GEOPOLITICA E ANTI-IMPERIALISMO

Risposta a Moreno Pasquinelli

Costanzo Preve

Ripreso da: Stato e potenza
Link: [qui]
16 marzo 2012


1. Ho letto un interessante intervento in rete firmato Moreno Pasquinelli del 7 marzo 2012 [qui]. Io non vi sono nominato, e quindi la mia non è una risposta personale. E' un'occasione pubblica per chiarire posizioni, e spero che l'inevitabile personalizzazione non venga enfatizzata e non dia luogo a pettegolezzi.

2. Pasquinelli se la prende con chi nega la vigenza della dicotomia Destra/Sinistra, ma soprattutto con la Geopolitica, vista come componente essenziale della cultura di destra. Con chi esattamente ce l'ha?

A proposito della Geopolitica, nell'accezione di Pasquinelli essa può riguardare il blog di Gianfranco La Grassa, il punto di vista di MARX XXI di Diliberto e Gemma, la rivista Eurasia e "Stato e Potenza", eccetera. Ma tutto viene messo in un solo amalgama-calderone, secondo lo stile polemico a me ben noto di Pasquinelli. Per quanto riguarda la negazione della vigenza attuale della dicotomia Destra/Sinistra, penso che Pasquinelli ce l'abbia con me (Costanzo Preve). Ha tutto il diritto di farlo, la polemica è sempre legittima. Non ripeto qui per l'ennesima volta l'argomentazione storico-filosofica-sociologica-psicologica, eccetera per cui ne sostengo l'obsolescenza, e di cui il governo Monti è la punta dell'iceberg. In sintesi, sostengo che questa dicotomia abbia caratterizzato una fase dialettica del capitalismo, mentre ci troviamo oggi in una fase speculativa. Chi vuole a poco prezzo impadronirsi di una completa versione previana della questione, può utilmente leggere un libro previano recente (cfr. Diego Fusaro, Minima Mercatalia. Filosofia e Capitalismo, Bompiani, Milano 2012).

3. Se volessi scendere sul terreno gruppuscolare delle polemiche fra allucinati, farei notare il paradosso dell'antimperialista di sinistra Pasquinelli che nel caso della Libia e della Siria appoggia forze dichiaratamente di "destra" (Fratelli Musulmani, salafiti, emiri del Golfo, Qatar, Arabia Saudita, la strega Clinton, l'Europa americanizzata, il sistema di manipolazione mediatico unificato, eccetera). Ma so già la risposta paratrotzkista: costoro strumentalizzano, mentre io appoggio le masse popolari sopra ogni cosa.

Si tratta quindi di una metafisica delle masse. Quale ne è la genesi ideologica?

4. Alla base degli errori di valutazione e di appoggio tattico (errori inevitabili, e chi è senza peccato scagli la prima pietra!) ci sta una matrice teorica strategica. Dietro il picconatore Bertinotti e il suo inspiegabile atteggiamento autolesionistico ci sta il codice Ingrao-Rossanda, che può essere sommariamente riassunto così: il comunismo c'è in tutto il mondo, salvo che nei paesi che si dicono comunisti, in cui è l'unico posto in cui non c'è. Ergo, il comunismo è "indicibile", soprattutto nei salotti mediatici romani per straccioni arricchiti. Il dramma del cosiddetto partito di Rifondazione è quindi psicoanalitico, non politico. Vendola lo ha risolto riciclando il suo elettorato confusionario in "risorsa narrativa" per il PD.

Quando conobbi Pasquinelli, pensavo che fosse quello che affermava, un antimperialista. Ben presto mi resi conto (o credetti di rendermi conto, mettiamola pure in forma cortese-dubitativa) che si trattava di un clone trotzkista, che ovviamente si percepiva come quartier generale della rivoluzione mondiale, e pertanto prendeva posizione su tutto, ma assolutamente tutto, modo migliore ovviamente per rimanere isolato. Secondo le leggi della probabilità e del gioco dei dadi, a volte ci si azzecca (Jugoslavia 1999, Iraq 2003, Palestina da sempre), e a volte invece no (Libia, Siria). Ma non voglio imbarcarmi in una polemica astiosa. Mi interessa invece concentrarmi su tre punti:
a) Natura storico-strategica complessiva della cosiddetta Primavera Araba.
b) Statuto storico e teorico delle cosiddette "masse" nei processi rivoluzionari.
c) Uso corretto di una disciplina come la geopolitica, che non è né di destra né di sinistra. O magari di destra come genesi storica originaria, ma questo non tocca la sua pertinenza generale.

