Stalingrado – 2 febbraio 1943

Paolo Robotti

Fonte: www.resistenze.org
Link: http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/cust8a26-002574.htm


Il 19 novembre 1942 mattina, l'artiglieria sovietica aprì un nutrito fuoco contro le posizioni tedesche attorno a Stalingrado e precisamente a nord nel settore di Serafimovic. Fu quello il primo atto della vasta controffensiva sovietica che doveva liberare la grande città del Volga dalla minaccia hitleriana e infliggere il primo colpo mortale all'esercito tedesco. Nei giorni successivi le operazioni offensive sovietiche vennero sviluppate dalle divisioni carrate e dai reparti motorizzati dei reggimenti della Guardia. Il nemico non fu in grado di opporre una valida barriera alle fulminee azioni dell'Esercito Rosso che, spezzate a nord e a sud di Stalingrado le linee tedesche, procedeva veloce da due parti verso sud. Il 22novembre le divisioni carrate sovietiche si congiungevano sul fiume Karpovka nel settore di Sovietskoje... La sacca era chiusa. Le armate tedesche e fasciste erano chiuse in una morsa d'acciaio che si rivelò, in seguito, infrangibile. Incominciò il grande dramma che doveva costare la vita a centinaia di migliaia di soldati tedeschi, romeni, ungheresi e italiani. Incominciò l'epopea, ormai leggendaria, di Stalingrado.

Il comando tedesco, cocciuto come sempre, presuntuoso al massimo grado e fermamente convinto della superiorità delle sue forze su quelle sovietiche, tentò, nei giorni che seguirono, un attacco di divisioni carrate nella zona di Kotielnikov, a sud-ovest di Stalingrado allo scopo di infrangere l'accerchiamento e di portare rinforzi corazzati all'armata di Von Paulus ormai chiusa in trappola. Comandò l'operazione il generale Manstein, creduto uno degli imbattibili strateghi della guerra dei carri armati. Il suo attacco venne spezzato dai contrattacchi delle divisioni carrate sovietiche e da quel momento i tedeschi ebbero la prima sensazione che non avrebbero più potuto ripassare il Don.

Ne fa fede il fatto che tutti gli attacchi successivamente da essi condotti, mirarono a rompere l'accerchiamento in direzione sud-ovest. Ciò è confermato anche dal fatto che, più tardi, il Comando italiano diede ordine di distruggere i depositi di vettovagliamento che si trovavano nella zona accerchiata, disposizione che venne pure emanata dai comandi romeno e ungherese che, come il comando dell'A.R.M.I.R., erano ridotti all'unico ruolo di... attendenti del comando supremo germanico.

Consolidato l'accerchiamento, il comando supremo sovietico decise di invitare Von Paulus a capitolare per evitare un inutile spargimento di sangue e il vano sacrificio di centinaia di migliaia di soldati e di ufficiali. Va notato che nelle proposte di capitolazione non vi era nulla che potesse umiliare ufficiali e soldati delle armate di quattro paesi accerchiate. Non vi era nulla che non potesse essere accettato senza compromettere la dignità militare dei comandanti e delle truppe. Li si imitava a piegarsi, risparmiando vite preziose al loro paese, alla superiorità della tecnica e della strategia sovietica nella vasta regione. Il comando germanico rifiutò di capitolare respingendo le condizioni poste, senza neppure trattare.

Il 15 dicembre 1942 l'Esercito Rosso iniziò le operazioni per liquidare il nemico accerchiato. Fu un susseguirsi di duri susseguirsi di duri combattimenti nei quali la caparbietà dei tedeschi e l'inettitudine e la sottomissione dei generali degli eserciti vassalli portò al sacrificio migliaia di combattenti contro forze sovietiche preponderanti, meglio equipaggiate, meglio armate e ben preparate al clima rigido dell'inverno, si batteranno disperatamente e invano soldati tedeschi, romeni, ungheresi e italiani. Non un generale - e fra essi quelli italiani - ebbe il coraggio di ribellarsi ai pazzeschi ordini del comando tedesco ordinando ai suoi uomini di deporre le armi per salvare la vita di fronte alla situazione che si presentava chiaramente senza vie di uscita. Il valore dei combattenti fu messo a dura e inutile prova. Gli alti comandi riuscirono a salvarsi, ma ufficiali e soldati no. La temperatura variava, quel periodo, dai 30 ai 40 gradi di freddo. Per il gelo si inceppavano le armi e morivano i combattenti. Il famoso "passaggio della Beresina" di Napoleone, fu ben poca cosa in confronto della immensa tragedia che si svolse fra il Volga ed il Don nell'inverno del 1942-43. Animato da un profondo e concepibile odio, contro gli invasori, entusiasmato dai suoi continui successi, l'Esercito Rosso martellò continuamente e spietatamente i nemici non dando loro tregua, giorno e notte, e non permettendo loro di sganciarsi dalle forze sovietiche incalzanti.

Il 2 febbraio 1943 - cinque anni fa [65 anni fa – n.d.r.] – il comando supremo sovietico annunciò che l'operazione di Stalingrado era terminata con la completa liquidazione di tutte le forze nemiche accerchiate. Il freddo era ancora intenso e la neve molto alta sul teatro delle operazioni. Nella vasta steppa dal Don al Volga si ristabilì la calma. Sotto la spessa e fredda coltre bianca giacquero, per sempre, i corpi di centinaia di migliaia di soldati e ufficiali di quattro paesi europei. Fra essi decine e decine di migliaia di italiani...

I tedeschi che speravano, attraversando il Volga, di accerchiare Mosca prendendola alle spalle e di poter dilagare verso l'India, iniziarono a Stalingrado quella lunga e ininterrotta marcia di ritorno che, senza soste, doveva terminare a Berlino e sull'Elba.

A Stalingrado, come a Mosca, i sovietici si batterono da soli: con le loro forze, con le loro armi, con le loro macchine. Gli alleati erano veramente preoccupati, in quei giorni, ma il secondo fronte in Europa dissero che "non potevano" aprirlo. Churchill, arrivato improvvisamente e segretamente a Mosca, chiese a Stalin che si permettesse a forze aeree a forze di fanteria inglese di penetrare in territorio sovietico per difendere, presidiandola, la zona petrolifera di Baku! Stalingrado non interessava già più il vecchio dell'imperialismo inglese. L'aveva già data per perduta! A lui non costava molto questo.. sacrificio. Ma l'odore del petrolio lo attirava.

I Sovietici sapevano e sanno che le scarpe dei soldati dell'imperialismo sono come l'edera : dove si attaccano muoiono. Perciò tennero lontane dal loro suolo, dalla loro terra, fertile e ricca, le scarpe chiodate dell'imperialismo inglese. E non si sbagliarono.

Stalingrado è stata un grande e luminoso simbolo: il simbolo dell'abnegazione, del sacrificio, dell'eroismo e del valore di una grande famiglia di popoli liberi. Ed è anche un monito per coloro che troppo presto dimenticano che i soldati della libertà si battono con ugual valore contro tutti gli aggressori e tutti gli invasori.

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