Le considerazioni che seguono, come è spiegato nel testo, non costituiscono un documento fondativo di alcunchè, ma servono solo ad aprire una discussione sul da farsi e possono interessare solo quei compagni e quelle compagne che vogliono affrontare la nuova fase uscendo dal particolarismo, dal movimentismo e da logiche politichesi che rendono l'acqua in cui i pesci dovrebbero nuotare sempre più inquinata e della dimensione di una pozzanghera.

UNA NUOVA FASE DI LOTTA
PER LA PACE E IL SOCIALISMO


Premessa

Quando si elabora un documento con pretese politiche di carattere generale lo si usa solitamente presentare come piattaforma di un progetto strategico da realizzare qui ed ora. Di progetti di questo tipo è lastricata la strada dei fallimenti di quella che si è definita nel tempo sinistra di classe e/o comunista.

Nel passato, e anche oggi, noi abbiamo sempre adottato un metodo diverso, consapevoli che le rivoluzioni e i cambiamenti strutturali hanno sempre bisogno di essere dialetticamente individuati nel rapporto tra condizioni oggettive e strumenti organizzati per la trasformazione.

Al di fuori di questo schema i proclami rivoluzionari lasciano il tempo che trovano, come puntualmente è avvenuto e per questo siamo sempre stati avversari di quelli che definiamo metodi soggettivistici, sia nella versione ideologizzante che in quella movimentista. Le due versioni di questa logica hanno avuto una rappresentazione quantitativamente diversa, ma la sostanza delle loro posizioni era e rimane identica. In ambedue c'è uno stacco sostanziale tra realtà e proposta politica e questo ne spiega il fallimento, anche quando, per rendere apparentemente credibile la scelta 'rivoluzionaria', si è scomodato il marxismo-leninismo .

Ovviamente i fallimenti non si spiegano solo con gli errori e le previsioni fasulle. C'è un contesto storico che ha condizionato il tutto - e negativamente - e bisogna tenerne conto. Ma la pretesa non è fare la rivoluzione a tutti i costi, ma almeno iniziare un processo che mantenga aperta la prospettiva, cosa di cui in Italia non v'è traccia.

Noi in tutta questa vicenda, pur coi grandi limiti che ci hanno caratterizzato, ci siamo attenuti a un criterio di concretezza delle esperienze, senza proclami altisonanti, ma lavorando nel concreto delle contraddizioni e seguendo una bussola da comunisti che ci facesse capire l'indirizzo da seguire. Così quando abbiamo dato vita all'OPR, l'organizzazione proletaria romana, stabilendo una netta distinzione dal movimentismo anarco-operaista e di matrice studentesca. Così quando abbiamo tentato, con un certo successo, di costruire strumenti rappresentativi dei lavoratori, le RDB, le rappresentanze sindacali di base, e infine quando ci siamo presentati, come Movimento per la Pace e il Socialismo, a un appuntamento 'comunista' di cui Cossutta, Bertinotti e i loro epigoni dell'Ernesto sono stati i becchini.

A un certo punto di questi nostri percorsi, gli avvenimenti dell'89 hanno messo in luce i problemi strutturali che andavano maturando nel mondo e abbiamo smesso, non di seguire gli avvenimenti e analizzarli, ma di continuare a pestare l'acqua nel mortaio. Il movimentismo e i residui del dogmatismo non ne hanno tratto invece le conclusioni e hanno proseguito nelle vecchie logiche, remando controcorrente su una zattera che il vortice della controrivoluzione portava altrove.

Oggi la situazione è diversa. I dati interni e internazionali ci dicono che la situazione si è messa in movimento sotto la spinta della crisi economica, che è anche crisi sociale, e che l'imperialismo a direzione americana è in grosse difficoltà e produce contraddizioni e conflitti di larga portata. Dobbiamo quindi prendere atto di ciò e cercare di aprire una nuova fase di lavoro politico e di classe.


1. Che cosa caratterizza la situazione oggi?

Per aprire una discussione politica e strategica bisogna uscire dalle fumisterie ideologiche e falsamente 'politiche' e analizzare concretamente gli avvenimenti di questi due decenni sapendoli interpretare correttamente.

Diciamo che nel periodo che stiamo esaminando ci sono state due fasi.

La prima ha provocato un arretramento spaventoso di tutto ciò che il movimento comunista e i movimenti di liberazione antimperialisti avevano prodotto nel xx secolo. Il crollo del socialismo in URSS e in Europa e l'attacco militare a una serie di Stati sovrani che non rientravano nel dominio diretto del sistema imperiale americano sono stati gli elementi di questo passaggio epocale.

