Perchè il Council on Foreign Relations odia Putin

Mike Whitney

Fonte: Counterpunch
Link: http://www.counterpunch.org/whitney12052007.html
5 dicembre 2007
Versione italiana di Gianluca Freda
Fonte: http://blogghete.blog.dada.net/ 30 dicembre 2007


In appendice: Una parola conclusiva su Garry Kasparov

Domenica scorsa [il 2 dicembre, NdT], il partito di Putin, Russia Unita, ha vinto alla grande le elezioni parlamentari del paese con il 63 per cento dei voti. E’ stata una vittoria poderosa. Russia Unita controlla adesso 306 dei 450 seggi della Duma, una maggioranza schiacciante. Il voto è stato un referendum sulla leadership di Putin, che è stata approvata a valanga. Ora è sicuro che anche se Putin, l’anno prossimo, dovesse dimettersi da presidente, come tutti si aspettano, resterà comunque lui il giocatore di primo piano nella politica russa del prossimo futuro.

Vladimir Putin è probabilmente il leader russo più popolare della storia, anche se non lo si direbbe dalla lettura dei media occidentali. Secondo un recente sondaggio del Wall Street Journal, la percentuale di gradimento verso la persona di Putin nel novembre 2007 era dell’85 per cento, il che fa di lui il capo di stato più popolare che esista oggi al mondo. La popolarità di Putin deriva da molti fattori. Possiede una personalità intelligente e carismatica. E’ animato da un fiero nazionalismo e ha lavorato instancabilmente per migliorare la vita dei cittadini russi e per riportare il paese alla passata grandezza. Ha trascinato 20 milioni di russi fuori da una povertà opprimente, ha migliorato il sistema scolastico, sanitario e pensionistico, ha (parzialmente) nazionalizzato le industrie più importanti, ha ridotto la disoccupazione, incrementato la produzione e le esportazioni, ridato vigore al mercato russo, rafforzato il rublo, innalzato il tenore di vita complessivo, ridotto la corruzione di governo, incarcerato o esiliato gli avidi oligarchi e ammassato riserve di capitale per 450 miliardi di dollari.

La Russia non è più alla mercè dei predoni come lo fu dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Putin ha posto fine a tutto questo. Ha ripristinato il controllo sulle immense risorse del paese e le sta utilizzando per migliorare la vita del suo popolo. E’ un taglio netto con gli anni ’90, quando l’ubriacone Eltsin precipitò la Russia nel disastro economico per seguire gli editti neoliberisti di Washington, vendendo i Gioielli della Corona di Russia ai rapaci oligarchi. Putin ha rimesso in ordine la casa Russia; ha stabilizzato il rublo, rafforzato le alleanze economico/militari nella regione e rimosso i gangster corporativi che avevano rubato i beni nazionali della Russia in cambio di pochi spiccioli. Oggi gli oligarchi sono in carcere o hanno dovuto fuggire dal paese. La Russia non è più in vendita.

La Russia è tornata ad essere una grande potenza mondiale e una vitale fonte di idrocarburi. La sua stella è in rapida ascesa, proprio mentre quella americana inizia a dissolversi. Ciò potrebbe spiegare perché Putin sia tanto disprezzato in Occidente. Freud la chiamerebbe forse invidia del petrolio, ma la questione è più complessa. Putin ha avviato una serie di trasformazioni sociali che fanno a pugni con i dogmi di base del neoliberismo, cioè con i princìpi che governano la politica estera americana. Egli non appartiene a quella fratellanza di corporazioni bancarie che ritiene di dover spartire tra i propri membri la ricchezza del mondo, a prescindere dalla sofferenza e dalla distruzione che può derivarne. Il principale interesse di Putin è la Russia: il benessere della Russia, la sovranità della Russia e il posto della Russia nel mondo. Non è un sostenitore del globalismo.

E’ per questo che l’amministrazione Bush ha circondato la Russia con basi militari, ha rovesciato i regimi confinanti con le sue rivoluzioni colorate (organizzate dalle ONG e dai servizi segreti americani), ha interferito con le elezioni russe e ha minacciato di dispiegare un sistema di armamenti nucleari (ufficialmente a scopo difensivo) nell’Europa dell’Est. La Russia è vista come un potenziale rivale delle ambizioni imperialistiche americane e deve quindi essere contenuta o sovvertita.

