La disuguaglianze sociali, fino al consistente aumento della povertà, assoluta e
relativa, sono crescenti da tempo (non è affatto tutto dovuto al covid, i cui effetti
hanno accelerato e amplificato i problemi). Oggi sembra che vengano semplicemente
accettate come dato di fatto. Ciò è comprensibile per coloro che dall’alto della loro
posizione sociale, diffondono il loro senso comune. Non per noi! La lotta contro
questa situazione deve riprendere centralità tanto nel discorso quanto nell’azione
politica e sociale. Ciò richiede un protagonismo diretto delle persone che per vivere
non possono contare su profitti e rendite consistenti.
Oggi l’impatto della crisi sta ricadendo sulle spalle delle classi subalterne. Oggi c’è
urgente bisogno di risorse per resistere e ripartire, per parare il colpo e preparare
politiche economiche e del lavoro più eque ed efficaci. Proponiamo alcune misure di
finanza pubblica in tal senso:
● Controllo sui movimenti di capitale e loro regolamentazione, in Italia e nell’UE.
● Deciso impulso alla lotta contro le mafie e tutte le organizzazioni malavitose e
un’organizzazione pubblica adeguata per la gestione e la messa a frutto dei beni a
loro confiscati.
● Deciso impulso alla lotta contro evasione ed elusione fiscale di grandi dimensioni
e maggior incisività nel recuperare quanto già accertato.
● Fine dei finanziamenti alle imprese che non hanno ricadute positive sulla
produzione, sui lavoratori, sulla società nel suo complesso.
● Imposta aggiuntiva sui redditi di imprese e persone fisiche i quali hanno avuto un
exploit durante la pandemia.
● Imposta patrimoniale, sui grandi patrimoni: quelli che interessano non più del 5%
più ricco della popolazione.
● No all’aumento delle spese militari chiesto dalla NATO.
L’attuale pandemia causata dal virus denominato SARS-CoV-2 (Covid-19) ha colpito
tutti violentemente – anche se in maniera diversa tra classi sociali – causando una
crisi sanitaria senza precedenti dal dopoguerra, oltre che economica ed umanitaria
conseguente alle restrizioni coercitive delle libertà individuali imposte ai cittadini
europei per il contenimento della pandemia.
In Italia, l’arrivo della pandemia ha mostrato impietosamente molti limiti di un SSN
depotenziato, aziendalizzato, accentrato, con un organico insufficiente e con un ruolo
sempre più marginale della prevenzione. L’inefficienza e l’insostenibilità dell’attuale
divisione di competenze tra Stato centrale e Regioni si è poi manifestata anche
direttamente, nella gestione dell’emergenza.
Il vaccino è stato identificato, nel nostro come in altri stati, come principale
strumento strategico per uscire dalla crisi. Anzi, la campagna vaccinale è spesso stata
usata per imporre una sorta di “stato d’eccezione” multi-partisan, prevenire o
sbeffeggiare domande legittime, rimuovere i problemi di fondo relativi alla struttura e
alla tenuta dell’attuale SSN.
La stessa campagna vaccinale ha squadernato i limiti di efficacia e l’indegnità morale
di una politica basata sul mercato.
L’agenzia europea del farmaco (EMA) ha in questi mesi approvato per uso
emergenziale soltanto i vaccini sviluppati e brevettati da aziende private
angloamericane quali Pfizer, Moderna e AstraZeneca, sollevando critiche e dubbi
riguardo all’effettiva capacità di gestione della crisi da parte di multinazionali del
farmaco, il cui fine è la ricerca del profitto
Nella comunità scientifica, sono state sollevate severe critiche nei confronti di
quest’ultime, in particolare riguardo alla mancata pubblicazione dei dati grezzi delle
loro sperimentazioni – atteggiamento contrario al principio della replicabilità degli
esperimenti e della verificabilità dei calcoli.