Qual'era l'obiettivo di quelli che venivano definiti i vincitori della guerra fredda? L'obiettivo era al tempo stesso economico e militare. L'intenzione era quella di allargare enormemente gli spazi di intervento economico al fine di creare una nuova accumulazione di profitti e di appropriazione di risorse naturali. Sul piano strettamente militare si è trattato della guerra in Jugoslavia per il controllo del Balcani, dell'allargamento della NATO a Est e dell'espansione dell'UE col coinvolgimento di una serie di stati ex socialisti, della vicenda dell'11 settembre a New York e l'attacco all'Afghanistan all'Iraq. In tutte queste vicende i paesi europei hanno fatto da comprimari dividendo con gli USA il bottino e partecipando alle guerre di aggressione.

In queste circostanze abbiamo dato il nostro modesto ma significativo contributo, con le iniziative contro la guerra in Jugoslavia e per la verità sull'11 settembre e con Iraq Libero, prima risposta all'imperialismo di sinistra italiano, ma anche con le iniziative contro l'embargo alla Libia e la partecipazione alla direzione del CILRECO, il comitato internazionale per la riunificazione della Corea.

Il contributo vero, però, a bloccare il progetto imperiale americano è venuto dalla resistenza irachena e da quella afghana. Lì le guerre cosiddette 'umanitarie' hanno trovato il loro limite e si è invertita una tendenza.

Da allora il vento è cambiato e di molto. Le guerre 'umanitarie' sono andate sì avanti, con l'aggressionea alla Libia e alla Siria, ma si è messo in movimento l'intero Medio Oriente con orientamenti non univoci seppure con interferenze americane dirette e indirette. Si può dire però che la crisi militare dell'imperialismo americano e della NATO ha trovato nel M.O. una espressione evidente. Non è ancora però una sconfitta militare strategica. Sul campo difatti sono presenti forze legate agli USA e agisce la potenza militare israeliana. Anche questa però ha trovato in Libano e a Gaza una resistenza che fa apparire Israele più come una enclave assediata che una potenza in espansione. Quello che è certo è che in M.O sono saltate le certezze e i capisaldi storici su cui gli americani hanno basato per decenni la loro strategia di dominio. Ora si devono accontentare di una tattica affannosa e di operazioni militari sempre più sporche utilizzando l'islamismo radicale di facciata come ultimo rifugio e il nazismo israeliano.

A esaurire la spinta propulsiva del sistema imperiale americano sono state però questioni più strutturali: la nuova situazione geopolitica e la crisi economica mondiale che ha investito i capisaldi dell'impero. Con una interazione inevitabile.

Da quando il sistema imperiale a guida americana è partito per le nuove crociate è emerso che di fronte ad esso non c'erano praterie da percorrere con molta facilità, ma catene montuose costituite dal sistema dei BRICS e dalla Cina in particolare. Non è un sistema omogeneo né una assoluta linea di demarcazione, ma un contrappeso enorme sul piano geopolitico, militare ed economico.

Dal punto di vista geopolitico ora la situazione si complica ulteriormente perchè la Russia rivendica un ruolo non previsto dal sistema imperiale americano, un ruolo di grande potenza che sa intervenire in M.O. tramite la Siria, che si proietta nello scenario euroasiatico e che pretende di intervenire nell'area europea dell'ex URSS.

Gli USA passano quindi dall'offensiva alla difensiva e per tenere le posizioni alimentano i venti di guerra per interposta persona o direttamente.

Questo non porta più solo a guerre 'umanitarie', ma a guerre di portata più ampia che interessano tutto il M.O e tutta l'Europa. La situazione si è messa davvero in movimento e cambiano gli scenari.

Agli Stati Uniti e al loro sistema imperiale manca dunque quello che i nazisti chiamavano Lebensraum, lo spazio vitale per il quale si è combattuta la seconda guerra mondiale. La preda più ambita è la Russia, per l'importanza del suo territorio e delle sue risorse e per il rischio che possa coinvolgere l'Europa in un progetto di collaborazione che la renda autonoma dalla strategia americana. Si capisce quindi la questione Ucraina e la guerra che è iniziata e che non ha affatto valenza locale.

Ma quello che spinge l'occidente capitalistico allo scontro è la crisi economica e il suo rapporto con lo spazio vitale. Questa crisi, iniziata per motivi endogeni, cioè per l'insostenibilità dei livelli speculativi-finanziari di realizzazione del profitto, è anche diventata crisi delle possibilità di espansione del capitale, e non basta l'avanzamento tecnologico per avere il dominio dello sviluppo come in passato. Ora c'è la Cina e con questa e con le alleanze internazionali che attorno ad essa si intrecciano bisogna fare i conti. Su questo bisogna riflettere seriamente per prendere coscienza di quello che ci aspetta. Da qui partono le novità e con queste bisogna misurarsi.

Si badi bene, per evitare interpretazioni meccanicistiche di quanto è stato detto finora: sicuramente dobbiamo partire dal dato certo della riduzione di spazi e dalla crisi dell'egemonia degli Stati Uniti nel mondo, ma gli USA tenteranno comunque di coinvolgere nello scontro tutti i paesi possibili, in particolare in Europa e in Asia. Anche la creazione della zona di libero scambio atlantica (TTIP) è un passaggio in questo senso: gli USA tentano di rinserrare la fortezza atlantica dentro la propria area per reggere i rapporti di forza mondiali e andare allo scontro. Analoga operazione si sta tentando in Asia, seppure con maggiori difficoltà e diversi rapporti di forza.


