Dissero «sangue»: sei anni di galera

Roberto Zanini

Il Manifesto, 19 luglio 2007


Lo scorso febbraio, circa tecento persone marciarono davanti all'ambasciata di Danimarca a Londra. Un settimanale danese aveva appena pubblicato vignette che, ritenevano, avevano offeso Maometto e l'Islam. Era scoppiato un caso, ne parlava mezzo mondo, gli animi erano infiammati. Lo furono anche i gesti e le parole: un certo numero di bandiere finì carbonizzato, i filmati di Scotland Yard ritrassero quattro di loro mentre gridavano in un megafono. Frasi come «vogliamo vedere i soldati britannici tornare nei sacchi», «vogliamo vedere i mujaheddin abbattere i loro aerei», «bombe sulla Danimarca, bombe sugli Usa» e amenità del genere.

Ieri un tribunale britannico ha condannato Minazur Rahman, Umran Javed, Abdul Muhid a sei anni di carcere per istigazione all'omicidio, e Abdul Salem a quattro anni per istigazione all'odio razziale.

Il confine tra la libertà di espressione e la sicurezza è un campo minato. Lo era già prima della cosiddetta guerra al terrorismo, ma a sei anni dalle Torri gemelle e dalla tremenda risposta che ne è seguita, le mine hanno sovrappopolato quel confine. Di più, lo hanno spostato in avanti fino a farlo rientrare in una zona sensibile agli umori momentanei, alle emergenze contingenti. Arriva un attentato, ne arrivano due, il paese chiede risposte. E prima del terzo ci pensa il giudice. Neppure la deriva securitaria è cosa nuova, centrodestra e centrosinistra di ogni paese - Italia compresa - facevano a gara per il poliziotto di quartiere ben prima che il viluppo di terrore e antiterrore entrasse nelle nostre tiepide case e travolgesse le nostre tiepide ragioni.

Perché gridare bombe e lanciarle restano due cose diverse (a lanciarle si rischia una medaglia). Invocare il sangue e spargerlo, cose diverse. Dire e fare, cose diverse. Vale per quattro barbuti come per quattro neonazisti (ma il leader del British national party Nick Griffin è stato assolto dopo aver attaccato l'Islam). Se non vale per tutti, non vale per nessuno.

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