Nei primi anni della sua presidenza, si credeva che Putin avrebbe ottemperato alle richieste occidentali e accettato un ruolo subordinato nel sistema a centralità USA-UE-Israele. Ma questo non è accaduto. Putin ha difeso ostinatamente l’indipendenza della Russia e ha resistito all’integrazione nel sistema dominante.

Il trionfalismo che aveva attraversato Washington dopo la caduta del Muro di Berlino è stato ora sostituito dalla paura tangibile di una crescita del potere russo, proprio nel momento in cui il prezzo del petrolio continua a salire. Le placche tettoniche del potere geopolitico iniziano a spostarsi gradualmente verso Est. E’ per questo che gli USA si sono uniti al Grande Gioco e stanno cercando di mettere radici stabili in Eurasia. Nonostante ciò, non è difficile immaginare uno scenario in cui l’accesso americano alle ultime grandi riserve di petrolio e gas naturale del pianeta – i tre trilioni di barili di petrolio e gas naturale del Bacino del Caspio – potrebbe essere completamente bloccato dalla risorgente superpotenza russa.

Il più potente fra i “think tank” di Washington, il Council on Foreign Relations, ha da tempo previsto questo problema e ha deciso che la politica statunitense verso la Russia doveva essere totalmente ridefinita.

John Edwards e Jack Kemp furono messi a capo di una task force del CFR il cui compito era quello di costruire il pretesto per un attacco frontale contro Putin. E’ qui che nacque l’idea che Putin stesse “riportando indietro la democrazia”. Nel loro articolo “La Russia nella direzione sbagliata”, Edwards e Kemp affermavano che una “partnership strategica” con la Russia non era più possibile. Sostenevano che il governo russo stava diventando sempre più autoritario e la società sempre meno “aperta e pluralista”.

Kemp e Edwards fornirono così le basi ideologiche su cui fu strutturata l’intera campagna propagandistica contro Putin. E fu una campagna di dimensioni impressionanti. Una ricerca su Google News mostra circa 1.400 articoli su Putin provenienti da varie fonti giornalistiche. Quasi tutti contengono esattamente la stessa retorica, le stesse chiacchiere, le stesse falsità, le stesse calunnie. E’ impossibile trovare anche un solo articolo su 1.400 che si discosti di una virgola dai punti di discussione predefiniti dal Council on Foreign Relations.

E’ interessante osservare fino a che punto i media siano diventati un megafono propagandistico degli interessi di sicurezza nazionale. I sondaggi su Putin confermano la sua enorme popolarità, eppure i media continuano a presentarlo come un tiranno. Un atteggiamento totalmente incongruo.

In molti articoli Putin viene bollato come “antidemocratico”; un’accusa che non viene mai rivolta alla famiglia reale saudita che vieta alle donne di guidare, impone loro di coprirsi dalla testa ai piedi e le condanna alla lapidazione in caso d’infedeltà. Inoltre in Arabia Saudita la decapitazione è ancora la condanna più diffusa per i reati capitali.

Quando il re saudita Abdullah viene in visita negli Stati Uniti, nessuno lo rimprovera per il trattamento repressivo imposto dal suo regime contro la popolazione. Anzi, viene onorato con splendide foto che ritraggono lui e George Bush mentre passeggiano a braccetto tra i prati di Crawford.

Perché Putin viene accusato di “riportare indietro la democrazia”, mentre il fantoccio americano Mikhail Saakashvili può dichiarare a piacimento la legge marziale e schierare i suoi robocop armati di manganello contro i dimostranti, picchiandoli fino allo svenimento prima di farli deportare nei gulag georgiani? Le immagini della sanguinosa repressione di Saakashvili sono state pubblicate dalla stampa estera, ma non negli Stati Uniti. Invece, i media tenevano puntate tutte le telecamere su Garry Kasparov (collaboratore del Wall Street Journal e fanatico di destra) mentre veniva portato in manette in una caserma di Mosca per aver manifestato senza autorizzazione.

