di tutto per ostacolarla?

In effetti, dopo l'inchiesta congiunta del 2002 delle commissioni d'intelligence del Senato e della Camera dei rappresentanti USA, che produsse risultati a dir poco scarsi, il presidente Bush dovette accettare la formazione di un organismo investigativo che facesse luce sui fatti dell'11 settembre: fu così che fu istituita la "National Commission on Terrorist Attacks upon the United States" ("commissione nazionale sugli attacchi terroristici agli Stati Uniti"), nota in via informale come "9/11 Independent Commission" ("commissione indipendente sull'11 settembre").
Tuttavia, i problemi che questa commissione fu costretta ad affrontare furono subito enormi. Sin dall'inizio, infatti, l'amministrazione Bush cercò di ostacolarla. Per prima cosa fu stanziata una somma di denaro molto esigua per finanziarne i lavori: al gennaio 2003 le erano stati messi a disposizione solo 3 milioni di dollari, quando nel 1996 ne furono accordati 5 a una commissione federale per lo studio del gioco d'azzardo legalizzato. Nel marzo 2003, la rivista "Time" scriveva che l'organismo aveva chiesto un ulteriore finanziamento di 11 milioni di dollari, che però le era stato negato.
A ciò si aggiunse la lentezza con cui l'amministrazione emise i nulla osta di segretezza per il personale della commissione, sebbene il mandato prevedesse in maniera tassativa che i lavori fossero completati entro il maggio del 2004. Perfino Slade Gordon, un ex senatore repubblicano con una lunga esperienza in materia d'intelligence, il 12 marzo 2003 non aveva ancora ricevuto il proprio nulla osta. Per effetto di tali ritardi, quando finalmente, a metà del 2003, la commissione fu in grado di dare inizio ai lavori, aveva davanti meno di un anno per completarli. Un ulteriore impedimento, poi, fu la difficoltà nell'ottenere i documenti e le testimonianze necessari: ad esempio, anche se era previsto che la commissione utilizzasse come punto di partenza la relazione finale dell'inchiesta congiunta, l'amministrazione Bush non la rese pubblica fino alla fine del luglio 2003.
Considerata l'infinità di interrogativi sorti intorno all'11 settembre, tutti questi impedimenti rendevano praticamente impossibile per la commissione dare risposte definitive. A questo proposito, uno dei commissari, Max Cleland, nell'ottobre 2003 dichiarò al "New York Times": "Mi pare ovvio che la Casa Bianca voglia far scadere il tempo […] stiamo ancora negoziando con qualche loro assistente legale per avere i documenti. E' disgustoso".
Come se non bastasse, Bush fece chiaramente dipendere la propria autorizzazione a procedere dalla nomina del presidente, che volle riservare per sé. Il primo nome fu quello di Henry Kissinger, scelta che molti accolsero con incredulità per via del diffuso scetticismo circa la sua capacità di guidare la commissione in maniera indipendente e imparziale. Questa scarsa fiducia era dovuta a possibili conflitti di interessi: Kissinger, infatti, percepiva ingenti onorari come consulente di società con importanti investimenti in Arabia Saudita, paese che oltre ad aver sovvenzionato molti dirottatori dell'11 settembre, costituiva la principale e costante fonte di aiuti ad Al Qaeda; e inoltre aveva stretti rapporti con la UNOCAL, la compagnia petrolifera che aveva progettato la costruzione del famoso oleodotto in Afghanistan. Piuttosto che smentire i suoi possibili conflitti di interessi rendendo noti i suoi affari, Kissinger rinunciò all'incarico.
Fu dopo questo insuccesso che fu scelto Thomas H. Kean. Anche in questo caso comunque i contestatori protestarono, poiché Kean faceva parte del consiglio di amministrazione dell'Amerada Hess, compagnia petrolifera che ha grossi investimenti in Asia centrale e che si è associata alla Delta Oil saudita. Anche i restanti membri della commissione, a quanto si dice, non sono immuni da conflitti di interessi. La diffidenza verso una commissione guidata da questi personaggi derivava soprattutto dal timore che costoro non esercitassero la pressione necessaria a ottenere testimonianze veritiere o ad accedere a documenti imprescindibili. Forse questo accadde già nel novembre 2003, quando Kean acconsentì alle restrizioni imposte dalla Casa Bianca in merito ai promemoria dell'intelligence chiamati PDB, "Presidential Daily Brief", come quello del 6 agosto 2001. L'accordo accettato da Kean consentiva alla Casa Bianca di stralciarne alcune parti prima dell'invio alla commissione, e soltanto un ristretto numero di membri aveva il permesso di prenderne visione. Max Cleland definì questa situazione "ridicola", dichiarando: "Il presidente degli Stati Uniti sceglie con cura quali informazioni mostrare a quali commissari".
La situazione provocò la prima spaccatura all'interno dell'organismo. Cleland aggiunse:

"Una commissione indipendente dovrebbe essere tale e non scendere a patti con nessuno […]. Non credo che si possa permettere a un'agenzia o alla Casa Bianca di imporle il numero di commissari e la parte di documento di cui può prendere visione […] non dovremmo fare compromessi con nessuno. Se qualcuno cerca un compromesso, usiamo lo strumento che impone l'esibizione degli atti richiesti".