A causa dell’improvviso taglio della consegna delle dosi, la maggior parte degli Stati
europei si è ritrovata senza il numero di vaccini contrattualmente previsto,
probabilmente a causa di accordi economicamente più vantaggiosi frattanto stipulati
dalle case farmaceutiche con altri Stati extra Ue.
Ad oggi, gli accordi firmati tra i vertici dell’Unione europea e le case farmaceutiche
sono in gran parte secretati. Importanti informazioni come il prezzo, il programma di
consegna, le clausole di responsabilità, sono celati.
Nonostante centinaia di milioni di euro di denaro pubblico investiti per la creazione
dei vaccini, e mentre la salute dei cittadini europei e le loro libertà vengono
minacciate ogni giorno, gli Stati non possono produrre su larga scala le dosi di cui
necessitano in quanto i brevetti rimangono proprietà esclusiva delle case
farmaceutiche che, approfittando della pandemia, hanno aumentato esponenzialmente
i loro margini di profitto.
Abbiamo lasciato la nostra salute nelle mani del settore privato che ha gestito
l’emergenza Covid in modo fallimentare. Senza un grande movimento di opinione sarà difficile uscire da questa crisi in tempi
brevi.
Cosa dobbiamo fare?
In primo luogo, ripartire dal Sistema Sanitario Nazionale-SSN.
Tutte le risorse pubbliche vanno SOLO alla sanità pubblica. I tagli drammatici che la
sanità pubblica ha subito da trent’anni sono i principali responsabili del disastro
sanitario che stiamo vivendo. L’unica strada da percorre è una completa inversione di
tendenza rispetto alle politiche di privatizzazione. Di seguito un elenco, non
esaustivo, delle cose da fare.
Chiediamo, relativamente ai vaccini:
● Che i dati grezzi delle ricerche sui vaccini vengano resi disponibili alla comunità
scientifica;
● Che si chiarisca all’opinione pubblica in quale senso e in quale modo i vaccini in
uso sono stati approvati;
● Che i vaccini vengano considerati come beni comuni dell’umanità, assicurandosi
che non si tragga alcun profitto dalla pandemia;
● Il superamento del brevetto e la concessione alle industrie pubbliche della
produzione dei vaccini;
● La realizzazione di una casa farmaceutica pubblica europea, indipendente da
interessi economici, geopolitici e ideologici;
● Il finanziamento pubblico di ricerche scientifiche fuori da logiche di mercato per
lo sviluppo di altre terapie innovative oltre ai vaccini;
● La creazione di una commissione d’inchiesta sulle responsabilità della
Commissione europea per il modo in cui ha gestito l’intero percorso dei contratti
con le aziende farmaceutiche.
Chiediamo, relativamente al SSN:
● Tutte le risorse pubbliche vanno SOLO alla sanità pubblica.
● Rivedere profondamente la riforma del titolo V della Costituzione, che ha
determinato, tra le altre cose, l’indebolimento del Sistema Sanitario Nazionale. La
regionalizzazione del SSN ha mostrato tutti i suoi gravi limiti dinanzi alla
pandemia.
● Assolutamente prioritario è il ripristino e potenziamento della medicina
territoriale, attraverso la riapertura degli ambulatori dei medici di base e, se
necessario, l’identificazione di idonee strutture del Demanio dismesse nelle quali
svolgere le attività ambulatoriali. Cancellazione dalla convenzione con il SSN per
i medici di base che rifiutano indispensabili visite a domicilio o che rifiutano il
loro inserimento nelle USCA (Unità speciali di continuità assistenziale).
● Diminuzione del numero massimo di assistiti in carico ad ogni medico di base.
● Aumento del numero di medici di base e non, infermieri, e paramedici, nonché
aumento dei posti letto negli ospedali e del numero degli ospedali stessi, partendo
dal ripristino e riammodernamento delle strutture dismesse negli ultimi trent’anni.
● Investimenti significativi nel campo della ricerca e produzione di medicinali,
vaccini, strumentazioni, materiale medico, etc.