5. La cosiddetta Primavera Araba è stata l'equivalente dell'Ottantanove, ma non del 1789 della rivoluzione francese o del 1889 della fondazione della Seconda Internazionale, quanto il 1989 di Varsavia, Praga e Berlino Est. Ovviamente mi sono del tutto chiare le differenze, che mi astengo dall'elencare pedantescamente. Il minimo comun denominatore non è il protagonismo delle masse (variamente musulmano-salafite nel mondo arabo, anticomuniste-occidentaliste nel baraccone fallimentare del comunismo storico novecentesco veramente esistito e non onirico di Ingrao-Rossanda-Ferrando), ma è stato la fine di un ciclo storico ben caratterizzato: realsocialista nei Paesi occupati dall'URSS nel 1945, nazionalistico "progressista" nel mondo arabo (nasserismo, Baath, FLN algerino, eccetera). Cartina di tornasole sicura, come lo è la glicemia per il diabete: l'atteggiamento degli USA e della grande stampa occidentale.

Ma, si dirà, ci sono le masse. Si vorrà forse negare il ruolo delle masse in Egitto e in Tunisia? Ma neppure per sogno. Nessuno lo vuole negare, o almeno io non mi sogno di farlo. In Libia e in Siria non ci sono mai state "masse" indistinte in lotta contro un apparato repressivo-dittatoriale, ma ci sono state sanguinose guerre civili locali, che Gheddafi purtroppo ha perso e che speriamo invece Assad non perda, ma riesca a fare un compromesso con i suoi oppositori più patriottici e meno fantocci degli emiri del Golfo.

Nel codice teorico trotzkista, in cui un piccolissimo gruppo dottrinario (e appunto perché dottrinario esposto fisiologicamente a continue scissioni) si autopercepisce con falsa coscienza ideologica necessaria (per usare una categoria marxiana) come il quartier generale in pectore dell'intero processo della rivoluzione mondiale, il "protagonismo delle masse" ha un ruolo essenziale, perché funziona simbolicamente da ruolo compensativo di sostituzione della propria evidente impotenza ultraminoritaria. Ma le vere rivoluzioni (inglese seicentesca, francese, russa, cinese, eccetera) si definiscono non certo per la presenza attiva di masse, ovviamente presupposta, ma per la natura strategica della direzione politica.

Dopo un anno e mezzo di primavera araba sembra di capire che la direzione politico-ideologica sia nelle mani di un Islam politico che non ha nulla a che fare con quel vero e proprio incidente di percorso che è stata Al Qaeda (incidente di percorso generato originariamente dall'intervento USA in Afghanistan al tempo dei russi), ma che è l'espressione di una omologazione economica di nuovi gruppi "borghesi" arabi, non più legati alla mediazione "progressista" dei partiti "socialisti". Il discorso sarebbe lungo, ma è inutile farlo con un trotzkista, così come è inutile parlare di teologia con un testimone di Geova o di marxismo con un distributore del giornale di "Lotta Comunista". Esiste una cosa chiamata autoreferenzialità, che rende impossibile il dialogo anche ai meglio disposti.

6. Nello stile polemico di Pasquinelli mi colpisce soprattutto la dismisura verbale. I geopoliticisti "usciti dalle catacombe" si arruolano lancia in resta, e soprattutto, "in preda alle convulsioni", non hanno nascosto la loro "sordida soddisfazione" quando la NATO cominciò a bombardare la Libia. Ora, io non so che abbia in testa Pasquinelli (probabilmente, solo i suoi fantasmi), ma personalmente provai angoscia e dolore, non certo sordida soddisfazione. E questo lo dice un Pasquinelli con la memoria corta, che scrisse che era impossibile che la NATO portasse i ribelli a Tripoli, e che se lo avesse fatto si sarebbe cosparso il capo di cenere (sic!). Qui però mi fermo, perché non mi interessa entrare nel mondo paranoico dei reciproci rinfacci. E' meglio tornare alla discussione sui fondamentali. 7. In una concezione generale della storia, tutte le cosiddette "masse" meritano rispetto, persino quando sgozzano i giacobini come nella Vandea del 1793 o nella Napoli del 1799, oppure quando rovesciano il socialismo reale polacco o la cosiddetta banda dei quattro maoista nel 1976 (e potrei ovviamente moltiplicare gli esempi). Lo vogliamo o no, tutti alla fine finiamo per preferire alcune "masse" ad altre "masse". Siamo sicuri che Gheddafi non avesse delle masse dietro di lui, e che Assad non le abbia (cristiani, drusi, alawiti, eccetera)? Evidentemente Ben Alì non le aveva più o non le aveva mai avute, e questo vale forse anche per Mubarak. Ma se parliamo di masse senza tenere in conto le direzioni politiche vincenti, processi come il 1917 russo e il 1949 cinese diventano letteralmente incomprensibili. Riempire piazza Tahrir è certamente importante, ma quello che conta alla fine è il tipo di regime sociale che si consoliderà sul medio termine. Il gruppettarismo trotzkista, esplicito (Turigliatto, Ferrando) o implicito (Pasquinelli) non può capirlo, perché ritiene veramente che la rivoluzione comunista antiburocratica delle masse sia all'ordine del giorno.