Ma a far infuriare i parenti delle vittime dell'11 settembre non furono tanto questi avvenimenti, quanto l'atteggiamento tenuto dalla commissione. Nel maggio 2004, durante alcuni incontri svoltisi a New York, i membri delle famiglie espressero un disgusto perfino maggiore che in passato. Sara Kugler dell'Associated Press riportò che, giunti alla fine delle indagini, "i congiunti delle vittime sono furibondi con la commissione per quello che definiscono un fallimento nella ricerca della verità sulle stragi". Il giorno dopo l'audizione dell'ex sindaco Giuliani, un familiare disse: "Oggi è stata una beffa […] domande scomode non ne fanno". L'interrogatorio si concluse infatti bruscamente "quando i parenti si sono alzati gridando che la commissione federale poneva ' domande in punta di piedi ' e accettava le risposte di Giuliani senza far alcuna pressione". Qualcuno fu portato fuori dall'aula dopo aver urlato: "Sono morte tremila persone! Facciamo qualche domanda seria!". A un certo punto, dopo che il presidente Kean, rivolgendosi ai familiari più agitati, disse: "State solo sprecando tempo", questi risposero: "E' lei che sta sprecando tempo!".
A indignare in modo particolare la famiglie fu l'atteggiamento tenuto dai commissari nei confronti di Giuliani, perché pur disponendo soltanto di cinque minuti ciascuno per interrogarlo, utilizzarono parte di quel tempo prezioso per elogiarlo sul modo in cui aveva gestito la crisi. Lo stesso Kean, ad esempio, disse: "Quel terribile giorno la città di New York in un certo senso fu fortunata perché a guidarla c'era lei. Aveva un grande, grande leader che si assunse la responsabilità di un evento tanto terribile".

Secondo i contestatori, invece di tenere questo atteggiamento irritante, la commissione avrebbe dovuto porre a Giuliani ben altre domande. Ad esempio: come spiega il fatto che sebbene in altre città del mondo non siano mai crollati grattacieli con struttura d'acciaio per i danni provocati da incendi, a New York l'11 settembre ne crollarono tre? Oppure: considerato il fatto che si tratta di un reato federale rimuovere materiale probatorio dal luogo del crimine, perché diede l'ordine, o quantomeno permise che l'acciaio delle Torri gemelle e dell'Edificio 7 fosse portato via prima di poter essere esaminato? E, infine: è vero che ha fatto apporre i sigilli per un periodo di 25 anni a tutti i documenti relativi alla sua attività di sindaco di New York? Se sì, perché?

40. Perché il governo degli Stati Uniti, dopo aver facilitato la buona riuscita degli attacchi con comportamenti inspiegabili, ancora oggi ostacola e minaccia chiunque cerchi di scoprire la verità sull'11 settembre?

E' proprio così: i funzionari del governo USA non solo hanno "aiutato" i terroristi a portare a compimento gli attentati dell'11 settembre, ma si impegnano ancora oggi affinché tutti coloro che indagano per scoprire la verità su quel tragico giorno non riescano nel proprio nobile intento.
Il caso che illustrerò come esempio è sicuramente uno dei tanti, ma già da solo rende l'idea della sconcertante situazione odierna negli Stati Uniti.

Stanley Hilton, noto avvocato statunitense, già esponente del Partito Repubblicano e consigliere capo del senatore Bob Dole, è attualmente patrocinatore di molti familiari delle vittime degli attacchi dell'11 settembre 2001 e di numerosi cittadini che come contribuenti hanno fatto causa al governo per quei tragici fatti. Il 10 settembre 2004 è stato intervistato in diretta dal giornalista Alex Jones sulle frequenze della stazione radio FVOA, "Free Voice of America". Dalla lunga e dettagliata intervista, di cui riporto degli stralci, una parte delle sue dichiarazioni ci danno modo di capire come, con tutta probabilità, si siano svolti realmente i fatti in quella giornata terribile e non come hanno cercato di farci credere:

"La nostra denuncia sostiene che Bush e i suoi pupazzi come Rice, Cheney, Mueller (capo dell'FBI), Rumsfeld e Tenet (direttore della CIA) e così via, furono tutti coinvolti non soltanto nell'aiutare, favorire e permettere che accadesse l'11/9 ma in realtà nell'ordinare il suo compimento. Bush lo ha ordinato personalmente. Siamo in possesso di alcuni documenti molto incriminanti così come abbiamo dei testimoni oculari che provano come Bush ordinò personalmente questo evento per suo vantaggio politico, per perseguire un falso programma politico a vantaggio dei neocons e del loro deludente ragionamento sul Medio Oriente. Voglio soltanto brevemente ricordare di aver compiuto i miei studi con alcuni di questi neocons. Frequentai verso la fine degli anni '60 l'università di Chicago con Wolfowitz, Feith e diversi altri, quindi li conosco personalmente. Discutevamo di questi fatti quasi tutto il tempo e io feci la mia tesi principale su questo soggetto – come trasformare gli USA in una dittatura presidenziale costruendo un falso evento tipo Pearl Harbor. Per cui, tecnicamente, quanto è successo era in programma da almeno 35 anni.