Il vero crimine di Putin è quello di servire gli interessi nazionali della Russia anziché quelli del capitale globale. Nonché quello di rifiutare il modello di mondo “unipolare” voluto da Washington. Come ha detto a Monaco: “Il mondo unipolare è un mondo in cui esiste un solo padrone, un solo sovrano; un unico centro di autorità, un unico centro di forza, un unico centro decisionale. A conti fatti questo modello è pernicioso non solo per coloro che vivono all’interno del sistema, ma anche per lo stesso sovrano, poiché lo distrugge dall’interno. E, cosa più importante, il modello stesso è difettoso poiché alla sua base non c’è, né potrebbe esservi, un fondamento morale per la moderna civiltà”.

E ha aggiunto:

“Stiamo assistendo a un disprezzo sempre più grande per i principi basilari del diritto internazionale... Assistiamo ad un uso spropositato e quasi incontrastato della forza – forza militare – nelle relazioni internazionali, forza che sta spingendo il mondo in un abisso di conflitti permanenti. Sono convinto che abbiamo già raggiunto il momento decisivo, quello in cui dovremo seriamente ripensare l’architettura della sicurezza globale”.

Ben detto, Vladimir.
Putin non è un santo, ma non merita le sferzate che riceve dai media occidentali.


Una parola conclusiva su Garry Kasparov

Domenica scorsa, mentre il partito “Russia Unita” di Putin si avviava ad una vittoria schiacciante, la Reuters era occupata a scattare penose foto ad un Kasparov che, con viso terreo e mostrando schede elettorali simili a quelle della Florida, sosteneva che le elezioni erano state truccate. “Non hanno solo manipolato i voti”, frignava Kasparov, “Hanno violentato l’intero sistema elettorale. Queste elezioni mi ricordano le elezioni del periodo sovietico, quando non esisteva scelta... Putin troverà pane per i suoi denti se intende governare come Stalin”.

Stalin? Così adesso Putin è Stalin? Prima di tutto, da quand’è che la Reuters si interessa con tanta solerzia delle irregolarità elettorali? Dev’essere un’evoluzione recente, perché non si riusciva a trovarla da nessuna parte durante le elezioni presidenziali del 2000. E da quand’è che hanno iniziato ad interessarsi al “dissenso politico”? Di sicuro non hanno mai sprecato troppa pellicola per le manifestazioni contro la guerra tenutesi negli Stati Uniti. Dobbiamo dunque pensare che siano più interessati alla democrazia russa che a quella americana?

E perché la Reuters è così pronta a regalare prezioso spazio editoriale a un giocatore di scacchi fallito, interessato solo a rendersi ridicolo strepitando contro i brogli elettorali? Queste non sono notizie; è propaganda.

Quanto a Kasparov e alle sue accuse imbecilli: dovrebbe essere felice di vivere nella Russia di Putin anziché in quella di Stalin, o a quest’ora si troverebbe, con le catene ai piedi, su un treno diretto verso le vaste distese siberiane.

E comunque, che ci fa Kasparov a Mosca? E come mai a questo ometto – senza praticamente nessuna base politica – viene riservato così ampio spazio nella narrativa dei media occidentali? E’ solo per screditare le elezioni e gettare un altro po’ di fango su Putin o c’è dell’altro?

Garry Kasparov dovrebbe abbandonare la politica e dedicarsi a ciò che sa fare meglio: la recitazione comica. Vedere Kasparov girellare per Mosca con il suo cestino di invidiose amenità e il suo entourage di marmittoni dei media occidentali è come guardare “Le straordinarie avventure di Mr. Bean al Cremlino”, una miserabile performance in una squallida commedia di serie B. Uno spettacolo penoso.

Il partito di Kasparov, “Un’altra Russia”, non ha raggiunto nemmeno il 2 per cento nei sondaggi. E’ una pagliacciata assoluta. In effetti, perfino la Reuters lo ammette (con riluttanza) nel suo lancio d’agenzia.

Ecco la velina. Reuters: “Kasparov e il suo movimento dissidente “Un’altra Russia” non prenderanno parte alle elezioni parlamentari di domenica prossima, non essendo riusciti a registrarsi come partito. GODONO DI SCARSO SOSTEGNO FRA I RUSSI, MA HANNO UN GRANDE SEGUITO IN OCCIDENTE”. “Un grande seguito in Occidente”? Chissà perché non ne sono sorpreso?

Quindi, in parole povere, Kasparov non ha la minima base elettorale in Russia, eppure gli sono stati forniti cameramen e troupe giornalistiche che lo seguono riprendendo ogni scemenza che dice. Fantastico. Ma chi credono che sia? Nelson Mandela?