8. E parliamo ora della buona vecchia geopolitica. Pasquinelli ne da una versione unificata e grottesca, e dichiara "inconfondibili" sette tratti genetici che proclama in modo apodittico. Essi sono talmente "inconfondibili" che personalmente non mi ci riconosco nemmeno in uno. La geopolitica è come un bisturi, può essere usata per sgozzare o per curare, e quindi non può essere un fine in sé, ma uno strumento per facilitare progetti che non sono mai primariamente geopolitici, ma sono politici, sociali e filosofici. Quindi, per evitare che un possibile confronto si trasformi in una rissa fra ubriachi, bisogna prima chiarire di che cosa vogliamo parlare. In questo caso, io non parlo per Eurasia, Gemma-Dilioberto (sostenitori accaniti della dicotomia Destra/Sinistra), o per il blog dell'amico La Grassa (che avversa ciò che io amo sopra ogni altra cosa, e cioè la filosofia, la metafisica, l'idealismo e l'umanesimo). Parlo solo per me stesso.

Citerò una recente e pregnante formula di Alain de Benoist, nella quale mi riconosco nell'essenziale: "Il nemico principale è oggi il capitalismo e la società di mercato sul piano economico, il liberalismo sul piano politico, l'individualismo sul piano filosofico, la borghesia sul piano sociale e gli Stati Uniti sul piano geopolitico". Come si vede, il piano geopolitico non è tutto, ma è al massimo un quinto del problema complessivo. Ripeto, solo un quinto. Sono solo i Pasquinelli che vogliono inchiodare un quinto alla totalità, proiettando sugli altri le loro monomanie esclusivistiche.

Come ho detto, mi riconosco nell'essenziale nella formulazione di de Benoist, ma se dovessi articolarla cambierei forse qualcosa. I piani economico e politico possono essere distinti solo con una astrazione scolastica, ma di fatto sono ormai una cosa sola. Più che di borghesia, che secondo me ormai non c'è più, a meno che vogliamo ridurla a un insieme catastale di proprietari dei mezzi di produzione, parlerei alla La Grassa di agenti strategici della riproduzione capitalistica (dominanti). Più che di individualismo nel vecchio senso hobbesiano, parlerei di estensione del dominio della lotta fra "io minimi" alla Lasch, eccetera. Ma nell'essenziale ripeto: la geopolitica non è che un quinto del problema, non mi farò inchiodare ad essa dai vari Pasquinelli.

Se si dovesse scrivere oggi un "programma di transizione" alla Trotzky (ma me ne guardo bene!), comincerei con questo. Oggi non sappiamo per ora a cosa dovremmo "transire", visto che i vecchi modelli sono caduti, tutti i vecchi modelli, da Stalin a Trotzky, da Mao a Bordiga, con tutta la banda Ferrero, Diliberto, Rizzo, Turigliatto, Ferrando, eccetera. Riproporre il "comunismo" politico significa dividere il popolo, per la carica inerziale negativa dovuta a coloro che hanno usato questo nome. Per ora il massimo che si può ottenere è il ripristino della sovranità nazionale, monetaria e militare. Questo è a un tempo sia il programma minimo che il programma massimo. Chi vuole che questo "fronte" venga fatto con "egemonia comunista" illude se stesso e gli altri, e rilanciando la dicotomia Destra/Sinistra è un fattore di confusione e non di chiarezza.

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