Vicenza


Un commento sensato di Sergio Romano

Parole insensate sull'Unità (con il commento di Giulietto Chiesa)


Un commento sensato di Sergio Romano

Una lettera al Corriere della Sera, 22 gennaio 2007

La base di Vicenza:
economia e interesse nazionale

Ho 38 anni e sono un dipendente della Caserma Ederle. Sono a Vicenza da 4 anni circa, vengo da Napoli dove ho lavorato nella clinica odontoiatrica della marina Usa per circa 10 anni come assistente generico, poi ho deciso di venire a Vicenza per una posizione migliore e più «sicura» nella clinica odontoiatrica dell'esercito Usa in quanto si parlava di riduzione del personale anche nelle basi del Sud. Anche mia moglie lavora part time nella base, abbiamo avuto una stupenda figlia e acceso un mutuo trentennale per l'appartamento. Adesso però ci troviamo a correre il rischio di perdere il posto di lavoro e di conseguenza la casa! Se il governo negherà l'ampliamento come faremo a pagare i debiti? Chi ci darà subito un altro posto di lavoro permanente a Vicenza? Spero tanto che Prodi e D'Alema se prenderanno questa decisione autorizzino almeno il reintegro dei dipendenti della Ederle in enti statali, altrimenti ce la vedremo proprio brutta.

Fabio Di Lorenzo,
fabiodilorenzo@hotmail.com

E la risposta di Sergio Romano

Caro Di Lorenzo, dopo le dichiarazioni del presidente del Consiglio lei è certamente più tranquillo. Ma la sua lettera mi sembra ancora interessante perché solleva, con l'efficacia propria del caso personale, uno dei due argomenti che sono stati maggiormente utilizzati nelle scorse settimane da coloro che erano favorevoli alla richiesta americana. Molti hanno ricordato, come lei, che la chiusura della base avrebbe comportato il licenziamento di circa settecento persone e parecchi svantaggi economici per l'intera città. Altri hanno scritto per ricordare che i militari americani della base sono stati in questi anni persone simpatiche, affidabili, eccellenti vicini di casa. E gli autori di queste lettere hanno dato la sensazione di ritenere che questi argomenti fossero, nella vicenda della base, determinanti. Ebbene, debbo confessarle che mi sembrano irrilevanti. So che gli americani sono molto spesso persone affabili e gradevoli. E so che la chiusura di una installazione militare occupata da qualche migliaio di persone provoca sempre ricadute negative per la comunità che trae vantaggio dalla loro presenza. Ma non credo che questi problemi possano essere pesati sulla stessa bilancia su cui il governo deve valutare e pesare l'interesse nazionale. Il problema dell'occupazione sarebbe sorto successivamente e, sperabilmente, risolto. Ma non avrebbe dovuto condizionare la decisione del governo. Per la stessa ragione il presidente del Consiglio non avrebbe dovuto sostenere, come ha fatto durante la conferenza stampa di Bucarest, che il problema della base di Vicenza è «di natura urbanistico-territoriale, non politica». La definizione mi sembra sbagliata. Il problema è strettamente politico perché concerne la politica estera dello Stato, la sovranità della Repubblica, la compatibilità della base con i nostri interessi nel Mediterraneo. La base di Ederle fu creata all'epoca della guerra fredda, quando Italia e Stati Uniti avevano un potenziale nemico e la Nato doveva attrezzarsi ad affrontare nel miglior modo possibile una eventuale minaccia. Qual è il nemico comune oggi? Se è il terrorismo islamico, siamo certi che gli Stati Uniti siano disposti a tenere conto, nel momento in cui decidono di colpirlo, del nostro giudizio e delle nostre valutazioni? Avremo voce in capitolo nell'uso della base o saremo semplicemente costretti a leggere sui giornali che gli aerei americani di Ederle 2 hanno utilizzato il nostro territorio, qualche ora prima, per una operazione militare? Sono queste alcune delle domande che il governo avrebbe dovuto porre. E sarebbe stato utile, con l'occasione, preparare un Libro Bianco, da presentare in Parlamento, sul numero delle basi presenti nel territorio italiano, sulle clausole degli accordi che furono stipulati a suo tempo per la loro apertura, sulla durata dei contratti, sullo statuto giuridico delle truppe americane. Il governo ha preferito aspettare parecchie settimane e dire alla fine che il problema è «urbanistico- territoriale». Troppo poco, troppo tardi.