2. Contraddizioni e conflittualità nella nuova fase

La situazione dunque si è messa in movimento, ma lo scontro si ripropone oggi in termini assai diversi da quelli che avevano dominato fino agli anni novanta del secolo scorso, e tra la prima e la seconda guerra mondiale e nel dopoguerra immediatamente successivo. Non abbiamo un blocco di paesi socialisti che si contrappone all'imperialismo, non abbiamo un movimento comunista internazionale degno di questo nome (in generale si tratta di partiti parlamentaristi, subalterni ai blocchi nazionali di sinistra, senza una forza teorica che ne esprima l'indirizzo rivoluzionario) e un paese come la Cina non guida un fronte antimperialista attivo, ma gestisce lo sviluppo del socialismo 'alla cinese' in un'ottica di assoluta indipendenza, ma anche di coinvolgimento nella gestione dell'area economica mondiale.

L'erompere delle contraddizioni in questa fase, la crisi economica e le guerre, produce sì forti resistenze, ma non c'è una strategia antimperialista globale, quella coscienza antimperialista che deve portare non solo alla sconfitta degli USA e dei loro alleati, ma anche al crollo dei vecchi sistemi. Gli sbocchi possono essere dunque di vario tipo.

Come per il M.O., anche la guerra in Europa avrà caratteristiche particolari. Già un blocco di paesi dell'Est, Polonia, baltici, fascisti ucraini, ungheresi e altri possono essere trascinati nell'avventura della guerra contro la Russia come rivalsa nazionalista all'esperienza sovietica. Mentre l'Europa occidentale sarà il retroterra di questo fronte cementato dall'ideologia occidentalista e rafforzato dalle posizioni della sinistra imperialista.

L'Europa non è l'unico scenario della guerra che si prepara e che è iniziata in Ucraina. Da anni i paesi arabi e islamici sono coinvolti in una guerra in cui islamismo, indipendenza nazionale, ruolo dell'Arabia Saudita, USA e Israele, conflitto politico tra sciiti e sunniti hanno trasformato l'area in un fronte ampio del conflitto mondiale che si sta espandendo.

Anche qui le forze in campo non possono essere ricondotte a un'unica definizione, imperialismo contro antimperialismo. Però in tutti gli scenari in cui la guerra si sta sviluppando è possibile trovare il filo conduttore di una contraddizione che parte dal sistema imperiale americano e provoca il conflitto. E questo certamente è il dato dominante.

Su questo filo rosso che lega gli avvenimenti odierni deve passare la ricomposizione delle forze rivoluzionarie e di classe, un passaggio a cui dobbiamo prepararci, anche se siamo consapevoli che saranno gli avvenimenti stessi a farci trovare le basi reali della trasformazione. Il nostro, oggi, è solo un necessario lavoro preparatorio.

L'avanzamento dunque che la situazione consente deve trovarci preparati, questa è la condizione per cambiare i rapporti di forza e darci una prospettiva, dopo due decenni di assalto imperialista. Questa coscienza deve essere l'elemento centrale della formazione delle organizzazioni rivoluzionarie comuniste, superando l'ideologismo e la mancanza di analisi scientifiche e concrete.

Su questo schema generale che si presenta come sintesi di una realtà in movimento si innestano ovviamente le singole situazioni nazionali che sono differenti da situazione a situazione, ma oggi, come all'epoca di Lenin, ai comunisti spetta il compito di impostare una strategia che individui il centro dell'azione politica e dei compiti storici da assolvere nel conflitto internazionale e nello scontro di classe. Il sistema imperiale americano condiziona, come i fatti dimostrano, ogni singolo paese .

Il nostro modo di interpretare la situazione non ci porta a un astratto antimperialismo, ma ciò che andiamo dicendo si deduce dallo sviluppo reale delle contraddizioni dentro cui, poi, ciascuna organizzazione comunista deve trovare le forze per combattere e anche per trasformarsi liberandosi dei residui che hanno portato alla decadenza.

Quella che sta per iniziare non è una 'rivoluzione permanente' di trotskista memoria, ma l'apertura di una crisi mondiale dentro cui si determineranno i nuovi rapporti di forza e l'intensità delle trasformazioni, come nel 1917, come nel 1939. In questo contesto importanti sono due cose: l'indirizzo dello scontro contro il sistema imperiale americano e una nuova capacità comunista che sia in grado di emergere nel conflitto determinando un avanzamento dei cambiamenti sociali.


3. Il ruolo dell'Unione Europea e della sinistra imperialista

Nel sistema imperiale americano qual'è oggi il ruolo dell'UE? Anche rispetto all'UE la situazione sta mutando rapidamente. Negli anni passati, l'Europa ha fatto il lavoro sporco per gli americani, anche se ha guadagnato, come si suol dire, il pizzo. Sono stati inglobati economicamente i paesi dell'Est e la frontiera della NATO è stata fatta avanzare fino ai confini della Russia senza provocare reazioni significative fino alla vicenda Ucraina. Qui il cerchio si è spezzato e altri meccanismi sono scattati.