Per conto dei miei clienti, che sono circa 400 tra familiari delle vittime e cittadini contribuenti, abbiamo denunciato Bush, la Rice, Cheney, Rumsfeld, Mueller e altri per complicità non soltanto nel permettere che accadesse l'11/9 ma per averlo ordinato. Noi riteniamo i dirottatori, e abbiamo la moglie di uno di loro come testimone, agenti clandestini statunitensi. Erano agenti doppi pagati dalla CIA e dall'FBI per spiare i gruppi arabi negli USA. Erano controllati. I loro padroni di casa a San Diego e in altre località erano degli informatori dell'FBI. Questa fu un operazione diretta, clandestina, ordinata personalmente da George W. Bush. Non si trattò di incompetenza – anche se si tratta di un incompetente. Il fatto è che lui ha personalmente ordinato l'attacco di cui era a conoscenza.

Sono stato minacciato personalmente dal giudice capo della Corte Federale perché ritirassi l'esposto, minacciato di essere espulso dal tribunale con un atto disciplinare, dopo 30 anni di attività forense senza aver mai avuto problemi disciplinari. Sono stato minacciato dall'FBI, i miei collaboratori sono stati minacciati. Il mio ufficio è stato violato circa sei mesi fa, hanno rubato i fascicoli dagli archivi, fascicoli che riguardavano questi fatti, in particolare quelli con i documenti che provavano come alcuni dei dirottatori fossero stipendiati regolarmente come agenti coperti di CIA e FBI. Le prove dimostrano come l'entità che loro chiama Al Qaeda sia, essenzialmente, una creazione dell'amministrazione Bush. Tutti questi documenti vennero trafugati ma, per fortuna, avevo fatto delle copie. Oltre ad aver minacciato i miei assistenti l'FBI ha anche cercato di inserire una spia tra i miei collaboratori. Trovo oltraggioso che vengano usati questi metodi nazisti per ostacolare la giustizia, queste persone sono dei criminali. Abbiamo raccolto prove documentali e testimonianze giurate da ex agenti clandestini e da informatori dell'FBI, sul fatto che funzionari nel Pentagono, nell'esercito e nell'aeronautica ebbero a che fare con molte esercitazioni, molte prove generali sull'11/9 prima che questo accadesse. Bush aveva visto queste simulazioni sullo schermo in molte occasioni. Si confuse rivelando questo durante una conferenza stampa in California cinque mesi dopo l'11/9: dichiarò che aveva visto sul video il primo aereo colpire la prima torre. Ciò non è possibile perché ufficialmente non esistono immagini video di questo. Siamo in possesso di alcuni documenti che provano come Bush abbia personalmente ordinato gli eventi dell'11/9. Un ufficiale della FEMA (l'organizzazione della protezione civile statunitense) ha dichiarato in una registrazione come le loro unità fossero già sul posto la notte precedente, il 10 settembre, ed è proprio così.

Ho interrogato dipendenti del NORAD e dell'Air Force. Personalmente conosco il NORAD da molti anni, dal periodo in cui lavoravo per il senatore Dole. Conosco molto bene il sito di Cheyenne Mountain a Colorado Spring dove ha sede il NORAD. Questi ufficiali mi hanno confermato che vi furono come minimo 35 prove dell'attacco nei due mesi precedenti l'11/9. Tutto fu pianificato, l'obiettivo esatto. In quel giorno vi furono cinque missioni, forse Bush pensava che fossero prove. Solo in questo modo si spiega la sua tranquillità. E' per questo che l'11/9 nelle comunicazioni di operatori del NORAD e controllori del traffico aereo si sente chiedere 'È parte di un'esercitazione? È una prova questa?' Ne sono venuto a conoscenza nel marzo 2003. Fu tutto pianificato. Fu un'operazione ordinata dal governo. Bush firmò personalmente l'ordine. Egli autorizzò personalmente gli attacchi. Egli è colpevole di tradimento e di strage di massa. E ora cercano di ostacolare la giustizia tentando di utilizzare un giudice federale e gli agenti dell'FBI per inibire una legittima denuncia civile in questo paese.