Kasparov collabora al Wall Street Journal di Rupert Murdoch; quindi possiede già una piattaforma regolare per il lancio delle sue sparate contro la “tirannia” di Putin. Di solito, uno non ottiene spazio editoriale sulla prima pagina del WSJ a meno che le sue opinioni politiche non siano un po’ più a destra di quelle di Augusto Pinochet. Il che è probabilmente il caso di Kasparov. Nell’edizione del WSJ di sabato scorso Kasparov si è prodotto nel suo ultimo assurdo soliloquio, sparlando di Putin e commemorando la sua straziante ordalia di 5 giorni nelle galere moscovite.

Benché Kasparov abbia raggranellato ben poco sostegno in Russia, egli sembra avere molti leali seguaci nell’elite di Washington. Stando a Wikipedia: “Nel 1991 Kasparov ha ricevuto il premio Keeper of the Flame [Custode della Fiamma] dal Center for Security Policy (un think tank americano), per la sua resistenza anticomunista e per il contributo alla diffusione della democrazia. Kasparov è un destinatario eccezionale, poiché il premio viene solitamente conferito a “individui che abbiano consacrato la propria carriera politica alla difesa degli Stati Uniti e dei valori americani nel mondo”. Hmmmm... “individui che abbiano consacrato la propria carriera politica alla difesa degli Stati Uniti e dei valori americani nel mondo”. Non è forse la definizione di un agente americano?

Stando ancora a Wikipedia: “Nell’aprile 2007 si sostenne che Kasparov era membro del Consiglio di Sicurezza del Center for Security Policy, una “organizzazione apartitica e senza scopo di lucro specializzata nell’identificare politiche, azioni e risorse vitali per la sicurezza nazionale americana”. Kasparov confermò tutto e aggiunse di essersi dimesso subito dopo essere venuto a conoscenza della situazione. Sottolineò di NON ESSERE AL CORRENTE DI ESSERE UN MEMBRO DELL’ORGANIZZAZIONE e fece intendere di essere stato incluso in essa per sbaglio, dopo aver ricevuto nel 1991 il premio “Keeper of the Flame” dall’organizzazione stessa. Tuttavia Kasparov mantenne il proprio legame con la leadership dei neoconservatori, tenendo discorsi presso istituzioni come lo Hoover Institute”.

Ecco una lista di altre personalità che hanno ricevuto il premio “Keeper of the Flame”: 2007-Senatore Joe Lieberman. 2004-Generale Peter Pace. 2003- Paul Wolfowitz. 2002- Generale Richard Meyers. 1998-Donald Rumsfeld. 1996-Newt Gingrich. 1995-Ronald Reagan. 1990-Casper Weinberger.

Kasparov è un’anomalia o è un pezzo importante di questa congrega di pazzoidi di estrema destra? E chi sono i principali esponenti del Center for Security Policy? Richard Perle, Douglas Feith, Frank Gaffney, James Roche e Laura Ingraham. Mamma mia! Tutto l’ufficio centrale del nido del cuculo neocon! Ora dimmi, caro lettore: con amici come questi, cosa dovremmo pensare della performance di Kasparov a Mosca? Sarà davvero interessato a “promuovere la democrazia” o stava solo recitando un copione preparato a Washington?

Negli Stati Uniti, Kasparov è diventato il nodo centrale delle elezioni russe, la fonte primaria di qualsiasi analisi “obbiettiva”. La NPR ripete ogni mezz’ora le sue affermazioni fasulle. Le altre agenzie d’informazione non sono da meno. Egli è divenuto la lente distorta attraverso la quale l’America osserva la democrazia russa. Questo ci dice molto di più sulla stretta mortale che i neocon ancora possiedono sui media di qualunque dibattito riguardante la Russia. Il fallimento di Kasparov ci offre la possibilità di osservare dall’interno il funzionamento dei media di regime. Essi non sono nient’altro che un megafono propagandistico per organizzazioni di estrema destra che, tramite loro, portano avanti una sanguinosa strategia imperiale. Fidel Castro ha sintetizzato a meraviglia la situazione quando ha detto, qualche giorno fa: “I media sono lo strumento più sofisticato mai messo a punto dalla tecnologia allo scopo di uccidere esseri umani e soggiogare o sterminare intere popolazioni”.

Sante parole, Fidel.

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