Crisi bancaria americana: l'Impero sta crollando?

Manuel Zanarini

15 settembre 2008
Fonte: anchesetuttinoino
segnalato da Arianna Editrice


Come avevamo già segnalato tempo fa, la prima crisi legata ai mutui subprime dei mesi scorsi non era che l’inizio della “vera crisi”. In questi giorni la falla nel sistema bancario statunitense sta raggiungendo dimensioni drammatiche, ma ancora una volta ci stiamo solo avvicinando al centro del ciclone, non ne siamo ancora nel mezzo. Facciamo il punto della situazione.

Giusto per fare un quadro sommario, riporterei alcuni dati estremamente significativi: crollo del Dow Jones (l’indice borsistico di Wall Street) di oltre 30 punti; prezzo del petrolio in costante ascesa; grosse banche sull’orlo del fallimento; American Express che denuncia difficoltà ad incassare; Fedex segnala un netto rallentamento in ogni tipo di trasporto; United Airlines licenzia 950 piloti (il 15% degli effettivi); General Motors denuncia un grosso calo nelle vendite; crollo del valore degli immobili del 15,8% in un anno; nel solo 2007 sono state avviate 2,2 milioni di procedure di pignoramenti, segnando un aumento del 121% su base annua, ecc.

Il dato forse più importante è il collasso verso cui sta giungendo il sistema bancario statunitense. I primi segnali si sono avvertiti col quasi fallimento della Bear Stearns, “mangiata” dalla JP Morgan grazie ai soldi dei contribuenti, gentilmente offerti da Washington. Ma adesso la cosa si sta espandendo a macchia d’olio. Oggi, la Lehman Brothers, la quarta banca d’affari più importante degli Stati Uniti, ha annunciato di aver avviato le pratiche di fallimento, cosa che tra l’altro sta causando instabilità e perdite ingenti anche sui mercati europei.

Sorte simile è toccata al “gigante” Citigroup, il quale ha chiuso il secondo trimestre del 2008 con una perdita netta di 2,5 miliardi di dollari (contro l'utile di 6,2 miliardi segnato l'anno prima), dopo svalutazioni lorde per 7,2 miliardi. Tanto che i vertici hanno deciso di sbarazzarsi di diverse strutture ritenute non più strategiche ed attuare un piano di licenziamenti molto pesante. Il primo punto si è attuato decidendo di tagliare per diverse centinaia di miliardi di dollari gli investimenti nelle divisioni delle banche di investimento e di quelle retail. Un esempio concreto, è stata la cessione, al Credit Mutuel, della filiale tedesca, la quale ha 3,3 milioni di clienti, 340 agenzie e 6.700 dipendenti, ricoprendo il 7% del mercato tedesco del credito al consumo. Sul fronte occupazionale, invece, è stato varato un piano di ristrutturazione che prevede oltre 16.000 licenziamenti. Al momento, considerati i primi due trimestri del 2008, siamo già arrivati a quota 11.000.

Poi abbiamo un altro esempio clamoroso: quello di “Fannie e Fred”. In un anno la “Fannie Mae” e la “Freddie Mac” hanno perso circa 15 miliardi di dollari, rimanendo quasi senza capitali, e deprezzando i loro titoli di quasi il 90 per cento. Inoltre, 4 milioni di famiglie, il 9 per cento dei mutuati, sono andate in bancarotta o sono in grave ritardo nei pagamenti rateali. Si tratta di banche, la Fannie Mae e la Freddie Mac, che svolgono una funzione primaria nel mercato dei mutui immobiliari. I due titoli, in un solo anno, avevano perso rispettivamente l’81% e l’87% del loro valore. La cosa è assolutamente preoccupante per i cittadini, tenendo conto i due istituti coprono circa la metà di tutti i mutui immobiliari statunitensi. A questo punto, il Governo ha deciso di prendere iniziative di sostegno in loro favore, per “evitare una catastrofe”, come ha detto il Ministro del Tesoro Paulson. In pratica, le due banche sono state nazionalizzate. Con una mossa che non si vedeva dai tempi di Eisenhower, la Casa Bianca ha deciso di finanziare le due banche con soldi pubblici, cioè con le tasse dei cittadini, oltre che aver riservato per la Fed un “ruolo consultivo” sulle strategie dei due istituti. Riporto alcuni dati, giusto per capire di quali cifre stiamo parlando: in caso di bancarotta “Fannie e Freddie” lascerebbero un buco di 5.000 miliardi di dollari, la metà del debito pubblico americano. “Fannie” deve rimborsare 216 miliardi di dollari entro un anno, “Freddie” un po’ di più, circa 291 miliardi. Il problema consiste nel fatto, che le due banche non hanno questi soldi, a causa del totale collasso del mercato immobiliare statunitense, dove le rate dei mutui non vengono più pagate, e nessuno acquista più immobili. Basti pensare che da, Gennaio 2008, le prime nove società del settore hanno perso 2,4 miliardi di euro, circa la metà della loro capitalizzazione.

Ma, secondo molti analisti, la crisi deve ancora scoppiare. Le banche a rischio fallimento negli USA sono circa 90, e tempi ancora più incerti si prospettano per quelle locali. Il caso più eclatante è stata la chiusura dell’istituto “Indy Mac”, che ha rappresentato il terzo fallimento per importanza dal dopoguerra ad oggi, e che ha riportato d’attualità le immagini dei cittadini in fila davanti agli sportelli sperando di riavere i propri soldi, che ci eravamo abituati a vedere durante la crisi in Argentina. La “IndyMac” ha dovuto chiudere i battenti per mancanza di liquidità e la sua gestione è stata trasferita alla “Federal Deposit Insurance Corporation”. Secondo il Los Angeles Times, IndyMac ha almeno un miliardo di dollari di depositi non coperti dall'assicurazione FDIC, che riguardano circa 10 mila risparmiatori.