Parte della nostra denuncia è fatta in nome degli Stati Uniti perché sotto fraudolenza federale (Claim Act) noi accusiamo l'amministrazione Bush di aver presentato delle dichiarazioni false al Congresso. E per quanto previsto dal Titolo 31 del codice statunitense essi devono riferire queste informazioni. È per questo che cercano di minacciarmi, invadono il mio ufficio, rubano i miei documenti, creano evidente ostacolo alla giustizia e altri crimini per cercare di prevenire un esposto civile legittimo che espone questi criminali e i loro atti di tradimento e omicidio di massa. Non mi piacciono le minacce, ma devo dire che sono state molto scioccanti per me e i miei collaboratori. In particolare perché ricevi una minaccia dal giudice che presiede la tua corte. Ho deciso di rivelare pubblicamente tutto questo perché dopo tutte le prove ed evidenze che sono riuscito a mettere insieme in oltre un anno e mezzo mi sembra ovvio che si sia tratto, al di là di ogni dubbio, di un'operazione governativa che risulta come il più grave atto di tradimento e di omicidio di massa nella storia degli Stati Uniti. Questo significa che abbiamo un criminale e traditore seduto alla Casa Bianca che pretende di essere un patriota e si avvolge nella bandiera. È particolarmente disgustoso perché l'altro versante della cosiddetta opposizione, il campo di Kerry, non sta proprio dicendo niente perché hanno paura di parlare. I documenti classificati del National Security Council sono parte di una serie di documenti che hanno a che fare con i documenti sulle esercitazioni. Questi aerei erano telecomandati a distanza come dichiarai oltre un anno e mezzo fa; c'era un sistema chiamato Cyclops. Sul muso dell'aereo era stato installato un circuito computerizzato che abilitava il controllo da terra, il controllo militare, per disattivare il comando dei piloti sull'aereo e dirigerli direttamente sulle torri. Questo è quello che è successo. È una tecnologia simile a quella del Global Hawk, che è un aereo senza pilota telecomandato a distanza. E loro hanno fatto questo. I documenti riservati del National Security Council indicano chiaramente che ebbero semaforo verde nell'ordinare l'attacco e che non era un'esercitazione. Le esercitazioni che fecero erano chiaramente sottolineate mentre questa fu un'operazione del governo. Immaginate perché mai questi individui stiano cercando di minacciare e intimidire le persone che hanno scritto questa denuncia, suppongo perché hanno assassinato 3000 dei nostri concittadini assieme alla corrotta famiglia reale saudita come ha fatto Bush. E se poi ancora sprechi miliardi di dollari in un'inutile e sporca guerra in Iraq, suppongo che hai qualcosa da temere per cui minacci le persone per prevenire che la cosa venga fuori".

[Ndr: Vi sono indiscrezioni sul fatto che questi arabi agenti della CIA, furono addestrati presso la base aeronavale di Pensacola e che fossero effettivamente a bordo degli aerei. Fonti militari affermano che tutti gli occupanti degli aerei furono uccisi dal gas nervino e in seguito gli aerei vennero diretti contro gli edifici.]

"È una delle cose su cui stiamo lavorando, sul fatto che il gas nervino o qualcosa di simile abbia inibito le persone. È possibile. Ma onestamente non ne sono ancora sicuro. Questi agenti a bordo degli aerei erano, essenzialmente, fumo. Intendo dire, il caso del dirottamento e un classico decoy (falso obiettivo). Abbiamo una certa esperienza militare e questo viene chiamato un decoy. Una operazione mascherata. Fai in modo che le persone focalizzino la loro attenzione sul decoy per evitare che osservino i criminali reali. Così tutti si sono focalizzati sui cosiddetti 19 dirottatori e hanno detto: 'Oh, saranno stati questi arabi.' Mentre, in realtà, la persona responsabile stava al 1600 Pennsylvania Avenue (indirizzo della Casa Bianca, Ndr) – seduta nell'ufficio ovale. Questo è il colpevole. È lui la persona che ha autorizzato questo. Vi è soltanto una persona che può aver autorizzato questa operazione e questa è Bush. Nonostante questi fatti Bush sta per essere rieletto, perché gli organi d'informazione dormono. Perché i mass-media, di proprietà di quello stesso complesso militare-industriale che ha ordinato l'attacco, sono interessati soltanto a mantenere la fantasia ufficiale del governo. Quegli arabi non sarebbero neanche riusciti a rullare l'aereo fino alla pista.

Mi sembra che ora siamo in una situazione come quando si addensano i nuvoloni neri prima di una tempesta, nel senso che essi sono carichi di rabbia. Molti cittadini sono proprio furiosi verso i politici criminali che hanno ostacolato e abusato del governo per assassinare i suoi stessi cittadini e perseguire dubbie finalità politiche. Molte persone, in numero crescente, hanno voglia di parlare e parleranno di fronte ad un mandato di comparizione, ma solo di fronte ad esso perché la linea ufficiale del governo è il silenzio e il non parlare con gli avvocati del processo. Sempre di più, essi sono molto oltraggiati dal fatto che parte del governo abbia fatto questo al suo popolo, ai suoi propri concittadini. E il fatto che questi personaggi si atteggino come patrioti e si avvolgano nella bandiera è disgustoso.

Se un sufficiente numero di cittadini si sentirà sufficientemente oltraggiato, le persone nella burocrazia, nei servizi pubblici e nei militari forniranno testimonianze per smascherare questi individui. Perché questi individui hanno un piano e sono estremamente pericolosi. Sono armati e pericolosi. Rappresentano un pericolo per ogni persona che ama la libertà non soltanto in America ma nel mondo intero".

41. Perché l'idea che il governo americano possa agevolare o addirittura organizzare attentati contro i propri concittadini appare così incredibile?

In effetti, se prospettassimo questa ipotesi a cento persone, tutte e cento risponderebbero che non credono a questa possibilità, che questa è un'argomentazione offensiva, campata in aria. Basterebbe però scavare a fondo nella storia americana degli ultimi 50 anni per rendersi conto che qualcosa di strano c'è stato, anche se non è mai trapelato. Anche in questo caso probabilmente gli esempi sarebbero numerosi, e anche in questo caso ne analizzerò uno in particolare, il più eclatante: il Piano Northwoods.