La situazione europea è caratterizzata da tre elementi. La volontà americana di mantenerne il controllo, forzando la mano in termini di intervento militare ed economico e spingendo sul trattato di libero scambio. L'egemonia di fatto della Germania sull'UE che impone un modello di sviluppo continentale attorno all'Euro per fare dell'Europa un interlocutore forte sul piano internazionale e, infine, il compattamento dei governi conservatori e socialisti attorno all'Europa tedesca.

Nella prospettiva di un'acutizzazione dello scontro con la Russia, l'Europa e in particolare la Germania si trovano stretti tra i vincoli dell'alleanza atlantica a guida americana e la necessità di uscire dall'attuale subalternità agli USA e incrementare i rapporti economici con la Russia e le sue fonti energetiche. La battaglia è aperta e ancora in corso e manifestazioni eclatanti si sono viste con le vicende di spionaggio e l'espulsione degli agenti CIA da Berlino.

La sinistra imperialista ci spinge a credere che possa esistere in questo momento un'Europa indipendente e positiva. In realtà l'UE è posta di fronte all'alternativa se continuare ad essere solo una pedina americana o trovare una posizione imperiale autonoma e un nuovo rapporto con la Russia in questo contesto.

E' chiaro che le prospettive di guerra in Europa dipendono anche da questo. E dal formarsi di una spaccatura tra governi filoamericani e asse tedesco.

Comunque tutte queste vicende non devono trovarci nella posizione di spettatori o peggio di scegliere tra le parti in campo.

Durante le ultime elezioni europee ci siamo spesi, nel nostro piccolo, per invitare all'astensionismo e abbiamo spiegato il perchè. Questa Europa non è riformabile dal di dentro. Essa non ha nessun ruolo democratico, ma è un assemblaggio di gruppi di potere, una sorta di comitato di affari europeo che viene usato dalle lobby finanziarie e industriali e che garantisce i compromessi tra i vari partners.

L'astensionismo alle elezioni europee ha raggiunto livelli molto alti e ciò dimostra una forte caduta di egemonia del sogno europeo del capitale continentale. La sinistra imperialista, anche di etichetta 'comunista', continua ad insistere invece per la trasformazione di questa Europa dal di dentro o, in modo demagogico, parla di uscita dall'UE, ma intanto partecipa alle elezioni (i comunisti della Repubblica Ceca e quelli portoghesi si sono dichiarati soddisfatti del loro risultato in presenza, rispettivamente di un 82% e 72% di astensionismo!). Solo alcuni gruppi di comunisti europei hanno sottoscritto un appello astensionista e tra questi ovviamente ci siamo anche noi.

L'Europa dei popoli, quella di cui si parla spesso, ma che non esiste, può nascere solo dalla demolizione delle impalcature comunitarie, dalla riorganizzazione della collaborazione continentale e dal blocco delle avventure militari.

La UE, come la NATO, è un cappio per l'Europa.


4. La situazione politica e di classe in Italia

Se il quadro della situazione è quello delineato finora, in che rapporto sta con esso l'Italia?

Sulle questioni di carattere internazionale non vi sono novità, sia rispetto agli USA che alla subalternità alla direzione tedesca dell'UE, a parte le sparate demagogiche del capo del governo che lasciano il tempo che trovano rispetto agli indirizzi di fondo. Le novità ci sono invece sul piano economico-sociale e su quello degli equilibri politici. Dal punto di vista dei rapporti sociali e di classe siamo passati dalla pesante ristrutturazione degli anni '80, che ha frantumato il tessuto di classe e determinato delocalizzazioni e decentramenti produttivi riducendo pesantemente la capacità contrattuale dei lavoratori, allo sviluppo di una crisi che incide profondamente su tutto il tessuto sociale e produce effetti devastanti.

I milioni di disoccupati, di precari, di giovani senza lavoro e prospettiva, di lavoratori in nero, dominano la scena e producono una miseria diffusa. La crisi è accompagnata da 'riforme' che seguono puntualmente l'indirizzo padronale. Le leggi sul precariato, le riforme previdenziali, la riduzione della spesa sociale, sono il quadro che regola i nuovi indirizzi liberisti adottati sia a destra che da quella che per convenzione si chiama sinistra.

E' possibile, e come, rovesciare questa tendenza? Già negli anni '80 ci siamo misurati con questo problema. Il cobasismo ne è stata l'espressione più avanzata, anche se molto parziale e localizzata prevalentemente nel settore pubblico e dei servizi. La linea di classe non si è consolidata né ha prodotto un rovesciamento di tendenza. Dieci anni dopo è iniziato il nuovo ciclo. Bloccati gli occupati tradizionali su una linea di svuotamento della contrattazione e di ricatto del posto di lavoro, il capitalismo globalizzato italiano ha fatto un passaggio drammatico dal punto di vista sociale, caratterizzato dalla liquidazione di interi settori produttivi e dalla precarizzazione del lavoro.