● Sblocco del numero chiuso nell’accesso alle facoltà universitarie di medicina e ai
corsi di specializzazione.
In un mondo sempre più digitalizzato e connesso è imprescindibile innanzitutto un
accesso alla rete internet sempre più libero e sempre meno condizionato dalle leggi
del mercato: se la Pubblica Amministrazione e la Scuola sono inevitabilmente
costrette, anche per via di questa pandemia, a digitalizzarsi e ad essere “online” non è
possibile pensare che i cittadini ancora oggi vedano di fatto negato in molte zone del
Paese un accesso a internet (fonti Istat dicono che ancora il 23,9% delle famiglie
italiane).
Da qui parte poi la scelta del modello di sviluppo della rete digitale e dell’etere: è
ancora una volta anacronistica nonché votata ad un modello economicista e liberista,
la scelta fatta nei vertici di questo Paese che guarda ancora ad un modello impostato
sul rapporto tra fornitore di servizio centralizzato (server) e utenti periferici (client),
che è ad oggi in via di superamento e che spesso è stato causa di disfunzioni, sia in
tema di sicurezza di dati personali sia in tema di accentramento del possesso dei dati. Ora, la scelta di chi deve governare la sfida della transizione digitale in questo Paese
dovrebbe ricadere su chi è veramente conoscitore delle nuove tecnologie e ne può
apprezzare veramente pregi e difetti, non certo figure manageriali votate da sempre
alla sola ricerca del profitto fine a sé stesso.
Per questi motivi, il nuovo modello che avanza non potrà più quindi essere quello
dell’accentramento dei sistemi che fornisce un controllo totale agli intermediari delle
reti (compagnie telefoniche, società di servizi digitali ma soprattutto banche e
intermediari finanziari per quanto concerne le operazioni digitali di pagamento), ma è
quello basato sui registri distribuiti (c.d. blockchain). Tale sistema a registri distribuiti
permette una conservazione diffusa dei dati e delle transazioni tra i vari nodi (utenti)
della rete e non centralizzata come accade ora (c.d. modello server-client). Questi
sistemi, oltre all’implementazione di applicazioni innovative rivoluzionarie (si
vedano appunto i meccanismi di consenso che permettono la trasmissione dei dati sui
registri distribuiti e la fortissima spinta della crittografia), permettono soprattutto una
tracciabilità ed una conservazione nettamente più sicura ed accessibile delle
informazioni, in quanto risultano pressoché inattaccabili dai malintenzionati.
Con un sistema digitale che guarda quindi in assoluto alla disintermediazione ed è
legittimato dal “basso”, l’agenda digitale non può più essere piegata ad un modello
verticistico in cui le innovazioni piovono dall’alto secondo la logica del profitto e del
bilancio finanziario dei grandi soggetti economici, ma deve essere guidata attraverso
reti di esperti dell’informatica e del digitale che sappia guidare un cambiamento
sostenibile per i cittadini e non “sui” cittadini e che possa valutare in maniera
oggettiva i pregi e i difetti delle suddette tecnologie senza pre-concetti legati ad
interessi particolari.
Questo modello può rappresentare un volano anche se non soprattutto per le classi
subalterne dal momento che si va ad imperniare su un modello privo di intermediari
centralizzati: ne è un esempio già concreto ma poco conosciuto la possibilità per le
persone sotto una certa soglia di reddito di accedere, mediante l’utilizzo delle
tecnologie a registri distribuiti, al micro credito senza l’intervento degli intermediari
finanziari o ancora l’utilizzo di questa innovazione per contrastare il traffico di
medicinali falsificati in Africa, mediante il monitoraggio dei farmaci distribuiti previa
autenticazione degli stessi attraverso applicazioni mobili gratuite basate su
blockchain.
Sostituire le dichiarazioni di rito sull’importanza della scuola e la pratica degli ultimi
mesi (o anni, o decenni) con atti rivolti a:
«Far riflettere l’intera società sull’importanza dell’educazione e dell’istruzione dei
giovani da parte della scuola e fare ogni sforzo per creare le condizioni generali
(contenimento dell’epidemia, trasporti, organizzazione del sistema sanitario, ...)
affinché le scuole possano svolgere il loro delicato compito il più possibile in
presenza.