Il piano Northwoods per inscenare falsi attacchi contro gli Stati Uniti, e quindi giustificare una eventuale invasione di Cuba, venne sviluppato dai Capi di Stato Maggiore dell'Esercito, nel 1962. Probabilmente, non fu mai messo in atto per paura di ritorsioni da parte dell'Unione Sovietica. Il documento è consultabile su Internet, e proviene dall'Archivio della Sicurezza Nazionale, che pubblica documenti top-secret declassificati, acquisiti in virtù dell'Atto sulla libertà dell'Informazione. Perché tradurne una parte adesso? Primo, perché nel documento vi sono aspetti che ricordano lo svolgimento dei fatti dell'11/9 secondo le cosiddette "fonti della cospirazione interna". Secondo, perché ci insegna per l'ennesima volta che quando sentiamo parlare di un attentato occorre estrema cautela prima di attribuirne a qualcuno la paternità.

Ecco gli stralci del documento che particolarmente ci interessano:

"MEMORANDUM PER IL SEGRETARIO DELLA DIFESA

Soggetto: Giustificazione dell'intervento militare americano a Cuba.

I Capi di Stato Maggiore Riuniti dell'Esercito allegano il memorandum per la principale delle operazioni, Progetto Cuba, come richiesto per una breve ma precisa descrizione dei pretesti che potrebbe fornire una giustificazione per un intervento militare a Cuba".

Successivamente alla premessa ha inizio un lungo elenco di azioni da intraprendere per accusare Cuba di aggressione: si và da attacchi di cubani "amici" nella base americana (da arrestare e mostrare come prova) al falso sabotaggio di aerei o di navi con l'uso di naftalene, ecc. e si prosegue con:

"…..Potremmo far esplodere una nave americana nella Baia di Guantanamo e accusare Cuba; potremmo far esplodere una nave teleguidata nelle acque cubane, possibilmente nelle acque antistanti Havana o Santiago ..la presenza di aerei o navi cubane giunte sul luogo per ispezionare il vascello potrebbe rendere più credibile l'attacco. La vicinanza all'Havana o a Santiago aggiungerebbe credibilità specialmente per quelle persone che potrebbero udire lo scoppio o vedere le fiamme. Gli USA potrebbero intervenire con una operazione di "recupero" dell'equipaggio (non esistente). La lista delle persone decedute pubblicata sui giornali potrebbe determinare una utile ondata di indignazione

…Potremmo organizzare una campagna di terrorismo cubano comunista nell'area di Miami, in altre città della Florida e persino a Washington….potremmo attentare alla vita di rifugiati cubani fino al punto di ferirli per ottenerne un largo riscontro pubblicitario. Potrebbe anche essere utile….far esplodere alcuni ordigni in luoghi attentamente scelti, l'arrestare agenti cubani e rilasciare documenti già preparati che dimostrino il coinvolgimento cubano".

Non solo ma anche far credere che Cuba abbia l'intenzione di attaccare una vicina nazione dei Carabi, per esempio…

"….Aerei del tipo C-46 e B-26 'cubani' potrebbero compiere raid notturni,…potrebbe essere inviati messaggi ai combattenti comunisti della Repubblica Domenicana e potrebbero essere fatti trovare equipaggiamento di armi sulla spiaggia".

Ci avviciniamo al clou del documento, quello che più ci interessa…

"L'impiego di aerei tipo MIG guidati da piloti americani potrebbero fornire una aggiuntiva provocazione. Attacchi su aerei civili e su navi, e distruzione di un aereo teleguidato da parte di aerei tipo MIG sono utili azioni complementari. Un F-86 adeguatamente truccato potrebbe convincere i passeggeri di un aereo di linea di aver visto un MIG cubano in azione, specie se il pilota, adeguatamente istruito, fa notare il fatto…."

Ma non basta…

"E' possibile creare un incidente che possa dimostrare convincentemente che un aereo cubano ha attaccato e abbattuto un aereo charter in volo dagli Stati Uniti alla Giamaica, Guatemala, Panama o Venezuela…… I passeggeri potrebbero essere un gruppo di studenti di un college in vacanza o qualche gruppo di persone con un comune interesse a noleggiare un volo non di linea".

Come si sarebbe dovuto svolgere questo piano nei particolari? (per ora si sa che c'è un aereo, ci sono passeggeri e che questo aereo sarà abbattuto)…

"...Un aereo alla base dell'aeronautica militare di Eglin verrebbe truccato, verniciato e numerato per divenire l'esatto duplicato di un aereo civile registrato e appartenente ad una organizzazione di proprietà della CIA nell'area di Miami. Ad un tempo stabilito il duplicato avrebbe preso il posto dell'aereo civile vero e avrebbe accolto i passeggeri selezionati, tutti quanti sotto falsi nomi accuratamente preparati".

Riassumiamo: aereo falso, passeggeri veri, nomi falsi.

"…L'aereo vero verrebbe convertito in un aereo teleguidato".

Aggiungiamo al riassunto: aereo vero guidato in modo remoto (ai detrattori della "teoria della cospirazione interna" suggerisco di prendere nota dell'anno in cui sono state scritte queste cose: era il 1962, cioè 40 anni prima dell'11 settembre gli aerei di linea potevano essere teleguidati).