Oggi quindi il discorso unificante del lavoro e della dignità diventa il centro di una possibile ripresa di classe. Il compito però è troppo vasto e troppo impegnativo per essere lasciato in mano agli apprendisti sindacalisti del cobasismo. Solo una tendenza di classe forte, non basata sul rivendicazionismo, ma su identità e coscienza di classe, può operare nella direzione giusta. Si tratta di un passaggio fondamentalmente politico dentro gli attuali rapporti sociali, come quello che si è determinato agli inizi del movimento operaio.

I soggetti travolti dalla crisi - disoccupati, precari, interinali, sottopagati - non hanno sponde politiche. L'azzeramento della sinistra di classe li ha lasciati indifesi di fronte alla crisi. Il resto lo hanno fatto i mercenari delle confederazioni e i legislatori a servizio dei padroni.

Quindi non c'è scelta: o si lavora per un innalzamento della coscienza collettiva di classe o si rimarrà sul terreno della subalternità protestataria e neo-corporativa. L'autonomia di classe, che nulla ha a che vedere con quella anarchicheggiante del '77, non ha prodotto negli anni '80 questo passaggio. Dobbiamo riprovarci ora, se vogliamo uscire dalla nostra crisi.

La crisi sociale non ha investito solo i settori tradizionalmente legati al lavoro dipendente operaio, ma ha macinato anche milioni di situazioni definibili di ceto medio, comprendendo in questa categoria terziario, commercio, artigianato, piccola produzione legata al periodo espansivo dell'economia. Anche il pubblico impiego e i servizi sono stati coinvolti nella riduzione della spesa pubblica e quindi delle possibilità di impiego. Il precariato è diventato una caratteristica di quello che un tempo veniva definito il posto fisso.

Tutto ciò ha creato una grande instabilità sociale, ma anche politica. Questa però non ha dato luogo, per la complessità della situazione sociale, a un'opposizione omogenea e di classe. Anzi sono stati i ceti meno proletarizzati che hanno alimentato il berlusconismo prima e la crescita del grillismo poi. Con una sostanziale distinzione però, in quanto il berlusconismo è stato ed è, per quello che ne rimane, un fenomeno populista di destra, mentre il grillismo è espressione di un'opposizione radicale di matrice democratico-borghese.

Il successo clamoroso di 5Stelle e l'aumento dell'astensionismo hanno creato la grande paura per la borghesia, che ha dovuto trovare l'asso nella manica per reggere l'urto di una crisi che stava diventando istituzionale.

La soluzione è stato Renzi, una soluzione che supera la dicotomia tra destra e sinistra e fa emergere un nuovo modello di gestione del potere di tipo decisionista idoneo ad affrontare le questioni poste dalla crisi con tutte le armi, dallo stravolgimento istituzionale alla repressione delle lotte. Attorno a questa scelta si sono coalizzate tutte le forze della borghesia e per ottenere il risultato sono stati utilizzati tutti gli strumenti dell'informazione e dello stordimento di massa. Il patto del Nazareno ne rappresenta l'espressione più cinica.

Questo risultato però galleggia sopra un magma sociale che può metterlo in crisi anche rapidamente.

Ma chi e come può provocare questa crisi?

Nel paese c'è effettivamente un movimento antirenziano piuttosto diffuso che si è espresso anche in parlamento contro la riforma del senato e quella elettorale. C'è anche un settore di intellettuali e di forze costituzionaliste che manifestano la loro insofferenza per la cialtroneria e l'arroganza di questo leader di plastica che ha scalato con molta rapidità le maggiori vette della politica. Non dimentichiamoci che Renzi è allo stesso tempo capo del governo e segretario di un partito e che gli è stato concesso di creare uno staff che abbonda di moderne vallette per dare omogeneità ai suoi progetti e venderli sul mercato dei media attraverso uno stuolo di velinari dell'informazione che non ha paragone con il passato.

Ma se l'uomo è quello che è, non dimentichiamoci che tutte le figure tragiche e nefaste della storia non hanno mai brillato per la loro consistenza, e Renzi non fa eccezione. Quello che ha caratterizzato queste figure è l'estrema determinazione e l'estremo cinismo con cui hanno gestito il potere in nome e per conto delle borghesie di riferimento.

Destra e 'sinistra' hanno ricevuto il mandato di rendere omogenea, attraverso Renzi, la risposta interna e internazionale alla crisi: più liberismo e più imperialismo.


5. La crisi e il socialismo come necessità oggettiva

Generalmente per i comunisti rimasti sulla piazza dopo l'89 la parola socialismo rimanda a un futuro lontano e indeterminato. Certo c'è anche la versione rivoluzionaria che esige qui e subito il cambiamento del sistema. In ambedue i casi però ci troviamo di fronte a un idealismo retorico che non individua i passaggi storici concreti che fanno emergere il dato oggettivo da cui dipende la trasformazione del sistema.