«Confinare con chiarezza la didattica a distanza a modalità di emergenza, che crea
comunque problemi: sia quando non si riesce a fare, sia quando viene svolta. «Costruire nell’intera società un rinnovato senso dell’educazione e dell’istruzione dei
giovani da parte della scuola, rompendo con l’idea di mettere al centro un
orientamento sempre maggiore verso la specializzazione dei saperi e verso la
specializzazione lavorativa, orientata magari dalle imprese del territorio. La scuola
non deve formare lavoratori o consumatori, ma favorire lo sviluppo della personalità
nella sua interezza, proporsi di dare ai giovani quanti più strumenti possibili per
conoscere criticamente una realtà sempre più complessa, per relazionarsi con gli altri,
per agire e se necessario trasformare le situazioni date.
«Portare alla luce e aggredire i grandi problemi dell’abbandono scolastico (negli
ultimi lustri), e delle crisi negli studenti causate da questo periodo di pandemia. A
quest’ultimo riguardo: nuove indicazioni nazionali che prevedano espressamente la
possibilità di attivare un maggiore tempo scuola e/o un diradamento dei programmi.
Meglio meno, ma meglio e con tutti.
«Suonare chiara e forte la campana alle classi subalterne: in Italia, oggi, come anche
l’ISTAT afferma, i livelli di istruzione dipendono in larga misura dal contesto di
partenza. Sta vincendo l’idea che l’operaio non avrà un figlio dottore. Scendete in
campo per pretendere una scuola che dia di più a chi parte con meno!
«Creare condizioni migliori nella quotidianità scolastica su questioni urgenti:
riducendo il numero di alunni per classe, stabilizzando sui posti esistenti il personale
scolastico precario, sistemando o ricostruendo gli edifici scolastici inadeguati.
«“Senza oneri per lo Stato”. Ricostruire un sistema scolastico in cui il rapporto tra
scuola statale e scuola privata sia in linea con la Costituzione. Un sistema che sia
pluralistico perché può riflettere in ogni sua parte l’insieme della società e non perché
ricompone il quadro d’insieme con pezzi diversi, già discriminanti e funzionali a
perpetuare le differenze sociali e culturali.
L’attacco portato al mondo del lavoro da trent’anni a questa parte ha letteralmente
sbriciolato qualsiasi forma di solidarietà di classe tra i lavoratori. Compito essenziale,
e non più rinviabile, dei comunisti e di tutti i sinceri democratici, in Italia come
altrove, è quello di essere il principale riferimento per chi non ha perso la
consapevolezza che solo attraverso la solidarietà di classe può partire
l’emancipazione delle classi subalterne. Nell’immediato si possono indicare alcuni
punti da cui fare ripartire questo processo di nuova accumulazione di forze:
1. Superamento di ogni forma di precarizzazione, a partire da quelle introdotte dal
famigerato Pacchetto Treu (primo governo Prodi);
2. Recupero del potere d’acquisto di salari e stipendi;
3. Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario;
4. Massiccio piano di interventi per mettere in sicurezza il territorio, reintegrando
disoccupati e sottooccupati;
5. Riforma pensionistica che consenta a tutti un accesso alla pensione già con 35
anni di contributi e a non più di 60 anni di età, con una pensione dignitosa;
6. Completa inversione di tendenza nei lavori pubblici, quello che è stato
esternalizzato deve tornare in gestione diretta dell'ente pubblico;
7. Divieto assoluto di subappalto in ogni ambito;
8. Regolamentazione stringente sul lavoro in smart working, che va inteso non
come la norma, ma come l’eccezione.
Siamo per caso di fronte a una “presa di coscienza” riguardo al diffondersi e
all’intensificarsi della crisi ambientale a livello planetario?