"…I tempi di decollo degli aerei saranno programmati in modo da permettere un ricongiungimento a Sud della Florida. Nel punto stabilito di ricongiungimento l'aereo che trasporta i passeggeri inizia la discesa e va ad atterrare alla Base di Eglin dove si predisporrà l'evacuazione dei passeggeri e il ritorno allo stato originale dell'aereo. L'aereo falso teleguidato continuerà nel frattempo a volare secondo i piani programmati. Giunto sopra Cuba l'aero inizierà a trasmettere su frequenza internazionale un messaggio di "May Day" per far credere di essere sotto attacco di un MIG cubano. La trasmissione verrà interrotta dalla distruzione dell'aereo che sarà provocata da un segnale radio. Questo permetterà alle stazioni radio ICAO nell'emisfero occidentale di dire agli Stati Uniti ciò che è accaduto all'aereo invece di far sì che siano gli USA a 'vendere' l'incidente".

Perché tutti questi piani? La risposta ce la offre lo stesso documento: "stabilito che una rivolta interna è impossibile da ottenere durante i prossimi 9-10 mesi, è necessario che gli Stati Uniti sviluppino una 'provocazione' cubana per giustificare un'azione militare".

E l'11 settembre? E' stato necessario sviluppare una provocazione islamica per giustificare un'azione militare?

L’ULTIMA DOMANDA: PERCHÉ?

Gli argomenti che abbiamo trattato finora forniscono un quadro generale attorno all'11 settembre abbastanza inquietante. In pratica, abbiamo riscontrato indizi, testimonianze, comportamenti che ci inducono a pensare che ciò che ci è stato raccontato riguardo l'11 settembre sia ben lontano dalla verità. Ma non solo. Dopo essere venuti a sapere tutte queste cose, tutti noi non possiamo più escludere l'ipotesi più estrema riguardo quel giorno: è possibile che il governo americano abbia agevolato, o addirittura organizzato gli attentati terroristici dell'11 settembre? E' possibile che il governo americano abbia deliberatamente ucciso 3000 suoi concittadini? E' possibile che siamo stati tutti ripetutamente e sfacciatamente presi in giro? Non lo sappiamo se è possibile. Forse non lo sapremo mai. Probabilmente, però, la domanda più importante è un'altra: perché? Se anche le nostre ipotesi "estreme", "complottiste", si rivelassero un giorno esatte, ci chiederemo sempre: perché? Esiste un motivo, una ragione per cui sia giusto uccidere tanta gente, per cui sia giusto mentire per tanti anni? Secondo me non esiste. Però mi sono sforzato di cercarla. E qualcosa ho trovato. Non so se è stato proprio questo a spingere il governo americano ad agire in quel modo, e neanche mi interessa: quello che hanno fatto è imperdonabile, e nulla potrà mai giustificarlo.

Comunque, per completezza di informazione, illustrerò quello che ho scoperto. Si tratta di due documenti eccezionali, che trattano del futuro del nostro pianeta e del ruolo che in esso gli Stati Uniti dovranno giocare.

Il primo è uno studio del 1997 del "Council on Foreign Relations" (CFR), redatto da un consulente strategico USA di vecchia data, già consigliere per la Sicurezza Nazionale sotto l'amministrazione Carter, e cioè Zbigniew Brzezinski. Argomento principale di questo studio (intitolato "The Grand Chessboard", la grande scacchiera) è il fatto che l'Asia centrale è uno strumento essenziale per il controllo del pianeta, insieme alle approfondite pianificazioni strategiche per un futuro intervento americano nella regione. La trattazione entra nei minimi dettagli per ciò che riguarda gli interessi statunitensi in Eurasia e la necessità di un coinvolgimento "prolungato e diretto" degli USA in Asia centrale, allo scopo di tutelare questi interessi. In questo contesto, Brzezinski nota come la chiave per il dominio sull'Eurasia sia nel controllo delle repubbliche dell'Asia centrale, tra cui l'Afghanistan. L'ex consigliere riconosce poi in Russia e Cina le due principali potenze che potrebbero minacciare gli interessi USA nella regione; ed è la Russia la minaccia maggiore. Gli USA devono di conseguenza riuscire a manipolare le potenze "minori" circostanti, come l'Ucraina, l'Azerbaigian, l'Iran e il Kazakhstan, così da contrastare le mosse della Russia e della Cina per controllare il petrolio, il gas, e i minerali delle repubbliche dell'Asia centrale, e cioè il Turkmenistan, l'Uzbekistan, il Tadzikistan e il Kyrghizistan. L'autore nota inoltre come una nazione che diventasse predominante nell'Asia centrale rappresenterebbe una minaccia diretta al controllo americano delle risorse petrolifere. Le repubbliche dell'Asia centrale, egli osserva, "sono importanti dal punto di vista della sicurezza e delle ambizioni storiche per almeno tre dei più prossimi e più potenti vicini, e cioè la Russia, la Turchia e l'Iran, mentre anche la Cina mostra un crescente interesse politico per la regione":

"Ma i 'Balcani eurasiatici' sono infinitamente più importanti come potenziale preda economica: nella regione c'è un'enorme concentrazione di riserve di gas naturali e di petrolio, oltre a importanti minerali, tra cui l'oro. […] L'impetuoso sviluppo economico dell'Asia sta già generando massicce spinte verso la ricerca e lo sfruttamento di nuove fonti di energia, ed è risaputo che le regioni dell'Asia centrale e del bacino del Mar Caspio contengono riserve di gas naturali e di petrolio che potrebbero far apparire ridicole quelle del Kuwait, del Golfo del Messico o del Mare del Nord . […] Il Kazakhstan è lo scudo e l'Uzbekistan l'anima dei vari risvegli nazionali della regione. […] L'Uzbekistan è, di fatto, il primo candidato alla guida dei paesi dell'Asia centrale. […] Una volta che saranno costruiti gli oleodotti diretti verso quell'area, le riserve, veramente ampie, di gas naturali del Turkmenistan garantiranno un futuro prospero alla popolazione del paese. […] Di fatto, il revival islamico fornirà probabilmente l'impulso a mobilitarsi per un nuovo nazionalismo, sempre più dilagante e determinato a opporsi a qualsiasi ritorno sotto il controllo dei russi […]".