Oggi le prospettive di guerra fanno immaginare nuovi cambiamenti epocali e sono un potente detonatore per i rivolgimenti sociali, ma non siamo ancora a questo punto, anche se un'organizzazione comunista rivoluzionaria deve prepararsi a questa eventualità e non vivere dell'agitazione quotidiana.

In realtà esistono già da ora in un paese come l'Italia i presupposti per aprire un discorso sul socialismo come nuova forma di organizzazione sociale. Non siamo ancora al crollo del sistema, ma siamo di fronte a una crisi che non trova sbocco se non in una logica di inasprimento dello sfruttamento e di crisi sociale sempre più generalizzata.

La soluzione a questi problemi non ha natura sindacale e rivendicativa se non in apparenza. I margini di profitto del capitalismo italiano sono condizionati dal suo rapporto internazionale e i dati ci dicono che esso deve, per sopravvivere, inasprire la conflittualità sociale. Ce lo dice l'UE, ce lo dice la logica dell'economia globalizzata, la 'fase suprema' dell'imperialismo odierno.

Certamente questa realtà viene mascherata con la retorica dello sviluppo, coi decreti che favoriscono le classi sfruttatrici, ma alla fine il gioco viene allo scoperto e i segni di una rivolta sociale diventano significativi. Le forme di questa rivolta sono ora l'aumento dell'astensionismo, l'affermarsi rapido e clamoroso del movimento Cinque Stelle, la critica feroce al sistema dei partiti, la reazione giustizialista alla criminalità politica e al malaffare.

E' da questa rivolta, variamente articolata, che deve prendere corpo la nascita di un movimento politicamente organizzato che abbia come riferimenti essenziali la pace e la trasformazione in senso socialista della produzione e dell'organizzazione sociale.

Il passaggio che noi ipotizziamo è il superamento delle ambiguità politiche che si manifestano nelle forme di opposizione: costituzionalismo, radicalità democratico-borghese, movimentismo anarco-operaista, logica rivendicativa territoriale. Nessuna di queste forme riesce a porre al centro la questione del superamento del sistema sociale liberista e arrivare a nuove forme di organizzazione sociale in cui la produzione, il lavoro, la gestione della partecipazione popolare al potere, le questioni della cultura, dell'istruzione, dei servizi sociali, dell'ambiente e dell'organizzazione del territorio siano affrontate nella prospettiva unificante di un nuovo potere.

Su questo siamo solo agli inizi di una possibile discussione. Viviamo ancora con le vecchie idee, la rivoluzione vista come un corteo o come fondazione sic et simpliciter dell'agognato partito dei comunisti, creato magari da una più che logora nomenclatura.

Il passaggio a una nuova organizzazione sociale è un fatto epocale che ha caratteristiche molto precise. Per dirla con Marx, quando un sistema sociale non è più in grado di sviluppare le forze produttive si apre una fase di crisi e di rivoluzioni. Noi, in Italia, siamo all'inizio di un processo di questo tipo e nonostante che gli ultimi governi, quelli di Monti, di Letta e di Renzi abbiano fatto e facciano sforzi per riavviare i meccanismi della crescita e della realizzazione del profitto, i risultati non si vedono. Quanto a lungo può durare questa situazione?

E' chiaro che l'evoluzione della situazione, in un senso o nell'altro, dipende da innumerevoli fattori internazionali ed europei. Noi dobbiamo però saper cogliere la tendenza e lavorare nella direzione giusta.

Per questo dobbiamo anche imparare a pensare in modo diverso dal passato. Non siamo più nell'epoca delle rivendicazioni, siamo nell'epoca delle trasformazioni sociali necessarie per la sopravvivenza. E la nostra azione deve innalzarsi a questo livello.

Ma come avviene questo passaggio? E' evidente che sarà l'accelerazione della crisi a decidere, ma il nostro compito è quello di indirizzare nel modo giusto le forze in movimento. Soprattutto saperle organizzare.

Da questo punto di vista, come si è già detto, siamo in una situazione ancora molto arretrata. A livello operaio, le forze essenziali sfuggono ancora a un compattamento significativo e questo toglie il baricentro avanzato dello scontro. Altre forze rubano la scena e danno una rappresentazione deformata della situazione.

Anche per questo dobbiamo gestire con chiarezza gli obiettivi strategici della riorganizzazione politica delle forze di classe e antimperialiste in Italia. La gestione di questi punti è anche la base dell'organizzazione politica che su di essi deve crescere.

1) Intanto sulle questioni internazionali. Non è più tollerabile che la lotta antimperialista e in particolare quella contro il criminale sistema imperiale americano sia vissuta occasionalmente e a livello solidaristico. La coscienza di classe non ha senso se non pone al centro del suo sviluppo la lotta antimperialista che ha come riferimenti essenziali gli USA, l'UE, la NATO e il sistema internazionale del controllo dello sfruttamento.