I danni causati dalla crisi statunitensi stanno arrivando anche in Europa. Il gruppo elvetico “Swiss Re”, numero uno mondiale della riassicurazione, ha un’esposizione totale di 9,6 miliardi di dollari (6 miliardi di euro) nei riguardi di Fannie e Freddie; nello specifico di 4,4 miliardi verso la prima e dei restanti 5,2 verso la seconda. Questa situazione ha fatto sì che il colosso svizzero abbia subito un crollo sui mercati borsistici, tanto da svalutare 2,2 miliardi di franchi svizzeri (1,37 miliardi di euro) dall’estate scorsa, diventando la società assicurativa più colpita dalla crisi. Ha pubblicato un risultato netto di 624 milioni di franchi, in calo del 53% rispetto alle stime degli analisti che lo stimavano in 870 milioni. Anche in Italia le banche stanno andando in sofferenza, dando i primi segnali di scarsa liquidità, ed irrigidendosi sull’approvazione dei mutui.

La crisi statunitense sta mettendo in allarme anche gli organi internazionali. Secondo quanto riportato da “Der Spiegel”, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato che effettuerà un “Financial Sector Assessment Program”, una procedura di verifica sul sistema finanziario USA, che si concluderà nel 2010. Cosa che fa un certo scalpore, visto che notoriamente il Fondo Montario obbedisce a Washington. Si tenga conto, infatti, che una tale procedura non è mai avvenuta nei confronti degli Stati Uniti.

Per chiudere l’analisi, una nota curiosa. Secondo quanto riportato da Carlo Gambescia, un anonimo speculatore ha acquistato 245 mila opzioni «put» sull'indice Eurostoxx 50 del Dow Jones. Queste opzioni hanno la scadenza fissata per il prossimo 21 Settembre, di conseguenza, se le azioni mondiali non precipiteranno, il compratore misterioso rischia di perdere un miliardo di dollari. Ma se ha ragione lui, ne guadagnerà minimo 2 miliardi . Visto che sono cifre un po’ troppo alte, è difficile credere ad una scommessa al buio. I casi sono due: o sapeva del fallimento della Lehman Brothers e del conseguente tracollo finanziario mondiale, che quindi è appena all’inizio; oppure, nella peggiore delle ipotesi, questa settimana ci porterà qualche grosso guaio.

Gli analisti più pessimisti individuano due scenari per questa seconda soluzione. La prima riguarda gli investimenti effettuati in “yen”, la valuta giapponese. Gli speculatori hanno contratto debiti a breve in yen (a tasso basso) ed hanno prestato a lungo termine in «investimenti» a tasso più alto. Ma ora che lo yen risale, il loro debito in yen sale e rischia di schiacciarli, provocando altri fallimenti. Gli indebitati in yen sono infatti obbligati a svendere i loro crediti a lungo termine, ammesso che riescano a trovare dei compratori, per comprare gli yen con cui estinguere i loro debiti giapponesi. Ciò, come minimo, forzerà verso l'alto i tassi d'interesse a lungo termine. Di conseguenza, anche il costo dei mutui variabili aumenterà, accrescendo il numero dei mutuatari insolventi, accelerando così il crack immobiliare USA e dunque precipitando la recessione americana.

Il secondo scenario ha attinenza con una data ormai diventata storica: l’11 Settembre. Ai primi di Settembre del 2001, cioè pochi giorni prima l’ “attentato” alle Torri Gemelle, alcuni anonimi speculatori avevano acquistato una quantità anomala di opzioni put su United Airlines ed American Airlines, scommettendo su un clamoroso ed improvviso ribasso delle due compagnie aeree. Come tutti sanno, i velivoli usati dagli “attentatori” appartenevano proprio a queste due compagnie, che videro precipitare il valore delle loro azioni da 30 dollari a 18 in poche ore, facendo guadagnare agli scommettitori una bella cifretta, anche se non la ritirarono per intero, per non destare troppi sospetti. Parte degli ordini «put» risultò partita da una banca d’affari, la AB-Brown, di cui era stato Presidente esecutivo A.B. «Buzzy» Krongard, uno dei capi della CIA alla data dell'attentato. Il guadagno di quella operazione fu di una decina di milioni di dollari, nulla in confronto ai 2 miliardi “previsti” dallo speculatore odierno. Che sappia qualcosa riguardo un attentato tremendamente più devastante di quello dell’11 Settembre? Chissà, la scadenza del 21 Settembre è vicina, vedremo cosa succederà.

Quello che si può dire è che potremmo essere vicini ad una svolta epocale. Il potere mondiale di Washington si è sempre basato su due aspetti: un sistema militare dominante ed uno finanziario capace, grazie alle banche, di indebitare tutti i paesi del mondo con la Federal Reserve, obbligandoli alla sudditanza politica.

Le guerre in Afghanistan, in Iraq ed il caso “Georgia-Ossezia” dimostrano che Washington non possiede più una superiorità militare schiacciante come in passato, e certamente non è più in grado di fermare le potenze emergenti, Russia e Cina soprattutto. Se ora anche il sistema bancario e finanziario a “stelle e strisce” dovesse crollare, potremmo assistere ad un clamoroso vuoto di potere, dove le nazioni più intraprendenti e coraggiose potrebbero tornare ad essere padrone del proprio destino. Che strada sceglierà l’Europa? Sceglierà di liberarsi dal gioco americano, oppure subirà il tracollo dello Zio Sam?

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