Da tutte queste argomentazioni l'autore ha poi ricavato:

"Ne segue che è primario interesse dell'America contribuire a far sì che nessuna singola potenza conquisti il controllo di questo spazio geopolitico, e che la comunità globale possa avervi accesso finanziario ed economico senza incontrare alcun ostacolo" :

"L'America è ora l'unica superpotenza globale, e l'Eurasia è l'arena centrale del globo. Ne segue che quel che accade quanto a distribuzione delle aree di influenza nel continente eurasiatico sarà di decisiva importanza per il primato globale dell'America, e per il retaggio storico dell'America […]. Se non c'è un coinvolgimento americano diretto e prolungato, in tempi non così lunghi le forze del disordine globale potrebbero giungere a dominare la scena del pianeta".

Queste osservazioni di Brzezinski sono strettamente legate al principale punto d'interesse del CFR, cioè il mantenimento del dominio globale statunitense:

"L'ultimo decennio del XX secolo ha visto un colossale cambiamento della situazione mondiale. Per la prima volta una potenza non eurasiatica, gli Stati Uniti, è divenuta non solo il principale arbitro delle relazioni tra le potenze eurasiatiche, ma anche la potenza suprema del pianeta. […] Ma adesso è assolutamente necessario che non emerga nessuno sfidante eurasiatico capace di dominare l'Eurasia, e quindi anche di sfidare l'America. Lo scopo di questo libro è dunque la formulazione di una geostrategia eurasiatica complessiva e integrata. […] Per l'America, la principale posta in gioco è l'Eurasia. […] In tale contesto, il modo in cui l'America gestisce l'Eurasia è un elemento critico. Si tratta del più vasto continente del globo, che totalizza i tre quarti delle risorse energetiche conosciute. La potenza che lo dominasse controllerebbe due delle tre aree più avanzate ed economicamente produttive. Basta inoltre un semplice sguardo alla cartina geografica per cogliere che il controllo dell'Eurasia comporterebbe quasi automaticamente la subordinazione dell'Africa, rendendo l'emisfero occidentale e l'Oceania geopoliticamente periferici rispetto al continente centrale del mondo. […] Quindi può darsi che gli Stati Uniti debbano decidere come affrontare coalizioni nazionali che cercassero di spingere l'America fuori dall'Eurasia, minacciando così il suo status di potenza globale […]".

Allargando il discorso, Brzezinski osserva:

"Visti i segnali d'allarme che appaiono in Europa e in Asia, la politica americana, per essere vincente, dovrebbe focalizzarsi sull'Eurasia nel suo complesso ed essere guidata da un progetto geostrategico. […] Ciò pone l'accento sulle manovre e la manipolazione necessarie a prevenire l'emergere di una coalizione ostile che possa cercare di minacciare il primato dell'America. […] Il compito più immediato è quello di assicurare che nessuno Stato o unione di Stati conquisti la capacità di espellere gli Stati Uniti dall'Eurasia, o anche di sminuirne in modo significativo il decisivo arbitrato. […] Alla lunga, la politica globale diventerà sempre meno congeniale alla concentrazione del potere egemonico nelle mani di un singolo Stato. E quindi l'America non solo è la prima, oltre che la sola, vera superpotenza globale; ma probabilmente è anche destinata a essere l'ultima".

Quello che afferma subito dopo l'ex consigliere alla Sicurezza Nazionale è di fondamentale importanza:

"Inoltre, dato che l'America sta diventando una società sempre più multiculturale, può essere difficile suscitare consenso sulle questioni di politica estera, eccetto che nel caso di una minaccia esterna diretta, veramente grande e percepita in modo generalizzato".

Tutto questo dovrebbe essere messo a confronto con la precedente affermazione: "L'atteggiamento del popolo americano verso la proiezione esterna del potere USA è stato molto ambivalente. L'impegno americano nella seconda guerra mondiale in gran parte è stato sostenuto a causa dell'effetto scioccante dell'attacco giapponese a Pearl Harbor".

In pratica, Brzezinski sembra suggerire che solo un attacco contro gli Stati Uniti nello stile di Pearl Harbor sarebbe sufficiente a generare il sostegno interno richiesto per mettere in atto la sua grande strategia geopolitica.