Data la tradizione essenzialmente tredunionista e democraticista italiana il passaggio a una coscienza antimperialista di massa non è facile. Implica innanzitutto la messa in stato d'accusa dell'agire della sinistra imperialista di cui sono espressione il PD e la sua cerchia di alleanze. Il primo passaggio a un nuovo livello di azione politica si esprime su questo. Non si tratta di agitare slogans ma di condurre un'azione sistematica di informazione e denuncia. Paradossalmente non siamo neppure in grado oggi di legare gli sbarchi di chi fugge dalla fame e dalla guerra, e spesso muore, con la criminalità delle guerre imperialiste di cui anche l'Italia è protagonista. Su questo bisogna conquistare un'egemonia di massa che sappia mettere sotto accusa e isolare il circuito 'democratico' che copre il sistema imperiale americano, il sionismo, le guerre 'umanitarie'.

2) Sul terreno di classe e dei movimenti di lotta sociale occorre realizzare un livello di organizzazione che abbia la sufficiente compattezza per condurre lo scontro sui nodi che caratterizzano i nuovi e i vecchi livelli di sfruttamento. Noi riteniamo che bisogna uscire dalla tradizione sindacalista e stabilire un rapporto diretto tra lotte, rivendicazioni e organizzazione operaia. E per organizzazione operaia intendiamo che con i lavoratori, le lavoratrici, i precari, i disoccupati, i lavoratori in nero, i sottopagati, si determini una coscienza collettiva che superi la singola rivendicazione e diventi protagonista politica dello scontro. Il movimento dei lavoratori e delle lavoratrici non sostituisce il partito, ma ne è la premessa. Organizzazione di classe e partito marciano assieme.

3) Una nuova forza politica di classe deve saper uscire dall'attuale teatrino politico-istituzionale e legarsi alla grande realtà dell'astensionismo. Siamo convinti che nell'attuale quadro istituzionale non è possibile realizzare un programma di pace e di trasformazioni sociali. Di questo si sono accorti molti milioni di italiani (stiamo arrivando al 50%) che si rifiutano di votare. Il non voto è un referendum contro questo sistema; ora bisogna rendere attivo questo fronte. Il movimento politico che dovrà nascere deve essere per sua natura extraparlamentare, pur senza rifiutare, a livello tattico, rapporti e alleanze che ci aiutino a marciare nella direzione giusta.



6. I punti dirimenti per una nuova progettualità politica

Una questione essenziale è la natura dell'organizzazione. Per fare una scelta strategica bisogna avere un punto di partenza solido di compagni e compagne motivati. Qualcuno penserà che basta costituire il 'nucleo d'acciaio'. Ma il famoso nucleo d'acciaio non si costruisce con le parole, ma con la capacità di interpretare gli obiettivi sociali di cui si deve far carico e di saper elaborare la tattica e la strategia necessarie a condurre in porto questi obiettivi. Oggi siamo di fronte al solito dilemma dell'uovo e della gallina. Una questione che va sciolta con la necessaria capacità dialettica.

Stretti dalle circostanze, bisogna affrontare una nuova prova d'appello. Elemento essenziale per la crescita di una nuova forza di classe in Italia è però la resa dei conti con una tradizione anarco-movimentista che, comunque mascherata, blocca la discussione seria sul che fare.

Alla base di questo blocco c'è la scissione tra impegno pratico ed espressione teorica e analisi scientifica degli obiettivi strategici. In sintesi, l'assenza del metodo comunista. La lotta viene vissuta come improvvisazione e non come dato di partenza per accertarne le implicazioni, le potenzialità e le necessità d'organizzazione. La teoria viene lasciata agli specialisti, ai professori, agli intellettuali cosiddetti impegnati, e non è frutto invece di un'acquisizione interna alle forze che nelle contraddizioni agiscono.

La politica come espressione del clan. Il movimento come forma di protagonismo che non si preoccupa del coinvolgimento delle forze necessarie alla vittoria, ma che riproduce, al massimo, lo schema lotta-repressione fino all'esaurimento della carica iniziale. Questo spiega anche la subalternità in cui quelle che si definiscono forze antagoniste sono sempre vissute.

E' possibile cambiare logica? Per ora possiamo dire solo che è necessario. Ma è indubbio che una battaglia in tal senso è indispensabile per non rimanere al palo.

In passato abbiamo ottenuto buoni risultati sul terreno sindacale e contro l'autonomismo velleitario e anarchicheggiante e la sinistra 'politichese'. E' stata una buona scuola. Se ora però vogliamo ricominciare, perchè la situazione lo richiede, dobbiamo individuare i punti di passaggio per un'organizzazione in grado di affrontare lo scontro e superare i limiti che da decenni si registrano.

