La fine del PD: un suicidio assistito

  Non è detto che questo congresso del PD sia l'ultimo. Può darsi che i conati e i contorcimenti di questo partito non siano finiti, ma bisogna comunque ammettere che la sua funzione politica è arrivata alla frutta. Nel progetto di rifondazione ideato da Letta dopo la sconfitta elettorale non si intravedono né i soggetti nè le idee che possano far uscire il partito dalla palude e evitarne la dissoluzione.

  La sua fine è anche la fine dell'equivoco che si tratti di un partito di sinistra, anche se la vernice voleva accreditarlo come tale. Poi sono arrivati i Renzi, i Calenda, i Guerini, il draghismo e i Letta, che hanno finalmente messo in chiaro quale partito ci siamo trovati di fronte in questi anni e l'idea che la gente se ne è fatta si è manifestata nella sconfitta elettorale del 25 settembre. Per sopramercato anche la funzione di 'opposizione' al governo della destra si è palesata con mobilitazioni nazionali tipo quella del 17 dicembre a Roma con la partecipazione di circa trecento persone, tutte dell'area dei funzionari di partito e degli eletti.

  Riuscirà l'imbroglio di rianimare un partito che non si capisce quale funzione possa avere oggi in Italia? Quelli che lo hanno sostenuto in questi anni scelgono altri lidi, come insegna l'incredibile ascesa della Meloni a capo del governo o si sono ritirati nell'astensione in attesa di tempi migliori. Oppure invece hanno alimentato la resistenza di Conte e questo è il primo risultato positivo della crisi del partito democratico e dimostra che l'esigenza di un'alternativa alla deriva liberal-atlantista può prender corpo.

  Tutte le mosse di Letta e dei dirigenti del PD hanno portato dunque a un risultato che assomiglia a un suicidio. Ora si tratta di vedere se l'agonia si protrarrà o, come ci auguriamo, si arriverà a una sorta di 'suicidio assistito', un processo cioè in cui lo sgretolamento del PD sia anche accompagnato da un dibattito a sinistra che eviti aperture di credito a quanti si sono presentati per guidare il PD dopo Letta. Un'operazione di pura facciata non potrà cambiare il modo di essere di questo partito, come si è visto chiaramente nelle votazioni in parlamento sulla questione cruciale della guerra. Per questo bisogna insistere perchè la crisi vada avanti e non si creino nuovi equivoci.

  Per meglio inquadrare la situazione bisogna comunque guardare ai dati oggettivi. Questi ci dicono che attorno a questa crisi si sta svolgendo una riflessione in un'area che nei decenni scorsi si è mossa sotto la cappa dell'egemonia del PD e che ora dimostra palese insofferenza. Si tratta di un'area di sinistra moderata che ha un'influenza culturale e può risultare decisiva per il crollo del PD e la nascita di nuove formazioni politiche.

  Siamo in presenza dunque di novità importanti rispetto al quadro politico, che ha bisogno di un'attenta considerazioni per evitare fuoriuscite dalla crescita concreta delle contraddizioni, su cui invece una posizione comunista deve saper operare per spingere le cose nella direzione giusta.

  Qual è l'obiettivo a cui bisogna puntare? E' ovvio che all'ordine del giorno non c'è la rivoluzione socialista, ma qualcosa che è invece legato a un'esigenza che sta dimostrando la sua possibilità di crescita a partire dalla vicenda di Conte e dei 5 Stelle.

  In Italia la crisi del PD ha messo infatti in moto un'esigenza di ricostruire un'alternativa a sinistra. I soliti pierini hanno pensato che si potesse arrivare subito all'incasso e hanno messo in campo listerelle elettorali per acchiappare qualche voto, ma il risultato è noto. Quando parliamo di un processo e non di listerelle elettorali vogliamo ribadire che la costruzione di un'alternativa non solo alla destra, ma anche al liberal-atlantismo del PD è una prospettiva che deve passare per il consolidamento di una volontà unitaria di settori sociali importanti, a partire ovviamente da quelli popolari, che si orientino in tal senso. Il ruolo dei comunisti è quello di misurarsi con questi processi non con tentativi elettorali velleitari, ma chiarendo i contenuti sociali, politici e internazionali della crescita di una forza politica di alternativa al liberismo e all'atlantismo e stabilendo un rapporto corretto tra movimenti reali e voto.

  La strada non è facile e ci sono molti nodi da sciogliere. Ne indichiamo alcuni: l'orientamento in politica internazionale a partire dal rispetto dell'art.11 della Costituzione che è un punto inderogabile; la partecipazione dei lavoratori al processo politico per l'alternativa che pone anche la necessità del recupero di autonomia dal consociativismo confederale; il rapporto tra alternativa politica e partecipazione dei movimenti sociali al progetto.

  Per andare avanti in ogni caso bisogna liberarsi dalla melassa rappresentata dall'attuale PD e dal concetto di centro-sinistra. La prospettiva deve essere la sinistra dei valori costituzionali e su questo va raggiunta l'unità per l'alternativa.

Aginform
23 dicembre 2022