Il secondo documento di cui parlerò è altrettanto esplicito. Si tratta di un progetto, scoperto dal "Sunday Herald", per la creazione di una "Pax Americana globale", redatto per Dick Cheney (l'odierno vicepresidente), Donald Rumsfeld (segretario alla Difesa), Paul Wolfowitz (vice di Rumsfeld), Jeb Bush (fratello minore del presidente) e Lewis Libby (il capo dello staff di Cheney). Il documento, intitolato "Rebuilding America's Defences: Strategies, Forces and Resources For A New Century" e disponibile al link http://www.newamericancentury.org/RebuildingAmericasDefenses , fu scritto nel settembre 2000 dal "thinktank" neoconservatore chiamato "Project for The New American Century" (PNAC). Altri membri dell'amministrazione Bush che contribuirono al rapporto sono John Bolton (sottosegretario di Stato), Stephen Cambone (capo dell'Ufficio Programma, Analisi e Valutazione del Pentagono), Devon Gross (membro del Consiglio Politico della Difesa) e Dov Zakheim (controllore della gestione del dipartimento della Difesa).

Il piano delineato in questo documento del PNAC rappresenta le posizioni di fondo del gabinetto Bush e vale perciò la pena di esaminarlo in qualche dettaglio. In buona sostanza il documento sostiene un "progetto per conservare la supremazia globale USA, precludere l'ascesa di una grande potenza rivale e plasmare l'ordine della sicurezza internazionale in linea con i principi e gli interessi americani". In questa vena, le forze armate statunitensi operanti all'estero sono descritte come "la cavalleria della nuova frontiera americana". Una "missione cardine" della "cavalleria" è "combattere e vincere nettamente più guerre simultanee su importanti teatri". Al fine dunque di preservare la "Pax Americana globale", il rapporto sostiene che le forze USA devono assolvere "compiti di polizia": in altre parole, agire come poliziotto del mondo scalzando così le Nazioni Unite. Le missioni di "peacekeeping", per esempio, "richiedono una guida politica americana anziché quella delle Nazioni Unite". Per assicurare questa condizione e impedire a un qualsiasi paese di sfidare gli Stati Uniti, si prosegue, deve essere promossa in tutto il mondo una presenza militare USA molto più ampia, che vada ad aggiungersi alle circa 130 nazioni dove già stazionano forze americane. A tal fine vanno istallate basi militari permanenti in Medio Oriente, nell'Europa sud-orientale, nell'America Latina e nel sud-est asiatico, dove in precedenza non ne esistevano.

Ai fini di questo studio, il progetto del PNAC mostra in particolare che il gabinetto di Bush aveva programmato di stabilire il controllo militare sul Golfo Persico a prescindere da Saddam Hussein e da qualsiasi minaccia il suo regime potesse aver posto al mondo. "Gli Stati Uniti cercano da decenni di svolgere un ruolo più stabile nella sicurezza regionale del Golfo", fa notare il documento. "Anche se il conflitto irrisolto con l'Iraq fornisce la giustificazione immediata, il bisogno di una presenza consistente di forze americane nel Golfo trascende il problema del regime di Saddam Hussein". In un colpo solo il documento sfata il mito che il piano di Bush di invadere l'Iraq fosse dettato principalmente da preoccupazioni relative al regime di Saddam come le armi di distruzione di massa. Ma l'Iraq è solo l'inizio. Tra gli altri punti pertinenti sollevati dal rapporto del PNAC c'è il fatto che, "anche qualora Saddam uscisse di scena", gli Stati Uniti intendono conservare a tempo indeterminato basi militari in Arabia Saudita e Kuwait, malgrado l'opposizione interna.

Il documento elenca inoltre vari altri stati come pericolosi fuorilegge che rappresentano una minaccia per i disegni americani, vale a dire Corea del Nord, Libia, Siria e Iran. L'esistenza di questi regimi richiede l'istituzione di un "sistema di comando e controllo mondiale" sotto la guida di Washington. L'Iran, in particolare, "potrebbe rivelarsi una grave minaccia agli interessi statunitensi tanto quanto l'Iraq", sollevando lo spettro di un altro intervento USA. Peggio ancora, il documento propugna un "cambiamento di regime" in Cina, da sostenere aumentando "la presenza di forze americane nel sud-est asiatico" affinché "la forza americana e alleata" fornisca "lo sprone per il processo di democratizzazione in Cina". Anche l'Europa viene additata come un potenziale rivale degli Stati Uniti.

Ma forse l'elemento più inquietante del progetto del PNAC per l'egemonia globale è l'ammissione che il piano non può essere realizzato senza che gli Stati Uniti conoscano una qualche sorta di crisi senza precedenti. Facendo eco alle osservazioni del geo-stratega Zbigniew Brzezinski, il documento PNAC del settembre 2000 fa notare, come riferisce "ABC News", che "il passaggio a una politica mediorientale più decisa […] si avrebbe lentamente, a meno che non ci fosse qualche evento catastrofico e catalizzatore, come una nuova Pearl Harbor". Nelle parole del PNAC:

"Ogni serio tentativo di trasformazione deve avvenire entro la più ampia cornice della strategia di sicurezza nazionale, delle missioni militari e dei bilanci della difesa USA. […] Inoltre il processo di trasformazione, anche se determinerà cambiamenti rivoluzionari, sarà probabilmente lungo, in assenza di qualche evento catastrofico e catalizzatore, come una nuova Pearl Harbor".

L'evento in stile Pearl Harbor che auspicavano sia Brzezinski sia il PNAC è arrivato l'11 settembre 2001.

FINE

A cura di: Guida Gaetano

Per domande, commenti, suggerimenti o critiche scrivete a: gae.guida@alice.it

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