Per molti anni è sembrato che la decisione di fondare un nuovo partito comunista funzionasse da catalizzatore. I fatti hanno dimostrato il contrario. La storia di Rifondazione lo dimostra e sappiamo anche che la parola 'comunista' era un paravento per altri obiettivi, peraltro dimostratisi fallaci. In realtà per riorganizzare un nuovo partito comunista mancava la maturazione teorico-politica e, aggiungiamo, anche la condizione storica. I tentativi si basavano su due presupposti negativi, il tardotogliattismo mischiato al politichese sessantottino e all'emmellismo giaculatorio. Oggi questi tentativi sono a livello di caricatura e non hanno bisogno neppure di una contestazione.

Ma allora come si scioglie il nodo della contraddizione tra esigenza storica e formazione politica del partito?

A nostro avviso su questo non si può improvvisare, né ci si può basare sull'idea che basti agire nei movimenti e accettare i livelli organizzativi che si determinano spontaneamente per creare un partito. Questa è la strada percorsa dal '68 in poi e ancora oggi domina con le sue miserie la scena. Miserie di protagonismi (il rifiuto dell'organizzazione è in funzione di questi); miserie di retorica antagonista vissuta sulla denuncia della quotidianità e senza strategia; miseria di un opportunismo che genera la deresponsabilizzazione nel rapporto organizzazione-obiettivi.

Per superare questo stato di cose non possiamo far appello all'unità dei comunisti. Essa è pura retorica. Semmai possiamo far appello a quei comunisti e a quei compagni che oggi sentono il bisogno di lanciare una sfida strategica a coloro che stanno provocando guerre e miserie. Su questa base, e solo su questa, si può tentare la riorganizzazione di un partito che si faccia carico di una esigenza storica di lotta per la pace e il socialismo. Quali sono i tempi per una simile impresa?

Quello che non ci rende ottimisti sulla situazione odierna non è l'essere reduci da mille battaglie e anche da mille sconfitte. Ci spaventa il fatto che tutto questo ha prodotto una zavorra ideologica, culturale, un cumulo di opportunismi, su cui il nemico di classe costruisce la sua quinta colonna. Cioè usa questo stato di cose per deviarci. Se cominciassimo intanto a fare chiarezza su questo, l'ipotesi dell'organizzazione di cui abbiamo bisogno sarebbe più a portata di mano.

Questioni di storia e di teoria

Nell'intraprendere un nuovo cammino di lotta all'imperialismo e per profonde trasformazioni sociali non partiamo dall'anno zero. Non è solo però questione di richiami a Marx e a Lenin, che pure sono essenziali nell'interpretazione scientifica dei rapporti di produzione e dell'imperialismo, ma si tratta, nel cammino della riorganizzazione comunista, di inquadrare le due questioni centrali del momento.

Una è di carattere storico-materialistico e riguarda il bilancio di quello che viene definito 'il secolo dei comunisti', il novecento. A nostro parere lanciarsi, come fanno i marxologi di stampo universitario e i teorici del socialismo creativo, su slogans come Marx XXI e Socialismo del XXI secolo è passare sopra alle questioni che si sono accumulate a partire dal 1917 e dintorni. La proiezione verso l'ovvia prospettiva del nuovo secolo non è possibile per i comunisti senza un bilancio corretto della storia passata e di ciò che si è creato dopo l'89 in termini di rapporti di forza, di nuove forme di contraddizioni, di percorsi che le vicende mondiali stanno seguendo, dalla Cina all'America Latina al Medio Oriente e all'Europa stessa. Non per dire che siccome i filosofi hanno interpretato il mondo ora bisogna solo trasformarlo. Il senso della nostra considerazione ha un'altra valenza e cioè che non sarà un lavoro di rimasticamento teorico sui testi a darci la chiave di lettura della nostra epoca, bensì l'uso rivoluzionario del marxismo e del leninismo, e con questo sottolineiamo che i nostri riferimenti devono corrispondere, come i padri fondatori ci insegnano, al duplice carattere di scientificità e di azione rivoluzionaria. E non c'è scientificità se non c'è verifica dei risultati e sperimentazione. Giustamente rivendichiamo di aver firmato nel 1992 la dichiarazione di Pyongyang a difesa del socialismo, una riaffermazione coraggiosa dentro la bufera della controrivoluzione. Ma da allora non ci sembra che la discussione sulle prospettive sia andata molto avanti.

La seconda questione riguarda la definizione, nella nuova epoca storica, dei percorsi del movimento comunista. Su questo a nostra opinione siamo ancora in una fase intermedia di maturazione delle forze e i comunisti a livello tattico saranno costretti a seguire strade molto articolate. Non dobbiamo, per questo, aver paura di sporcarci le mani, a condizione che si tenga fede all'obiettivo centrale della sconfitta del sistema imperiale americano e della rottura, sul piano economico, del dominio delle istituzioni economico-finanziarie ad esso collegate che sfruttano gran parte del genere umano. E' su questa base di liberazione dei popoli dai vincoli imperialisti che si può riprendere il percorso interrotto o deviato delle rivoluzioni comuniste.

AGINFORM
settembre 2014