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Il dò ut des dell'Unità

Giulietto Chiesa

Megachip, 22 gennaio 2007


Ho letto, sull'Unità di venerdì 19 gennaio, Vincenzo Vasile che, in un editoriale di prima pagina, accusa i contrari alla nuova base americana di Vicenza di "inseguire vecchi e ambigui miti". Accusa ambigua perchè dal contesto non si capisce bene quali siano questi miti vecchi e ambigui, anche perchè Vasile se ne va per farfalle prendendosela con quell'exlatitante di Oreste Scalzone.

Purtroppo non si vede cosa c'entrino quelli di Vicenza e tutti gli altri, che sono moltissimi, che non vogliono la base, con Scalzone. La grande parte di loro, si può essere certi, non sanno nemmeno chi sia costui.

Dunque torniamo al punto: non vogliono la "base" USA, sono contro la guerra. E' un mito vecchio e ambiguo? Ce lo spieghi, dottor Vasile, perchè non l'abbiamo capito.

Più chiaro è Umberto De Giovannageli, stessa Unità, a fianco. Evidentemente hanno pensato che un solo editoriale non bastasse e ne hanno ordinati due. Il quale De Giovannangeli parla di "capitalizzazione (....) di obblighi di alleanza" e di "politica del dare e dell'avere" che si starebbe giocando "nel rapporto tra Roma e Washington".

Traduzione: noi gli diamo la base di Vicenza, compagni state tranquilli, mica siamo scemi!, e loro ci danno in cambio .....

Già, cosa ci danno in cambio? Questo non risulta per niente chiaro, anzi risulta molto oscuro.

Sembrerebbe (ma De Giovannangeli non ci dice chi glielo ha detto) che Geoge Bush sia pronto a "una verifica di partnership" con l'Italia. Niente meno. Hai visto come siamo diventati importanti?

E questa "verifica" sarebbe su "tre dossier caldissimi". Afghanistan e Iran. E poi "una gestione condivisa dell'impatto socio-ambientale" (della nuova base s'intende). Lui la fa e noi condividiamo con lui l'impatto e anche gli sputi della gente di Vicenza.

Ma forse Bush non è ancora pronto a questa verifica sui "tre dossier caldissimi", per cui noi gli facciamo un regalo: per incoraggiarlo. Perchè ne ha bisogno. Pensa un pò che mal di testa gli verrebbe quando dovesse discutere con De Giovannageli se fare o non fare la guerra all'Iran.

Comunque meglio incoraggiarlo. Il resto verrà, come cantava Lucio Dalla. E intanto quelli di Vicenza metteranno "dei sacchi alla finestra" e, "senza tanti disturbi qualcuno sparirà; saranno forse i troppo furbi e i cretini d'ogni età".

I rompiscatole, che non sono d'accordo, saranno messi in minoranza. Indovina da chi? Ma è ovvio: "dalla componente maggioritaria (bolscevica in russo, nota del traduttore) del movimento pacifista, che non è caduto nella trappola di un antiamericanismo ideologico, retrò".

Guardo in alto, accanto alla testata del glorioso giornale. C'è ancora scritto che fu fondato da Antonio Gramsci. E accanto - ma che strano - c'è ancora la bandiera a strisce con su scritto: Pace. Ma, forse, tra qualche tempo, resteranno le strisce e la scritta la cambieranno, mettendoci il nuovo slogan del "loro" movimento pacifista: "Capitalizzare il dare e l'avere".

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