A questo riguardo, il limite principale che sembra accomunare la discussione attorno
alla transizione energetica risiede nell’interpretazione della pressione crescente dello
sviluppo capitalistico sul vincolo delle risorse naturali. Quasi tutti infatti trascurano la
possibilità che questa pressione stravolga le attuali condizioni di riproduzione dei
rapporti sociali e preferiscono invece concentrarsi direttamente sulla eventualità che
la medesima pressione finisca per compromettere le condizioni di riproduzione della
stessa vita sulla Terra, sempre che non la neghino.
Senza un’analisi materialistica, o di “analisi di classe”, non si riuscirà mai ad
individuare il soggetto sociale, e quindi politico, sul quale la crisi ambientale
maggiormente si ripercuote e dal quale quindi ci si può quindi attendere un concreto
interesse a mutare il corso degli eventi. Infatti, oggi più che mai, le imprese riescono
a scaricare sui lavoratori il peso delle rendite spettanti ai proprietari di risorse
primarie.
La questione della tutela ambientale potrà assumere concreto rilievo politico solo
attraverso un continuo sforzo di intersezione tra l’analisi dello sfruttamento della
natura e l’analisi dello sfruttamento del lavoro.
Trattasi di una impresa ardua, anzitutto a livello teorico e pratico, ma necessaria,
nella misura in cui deve interessare non soltanto i consumi, ma anche la sfera della
produzione.
L’informazione in Italia è filtrata in modo oligopolistico da multinazionali Usa
(Google, Facebook e Twitter in particolare) - per quel che riguarda internet - e grandi
conglomerati con sede fuori dall’Italia – Gruppo Gedi e Mediaset in particolare – che
hanno interessi finanziari e industriali chiari - per quel che riguarda giornali e TV.
Non è corretta l’analisi di chi aveva previsto la fine delle forme tradizionali (Tv e
Giornali) informazione. Anzi, questi ultimi, mantengono, un peso paritario con la
rete.
Se consideriamo, inoltre, il peso ormai monopolistico di Amazon (multinazionale
Usa) nella distribuzione del sapere attraverso i libri e se valutiamo con attenzione,
altresì, a quali interessi fanno capo le principali case editrici in Italia, è chiaro come
negli ultimi anni si sia strutturato un monopolio organizzato nei minimi dettagli per
diffondere i dogmi del neo-liberismo (falliti e fallimentari) come assiomi non
opinabili.
Non che non esistano e non siano strumentalmente previste voci dissonanti che
trovano in minima parte spazio, ma vengono sempre presentati come le eccezioni alle
regole che decidono loro.
Che fare?
Una proposta unitaria come opposizione al Governo Draghi può essere efficace solo
se sarà in grado di offrire un polo di informazione in grado di rompere questo tappo
di diffusione neo-liberista e sappia parlare ed arrivare alle masse.
Prime proposte operative:
1) Unire e coordinare le esperienze più avanzate di informazione esistenti e già
pronte;
2) Aggredire gli spazi che sono oggi meno egemonizzati (es. mondo delle radio);
3) Cercare e sviluppare nuove tecnologie e nuovi canali (es. Twitch);
4) Pensare ad una casa editrice strutturata (con una rivista e intellettuali di
riferimento che si esprimano costantemente);
5) Studiare modelli vincenti esteri (esempio RT);
Proposte concrete alla politica:
1) Una Commissione d’inchiesta sulle attività di censura e di cancellazione dai
loro algoritmi da parte di Facebook, Google;
2) Una commissione d’inchiesta su “News Guard”, un’agenzia statunitense che ha
valutato nei mesi precedenti con un bollino rosso o verde i giornali (penalizzando i
rossi chiaramente su Facebook, Google, Twitter, etc.);
3) Rompere l’egemonia neo-liberista in uno dei tre canali Rai;
4) Fondi a casa editrici che rompano il legame con Amazon (modello francese);
5) Riforma dei finanziamenti pubblici all’editoria.